Torino tra le righe
L’ultima magia di Desy Icardi


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Un fortuito, interessantissimo incontro con un grande rappresentante del beat italiano anni ’60: Shel Shapiro. Alcuni giorni fa Shel ha partecipato all’evento “Bisogna saper vivere”, intreccio tra musica e parole condotto da Renzo Sicco nel Mausoleo della Bela Rosin di Torino. L’eccellente musicista londinese nato nel 1943 naturalizzato italiano, eclettico, anticonformista e uomo di cultura, ha sviluppato con arte raffinata la sua lunga carriera di cantautore, scrittore, doppiatore e autore per interpreti come Patti Pravo e Dori Ghezzi, arrangiatore per Mia Martini, Ornella Vanoni, Raffaella Carrà, Mina e Dik Dik, produttore di album e singoli per Enrico Ruggeri, Gianni Morandi, Rino Gaetano, Luca Barbarossa e Ombretta Colli, moglie di Giorgio Gaber. Come attore cinematografico partecipò con Vittorio Gassman e Stefania Sandrelli a “Brancaleone alle Crociate” di Mario Monicelli e a “Rita, la figlia americana” di Piero Vivarelli con Totò e Rita Pavone.
L’edizione 2025 dello “Zecchino d’Oro”, uno degli appuntamenti musicali più amati in Italia, giunto oramai alla sessantaseiesima edizione, si è conclusa domenica a Bologna premiando la canzone “Diventare un albero”.
Il brano scritto dall’attore torinese è stato eseguito da Anna Sole Dalmonte, di 9 anni, proveniente da Voltana, in provincia di Ravenna, accompagnata dal Piccolo Coro dell’Antoniano diretto da Sabrina Simoni. Luca Argentero si è cimentato per la prima volta nella scrittura di un testo per lo Zecchino e ha ottenuto un successo immediato. Oltre a lui, “Diventare un albero” porta la firma di Rebecca Pecoriello e Nicola Marotta, mentre la musica è stata composta da Pecoriello, Marotta e Stefano Francioni. Tematica della canzone l’importanza del vivere le diverse fasi della crescita: non bisogna avere fretta di diventare grandi perchè ci sono tante cose da scoprire giorno per giorno mentre, piano piano, si cresce e si diventa uno splendido albero.
Il Piemonte quest’anno era rappresentato allo Zecchino anche da Carlotta, una bambina di 7 anni di Pavone Canavese, in provincia di Torino, che ha cantato “Il leone Piagnone” e da Greta di 9 anni proveniente da Oleggio, in provincia di Novara, che ha cantato in trio “Il principe Futù”. La finale dello Zecchino d’oro, in diretta da Bologna su Rai , ha sfiorato il 17% di share ed è stata vista da 2 milioni 595 mila telespettatori. Un momento davvero speciale che Luca Argentero ci ha tenuto a festeggiare sui social con una storia Instagram dove non ha trattenuto il suo entusiasmo scrivendo: “Vincere lo Zecchino d’oro cheeeeck”.
Igino Macagno
14 dicembre 2024
Ore 21,00
Libreria Comunardi
Via San Francesco da Paola 6
Torino
Sabato 14 dicembre, presso la libreria Comunardi di Torino, salotto culturale torinese, lo scrittore
Giorgio Caponetti e l’editore Dino Aloi dialogheranno con l’autore del suo libro “Il Magazzino Settantatré”.
Giorgio Caponetti, straordinario scrittore torinese, autore di libri come Quando l’automobile uccise la cavalleria,
La carta della regina, Il Grande Gualino, La leggenda del cavallo verde, Avanti! Ma non troppo – L’insospettabile
vita di Edmondo De Amicis e molti altri, terrà a battesimo l’opera prima di Angelo Cucchi, autore anche del
disegno di copertina, edito da Il Pennino.
Il Magazzino Settantatré è un racconto con un intreccio mozzafiato che si districa tra un quadro di
Dürer scomparso e documenti dell’operazione ODESSA, organizzazione che fece fuggire centinaia
di nazisti in Argentina. Questo è il nuovo libro, opera prima, di Angelo Cucchi, scenografo di lunga esperienza,
al suo esordio come scrittore. Sono previste letture in sala di alcuni testi.
