CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 84

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

Dune – Parte 2 – Avventura/Fantascienza. Regia di Denis Villeneuve, con Timothée Chalamet, Zendaya, Josh Brolin, Charlotte Rampling e Christopher Walken. Il mitico viaggio di Paul Atreides quando si unisce a Chani e ai Fremen: è sul sentiero di guerra per vendicarsi dei cospiratori che hanno distrutto la sua famiglia. Di fronte a una scelta tra lamore della sua vita e il destino delluniverso conosciuto, Paul si sforza di prevenire un terribile futuro che soltanto lui può prevedere. Durata 166 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi sala 5, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

E la festa continua! – Commedia drammatica. Regia di Robert Guédiguian, con Ariane Ascaride, Jean Pierre Darroussin e Robinson Stévenin. Rosa è il cuore e l’anima del quartiere popolare della vecchia Marsiglia in cui vive. Essa divide la propria energia che non conosce limiti tra la sua numerosa famiglia, estremamente unita, il lavoro di infermiera e il suo interesse politico nei confronti delle persone più bisognose. Ma con l’avvicinarsi della pensione le sue illusioni cominciano a vacillare. Sostenuta dalla vitalità delle persone che le sono accanto e dall’incontro con Henri, si rende conto che non è mai troppo tardi per realizzare i propri sogni, sia politici che personali. Durata 106 minuti. (Nazionale V.O.)

Estranei – Fantasy/Drammatico. Regia di Andrew Haigh, con Andrew Scott, Paul Mescal, Claire Foy e Jamie Bell. Una notte, nel suo condominio quasi vuoto nella Londra contemporanea, Adam ha un incontro casuale con un misterioso vicino di casa, Harry, che spezza il ritmo della sua vita quotidiana. Mentre si sviluppa una relazione tra i due, Adam è ossessionato dai ricordi del passato e si ritrova attratto nella città di periferia in cui è cresciuto e nella casa dinfanzia in cui i suoi genitori sembrano vivere, proprio come il giorno della loro morte, trentanni prima. Estranei” è stato designato Film della Critica dal SNCCI con la seguente motivazione: Raccontando il tormento interiore per la perdita dei genitori e la scoperta della propria omosessualità, Adam cerca una riappacificazione con se stesso, la famiglia e il mondo, attraverso la conoscenza di Harry. Haigh si conferma eccelso narratore contemporaneo dei sentimenti, grazie a una ricognizione spettrale dei protagonisti e un senso smisurato di perdizione tra sensi di colpa e amori tragici. Un film impalpabile sul dolore inconsolabile, dove la realtà perde i propri confini e il pensiero si fa immagine. Durata 106 minuti. (Ambrosio sala 3 anche V.O.)

May December – Drammatico. Regia di Todd Haynes, con Natalie Portman, Julienne Moore e Charles Melton. Elizabeth è un’attrice di successo che si trasferisce temporaneamente a casa di Grace Atherton-Yoo, la donna che dovrà interpretare in un biopic. Anni prima Grace si era trovata al centro di uno scandalo di cui avevano parlato tutti i mass media: moglie e madre esemplare in una cittadina del sud degli Stati Uniti, a 36 anni aveva iniziato una relazione extraconiugale con Joe Yoo, un tredicenne di origine coreana. La relazione era uscita allo scoperto e Grace aveva lasciato marito e figlio per vivere alla luce del sole la sua storia con Joe, sfidando la disapprovazione dell’ex marito e del figlio, nonché della comunità di Savannah. Joe e Gracie si erano sposati, avevano avuto tre figli e avevano continuato a vivere nella loro cittadina proclamando il loro amore. L’arrivo di Elizabeth però farà da cartina di tornasole di tutti i problemi rimossi da Grace, che sfoggia un sorriso costante e un’inesauribile capacità di apparire indenne da quello scandalo. Il film è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani con la seguente motivazione: “Tra segreti e bugie, realtà e finzione, amori e tradimenti, passati ingombranti e presenti instabili, Todd Haynes traccia una sfida tutta al femminile, che riflette un gramma intenso e ambiguo, in un gioco morbosamente intrigante di specchi e sovrapposizioni, tra una donna dal passato ritenuto scandaloso e una famosa attrice che deve interpretarla in un prossimo film. Moore e Portman al meglio in una tensione sospesa, dove il meccanismo dell’immedesimazione mostra il suo ruolo perverso.” Durata 113 minuti. (Eliseo, Nazionale sala 4)

Monkey Man – Drammatico, azione. Regia e con Dev Patel. Kid è un giovane lottatore, gli incontri si svolgono in un circuito di scommesse clandestine. Il ragazzo ha origini umili, proviene dalla campagna e nei combattimenti ricopre il suo viso con una maschera di scimmia, ispirandosi al dio Hanuman, immagini di quelle doti di forza e saggezza a cui Kid s’ispira. Quei combattimenti sono altresì il mezzo per vendicare l’uccisione della propria madre ad opera di persone che sconvolgono la città attraverso una speculazione edilizia che ha ormai messo radici indistruttibili. Un mondo che Kid deve affrontare, per poter portare a compimento la propria vendetta. Durata 113 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi sala 3, The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Past Lives – Commedia. Regia di Celine Song, con Greta Lee, Teo Yoo e John Magaro. Na-young e Hang-seo sono fidanzatini ai tempi della scuola ma i genitori di Na-young devono trasferirsi da Seoul a New York. Da questa dolorosa separazione trascorrono dodici anni, dopo i quali Na-young, che ora si chiama Nora, e Hang-seo riescono a ritrovarsi e a comunicare via Skype. Di fronte allimpossibilità di incontrarsi nello stesso luogo, Nora sceglie di interrompere la relazione a distanza e concentrarsi sulla propria carriera di scrittrice nella metropoli americana. Dopo altri dodici anni, Hang-seo vola a New York per vedere Nora. Durata 93 minuti. (Nazionale sala 3)

Povere creature! – Commedia fantastica. Regia di Yorgos Lanthimos, con Emma Stone, Mark Ruffalo e Willem Defoe. Tratto dal romanzo dello scrittore Alasdair Gray, il film – candidato con undici candidature ai prossimi Oscar e Leone doro a Venezia – è la storia dello scienziato God, deformato nel fisico e sfigurato nel volto, inviso a tutti e considerato pazzo per gli esperimenti che conduce, e di Bella, morta suicida, che lui riporta in vita, immettendole il cervello del feto che la ragazza aveva dentro di sé. Bella un giorno imparerà a leggere e a scrivere come pure una propria vita sessuale che la spingerà a seguire un giovane avvocato in un lungo viaggio: mentre costui avrà la peggio da quella convivenza, Bella la userà per ribadire a tutti la propria libertà e quella totale emancipazione che altri hanno cercato di cancellarle. Vincitore di quattro premi Oscar, tra cui migliore attrice protagonista a Emma Stone. Durata 141 minuti. (Greenwich Village)

