A cura di piemonteitalia.eu
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‘Manon Manon Manon’ rappresenta un viaggio affascinante che, per la prima volta in Italia, il teatro Regio di Torino propone dal 1 al 29 ottobre 2024. Si tratta di una lunga soggettiva dedicata a Manon Lescaut, giovane protagonista del romanzo dell’abate Prévost che, a partire dal suo successo settecentesco, ha ispirato ben tre compositori: Daniel Auber, che ha dato vita a Manon Lescaut nel 1856, Jules Massenet, che compose la sua Manon nel 1884 e Giacomo Puccini che ne scrisse nel 1893. Si tratta di tre opere autonome ma complementari, con tre direttori d’orchestra, tre interpreti per una protagonista unica, tre diversi cast per una trilogia che si compone di tre nuovi allestimenti e ventuno recite in un mese, una vera e propria sfida artistica e produttiva capace di mettere in luce la forza del teatro Regio.
Punto di partenza e centro di questo progetto è Giacomo Puccini, di cui quest’anno cade il centenario della morte e che presentò Manon Lescaut proprio al teatro Regio il 1 febbraio 1893. Puccini è per il teatro Regio un autore fondamentale, visto che scelse il teatro subalpino per due prime assolute e il sovrintendente del teatro Regio, Mathieu Jouvin e il suo direttore artistico Cristiano Sandri hanno presentato ben sette titoli, per riservare uno spazio speciale alla Manon all’inizio della stagione 2024/2025.
Deus ex machina è il regista Arnaud Bernard, cui è stata affidata la messinscena dei tre spettacoli e che ha scelto di raccontarli sotto la lente di ingrandimento del cinema, attraverso tre epoche iconiche della cinematografia francese, così strettamente legata a Torino “città del cinema”.
“Queste tre opere danno vita – spiega Mathieu Jouvin – a un unico personaggio di incredibile fascino, che risulta scolpito sotto tre punti di vista. Benché composte nell’arco di appena quaranta anni tra il 1856 e il 1893, rappresentano l’evoluzione del gusto musicale di tre secoli, dal Settecento al Novecento. Auber guarda al belcanto, Massenet rappresenta in pieno il linguaggio dell’Ottocento francese, mentre Puccini si proietta verso la modernità, anticipando sensibilità musicali del XX secolo.Un’occasione unica e affascinante che, per me, ha il sapore di una degustazione di vini. Come ogni annata, ogni terreno, ogni vignetomettono in luce le caratteristiche di uno stesso vitigno, così ogni allestimento saprà esaltare le differenze di un’unica protagonista, a volte frivola, a volte torturata, a volte ribelle. Il teatro sarà aperto ogni giorno e il pubblico, turisti compresi, potranno assistere ogni sera a un titolo diverso, scegliendo le date del mese di ottobre. Manon Manon Manon sarà al centro dell’interesse europeo, perché il teatro Regio ospiterà dal 24 al 26 ottobre 2024 la Conferenza d’Autunno di Opera Europa, principale organizzazione europea che riunisce teatri e festival lirici di oltre 44 Paesi”.
Pubblicato per la prima volta nel 1731 come Histoire du Chevalierde Grieux et de Manon Lescaut, ultimo capitolo dell’ampia opera di Antoine Francois Prévost ‘Mémoires et aventure d’un hommede qualité’, il romanzo narra dell’amore travagliato tra un giovane studente divenuto cavaliere, Des Grieux, e l’affascinante e volubile Manon Lescaut.
Punto di partenza del regista Arnaud Bernard è la domanda “Chi sono le tre Manon?” la Manon di Prévost è piuttosto avventurosa, ma anche una donna libera che scopre solo tardi il vero amore. La Manon di Auber è un uccello in trappola, quella di Massenet una donna alla ricerca di sé stessa, per Puccini una donna libera e ribelle. È l’unione di tutte le Manon a fare Manon, rappresentare le tre Manon è il punto centrale di questa impresa colossale. Le tre opere sono autonome e si reggono nella loro indipendenza, ma sono le differenze a alimentarsi a vicenda. Di qui l’idea di pensare a Manon come ‘Manon Manon Manon’, uno spettacolo in tre serate con un fil rouge che le accomuna, il cinema o meglio tre epoche simbolo del cinema francese.
Per Puccini il punto di vista sarà quello del realismo poetico del cinema francese degli anni Trenta, quello de Il porto delle nebbie, di Amanti perduti e l’Angelo del male, il cinema di Jean Gabin e Michèle Morgan, che romanticizza, mettendo in risalto, le questioni drammatiche. Per Massenet saranno Brigitte Bardot e la Parigi anni Sessanta, contraddistinti dall’emancipazione femminile, dal ruolo della femme fatale, anticonformista, con i suoi atteggiamenti ribelli, il lato selvaggio, l’emblema della tentazione e del peccato.
L’estetica del cinema muto è la chiave per interpretare al meglio la Manon di Auber, la più fragile, la più delicata, la più vecchio stile delle tre Manon. È l’occasione per ricordare non solo Georges Meliès, ma anche Alice Guy, una donna oggi sconosciuta, che fu la prima regista nella storia del cinema.
“La Manon di Auber – spiega Arnaud Bernard- costituirà il legame tra il nostro progetto e Torino, la città dove è nato gran parte del cinema italiano e che ha sviluppato maggiori produzioni di fama internazionale “.