Angelo Cucchi, nato a Torino nel 1949, dal padre, artigiano scultore ed intagliatore in legno, ha appreso l’arte, quella che non
si mette mai da parte e la si impara in bottega.Fino alla nuova rivelazione che è stata per lui la scenografia, grazie ad un contratto alla Rai presso il reparto scenografie del
Centro di Produzione Tv di Torino, nel 1967. Si è diplomato alla scuola di Scenografia dell’Accademia Albertina di Belle Arti di
Torino. Nel 1976, l’assunzione definitiva alla RAI prima pittore realizzatore e poi scenografo fino al 1990.
Ha collaborato alla realizzazione di diversi spettacoli televisivi. Lasciata la Rai si è dedicato alla libera professione. Si è occupato
di scenografie per teatro, balletto, opera lirica, cinema e pubblicità, alternando a mostre per musei e istituzioni culturali. Nel 1995
con la realizzazione della mostra Nefertari, luce d’Egitto ha conosciuto il mondo espositivo dell’archeologia.
Ha collaborato con il Museo Egizio di Torino per altre realizzazioni espositive, oltre a musei di Scienze Naturali a Torino, Matera
Museo Ridola di Antropologia, Nizza Museo Archeologico Cimièz. Si è occupato di altri allestimenti museali e spettacoli in Italia,
Francia, Spagna, Repubblica Dominicana, e negli Stati Uniti a Miami. Ha collaborato a varie istituzioni culturali dall’Assessorato
alla Cultura della Regione Piemonte fino al Palazzo delle Esposizioni di Roma in quattro anni, dalla mostra dedicata al bicentenario
della nascita di Charles Darwin e Homo Sapiens, Tehotihuacan la Città degli Dei, fino a La Via della Seta, sempre lavorando
“con le sue stesse mani” come ama ricordare, perchè il mestiere della realizzazione scenografica richiede manualità.
Hanno scritto di lui Gran Bazaar Italia Edizioni Elemond, Il Gazzettino di Venezia, la rivista Habitat, la Fondazione Franco
Antonicelli di Torino, la Galleria Zenith Arte ed un servizio video su Rai Tre.
Informazioni: Il Pennino – 3356869241 – info@ilpenninodinoaloi.it
RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA
Joyce Maynard “Il Bird Hotel” -NNE- euro 21,00
In questo romanzo si avverte il piglio sciolto della sceneggiatrice e scrittrice americana che racconta più fasi della vita della protagonista, e lo fa con ritmo quasi visivo. Ancora una volta la Maynard mette a fuoco il dolore della perdita, del lutto e del traumatico abbandono, dovuti alle capriole di un destino beffardo.
Al centro c’è l’io narrante di Irene (all’anagrafe Joan) rimasta orfana a soli 7 anni. La madre -cantante e attivista dalla vita disordinata e nomade- muore disintegrata dall’esplosione della bomba che aveva piazzato in un’azione terroristica.
Poiché non si sa chi sia il padre, la piccola viene cresciuta dalla nonna, che le cambia il nome e le impone di non svelare mai a nessuno le circostanze in cui della madre è rimasto solo un polpastrello per risalire al Dna.
Crescendo, Irene scopre la passione per la pittura e durante un’esposizione a San Francisco conosce Lenny. I due si innamorano e mettono al mondo il piccolo Arlo. Per un attimo la vita sembra tornare benevola; ma un’altra immane tragedia uccide marito e figlio in un colpo solo.
Schiantata dal dolore Irene pensa prima al suicidio, poi si lascia guidare dal caso e sale su un pulmino che la conduce in un immaginario luogo sperduto nell’America Centrale. Un paesino affacciato su un lago, dominato da un vulcano.
Una sorta di paradiso terrestre, dove il tempo è scandito dai cicli della natura e dalle calamità che la gente del luogo è abituata ad affrontare.
Irene trova ospitalità nell’unico albergo del paese, La Llorona; luogo fiabesco gestito dalla misteriosa Leila, piena di debiti ma con principi saldissimi. Tra le due donne si crea un rapporto complice, dal quale derivano sviluppi successivi che cambieranno ancora una volta il destino della protagonista.