Priscilla – Drammatico. Regia di Sofia Coppola, con Cailee Spaeny e Jacob Elordi. Quando l’adolescente Priscilla Beaulieu incontra a una festa Elvis Presley, l’uomo, che è già una superstar del rock’n’roll, nel privato le si rivela come qualcuno di completamente diverso: un amore travolgente, un alleato nella solitudine e un amico vulnerabile. Attraverso gli occhi di Priscilla, Sofia Coppola ci racconta il lato nascosto di un grande mito americano, nel lungo corteggiamento e nel matrimonio turbolento con Elvis. Una storia iniziata in una base dell’esercito tedesco e proseguita nella sua tenuta da sogno a Graceland. Una storia fatta di amore, sogni e fama. Durata 113 minuti. (Ideal, Massimo anche V.O., Nazionale sala 1, The Space Torino, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

La sala professori – Drammatico. Regia di Ilker Çatak, con Leonie Benesch. Quando uno dei suoi studenti viene sospettato di furto, linsegnante Carla Nowak decide di andare in fondo alla questione. Stretta tra i suoi ideali e il sistema scolastico, le conseguenze delle sue azioni minacciano di distruggerla. La sala professori” è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani con la seguente motivazione: Nel microcosmo di una scuola tedesca a tolleranza zero, il regista mostra come la democrazia, nellillusorio tentativo di risolvere un banale caso, finisca con lo stravolgere privacy, libertà, dignità delle persone e soprattutto la ricerca della verità. Lo sguardo accusatorio di una webcam finisce col destabilizzare una situazione sotterraneamente già nervosa, mettendo in crisi indagini e relazioni, dove tutti, insegnanti, studenti e genitori, escono sconfitti. Durata 90 minuti. (Romano sala 1)

Tatami – Drammatico. Regia di Zahra Amir Ebrahimi e Guy Nattiv, con Arienne Mandi. Nella Georgia di oggi si svolgono i campionati mondiali di judo, vi partecipa anche Leile Husseini, proveniente dall’Iran, il suo stato è eccellente, si impone sulle avversarie e la conquista della medaglia d’oro pare essere più che vicina. La famiglia e la sua coach tifano per lei. Ma c’è la possibilità che nella finale Leile debba confrontarsi con un’atleta israeliana e la cosa non è affatto gradita alla Repubblica islamica. Le impongono di ritirarsi dalla competizione, fingendo un infortunio. Ma Leile è di parere diametralmente opposto. Durata 105 minuti. (Massimo sala Cabiria anche V.O., The Space Beinasco)

Il teorema di Margherita – Drammatico. Regia di Anna Novion, con Ella Rumpf e Julien Frison. Margherita è una brillante studentessa di matematica, a detta di tutti con uno splendido futuro davanti a sé. Sta preparando con soddisfazione una tesi che dovrà presentare ad un gruppo di studio: ma nel giorno della presentazione, un errore rimette in forse tutte le sue certezze e soprattutto quel futuro. Accanto a lei c’è il suo professore, che la considera come un punto fermo della sua vita, abbastanza scialba, ma che forse dalla sua studentessa avrà l’ennesima delusione. Durata 112 minuti. (Centrale anche V.O., Fratelli Marx sala Harpo)

La terra promessa – Drammatico. Regia di Nikolaj Arcel, con Mads Mikkelsen e Amanda Collin. 1775, Il capitano Ludvig von Kahlen, dopo aver combattuto per molti anni nellesercito, una volta in congedo dopo la fine della guerra, decide di realizzare un progetto che sembra una pura e semplice utopia. Lidea è quella di rendere coltivabile la brulla e arida brughiera che copre una vasta area del Paese. Gli viene concessa la possibilità solo perché non chiede finanziamenti immediati ma solo un titolo nobiliare e dei diritti di proprietà qualora limpresa avesse buon esito. Non sa che ad attenderlo c’è un nobile latifondista privo di qualsiasi senso morale che si ritiene, senza averne alcun diritto, proprietario del terreno. Durata 120 minuti. (Classico, Greewich Village sala 3)

The Holdovers – Commedia drammatica. Regia di Alexander Payne, con Paul Giamatti, Dominic Sessa e DaVine Joy Randolph. Natale 1970. Un solitario quanto bisbetico insegnante di una scuola del New England è costretto a rimanere nellistituto, durante le vacanze natalizie, con uno studente la cui madre ha deciso allultimo di partire per le vacanze con il suo nuovo marito e con la capocuoca che ha perso da poco tempo il figlio, caduto in Vietnam. I primi tempi di convivenza sono tuttaltro che facili; ma a poco a poco, affrontando sentimenti e dolori, ricordi del passato fino a quellistante messi da parte, i tre sapranno riconciliarsi con le proprie esistenze. Oscar migliore attrice non protagonista, meritatissimo, a DaVine Joy Randolph. Durata 90 minuti. (Greenwich Village sala 2)

Un altro ferragosto – Commedia. Regia di Paolo Virzì, con Silvio Orlando, Sabrina Ferilli, Christian De Sica, Laura Morante e Vinicio Marchioni. In una sera dagosto del 1996, nella casa di Ventotene dove il giornalista Sandro Molino trascorreva le vacanze, la sua compagna Cecilia gli rivelò di essere incinta. Oggi Altiero Molino è un ventiseienne imprenditore digitale e torna a Ventotene col marito fotomodello per radunare i vecchi amici intorno al padre malato, per regalargli unultima vacanza in quel luogo per lui così caro. Non si aspettava di trovare lisola in fermento per il matrimonio di Sabry Mazzalupi con il suo fidanzato Cesare: la ragazzina goffa figlia del bottegaio romano Ruggero, è diventata una celebrità del web e le sue nozze sono un evento mondano che attira i media e anche misteriosi emissari del nuovo potere politico. Due tribù di villeggianti, due Italie apparentemente inconciliabili, destinate ad incontrarsi di nuovo a Ferragosto, per una sfida stavolta definitiva. Durata 115 minuti. (Romano sala 3)