Le tre produzioni vedranno impegnati l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio, istruito dal maestro Ulisse Trabacchin.
L’inaugurazione sarà martedì 1 ottobre con Manon Lescaut di Giacomo Puccini su libretto di Luigi Illica, Domenico Oliva e Marco Praga. In scena per sette recite fino a sabato 26 ottobre, sotto la direzione del maestro Renato Palumbo, tra i massimi esperti mondiali d’opera italiana. Nel ruolo del titolo protagonista Erika Grimaldi, Roberto Aronica in quello di Renato Des Grieux, Alessandro Luongo è Lescaut e Carlo Lepore è Geronte di Levoir.
Nei due ruoli principali si alterneranno Maria Teresa Leva e Carlo Ventre.
Sabato 5 ottobre alle ore 19 andrà in scena Manon di Jules Massenet, su libretto di Henry Meilhac e Philippe Gille, in scena per sei recite fino a martedì 29 ottobre, sotto la direzione del maestro Evelino Pidò, nato a Torino ma residente a Parigi, il più francese dei grandi direttori d’orchestra italiani. L’opera debuttò all’Opera Comique di Parigi nel 1884, ottenendo uno stravolgentesuccesso. Giovedì 17 ottobre alle ore 19 il Regio presenterà in prima esecuzione a Torino, Manon Lescaut di Daniel Auber su libretto di Eugene Scribe, in scena per cinque recite fino a domenica 27 ottobre, per la direzione del maestro Guillaume Tournaire, che debutta al teatro Regio.
Tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta dell’Ottocento Daniel Auber e il drammaturgo Eugène Scribe furono i veri protagonisti del teatro parigino dell’Opera Comique e il segreto del loro successo consisteva nel mettere in scena drammi in cui i protagonisti affrontavano difficoltà di gravità crescente, abbinati a partiture leggere e melodie irresistibili.
In abbinamento alla trilogia su Manon, in collaborazione con il teatro Regio, il Museo Nazionale del Cinema presenterà un omaggio al cinema francese venerdì 1, sabato 2 e domenica 3novembre; tra i film in programma anche Manon di Henri Georges Cluzot, Vie privée di Louis Malle, La Bete Humaine di Jean Renoir e Le Quai des brumes di Marcel Carne.
MARA MARTELLOTTA
L’inaugurazione il 19 settembre alle ore 16.00. In mostra i capolavori del Maestro in una fra le cornici più prestigiose dell’arte moderna in Italia.
In occasione di ‘EXIBI.TO’ che si terrà a Torino dal 19 al 21 settembre 2024, la storica e rinomata ‘Galleria D’Arte La Rocca’presenta “Réclame”, personale di Giuliano Grittini.
La mostra, sarà aperta dal 19 settembre, giorno dell’inaugurazione fissata negli spazi espositivi per le ore 16.00,sino al 19 ottobre 2024 tutti i giorni a esclusione del lunedì mattina con orario 10,00 – 12,30 e 16,00 – 19,30 in Via della Rocca 4. L’ingresso è libero.
“Protagoniste una settantina di opere realizzate dal celebre fotografo, artista e stampatore d’arte milanese. “Rèclame” è un viaggio immersivo nell’universo visivo della pubblicità, reinterpretato con l’ironia e la sensibilità artistica che contraddistinguono l’opera di Grittini. Egli esplora il tema del consumismo e della comunicazione di massa, rivisitando le immagini che
hanno profondamente influenzato l’immaginario collettivo”, prendono a spiegare Bianca e Said, entrambi anima appassionatadella ‘Galleria La Rocca’, tra i punti di riferimento assoluti in Italia per quanto concerne le migliori firme di sempre dell’arte moderna da oltre cinquant’anni.
Per poi riprendere: “L’artista è noto al grande pubblico e alla critica per la sua continua ricerca e abilità nel manipolare ereimmaginare icone della cultura pop da Marilyn Monroe ad Alda Merini, con la quale ha avuto un profondo legame personale e professionale. “Rèclame” richiama immediatamente l’idea di un passato in cui la pubblicità era sinonimo di innovazione, fascino, desiderio ed i manifesti pubblicitari, realizzati dagli artisti, testimoni del loro tempo, non erano soltanto strumenti di marketing ma veri e propri artefatti culturali, capaci di plasmare stili di vita, sogni e aspirazioni”.
Ma c’è di più. “Elemento centrale di questa esposizione è la Cracker Art, una delle cifre stilistiche più originali inventata dallo stesso Grittini, con la quale egli scompone e ricompone immagini iconiche del nostro tempo attraverso l’utilizzo di elementi polimaterici e colori vivaci. Grittini utilizza la fotografia, la serigrafia, il collage, creando composizioni che sorprendono per la loro vivacità cromatica e per l’impatto visivo, elevando il linguaggio pubblicitario e i materiali comuni a forma d’arte ricca di significati stratificati che invitano alla riflessione. In “Rèclame”, il visitatore sarà catapultato in un mondo, dove icone del passato e del presente si mescolano in una danza di suggestioni visive. Grittini, con il suo stile inconfondibile, ci offre una riflessione sull’identità contemporanea, dove l’individualità sembra dissolversi nell’omologazione di massa, ma dove, al contempo, l’arte diventa uno strumento di riscatto e di riscoperta del sé. La mostra rappresenta un’occasione imperdibile per immergersi nell’arte di Giuliano Grittini, un artista che ha saputo trasformare l’immagine in un potente mezzo espressivo, capace di parlare al cuore e alla mente, spingendoci a guardare oltre la superficie delle cose. “Rèclame” è un invito a riscoprire la bellezza nascosta nel quotidiano, a riflettere sulle contraddizionidel nostro tempo e a lasciarsi sedurre dall’immaginario visivo di uno degli artisti più originali e incisivi del panorama contemporaneo”, concludono i titolari della Galleria D’Arte La Rocca’.