Milena Palminteri “Come l’arancio amaro” -Bompiani- euro 20,00
A ben 75 anni Milena Palminteri esordisce con questo romanzo balzato subito in testa alle classifiche. Di origine palermitana, l’autrice vive a Salerno ed è stata conservatrice negli archivi notarili.
Ora ha raggiunto il successo con questa saga che racconta la storia di tre donne di due differenti generazioni. Sono Nardina, Sabedda e Carlotta e si muovono nell’immaginario paese di Sarraca, per il quale la scrittrice si è ispirata a Sciacca.
Il romanzo inizia nel 1960; Carlotta lavora nell’Archivio Notarile e per caso scopre che la nonna paterna aveva accusato sua madre di non averla partorita, bensì comprata.
E’ l’inizio di una serrata indagine nel passato e nelle vicende privatissime della madre Nardina, che aveva avuto difficoltà a restare incinta del marito, il nobile Carlo Cangialosi.
A imprimere una svolta c’è anche la serva Sabedda, incinta di un figlio che non sarà mai riconosciuto dal padre. E i destini di due donne tanto diverse si intrecciano, sullo sfondo dei maneggi di alcuni personaggi, alcuni anche in odor di mafia.
A.M. Homes “Il complotto” -Feltrinelli- euro 24,00
E’ una delle voci più interessanti e innovative della letteratura americana negli ultimi 20 anni, quella della scrittrice nata a Washington D.C. nel 1961. Oggi vive a New York, insegna alla Columbia University e collabora con prestigiose testate. Amy Michael Homes, dopo 10 anni e parecchi premi vinti, si cimenta nuovamente con il romanzo.
459 pagine per raccontare un’America che sembra sgretolarsi e aver perso la rotta verso il sogno americano. Tutto franerebbe nell’arco di tempo in cui Barak Obama è stato il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti.
A prendere malissimo questa vittoria è il Grand’uomo, (Big Guy), uno dei principali finanziatori dello sconfitto Mc Caine.
Ma chi è Big Guy? Un ultraconservatore bianco, intorno ai 60 anni, razzista incallito che non vuole arrendersi al risultato elettorale e studia un piano per salvare il paese da quella che ritiene una pericolosa deriva socialista.
Fin qui la sfera pubblica e politica, che corre in parallelo con quella della vita privata; i guai con la moglie alcolizzata e con l’instabile figlia 18enne. Ma le energie di Big Guy saranno assorbite soprattutto dal progetto di un golpe…e non resta che addentrarvi in questo corposo romanzo intriso di satira politica.
Jane Campbell “Interpretazioni dell’amore” –Blu Atlantide- euro 18,50
Jane Campbell, nata in Inghilterra nel 1942, psicologa e docente ad Oxford, è una scrittrice sui generis che ha debuttato a 80 anni con il libro di racconti “Spazzolare il gatto”.
Ora con “Interpretazioni dell’amore” si affaccia alla narrativa e ci regala un romanzo corale in cui i protagonisti -negli ultimi anni delle loro vite- si raccontano con disincanto e onestà. Si muovono tutti all’interno di agiati circoli accademici e la narrazione parte dalla vigilia dei preparativi per un matrimonio.
Sulla scena compare l’anziano Malcolm, insegnante ad Oxford, invitato alle nozze della nipote. E’ l’occasione per svelare un segreto taciuto a lungo. In passato, nel primo dopoguerra, la sorella in punto di morte gli aveva consegnato una lettera in cui svelava il nome del vero padre della figlia Agnes.
Lui aveva giurato, ma poi non aveva consegnato lo scritto a chi di dovere; una decisione con parecchie conseguenze.
Camilla Sten “Il villaggio perduto” -Fazi Editore- euro 19,50
Un’atmosfera inquietante avvolge il villaggio di Silverstjän, dove nel 1959 erano improvvisamente scomparsi tutti i 900 abitanti. Come svaniti nel nulla. Erano rimasti solo il corpo di una donna lapidata nella piazza del paese e una neonata abbandonata sui banchi della scuola: e nessuno è mai riuscito a chiarire il mistero.