Un mondo a parte – Commedia. Regia di Riccardo Milani, con Antonnio Albanese e Virginia Raffaele. Per il maestro elementare Michele Cortese sembra aprirsi una nuova vita. Dopo 40 anni di insegnamento nella giungla romana, riesce a farsi assegnare all’Istituro Cesidio Gentile detto Jurico: una scuola composta da un’unica pluriclasse, con bambini dai 7 ai 10 anni, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo. Grazie all’aiuto della vicepreside Agnese e dei bambini, supera la sua inadeguatezza metropolitana e diventa uno di loro. Quando tutto sembraandare per il meglio però, arriva la notizia che la scuola, per mancanza di iscrizioni, a giugno chiuderà. Inizia così una corsa contro il tempo per evitarne la chiusura in qualsiasi modo. Durata 90 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Eliseo Grande, Fratelli Marx sala Groucho, Ideal, Lux sala 1, Reposi sala 2, Romano sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Zamora – Commedia. Regia di Neri Marcorè, con Alberto Paradossi, Marta Gastini, Giovanni Storti, Giacomo Poretti e Neri Marcorè. Il trentenne Walter Vismara ama condurre una vita ordinata e senza sorprese: ragioniere nell’animo prima ancora che di professione, lavora come contabile in una fabbrichetta di Vigevano. Da un giorno all’altro la fabbrica chiude e il Vismara si ritrova suo malgrado catapultato in un’azienda avveniristica della vitale e operosa Milano, al servizio di un imprenditore moderno e brillante, il cavalier Tosetto. Andrebbe tutto bene se non fosse che costui ha il pallino del folber (termine coniato da Gianni Brera) e obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali scapoli contro ammogliati. Walter, che il calcio non lo sopporta, si dichiara portiere solo perché è l’unico ruolo che conosce. È costretto a giocare per non perdere l’impiego e oltre alla valanga di gol che subisce deve sottostare agli sfottò dei colleghi. Durata 90 minuti. (Eliseo, Ideal, Reposi, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

La zona d’interesse – Drammatico. Regia di Jonathan Glazer, con Christian Friedel e Sandra Hüller. Una casa confortevole, un ampio giardino in cui invitare gli amici per un rinfresco, i bambini a cui accudire, i pettegolezzi con le amiche, le gite al lago: ma anche un alto muro grigio che divide quella confortevole casa e quella famiglia dal campo di concentramento di Auschwitz. Lui e lei sono Rudolf Höss e la moglie, lui integerrimo impiegato di stato, pronto a fare carriera, anche a lasciare il campo se qualcuno dallalto glielo richiede; lei che segue più dappresso la vita di casalinga, di padrona di casa, per nulla daccordo se dallalto arrivano ordini simili. Una lunga quotidianità che accompagna indifferente quella normalità del male che in modo tranquillo si viene a instaurare tra le stanze, tra le persone, tra quegli esseri che continuano a considerarsi umani. Le aiuole dei fiori, la piscina, lallegria e la spensieratezza in contrapposizione al limitare dello spazio, alle ciminiere che spuntano verso lalto, il puzzo che incredibile inonda ogni cosa, le ceneri che sono utili a concimare lorto di casa. Film crudo e crudele ma necessario, avverso a certi rigurgiti delloggi, un documento rappresentatodal regista, una ricchezza di fotografia, le grandi interpretazioni degli attori principali. Oscar come miglior film straniero. Durata 105 minuti. (Ambrosio sala 2 anche V.O., Fratelli Marx sala Chico)

Vercelli tra risaie, arte e gastronomia

Il prezioso e singolare passaggio per il Piemonte.

E’ tra le città che Dante ha citato più spesso nella Divina Commedia ricordandola per la ricchezza del suo armonioso e suggestivo paesaggio, il Monte Rosa che la domina dall’alto, il “mare a quadretti” di risaie che orna i dintorni come un florido e umido tessuto, le ricchezze artistiche e architettoniche di coinvolgente bellezza.

Stiamo parlando di Vercelli, la porta di accesso al Piemonte dallavicina Lombardia, probabilmente celtica di origine,  Wehr-Celt il suo antico nome, deliziosa città densa di bellezze , di misurata e gentile atmosfera.

L’ho visitata di domenica, una gita in giornata da Torino per celebrare la fine del lockdown  e immergermi nuovamente in questa regione meravigliosa che è il Piemonte. La sensazione è stata di sospensione onirica, di una realtà d’altri tempi, forse per i suoi borghi silenziosi, per la sobrietà e l’eleganza che la caratterizzano, per la dovizia di tracce e  sigilli storici.

Oltre che per la sua piacevole frugalità Vercelli è nota per importanti impulsi sociali ed economici. L’appellativo di “citta delle 8 ore” le è stato conferito per il limite ad otto ore lavorativeche si concesse alle mondine sancito successivamente a  livello nazionale, è la capitale europea del riso, con una propria Borsa del Riso e  la Stazione Sperimentale di Risicoltura e delle Coltivazioni irrigue; viene inoltre gloriosamente chiamata “la città dei 7 scudetti” grazie alle conquiste sportive del Pro Vercelli tra il 1908 e il 1922.

Arrivando si intuisce subito che ci si addentra in un territorio unico e prezioso ma forse poco conosciuto e sottovalutato livello turistico cosa che credo si debba prontamente rettificare, Vercelli e i suoi dintorni sono certamente da visitare.

Come ci ha suggerito la guida ci dirigiamo subito a Piazza Cavouressenza del centro storico dalla forma a trapezio, luogo di incontri e del mercato bisettimanale, dedicata allo statista che fu uno dei maggiori promotori della risicoltura con la realizzazione di opere dedicate come il Canale Cavour e l’istituzione dell’Associazione Ovest-Sesia. Diversi sono i locali dove mangiare e godersi lo scenario urbano costituito dagli edifici più antichi della città, i portici e la leggendaria Torre dell’Angelo. Non lontano , a Via Foà, troviamo la Sinagoga, opera dell’architetto Giuseppe Locarni, una bellissima espressione di arte moresca in pietra arenaria decorata da merlature, torri e cupole a cipolla e la Chiesa di San Cristoforo, denominata la Cappella Sistina di Vercelli, che lascia senza fiato con i suoi meravigliosi dipinti del ‘500 di Gaudenzio Ferrari. A pochi passi Piazza di Palazzo Vecchio, conosciuta anche come Piazza dei Pesci per il mercato ittico che vi si teneva, ma soprattutto il “broletto” della città dove, nelMedioevo, si radunava il popolo.

Nella direzione opposta si trovano il Duomo dedicato al Patrono della città, Sant’Eusebio, che domina la verde e omonima piazza;più volte distrutto e ricostruito la struttura attuale è stata edificata tra il 1500 e il 1800,  l’importante campanile risale invece al XII secolo.   All’interno troviamo

un imponente crocifisso in legno e oro realizzato nell’anno mille e la cappella con le spoglie del santo. Uscendo dalla Cattedrale vale la pena di dare uno sguardo esterno al Castello Visconteo che fu residenza sabauda, alloggio militare, e attualmente tribunale e carcere.