Per informazioni, telefono 011817464, e-mailgallerialarocca@gmail.com, sito internet www.gallerialarocca.net.
Nella sede di “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, appuntamento con la presidente di “Magnum Photos”
Giovedì 19 settembre, ore 19
Dopo la pausa agostana, il settembre di “CAMERA” è un mese di particolare interesse e curiosità, in cui alle mostre ancora in corso (fino al 6 ottobre) si alternano, tutti i “giovedì”, incontri con personaggi di spicco, pronti a mettersi in gioco, a ruota libera, in un confronto dialogico con il pubblico – tra talk, visite in mostra e (perché no?) un buon aperitivo – su temi che vanno dalla fotografia alla scienza e all’architettura. Non solo. A settembre continua anche nel “Centro” di via delle Rosine “Letti in CAMERA”, la rassegna dedicata all’editoria indipendente ed ospitata con cadenza mensile nell’area del “bookshop”. Accessibili gratuitamente, gli incontri offrono, di volta in volta, occasioni per indagare il significato del “libro fotografico” oggi, attraverso le testimonianze dei suoi protagonisti.
Per i “Giovedì di CAMERA”, di particolare richiamo è il prossimo appuntamento, organizzato in relazione alla mostra, ospitata negli spazi della “Project Room” e terza tappa della Rassegna “Bar Stories on Camera”, realizzata in collaborazione con “Galleria Campari” e “Magnum Photos”. Giovedì 19 settembre prossimo, alle 19, “CAMERA” ospiterà infatti, nella sala “Gymnasium”, dopo il “sold out” delle precedenti visite guidate, una “grande” della Fotografia internazionale contemporanea, Cristina de Middel, presidente della stessa “Magnum Photos”, fra le più importanti agenzie fotografiche del mondo, fondata nel 1947 da fotografi del calibro di Robert Capa ed Henri Cartier-Bresson, per citarne alcuni. Autrice di progetti pluripremiati e protagonista dell’ultima edizione del “Festival di Arles”, dove ha presentato il suo più recente lavoro, “Journey to the Center”, Cristina dialogherà con il direttore artistico di “CAMERA”, Walter Guadagnini, e racconterà al pubblico del suo lavoro.
Nata in Spagna nel 1975 de Middel vive oggi fra Messico (Uruapan) e Brasile. E’ entrata far parte di “Magnum Photos” nel 2017, diventandone presidente nel 2022. Dopo una carriera decennale di fotoreporter (portata avanti con “un’angolazione assolutamente non convenzionale” della fotografia, unendo in modo creativo e singolare pratiche fotografiche documentarie e concettuali) ha autopubblicato nel 2012 “The Afronauts”, un libro andato rapidamente esaurito e accolto con successo dalla critica, che voleva esplorare “la storia di un programma spaziale fallito in Zambia negli anni Sessanta, attraverso rievocazioni messe in scena di narrazioni oscure, sfidando la tradizionale rappresentazione del continente africano”. Oltre ad altri acclamati progetti personali, ha lavorato per “clienti” di peso come “The Nobel Peace Foundation”, “Christian Dior”, “Vanity Fair USA”, “Vogue USA” e “FC Barcellona”. Nel 2013, con “The Afronauts” è stata nominata per il “Deutsche Borse Photography Prize” e, sempre nel 2013, ha ricevuto l’“Infinity Award”dall’“International Center of Photography”.
Per info: “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to
g.m.
Nelle foto:
– Ritratto Cristina de Middel
– Cristina de Middel. “Magnum Photos”
Lee Kravetz “Le ultime confessioni di Sylvia P.” -Fazi Editore- euro 18,50
Secondo alcuni critici questo libro di esordio dell’americano Lee Kravetz può essere definito un mistery letterario che ruota intorno alla poetessa Sylvia Plath; suicidatasi a Londra, a soli 30 anni, poco dopo la pubblicazione (nel febbraio 1963) de “La campana di vetro” che la rese immortale.
“Le ultime confessioni di Sylvia P.” si basa su tre voci femminili, in qualche modo legate alla vita della poetessa ed articolate in una serie di capitoli-stanze. Tre donne che, a distanza di tempo, in un misto di fatti veri e immaginari, incrociano l’esistenza della Plath.
Nel 2019, Estee, curatrice di una piccola casa d’aste del Massachusetts, si ritrova tra le mani tre quaderni firmati Victoria Lucas. Intuisce subito che si tratta del manoscritto “La campana di vetro” e si chiede come queste preziose pagine siano finite nella soffitta di una casa in Massachusetts.
Poi ci sono i ricordi di due donne che la Plath l’avevano conosciuta.