A tornare nel paese, al giorno d’oggi, è Alice Lindstedt, giovane regista di documentari che cerca un argomento per sfondare nel suo mestiere precario. A legarla al luogo misterioso c’era anche sua nonna che viveva a Silverstjän, ed era scomparsa con tutta la famiglia.
Alice affronta l’impresa con una troupe di amici; ad avvolgerli immediatamente è un silenzio inquietante, i fantasmi del passato, l’enigma inspiegabile. Gli sviluppi li scoprirete leggendo, man mano che mistero si aggiunge a mistero.
Anche il rapper indie torinese Willie Coyote è tra i 30 Big scelti da Carlo Conti per il Festival di Sanremo 2025. È diventato noto al grande pubblico, quando a Sanremo nel 2021, in pieno Covid, si è esibito sul palco dell’Ariston davanti ad una platea vuota, ma la sua “Mai dire noi” è diventato un refrain pop che gli è valso anche il Premio della Critica “Mia Martini”.
In questi giorni è uscito “Chissà”, un singolo insieme a Ditonellapiaga; un brano che alterna i pensieri di due amanti che, sebbene le loro strade si siano separate, continuano ad interrogarsi sul passato. Per quanto riguarda il cast 2025 del Festival, da segnalare il ritorno di Massimo Ranieri, Marcella Bella e Giorgia. Ed ora attendiamo i titoli dei brani in gara, perchè Sanremo è sempre Sanremo!
Igino Macagno
“Amichemai”, titolo che non ammette correzioni e che non sa quanto i sentimenti possano trasformarsi. È l’opera più recente di un ritrovato Maurizio Nichetti, classe 1948, un’infilata di successi iniziata con “Ratataplan” nel 1989 sino al 2001, poi più nulla. Certo, altre cose, altre aspirazioni, ma cinema basta, “non ho più avuto tra le mani – e quelle mani, nella sala del Romano, dopo la proiezione/incursione torinese, visto che tutti hanno fretta di tornarsene a Milano, che ha accompagnato all’interno del TFF nella veste di fuori concorso, le muove aprendole e chiudendole, velocemente, come se afferrassero aria e vuotaggine – un qualcosa che mi soddisfacesse, questa cosa qui invece ci ho tenuto a farla”, mi confessa. “Amichemai” è un’opera leggera, impalpabile, con un trionfo di certi buoni sentimenti e di lieto fine come oggi non s’usa più, pare che se ne abbia paura, pare che si tenda a cancellare, a perdere; ma forse è anche un’opera troppo inconsistente in quella sua leggerezza che, proprio all’interno della sceneggiatura firmata dall’autore, si sgretola strada facendo, con una seconda parte che va a morire a dispetto di ogni migliore intenzione che la prima aveva cercato con gusto e con pungente umorismo di costruire.
Aysè è la badante turca che da un paio d’anni accudisce il vecchio nonno Gino ridotto in carrozzina dopo l’ictus, con affetto e con certe accortezze che tra le mura suonano storte ma anche con tutto quel piglio che le è personale e che l’ha fatto ormai diventare la padrona della casa. Casa in cui a primeggiare dovrebbe essere la Anna, cittadina di Trieste ma di chiara impronta meneghina, disgiunta da un consorte che da troppo tempo è lontano per lavoro, in Bulgaria, ma si sa che le sue giornate ad accudire parti di vitellini e ansie e affetti verso una figlia e pazienti appoggi verso i doveri scolastici di un giovane nipote rendono distratta e assente. Messo com’è, il vecchio Gino prima o poi se ne va all’altro mondo, lasciando alla solerte Aysè in eredità il proprio letto che sventaglierà molte sorprese e alla Anna la possibilità di liberarsi di un peso piuttosto ingombrante. Sarebbe sufficiente cogliere le occasioni, lucidamente. Ma per le giravolte improvvise dei destini, sarà proprio Anna ad accompagnare Aysè, su un pickup giallo, con la scusa che facendo una piccola deviazione si può andare a trovare quel consorte che da tempo non si vede. Tutto troppo prevedibile. Sono isolate nel racconto quelle punte salienti del viaggio che tali rimangono ma che non trovano davvero altro materiale – decisamente necessario – a puntellarle: vale a dire è mal congegnata la doppia incursione degli angeli custodi della strada, chi è scambiato per un poco di buono rimane una vuota macchietta, il marito che s’è allocato in maniera un po’ ingarbugliata ma splendida allo stesso tempo non è quella gran bella novità. Persino le scene del salvataggio del pickup ricostruito in studio e il moderno green screen sanno troppo di forzato espediente. Si cerca di sopperire – e i ventitré anni di interruzione sono una testimonianza – con le tecniche che in tempi recenti hanno preso a interessare anche il cinema. Per cui due intraprendenti “content creators” al femminile documentano con i loro cellulari il proseguire della lavorazione del film, le fatiche e le gioie di Nichetti che con decenni di distanza pare voler ripercorrere orme felliniane.