A pochissimi passi spicca la Basilica di Sant’Andrea, meraviglioso esempio di architettura gotica e romanica completata nel 1227. Simbolo della città, ci meraviglia con la sua bellezza e maestosità; percorriamo il suo perimetro esterno e poi entriamo a visitare la chiesa e il pacifico chiostro. Uscendo troviamo il Salone Dugentesco ex ospedale militare che ospitava pellegrini e viandanti che percorrevano la via Francigena, di cui Vercelli è la decima tappa fino a Robbio; sul lato esterno si può leggere la targa con un passo della Divina Commedia dedicato alla città.

A   Vërsèj, in dialetto piemontese, diversi sono i musei da visitare: sicuramente la Casa-Museo Borgogna, seconda pinacoteca della regione, che vanta numerose opere d’arte collezionate da AntonioBorgogna appunto, viaggiatore e amante dell’arte, Il piccolo Museo dell’Opera del Duomo, il Museo Leone risalente ai primi del 1900 presso la Casa Alciati e il barocco Palazzo Langosco, cheospita una collezione varia: armi preistoriche, corredi di tombe egizie, vasi etruschi, mosaici medievali, porcellane, quadri di epoca moderna e il MAC – Museo Archeologico Civico L. Bruzzadove sono raccolti reperti archeologici “moderni” che ripercorrono il periodo dalle origini della città fino al Medioevo.Davvero interessante è l’Arca, un polo espositivo contemporaneoin vetro e acciaio collocato nella navata centrale della chiesa di San Marco.

Svariate sono le  visite che si potrebbero fare, anche nei dintorni, sostando più giorni.

Consigliato a più voci è il giro delle risaie in bici, soprattutto quando sono allagate in aprile e maggio, (sicuramente evitando l’estate piena per non godere della compagnia di numerose e fastidiose zanzare),  il Sacro Monte di Varallo, Valduggia e la chiesa di San Giorgio.

Un altro validissimo motivo per visitare questo luogo delizioso è l’arte culinaria. Fare un salto alla pasticceria Follis per comprare i bicciolani, i biscotti speziati, è una tappa obbligata come fare colazione o merenda alla Pasticceria Tarnuzzer per gustare la torta tartufata. Il piatto tipico di Vercelli è la Panissa, ma anche il risotto alla Gattinara, il vino che profuma di viola, è notevole! E ancora le patate masarai, la toma valsesiana e i fagioli rossi di Saluggia. Da bere? Dei buonissimi Gattinara, Bramaterra, Coste della Sesia ed Erbaluce.

Quando deciderete di visitare questa bellissima città e i suoi dintorni verificate gli orari di apertura e chiusura delle chiese, dei musei e delle attrazioni in genere, soprattutto nel weekend alcune di queste chiudono alle 12.

Per informazioni www.atlvalsesiavercelli.it

 

MARIA LA BARBERA

‘Oltre lo sguardo’, Spazio 44. Espone Nibbi

 

Mostra curata da Edoardo di Mauro

 

Si aprirà il 5 aprile prossimo alle 18.30 presso la galleria d’arteSpazio 44 la mostra intitolata “Oltre lo sguardo “di Gianluca  Nibbi e curata da Edoardo di Mauro.

“La pittura e, più in generale, il ricorso a tecniche definite tradizionali sono state troppo affrettatamente definite inadeguate ai tempi e appaiono tuttora vittime di superficiali interpretazioni critiche, assillate da una rincorsa affannosa ai parametri di un gusto antico che più ci si sforza di definire, più sfugge in mille direzioni- afferma il curatore della mostra Edoardo di Mauro.

La tecnica pittorica mantiene una invidiabile vitalità che le consente di calcare egregiamente la scena, adeguandosi alle mutazioni di una società in rapida e frenetica evoluzione, in virtù del suo essere da sempre teknè intesa nella accezione etimologica di pratica manuale implicita al concetto originario di arte.

Le ultime generazioni di pittori, quelli apparsi sulla scena all’inizio degli anni Duemila, usano il tramite pittorico per stabilire con lo scenario contemporaneo un rapporto di evocazione, sublimando il reale per trarne gli umori riposti, sfidando la fotografia  e costringendola a adeguarsi rincorrendola sul suo terreno.

Gianluca Nibbi è  un artista che si è formato all’Accademia Albertina, culla di talenti pittorici.

Il suo stile denota una autentica passione, non mediata da concessioni al gusto del momento.

Per Nibbi la pittura è sinonimo di intensità emotiva e viscerale, manualità sofferta e al pari meditata, autentica e rinnovata teknè.

I suoi lavori, di dimensioni spesso imponenti, sono in grado di scuotere emotivamente il fruitore e si sposano perfettamente con il termine di “contemporaneità evocata “ usato dal critico Edoardo Di Mauro per delimitare la predominante espressiva della giovane arte che per Nibbi, già attivo da diversi anni, è  una valida definizione per evidenziare la costante attualità del progetto visivo. I temi da sempre prediletti sono concreti, ma anche drammatici, tratti dalla realtà.

La realtà di zone vaste e periferiche del mondo, con i volti innocenti di bimbi o più segnati di adulti, uomini e donne che, ad onta di una condizione esistenziale spesso ai limiti dell’umano, esprimono un autentico candore ed una insopprimibile gioia di vivere.

Con la pittura Nibbi riesce a infondere a queste immagini un tocco di magia e, per dirla con Baudelaire, di ‘surrealtà’, facendole levitare dalla materialità del reale, dagli archivi della documentazione al significato sempiterno superioredell’immagine simbolica.

In questa personale presso Spazio 44 l’artista presenta diversi lavori inediti, che rappresentano visioni di realtà lontano da noi, sebbene la velocità di movimento attuale conceda molto più di un tempo la possibilità di una visione diretta degli eventi narrati.

Gianluca Nibbi continua, però, a insistere coerentemente su una visione romantica aliena dalla ricerca fotografica di stampo sociologico che spesso  corre il rischio di scadere nel reportage esotico.

Nibbi, invece, si concentra sulla potenza espressiva dei volti, in grado di emanare un’aura atemporale ed ultraterrena, sulla dinamicità oscillante tra il dramma e l’ebbrezza della festa e dei riti dionisiaci. La scelta dei soggetti non è  casuale e l’artista compie su di essi un’attenta ed accorta riflessione, evidenziata anche dall’uso recente per diverse tele del colore ad olio al posto dell’acrilico, che richiede una pazienza maggiore nella composizione,  trascendendo in una perdita di tempo come “perdita del tempo”.

Come sottolineato dall’artista, che ha una piena consapevolezza teorica del suo progetto, quest’ultimo consiste in uno studio di volti, isolati nell’immediatezza dello sguardo frontale che scruta il fruitore, o rappresentati  nel dinamismo di gruppo, in un viaggio che parte dall’Africa per proseguire in India e concludersi a ridosso della secolare cultura tibetana.