La poetessa Boston Rhodes (dietro la quale sembra celarsi Anne Sexton) che la incontra a un corso di scrittura del poeta Robert Lowell. Entrambe sono fragili, talentuose, sensibili e finiscono per instaurare un legame ambiguo e pieno di chiaroscuri tra amicizia, competizione e invidia.
Infine c’è Ruth Barnhouse, una delle prime psichiatre americane che nel 1953 curò la Plath, nella clinica per malattie mentali in Massachusetts, dov’era stata ricoverata a 20 anni, dopo un primo tentativo di togliersi la vita. La Barnhouse ebbe un ruolo importante nell’aiutarla a riprendere la strada letteraria.
Attraverso le tre diverse prospettive delle coprotagoniste (delle quali emergono anche le vicende più intime), Lee Kravetz ricostruisce la breve, intensa e tormentata vita della Plath.
Corrado Augias “La vita s’impara” -Einaudi- euro 20,00
Alla soglia dei 90 anni il giornalista e scrittore -tra i più importanti del panorama italiano- affida a questa sorta di memoir il resoconto della sua vita e del suo impegno civile. Una narrazione libera, senza linea di confine tra vita vissuta e quella elaborata dal pensiero.
Bellissime le pagine in cui ripercorre le tappe salienti della sua lunga ed interessante vita. Emozionanti i ricordi dal suo album di famiglia.
La guerra quando era ancora bambino; scioccato di fronte
all’estrazione dei corpi dalle macerie lasciate dai bombardamenti e ai «morti infarinati di cemento».
Il padre ufficiale in servizio a Tripoli; la nonna ebrea convertita ad un cattolicesimo semi fanatico.
Poi ci sono gli incontri determinanti per la sua formazione di uomo e intellettuale, quelli che l’hanno portato a scegliere la carriera da intraprendere; il giornalismo ai massimi livelli.
Nomi della caratura di Scalfari e Angelo Guglielmi (legato alla rivoluzione televisiva della quale Augias è stato uno dei principali protagonisti).
Ma anche gli incontri di carta con il pensiero e la vita di Piero Gobetti, Gramsci e di altri esponenti della cultura progressista e cosmopolita.
Pagine che mettono a fuoco il pensiero di un grande divulgatore. Emerge a tutto tondo la vastissima cultura accumulata fin da giovanissimo; anche attraverso le letture di Lucrezio, Spinoza, Macchiavelli, Kant e tanti altri che l’hanno affascinato e trasportato nella storia passata dell’umanità.
Ann Pratchett “Tom Lake” -Ponte alle grazie- euro 18,00
La scrittrice, giornalista e proprietaria di una libreria a Nashville, ci regala questo romanzo d’amore, che è anche uno spaccato dei rapporti familiari. Ambientato al tempo del lockdown in una fattoria nel Michigan del Nord, dove vivono e lavorano Lara e il marito Joe.
Le figlie della coppia tornano per aiutare i genitori nella raccolta delle ciliegie. E’ l’occasione intima e bucolica scandita dai tempi lenti e confortanti di una piccola operosa quotidianità; ma anche il pretesto per farsi raccontare un capitolo della vita della madre.
Quando Lara aveva 24 anni aveva recitato in una compagnia teatrale estiva chiamata Tom Lake. Un passato da attrice, ai tempi del liceo e dell’Università; breve ma indimenticabile.
All’epoca era stata travolta da Peter Duke, affascinante attore col quale aveva vissuto una grande passione. Lui era seducente e inafferrabile; ma dopo il successo a Hollywood, aveva finito per perdersi nelle droghe.
Dopo questa esperienza Lara era andata avanti con la sua vita. Aveva scelto il solido Joe, si era trasferita nella sua fattoria e aveva creato una famiglia con tre figlie.
Emily, primogenita fantasiosa e travolgente.
La seconda, Maisie, fin da piccola manifesta l’indole empatica verso degli animali e vuole diventare veterinaria.
Poi la terzogenita, Nell, l’unica ad aver ereditato dalla madre l’amore per il teatro.
Un romanzo che rimanda alle atmosfere di “Piccole donne” e alle opere di Cěchov. Alterna la ricostruzione del passato e le relazioni, le emozioni, gli affetti del presente. Un tuffo nei meandri dell’amore materno, giovanile e coniugale.
Olga Tokarczuk “I libri di Jakob o Il grande viaggio” -Bompiani- euro 29,00
La scrittrice polacca Premio Nobel ha ambientato questa sorta di fiaba storica nella Podolia del 700, scandagliando il mondo di mezzo tra Polonia e Ucraina.
Un imponente romanzo con protagonista il giovane ebreo Jakob Frank, arrivato in Podolia (oggi difficile da circoscrivere tra Galicia, Volynia, Bukovina e Polesia), in un villaggio che è l’incrocio di popoli, lingue e religioni diverse. Ebrei, musulmani, cattolici e relative superstizioni si ritrovano tra le bancarelle dei mercati.
Le vicende narrate si dipanano nella seconda metà del Settecento, quando queste zone venivano chiamate periferie ed appartenevano alla Polonia. Un’area multietnica che risentiva dell’influenza e dei commerci con l’Impero Ottomano.
Attraverso una minuziosa ricostruzione storica seguiamo le vicende dell’astuto Jacob che elabora una sua “Eresia”. Raccoglie una setta di seguaci fanatici, si muove con abilità travalicando i confini degli imperi e le varie fedi religiose, scalando le gerarchie sociali.