Linguaggi nuovi? espedienti per ravvivare? momenti più o meno allegri e incalzanti per riempire una materia che mostra stanchezza? Sembra che quel pickup a un certo punto fatichi ad andare avanti e dispiace dicevamo ripensando ai giusti tasselli con i quali il film aveva preso il via. A riempire la storia sono le due interpreti, Angela Finocchiaro (a lei si deve pure una graffiata nel soggetto) e Serra Yilmaz, un cerino acceso quella, tutta guizzi e vampate e delusioni, e una infaticabile diplomatica questa, con metodi che pare conoscere parecchio bene. Mettono allegria e risate, costruiscono in una serata un’accoppiata autentica, sono loro due a meritare il costo del biglietto quando “Amichemai” uscirà.
Elio Rabbione
Nella foto di Pietro Rizzato, Maurizio Nichetti durante le riprese del film, e le interpreti Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz (sul fondo).
Lunedì 2 dicembre, in prima serata su Rai 1, andrà in onda il quarto appuntamento con la stagione finale de ” L’amica geniale – Storia della bambina perduta”. La serie, basata sulla tetralogia di romanzi di Elena Ferrante, diretta dalla regista Laura Bispuri e creata da Saverio Costanzo, è stata girata anche a Torino, per 4 settimane di preparazione e 5 settimane di riprese nell’autunno del 2022 con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Una saga di enorme successo, tratto da un romanzo che ha avuto una fortuna planetaria e nel corso della quale si sono potute e si potranno ancora ammirare le magnifiche location torinesi: dai portici di piazza Castello, al Rettorato dell’Università di Torino, il Cimitero Monumentale, la Stazione di Porta Nuova, alla Scuola Elementare Margherita di Savoia e l’IRV, l’Istituto di Riposo dei “Poveri Vecchi”. Tra le novità di questa quarta, e di certo ultima stagione, l’attrice Alba Rohrwacher che unisce il volto alla voce narrante e diventa personaggio nei panni di Elena “Lenù” Greco, al posto di Margherita Mazzucco, mentre la nuova Lila è interpretata da Irene Maiorino. Nino Serratore, interpretato in precedenza da Francesco Serpico, ha il volto di Fabrizio Gifuni.
La vicenda riprende l’ avvincente storia sulla base dell’ultimo libro “Storia della bambina perduta”, che partendo dalla metà degli anni Sessanta, vede le due protagoniste oramai adulte con alle spalle delle vite piene di avvenimenti, scoperte, cadute e “rinascite”. Tra alti e bassi la loro relazione diventa il filo conduttore di un racconto che esplora l’evoluzione personale, sociale e storica di un’Italia in trasformazione. La colonna sonora di Max Richter, con la sua intensità emotiva, ha poi il potere di immergere lo spettatore in un mondo che, pur essendo lontano appare incredibilmente reale. La forza delle parole di Elena Ferrante, la sensibilità degli interpreti ed il legame profondo con la realtà del rione rendono questa stagione una continuazione che, pur con i suoi limiti, non smette di affascinare e di lasciare un’impronta indelebile nel cuore di chi la segue. La scorsa settimana l’Amica geniale 4 ha superato i 3,4 milioni di spettatori con il 20, 1 % di share.
Igino Macagno