L’attenzione di Nibbi si concentra prevalentemente verso la trasposizione dello spazio ideale della tela dei tratti somatici di giovani e adolescenti, ai quali alla purezza della gioventù  si somma l’appartenenza a mondi solo in parte contaminati da consumismo, dai bisogni effimeri e dalla comunicazione invasiva di un Occidente ormai completamente globalizzato.

Il titolo della mostra “Oltre lo Sguardo” sintetizza con rara efficacia la volontà di andare alla ricerca di una diversa visione valoriale dell’esistenza.

La mostra, che inaugura il 5 aprile alle 18.30, chiuderà i battenti il 24aprile.

Orari dal lunedì al venerdì 14/19. Sabato e domenica su appuntamento.

 

Mara Martellotta

Piemonte: in 38 musei 40 mila visitatori in più

I musei monitorati dall’Osservatorio Culturale hanno registrato 146 mila ingressi contro i 108 mila del 2023

 

 

Il Piemonte si conferma una meta preziosa per il turismo museale, come dimostrano i dati rilasciati dall’Osservatorio Culturale del Piemonte riguardanti il periodo pasquale del 2024. Su 38 musei e beni culturali presi in esame da OCP è stata registrata complessivamente un’affluenza straordinaria, in aumento del 34% rispetto all’anno precedente. I visitatori che hanno affollato le istituzioni culturali hanno raggiunto un totale di 146 mila ingressi tra il Venerdì Santo e il Lunedì di Pasquetta, rispetto ai 108 mila dell’anno precedente.

 

«Le sfide poste dal maltempo hanno inciso sui flussi – ha sottolineato l’assessore alla Cultura, Vittoria Poggioma il Piemonte ha dimostrato di essere una destinazione culturale in continua crescita, attrattiva per i visitatori nazionali e internazionali con un incremento che fa ben sperare per il futuro. L’impegno nel valorizzare il nostro patrimonio culturale si conferma una priorità, contribuendo non solo alla promozione della cultura e dell’arte, ma anche all’economia regionale».

 

Nonostante le avverse condizioni meteorologiche, molti musei hanno accolto più visitatori rispetto al 2023 come nel caso del Castello di Racconigi che con i suoi 1.500 visitatori ha registrato una crescita, grazie alla riapertura del Parco, precedentemente chiuso dal 2023. O come il museo di Scienze Naturali che ha accolto 4 mila persone.

 

A Torino, il tempo sfavorevole ha incentivato le visite nei musei, che hanno offerto una vasta gamma di mostre di grande richiamo. La Galleria d’Arte Moderna (GAM) ha accolto 7.037 visitatori con un aumento delle visite favorite dalla presenza della mostra Hayez. L’officina del pittore romantico (+380%), mentre Palazzo Madama ha raddoppiato i visitatori (6.440) registrando un incremento del 112% grazie anche alla mostra Liberty. Torino Capitale. Bene anche i Musei Reali di Torino che con 21.850 biglietti ha fatto registrare un aumento del 66% delle visite anche grazie a due mostre appena inaugurate, L’autoritratto di Leonardo. Storia e contemporaneità di un capolavoro, presente dal 28 marzo e Guercino. Il mestiere del pittore, dal 23 marzo.

Anche il Museo del Cinema ha registrato un incremento del 19% grazie alla presenza dell’esposizione dedicata a Il Mondo di Tim Burton che si concluderà il 7 aprile. Da sottolineare anche il successo di «Camera», che ha raddoppiato gli ingressi arrivati a 2.414 grazie a tre mostre fotografiche esposte durante il periodo pasquale del 2024.

 

Un altro punto brillante è rappresentato dal Museo della Radio e Tv, che nel mese di marzo 2024 ha segnato il suo record storico di pubblico da quando è stato aperto: con un totale di 28.880 visitatori, si è registrato un aumento del 132% rispetto a marzo 2023 e del 15% rispetto al precedente record di dicembre 2023 (25.122 visitatori).

 

L’eclettismo culturale di Mario Soldati

Il 19 giugno del 1999 Mario Soldati moriva a Tellaro, piccolo borgo marinaro ligure. Nato a Torino nel novembre del 1906, Soldati è stato uno dei più grandi intellettuali del Novecento italiano.

Scrittore, giornalista, regista e sceneggiatore cinematografico e televisivo, ha contribuito moltissimo alla cultura e al costume italiano. Intellettuale finissimo, regista di autentici capolavori come “Piccolo mondo antico” e “Malombra”, autore di romanzi come “America primo amore”, “Le lettere da Capri” (premio Strega nel 1954), “I racconti del maresciallo”, di reportage famosi come “Viaggio lungo la valle del Po alla ricerca dei cibi genuini”, Soldati ha lasciato un segno indelebile con la sua poliedrica attività artistica. Lo storico e saggista Pier Franco Quaglieni, l’ha ricordato con il libro “Mario Soldati. La gioia di vivere”, pubblicato nel ventennale della morte dello scrittore e regista torinese. Un testo di grande interesse aperto da un ampio saggio del direttore del Centro Pannunzio, amico personale di Soldati che fu uno dei fondatori del sodalizio culturale subalpino, presiedendolo per due decenni. Un altro grande amico di Soldati, il novarese Enrico Emanuelli, grande firma de La Stampa e del Corriere della Sera, ne tratteggiò così il profilo: “Soldati è scorbutico. Dicono che spesso lo sia per posa. E’ anche legato ad umori repentini, una cosa gli va o non gli va, un po’ a capriccio. Ma dietro a questi suoi estri, vi è una natura d’uomo indipendente, acuto, pieno di difetti appunto perché ha virtù non comuni”. Il brevissimo racconto che segue ( La camelia di Mario Soldati) è un piccolo omaggio alla sua memoria.