E’ veramente esistito quest’uomo eccezionale che creò una sua corte ed attraversò varie esperienze: dalla gloria alla prigionia, dal lusso alla malattia, dall’esaltazione del successo alla disperazione.
Nel componimento “ Le golose”, Gozzano considera un semplice momento di vita quotidiana, elevandolo a situazione poetica: in questo caso Guido, grazie alla sua vena brillante e ironica, gioca a descrivere il comportamento delle “giovani signore” torinesi all’interno di Baratti, uno dei bar storici della città. Le “signore e signorine”, che subito riusciamo ad immaginarci tutte imbellettate, con tanto di cappellino e veletta, non resistono alla tentazione di assaporare un pasticcino, e, davanti alla invitante vetrina dei dolciumi, indicano con il dito affusolato al cameriere quello che hanno scelto, e poi lo “divorano” in un sol boccone.
È un momento qualsiasi, è l’esaltazione del quotidiano che cela l’essenza delle cose. Nella poesia citata l’eleganza torinese è presa alla sprovvista, colta in flagrante mentre si tramuta in semplice golosità. Ma Gozzano sfalsa i piani e costringe il lettore a seguirlo nel suo ironizzare continuo, quasi non prendendo mai niente sul serio, ma facendo riflettere sempre sulla verità di ciò che asserisce. Se con “Le golose” Guido si concentra su una specifica situazione, con la poesia “Torino”, dimostra apertamente tutto il suo amore per il luogo in cui è venuto alla luce.
Guido Gozzano nasce il 19 dicembre 1883 a Torino, in Via Bertolotti 3, vicino a Piazza Solferino. È poeta e scrittore ed il suo nome è associato al Crepuscolarismo – di cui è il massimo esponente – all’interno della corrente letteraria del Decadentismo. Inizialmente si dedica all’emulazione della poesia dannunziana, in seguito, anche per l’influenza della pascoliana predilezione per le piccole cose e l’umile realtà campestre, e soprattutto attratto da poeti stranieri come Maeterlinck e Rodenback, si avvicina alla cerchia dei poeti intimisti, poi denominati “crepuscolari”, amanti di una dizione quasi a mezza voce. Gozzano muore assai giovane, a soli trentadue anni, a causa di quello che una volta era definito “mal sottile”, ossia la tubercolosi polmonare. Per questo motivo Guido alterna alla elegante vita torinese soggiorni al mare, alla ricerca di aria più mite, (“tentare cieli più tersi”), soprattutto in Liguria, Nervi, Rapallo, San Remo, e anche in montagna. Un estremo tentativo di cura di tale malattia porta Guido a intraprendere nel 1912, tra febbraio e aprile, un viaggio in India, nella speranza che il clima di quel Paese possa migliorare la sua situazione, pur nella triste consapevolezza dell’inevitabile fine (“Viaggio per fuggire altro viaggio”): il soggiorno non migliora la sua salute, ma lo porta a scrivere molto.
Al ritorno redige su vari giornali, tra cui La Stampa di Torino, alcuni testi in prosa dedicati al viaggio recente, che verranno poi pubblicati postumi nel volume “Verso la cuna del mondo” (1917). A parte l’ampio poema in endecasillabi sciolti, le “Farfalle”, essenziali per comprendere la nuova poesia di Gozzano sono le raccolte di versi “La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911), il suo libro più importante. Questo è composto da ventiquattro componimenti in metri diversi, legati tra loro da una comune tematica e da un ritmo narrativo colloquiale, con, sullo sfondo, un giovanile desiderio di felicità e di amore e una struggente velatura romantica. Intanto il poeta scopre la presenza quotidiana della malattia (“mio cuore monello giocondo che ride pur anco nel pianto”), della incomunicabilità amorosa, della malinconia. Egli ama ormai le vite appartate, le stampe d’altri tempi, gli interni casalinghi, ma, dopo aver esaltato le patetiche suppellettili del “salotto buono” piccolo borghese di nonna Speranza con “i fiori in cornice e le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalla campana di vetro”, non esita a definirle “buone cose di pessimo gusto”. Di contro al poeta vate dannunziano, all’attivismo, alla mitologia dei superuomini e delle donne fatali, egli oppone la banale ovvietà quotidiana, alla donna-dea oppone “cuoche”, “crestaie” (“sognò pel suo martirio attrici e principesse, / ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne”), alla donna intellettuale contrappone una donna di campagna (“sei quasi brutta, priva di lusinga/ …e gli occhi fermi e l’iridi sincere/, azzurre d’un azzurro di stoviglia”). Si tratta di Felicita che, con la sua dimessa “faccia buona e casalinga” , gli è parsa, almeno per un momento, l’unico mezzo per riscattarsi dalla complicazione estetizzante.
Eppure non vi è adesione a questo mondo, mondo creato e nel contempo dissolto, visto in controluce con la consapevolezza che a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non sa ne può aderire e, tra sorriso, affetto e vigile disposizione ironica, si atteggia a “buon sentimentale giovane romantico”, per aggiungere subito dopo: “quello che fingo d’essere e non sono”.