“Mario l’aveva portata da Tellaro a Corconio, dalla frazione più orientale del comune di Lerici, nello spezzino, dove aveva scelto di vivere i suoi ultimi anni, al luogo che, forse, più di altri, aveva lasciato un segno, una traccia indelebile nel suo animo, sulla collina che guarda il lago d’Orta. La “General Coletti” era una camelia bella,forte e rigogliosa, con i suoi grandi fiori doppi, a peonia, rosso ciliegia intenso chiazzato a macchie di un bianco candido, puro. L’aveva curata con le proprie mani, pazientemente, con l’attenzione necessaria che si presta ad una creatura apparentemente fragile e delicata. Così l’aveva portata con sè, sul lago d’Orta. Tornare in quel luogo dove aveva vissuto, con il suo più caro amico, “l’altro Mario”, un lungo momento magico, tra l’autunno del 1934 e la primavera del 1936 quando il destino li appaiò, assecondandoli nella scelta di un volontario esilio sul lago d’Orta, si era rivelata una buona idea. Anche portare in dono la camelia agli eredi delle due sorelle Rigotti, l’Angioletta e la Nitti, che all’epoca gestivano l’alberghetto dove dimorarono, era stata un’ottima e gradita intuizione. La locanda non c’era più e il suo posto era stato preso da un’abitazione privata che, però, aveva mantenuto intatta la fisionomia dello stabile. Lì, entrambi, quasi adottati da quella famiglia, misero radici e vissero intere stagioni alloggiando in “una stanza d’angolo, la più bella e più soleggiata dell’albergo, con una finestra a nord e una a ovest”. I ricordi erano come un fiume in piena. Le lunghe chiacchierate davanti al fuoco del camino, mangiando castagne arrosto o bollite, bevendo il vino nuovo nelle ciotole, si accompagnavano alle pagine che vennero scritte, ai libri che presero forma, agli articoli e ai saggi critici che consentirono a entrambi di racimolare il necessario per poter vivere “da scrittori”. L’ambiente circostante si era offerto con generosità ai “due Mario”, Soldati e Bonfantini, ricompensando i loro sguardi con l’intensa bellezza del paesaggio da una sponda del lago all’altra; da Gozzano a Orta, fino ad Omegna e da lì verso Oira, Ronco, Pella e Lagna. Dal balconcino della casa di Corconio, il panorama era rimasto intatto. Mario guardava, ammirato, la camelia dai fiori color panna e fragola. Poi, chiusi gli occhi, annusando l’aria, immaginava i colori del lago. Mario dubitava di potervi tornare. L’età non consentiva grandi progetti e nemmeno di coltivare illusioni. Lo consolava il pensiero che la più bella delle sue camelie potesse rimaner lì, a dimora. Un gesto d’amore di un uomo che in quei luoghi aveva lasciato una parte del suo cuore”.

Marco Travaglini

R-Esistere Festival: la Settimana della Resistenza con cultura e impegno

Druento si prepara ad accogliere la seconda edizione del R-Esistere Festival, un evento organizzato dalla Consulta Giovanile, dall’ANPI Sezione di Druento e dall’ARCI Valle Susa – Pinerolo, in collaborazione con la Proloco Druento, con il contributo del Consiglio Regionale Piemonte e delComune di Druento, in occasione della Settimana della Resistenza, che si terrà dal 19 aprile al 25 aprile 2024.

Il Festival avrà luogo in varie location del paese, offrendo una vasta gamma di attività culturali e di intrattenimento per celebrare i valori della Resistenza, della libertà e della memoria storica.

Il 19 aprile, una data da segnare nei calendari, sarà il momento clou di questa manifestazione. Dopo una mattinata dedicata alla riflessione e all’educazione dei più giovani attraverso la lettura animata intitolata “Di che colore è la libertà?” presso la Biblioteca Civica “Ipazia”, la serata si colorerà di musica e di passione con il concerto dei Modena City Ramblers. La loro performance, parte integrante dell’Altomare Tour, non sarà semplicemente un concerto, ma un viaggio emozionante attraverso undici canti carichi di vita, speranza e coraggio. Sarà un’esperienza che risveglierà le coscienze e infiammerà gli animi.

Le attività del Festival proseguiranno il 20 aprile con l’inaugurazione della mostra “Le biciclette della Resistenzaa cura dell’ANPI sezione di Druento, presso il Centro Culturale San Sebastiano, seguita da una lettura animata per i più piccoli alla Biblioteca Civica “Ipazia”.

Il 22 aprile, gli spettatori potranno godersi uno spettacolo teatrale all’aperto dal titolo “I diritti e la libertà“, messo in scena dagli studenti della scuola secondaria di primo grado “Don Milani” presso Piazza XXII Martiri.

Il 23 aprile, la compagnia teatrale I Restroscena presenterà lo spettacolo “I ribelli della montagna“, diretto da Marco Alotto, presso il salone parrocchiale Don Cocchi, mentre il 24 aprile al Centro Culturale San Sebastiano la Consulta Giovanile incontrerà i giovani del Comitato Resistenza Colle del Lys.

Il Festival si concluderà il 25 aprile, con il corteo istituzionale e la deposizione delle corone, seguiti da un concerto del Corpo Musicale Santa Cecilia in Piazza XXII Martiri e da un momento di riflessione da parte di Nino Boeti, Presidente provinciale ANPI di Torino.

Il R-Esistere Festival si propone di mantenere viva la memoria della Resistenza e di trasmettere alle future generazioni i valori di libertà, democrazia e solidarietà che essa rappresenta. Invitiamo tutti i cittadini di Druento  partecipare numerosi a questa importante celebrazione della nostra storia.

«R.Esistere Festival rappresenta un pilastro fondamentale nel calendario culturale del Comune di Druento. Siamo grati per la partecipazione attiva dei giovani della Consulta e dell’ANPI di Druento, che insieme ci permettono di onorare il nostro passato e di costruire un futuro basato sui principi di pace e libertà. Quest’anno, grazie al contributo del Consiglio Regionale, siamo entusiasti di poter arricchire l’evento con il concerto dei Modena City Ramblers, un gruppo musicale che promuove i valori dell’accoglienza e dell’antifascismo attraverso la propria arte. Non vediamo l’ora di condividere questo momento significativo con la nostra comunità e oltre. » – dichiara il Sindaco di Druento, Carlo Vietti.

«L’Amministrazione Comunale, la Consulta Giovanile, l’ANPI di Druento, l’Istituto Comprensivo ed i cittadini uniti per confermare come sia importante difendere le libertà ed i valori della democrazia, che, sebbene possano sembrare scontati oggi, sono stati ottenuti attraverso sacrifici enormi. Questi sacrifici richiedono un impegno continuo per garantirne il rispetto.» – prosegue il Vice Sindaco e Assessore alla cultura, Marinella Orsino.

«In questi anni le giovani e i giovani druentini sono stati veri protagonisti della vita del nostro paese e hanno promosso molte iniziative. Siamo fieri di come la loro partecipazione sia cresciuta in questa consiliatura e speriamo che il loro impegno continui a favore della nostra comunità. Al presidente Stefano Lisa e a tutto il direttivo vanno i miei personali ringraziamenti per questo grande lavoro.» – ha sottolineato l’Assessore alle politiche giovanili, Alessandra De Grandis.