Oltre che per questa nuova e demistificante concezione della poesia, l’importanza di Gozzano è notevole anche sul piano formale: “egli è il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico” (osserva Montale), e che, con sorridente ironia, riesca a far rimare “Nietzscke” con “camicie”. Gozzano piega il linguaggio alto a toni solo apparentemente prosastici. In realtà i moduli stilistici sono estremamente raffinati. E la sua implacabile ironia non è altro che una difesa dal rischio del sentimentalismo. La consapevolezza ironica abbraccia tutto il suo mondo poetico, le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti.
Avviciniamoci ancor di più al letteratissimo poeta torinese disincantato e amabile, e cerchiamo di approfondire il suo contesto familiare. Guido nasce da una buona famiglia borghese.
Il Dottor Carlo Gozzano, nonno di Guido, amico di Massimo D’Azeglio, appassionato di letteratura romantica del suo tempo, presta servizio come medico nella guerra di Crimea. Carlo Gozzano, borghese benestante, possiede ampie terre nel Canavese. Il figlio di Carlo, Fausto, ingegnere, porta avanti la costruzione della ferrovia canavesana che congiunge Torino con le Valli del Canavese. Fausto si sposa due volte, dalla prima moglie ha cinque figli; dopo la morte della prima consorte, Fausto incontra nel 1877 la bella diciannovenne alladiese Diodata Mautino, che sposa e dalla quale ha altri figli, tra cui Guido. La donna ha un temperamento d’artista, ama il teatro e si diletta nella recitazione, ed è altresì la figlia del senatore Massimo, un ricco possidente terriero, proprietario della villa del Meleto, ad Agliè (la villa prediletta dal poeta).
Guido frequenta dapprima la scuola elementare dei Barnabiti, poi la «Cesare Balbo», avvalendosi anche dell’aiuto di un’insegnante privata, poiché il piccolo scolaro è tutt’altro che ligio al dovere.
Da ragazzo viene iscritto nel 1895 al Ginnasio-Liceo Classico Cavour di Torino, ma la sua svogliatezza non lo abbandona, egli viene bocciato e mandato a recuperare in un collegio di Chivasso; ritorna a studiare nella sua Torino nel 1898, poco tempo prima della morte del padre, avvenuta nel 1900 a causa di una polmonite. Le difficoltà scolastiche del futuro poeta lo costringono a cambiare scuola ancora due volte, finché nel 1903 consegue finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano. Le vicissitudini tribolanti degli anni liceali sono ben raccontate da Guido all’amico e compagno di scuola Ettore Colla, scritti in cui si evince che il giovane è decisamente più interessato alle “monellerie” che allo studio.
Nel 1903 vengono anche pubblicati sulla rivista torinese “Il venerdì della Contessa” alcuni versi di Gozzano, di stampo decisamente dannunziano (qualche anno dopo, in un componimento del 1907 “L’altro” il poeta ringrazia Dio che – dichiara – avrebbe potuto “invece che farmi Gozzano /un po’ scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano /sarebbe stato ben peggio!”). Guido si iscrive poi alla Facoltà di Legge, ma nella realtà dei fatti frequenta quasi esclusivamente i corsi di letteratura di Arturo Graf. Il Professore fa parte del circolo “Società della cultura”, la cui sede si trovava nella Galleria Nazionale di via Roma, (poi spostatosi in via Cesare Battisti); anche il giovane Gozzano entra nel gruppo. Tra i frequentatori di tale Società, nata con lo scopo di far conoscere le pubblicazioni letterarie più recenti, di presentarle in sale di lettura o durante le conferenze, vi sono il critico letterario e direttore della Galleria d’Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi, Ernesto Ragazzoni, Carola Prosperi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli e i professori Zino Zini e Achille Loria; anche Pirandello vi farà qualche comparsa. Nell’immediato dopoguerra vi parteciperanno Piero Gobetti, Lionello Venturi e Felice Casorati.
Gozzano diviene il capo di una “matta brigada” di giovani, secondo quanto riportato dall’amico e giornalista Mario Bassi, formata tra gli altri dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano, Carlo Vallini, Mario Dogliotti divenuto poi Padre Silvestro, benedettino a Subiaco e dal giornalista Mario Vugliano.
Va tuttavia ricordato che per Guido quel circolo è soprattutto occasione di conoscenze che gli torneranno utili per la promozione dei suoi versi, egli stesso così dice “La Cultura! quando me ne parli, sento l’odore di certe fogne squartate per i restauri”. Con il passare del tempo, matura lentamente in lui una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, anche grazie (ma non solo) allo studio dei moderni poeti francesi e belgi, come Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Jules Laforgue, Georges Rodenbach e Sully Prudhomme.
Da ricordare è anche la tormentata vicenda amorosa (1907-1909) tra Gozzano e la nota poetessa Amalia Guglielminetti, una storia destinata alla consunzione, caratterizzata da momenti di estrema tenerezza e molti altri di pena e dolore.