Il concerto dei Modena City Ramblers è organizzato in collaborazione con il Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte. Commenta il Vicepresidente del Consiglio Regionale e Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte: «Ogni anno cerchiamo di celebrare la Festa della Liberazione non solo con le tradizionali commemorazioni istituzionali e i momenti di approfondimento storico, ma promuovendo eventi che auspichiamo servano a coinvolgere le giovani generazioni e ricordare loro che 80 anni fa, ragazzi e ragazze della loro età diedero la vita per consentire a noi, oggi, di vivere in un Paese democratico. Perché il 25 aprile è un momento di gioia e, al tempo stesso, occasione di riflessione sul nostro passato per non perdere la Memoria di ciò che è stato e farne linfa del nostro impegno per un futuro libero, giusto e pacifico. Siamo quindi orgogliosi di sostenere il concerto dei Modena City Ramblers, che nella loro decennale carriera spesso si sono ispirati alle tematiche e ai valori della Resistenza. Con il loro combat folk renderemo omaggio al “sangue resistente” versato anche a Druento».

Il dramma di Tennessee Williams rivive tra i dettagli della compagnia Eleftherìa

Sabato 6 aprile al Teatro Cardinal Massaia e sabato 11 maggio al Teatro della Provvidenza va in scena Lo Zoo di Vetro con la regia di Claudio Destino e Federica Tucci.

 

Torino è una città che ha imparato a mostrare i suoi punti di forza, ad attirare turisti e a incantare i visitatori di passaggio. Ma è negli angoli nascosti che cela tesori inaspettati. Sono le sale oltre l’entrata dei caffè storici, i cortili con statue e fregi dei palazzi, le fabbriche dismesse trasformate in luoghi di cultura e svago. Non fanno eccezione i teatri come il Cardinal Massaia di Via Sospello 32/c che, come uno scrigno, sabato 6 aprile si aprirà per mostrare una piccola manciata di pietre preziose.

 

La compagnia Eleftherìa debutta nel 2016 per esigenza creativa e artistica di Claudio Destino e Federica Tucci, attori e registi che si sono formati al Centro di formazione attori Gruppo Teatro 1 guidato da Maurizio Messana. Portano così in scena Ionesco, Pirandello, Dario Fo e ora Tennessee Williams, che avevano già affrontato con 27 Vagoni di Cotone e che con il suo Zoo di Cristallo ci riporta nelle angosce più che mai attuali dell’America degli anni 1940.

Ho incontrato, o per meglio dire mi sono imbucata ad una delle prove della compagnia, nel sabato piovoso che ha preceduto la Pasqua, in una Torino grigia che ha deciso di fare da scenografia naturale alle vicende della famiglia Wingfield. Claudio e Federica dirigono e interpretano i figli Tom e Laura, Angela di Tria è l’ingombrante madre Amanda e Claudio Errico il controverso Jim.

 

Con Zoo di Vetro ritroviamo una società malinconica, una famiglia in piena decadenza. D’altronde Williams scrive a ridosso di quella crisi del 1929 da cui l’America non si è ancora ripresa e che vive in bilico tra sogno americano e disillusione. La sola speranza è partire per la guerra, per l’avventura.

 

Al dramma di un’intera società si affianca quello di una famiglia abbandonata dal padre dove una madre deve fare i conti con una figlia zoppa che non riesce a trovare marito. I personaggi vivono nel loro immaginario, tanto che lo stesso Williams lo definisce un dramma di memoria. Madre, sorella e fratello vivono immaginando qualcosa che non hanno o che hanno perso: la madre una gioventù ormai sfiorita. Tutto è immobile, cristallizzato in un tempo che non c’è più. I personaggi sono come gli animaletti di vetro della figlia: uno zoo, per l’appunto, di cristallo.

 

Ho chiesto a Claudio e Federica se non sia un ostacolo essere coppia sul lavoro e nella vita. Rispondono completandosi a vicenda: “No, perché portiamo in scena un’idea comune, una visione dove inserire tematiche a noi care. Le idee degli autori sono più che mai condivise oltre che attuali.” In effetti Williams avrebbe potuto scrivere questo testo nel 2024, cambiando un dettaglio o due.

 

La stessa complicità dei due registi si ritrova nell’intero gruppo di lavoro. Gli attori sembrano muoversi con delicatezza sulla scena. L’atmosfera è sospesa, complice un tappeto sonoro italiano anni 1960, studiato dal regista e coadiuvato da Marcello Coco, che ci permette di identificarci e che trasporta i personaggi, ormai archetipi, nel nostro tempo. Impossibile non riconoscere in un’Amanda talvolta isterica, quell’amore tossico che porti in terapia in età adulta, o non arrabbiarsi di fronte all’ambiguità di Jim che oggi forse ti bloccherebbe vigliaccamente sui social senza darti spiegazioni.

 

La compagnia Eleftherìa si muove perfettamente tra l’aderenza al testo e la libertà di proporlo a noi con atmosfere che, a ridosso di una pandemia, sentiamo purtroppo familiari. Noi come loro in quello stesso zoo di cristallo. Il pericolo è di riuscire a sentire quelle stesse angosce e soffrire con i personaggi. Esattamente come succede quando una buona compagnia mette in scena il teatro dell’assurdo. Il rischio di non poter sopportare quelle atmosfere porta lo spettatore a saltare sulla sedia, a sentirne tutta la scomodità e ad abbandonare il teatro prima della fine. E, purtroppo o per fortuna, gli Eleftherìa sono bravi, inopportunamente bravi.

 

A questo punto il lettore si starà chiedendo perché andare a vederli. Per due motivi. Intanto per apprezzare la cura maniacale dei dettagli che vanno dalla scelta degli oggetti di scena, ai brani anni 1960 (no, non posso e non devo svelarvi tutto).

 

E poi perché l’arte non è solo denuncia, memoria o svago. L’arte ci permette di assimilare, analizzare e rielaborare. Come in una seduta psicoanalitica, l’arte ci dona quella leggerezza che solo la consapevolezza può regalarci. O forse dovrei dire libertà, che è anche la traduzione dal greco di Eleftherìa. Affrontate questo spettacolo con la tenacia di chi sa che, per alleggerirsi, deve attraversare il fuoco, non girarci attorno.

 

 

 

Per maggiori informazioni e per acquistare i biglietti

 

https://teatrocardinalmassaia.com/lo-zoo-di-vetro/

 

6 Aprile ore 21 – Teatro Cardinal Massaia, Via Sospello 32/c Torino (prenotazione in teatro o online)

 

11 Maggio ore 21 – SpazioPRO – Teatro Provvidenza, Via Asinari di Bernezzo 34/a Torino (prenotazione al numero 3407896306 o per e-mail eleftheria.teatro@gmail.com)

 

Lori Barozzino

 

Le case floreali di Gribodo: l’edilizia gentile a Torino

Torino è la città del Liberty, si sa. Passeggiando per le belle ed eleganti vie della citta’, soprattutto nei quartieri di Cit Turin e di San Donato, e’ facile innamorarsi dei palazzi che rappresentano questo stile raffinato che, tra fine ‘800 e i primi del 1900, diede un tocco di gusto ai progetti urbani. Conosciamo bene i capolavori di Pietro Fenoglio come Villa Scott, Casa Lafleur, il Villaggio Leuman, ma anche le case popolari di Via Marco Polo e di Via Ravello. La citta’ della prima Esposizione di Arte Decorativa Moderna del 1902 ci regala scenari affascinanti e particolari unici e di pregio presenti non solo negli edifici residenziali ed industriali, ma anche nelle insegne, nelle vetrine dei negozi e dei caffe’.