Ma torniamo a Torino, la sua città natale, la amata Torino, che è sempre nei suoi pensieri: “la metà di me stesso in te rimane/ e mi ritrovo ad ogni mio ritorno”. Torino raccoglie tutti i suoi ricordi più mesti, ma è anche l’ambiente concreto ed umano al quale egli sente di appartenere. Accanto alla Torino a lui contemporanea, (“le dritte vie corrusche di rotaie”), appare nei suoi scritti una Torino dei tempi antichi, un po’ polverosa che suscita nel poeta accenti lirici carichi di nostalgia. “Non soffre. Ama quel mondo senza raggio/ di bellezza, ove cosa di trastullo/ è l’Arte. Ama quei modi e quel linguaggio/ e quell’ambiente sconsolato e brullo.” Con tali parole malinconiche Gozzano parla di Torino, e richiama alla memoria “certi salotti/ beoti assai, pettegoli, bigotti” che tuttavia sono cari al per sempre giovane scrittore. “Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca/ tuttavia d’un tal garbo parigino”, questa è la Torino di Gozzano, e mentre lui scrive è facile immaginare il Po che scorre, i bei palazzi del Lungo Po che si specchiano nell’acqua in movimento, la Mole che svetta su un cielo che difficilmente è di un azzurro limpido.
Il poeta fa riferimento alle “sere torinesi” e descrive così il momento che lui preferisce, il tramonto, quando la città diventa una “stampa antica bavarese”, il cielo si colora e le montagne si tingono di rosso, (“Da Palazzo Madama al Valentino /ardono l’Alpi tra le nubi accese”), e pare di vederlo il “nostro” poeta, mentre si aggira per le vie affollate di dame con pellicce e cappelli eleganti, e intanto il giorno volge al termine e tutti fanno ritorno a casa.
Gozzano, da buon torinese, conosce bene la “sua” e la “nostra” Torino, di modeste dimensioni per essere una grande metropoli, e troppo caotica per chi è abituato ai paesi della cintura, un po’ barocca, un po’ liberty e un po’ moderna, stupisce sempre gli “stranieri” per i “controviali” e i modi di dire. Torino è un po’ grigia ed elegante, per le vie del centro c’è un costante vociare, ma è più un chiacchiericcio da sala da the che un brusio da centro commerciale, è piccola ma a grandezza d’uomo, Torino è una cartolina antica che prova a modernizzarsi, è un continuo “memorandum” alla grandezza che l’ha contraddistinta un tempo e che, forse, non c’è più. Di Torino è impossibile non innamorarsi ma è altrettanto difficile viverci, e, se uno proprio non se ne vuole andare, c’è solo una cosa che può fare, prestare attenzione alla sua Maschera: “Evviva i bôgianen… Sì, dici bene,/o mio savio Gianduia ridarello!/ Buona è la vita senza foga, bello/ godere di cose piccole e serene…/A l’è questiôn d’ nen piessla… Dici bene/ o mio savio Gianduia ridarello!…”
Alessia Cagnotto
Un libro affascinante e intrigante, che ha per protagonista, oltre al giovane uomo al centro della vicenda narrata, la Torino magica ed esoterica.
Una prospettiva completamente nuova, in grado di dire qualcosa di più, e di meglio, sugli aspetti più intriganti della nostra amata Torino: questo accade con “La Via del Matto”, opera unica (si spera solo per il momento) di una giovane autrice torinese, Giulia Graglia, tanto addentro alla materia esoterica quanto in quella enologica che – aspetto peculiare – buon ruolo gioca nel romanzo.
Pubblicato dall’editrice “La Corrente”, la cui denominazione sarà più chiara a coloro che si appresteranno alla prentazione del libro (e al dialogo tra autrice e conduttore dell’incontro) e alla lettura, “La Via del Matto” è, in primo luogo, una bellissima storia fatta di Persone, Anime e Cuori.
Un costruttivo percorso di redenzione e iniziazione ricostruito tramite una triplice linea narrativa che, attraverso una prosa gradevolissima e mai stancante, ci accompagna a seguire le vicende del protagonista, Adel Solari (nomen omen…), giovane rampante la cui carriera nel mondo finanziario subisce una brusca interruzione, portandolo ad avere guai con la giustizia.
In bilico tra il racconto del mistero ed il romanzo di formazione, grazie ad una pregevole dinamica narrativa che deve qualcosa al mondo del cinema, “La Via del Matto” si rivela lettura godibilissima e coinvolgente, mai banale e con una peculiarità: al termine della lettura, al lettore rimane la chiara sensazione che chi ha dato vita a questo romanzo abbia piena cognizione delle profonde e complesse tematiche affrontate. Come chi le ha vissute in prima persona e magari sia stato in qualche modo ispirato…
ROBERTO TENTONI
GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA
Martedì. Alle Cricca Matteo Castellano , Orlando Manfredi e Jacopo Perosino, rendono un tributo a Luigi Tenco e Johnny Cash.
Giovedì. All’Osteria Rabezzana si esibiscono i Moi-Gea. Allo Spazio 211 punk con i The Gories. Al Sound Garden dell’Hiroshima Mon Amour è di scena Emma Nolde. Inaugurazione della nuova stagione per il Folk Club con il duo Giddens- Turrisi per 2 serate consecutive.
Venerdì. Al Magazzino sul Po suonano i GO!YA!.
Sabato. Al Blah Blah si esibiscono i Machno’s. Al Sound Garden dell’Hiroshima, concerto in favore di Casa UGI con l’esibizione del gruppo Mon-Keys.
Pier Luigi Fuggetta
Dieci candeline per Art Site Fest, che nell’edizione 2024raddoppia, con una rassegna ancora più articolata e ricca di eventi, estesa ai territori del Monferrato e del Roero. La manifestazione è partita a Torino dagli spazi di Reale Mutua, che ha festeggiato il decennale del suo Archivio, ma si estende anche ai paesi di Mongardino e Castelnuovo Calcea, San Martino Alfieri, Moasca nell’Astigiano, Govone nel Cuneese. In Reale Mutua è stata collocata l’opera dell’artista Alice Zanin, dal titolo “Rouages”, uno stormo di ibis scarlatti che attraversa le arcate del palazzo.
Art Site Fest Living Beings si svolge dal 13 settembre al 26 novembre sotto la direzione artistica di Domenico Papa e propone una serie di eventi, incontri e performance dedicati al tema del vivente, in diverse sedi torinesi. Il programma si svolgerà presso il Museo Archivio della Reale Mutua, nei Giardini Sambuy, al Museo della Frutta, in quello del Risorgimento, all’Archivio di Stato di Torino, al Museo Regionale di Scienze Naturali e presso la Costadoro Social Coffee Factory. Molti gli artisti visivicoinvolti, come Elizabeth Aro, Alice Zanin, Project To, BaharHediarzade, Jessica Noy Laufer, oltre a studiosi e scrittori.
Ai Giardini Sambuy verrà ospitata una performance di Clara Luiselli in occasione di Portici di Carta, mentre al Museo Nazionale del Risorgimento il Faber Teater realizzerà lo spettacolo “Cambiare il clima”. Nel corso della programmazione del Festival verranno realizzato tre cortometraggi, mentre all’Archivio di Stato quattro artiste affronteranno i temi della memoria, natura e identità. Elena Molos, al Museo regionale di Scienze Naturali, suggerirà, con FuturArkestra, attraverso Kafka, una riflessione sul rapporto con il cibo. Jolanda Moletto proporrà una visione della luna e a conclusione del festival Peppe Servillo insieme a Elena Molos leggerà Jan della Balena, una storia basata sui diari di Albrecht Durer sul rapporto tra arte e natura.
Impegno e scopo di Art Site Fest, rinnovato a ogni edizione, sonoquelli di creare un tavolo di confronto tra discipline diverse, nella convinzione che il dialogo tra tutti gli ambiti creativi possa aiutare nel comprendere il tempo attuale e possa permettere di immaginare un futuro migliore.
Mara Martellotta
Auguri a Piero Bianucci
Piero Bianucci ha compiuto 80 anni ed Alberto Sinigaglia ha scritto su di lui in modo impareggiabile. Letterato e uomo di scienza, Piero è un unicum che va oltre anche a Piero Angela con cui ha collaborato. Io lo ricordo acuto critico letterario alla “Gazzetta del Popolo” dove anch’io ho esordito. Ma alla “Stampa” Bianucci ha superato se’ stesso diventando giornalista scientifico di straordinario valore. Si dice spesso che umanesimo e scienza non si tengono insieme. Invece Piero è l’interprete più autorevole e significativo dello spirito leonardesco che fa di lui un signore del Rinascimento.
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Chiambretti
Io vado spesso nei ristoranti di Chiambretti, ma l’esordio della sua trasmissione su Rai 3 mi ha confermato tutte le riserve che avevo da tanti anni su di lui, che si rivela sempre un uomo di parte che confonde la satira con forme assai discutibili di finto ribellismo. Aver presentato Gene Gnocchi travestito da generale di divisione con tanto di stellette come una satira al militare Vannacci diventato leghista, e’ un’ esagerazione irrispettosa dell’uniforme dell’Esercito che non consente di scherzare impunemente, quando la si indossa . Quelle sue stellette “son disciplina”, cantavano i soldati nella Grande Guerra. E Gnocchi deve evitare di indossarla per fare le sue battute. Soprattutto le stellette! Chiambretti, a corto di argomenti, ha anche riproposto un’attempata Alba Parietti che non è cambiata nell’emettere con una certa presunzione sentenze sempre partigiane che rivelano superficialità e ideologismo vecchio di decenni . E’ meglio frequentare i ristoranti di Chiambretti che vedere la sua nuova trasmissione.
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Rete 4 non convince
Rete 4 con Del Debbio si è avventurata con eccessiva insistenza sulla signora Boccia con l’intento di massacrarla, senza accorgersi forse che questi attacchi finiscono di aggravare la situazione del ministro Sangiuliano. Forse un po’ di silenzio su questa vicenda sarebbe utile. E magari un po’ di attenzione sul nuovo ministro alla cultura De Giuli non sarebbe fuori luogo perché il personaggio rivela delle ombre e suscita delle perplessità che andrebbero chiarite. Del Debbio, denunciando la situazione di pericolo attorno alla stazione centrale di Milano, fa sicuramente un’opera socialmente utile, anche se i toni usati creano paura e allarmismo. Non basta denunciare, occorre ascoltare e mettere alle strette in Tv il ministro degli Interni, il prefetto e il questore di Milano per sapere cosa intendano fare per rendere di nuovo sicura la stazione. Il problema ovviamente non è solo milanese, ma di tante città. Del Debbio usa parole e commenti come se ai vertici del Governo ci fosse la sinistra. Una deformazione professionale incredibile. Sta di fatto che un vero giornalismo televisivo è cosa diversa sia da Rai 3 sia da Rete 4. Quando potremo assistere a qualche trasmissione pluralista, in cui non ci siano solo degli esagitati che urlano?
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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