Tra coloro che contribuirono alla realizzazione di queste palazzine e villini romantici e floreali, ornati da graziose minuzie, troviamo Giovanni Gribodo che visse a cavallo del 1800 e 1900. Ingegnere e architetto, laureato presso la Scuola di Applicazione di Torino, particolare che lo accomunava a Fenoglio, era anche un entomologo; un uomo dalle diverse passioni e interessi, dunque, dallo studio degli insetti, a cui si dedico’ di piu’ a fine vita, alla progettazione di residenze dal volto gentile.

I giri turistici della citta’ pianificano sempre piu’ percorsi dove queste belle opere edilizie del Liberty sono le protagoniste, ma passeggiare fuori dal centro ed ammirare questi veri e propri capolavori attira anche i cittadini che non si stancano di visitare le meraviglie affascinanti della loro Torino.

Tra gli edifici piu’ importanti realizzati da Giovanni Gribodo ne troviamo cinque solo a via Piffetti:

Cominciamo con il civico 3, la Palazzina Mazzetta con i suoi balconi in ferro dai disegni intrecciati su un fondo grigio che le da’ un tono austero; al numero 5, invece, c’e’ Casa Masino, un edificio in mattoni rossi caratterizzato dal balcone centrale che ospita due volti femminili in pietra. Le finestre sono decorate da fregi floreali come il bel portone d’ entrata. Al 7 scopriamo, con il suo stile un po’ fiabesco, una palazzina a due piani chiamata Pola-Majola come il suo committente, edificata nel 1907 che non ebbe speciali decorazioni come le altre, ma possiede un fascino particolare che ci riporta allo stile gotico. Le Palazzine, che si trovano al civico 10 e 12, sono probabilmente le piu’ famose opere di Gribodo, due villini magnifici decorati con un centrino di motivi naturalistici in pietra bianca, inferriate in ferro battuto, balconi e vetrate con particolari preziosi.

In via Belfiore 66, in zona San Salvario, si trova un altro edificio realizzato dall’ architetto Gribodo che fu un po’ dimenticato rispetto agli altri suoi colleghi che divennero piu’ noti. Si tratta di Casa Audiberti Mottura, una bella palazzina con balconi decorati e una scala interna con particolari vivaci e colorati. Nella zona della Crimea, sull’altra sponda del Po, lo stesso architetto ha studiato e costruito il Villino Giuliano, in via Luigi Gatti 17. Composto da tre piani, questa casa dai colori caldi, e’ caratterizzata da molti dettagli tipici all’Art Nouveau: immagini di fiori, pietra scolpita e disegni geometrici morbidi classici del periodo. Nel quartiere Cenisia, in via Perosa 56, c’e’ un piccolo edificio che rappresenta un esempio in miniatura del periodo Liberty: una piccola palazzina, con un portone davvero insolito, incastonata tra edifici piu’ moderni e dai toni delicati, chiamata Casa Bosco Tachis. Tornando al quartiere di San Donato non si puo’ rimanere indifferenti davanti ad edificio piu’ corposo e perfino possente dal nome Casa Cooperativa, un palazzo in mattoni rossi ornato con rose, foglie e con dei balconi caratterizzati da disegni che si ispirano ad un floreale piu’ moderno e tondeggiante. All’interno troviamo un meraviglioso scalone bianco e nero dalla forma ovoidale davvero suggestivo

A un’ora circa da Torino e precisamente a Coazze e’ si trova un’altra opera di questo fantasioso architetto: Villa Martini, divenuta poi Antonietta, dove il Liberty viene esaltato sia all’esterno, ma anche all’interno con i suoi mobili in stile. Questa casa, edificata al centro un bellissimo giardino, ebbe ospiti illustri come `Luigi Pirandello, il Conte Cavour e Vittorio Emanuele II.

MARIA LA BARBERA

Il Pci, una storia italiana

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Nel gennaio del 1921, centotre anni fa, veniva fondato a Livorno il Partito Comunista Italiano. Una storia politica che terminò trentatré anni fa, il 3 febbraio 1991 quando, durante il suo XX° Congresso, la maggioranza dei delegati approvò la svolta della Bolognina voluta da Achille Occhetto e diede vita al Partito Democratico della Sinistra mentre la minoranza dissenziente scelse di costituire il partito della Rifondazione Comunista. Da tempo, ben oltre il centenario celebrato nel 2021, si sono svolte e si svolgono moltissime iniziative legate all’evento con convegni, celebrazioni, giornate di studio mentre moltissimi libri sono stati pubblicati e altri certamente arriveranno nelle librerie. L’originale vicenda dei comunisti italiani verrà analizzata, studiata e riproposta sotto varie angolature perché, in fondo, si tratta di una storia collettiva che per sette decenni nell’arco del ‘900 ha coinciso e si è sovrapposta a quella della nazione.

La lotta antifascista, la Resistenza, la Costituzione repubblicana, la costruzione della democrazia, le tante battaglie sociali e civili, una fitta rete di “buon governo cittadino” in tantissime amministrazioni comunali e regionali restano  a testimonianza di quanto i comunisti siano stati “dentro” la storia di questo Paese e l’abbiano influenzata. Tra i tanti libri e le varie testimonianze una è particolarmente originale e s’intitola Voi personaggi austeri, militanti severi.., parafrasando il testo dell’Avvelenata, una delle più note canzoni di Francesco Guccini. L’autore del libro, edito qualche tempo fa dalla torinese Impremix Visual Grafika, è Marco Travaglini, un ex dirigente della sinistra piemontese. Nei ventisei racconti che riempiono le 128 pagine del libro ( l’ex ministro Livia Turco ne ha curato la prefazione) lo scrittore-giornalista – torinese d’adozione, nato a Baveno sulle rive del lago Maggiore –  racconta le “storie di compagni che sapevano ridere anche di se stessi”. Dare conto di questa straordinaria e articolata vicenda umana, fatta di gesti generosi e impegno civile, così come di ipocrisie e di errori storici, momenti drammatici e un enorme sforzo pedagogico di massa non era un compito facile, soprattutto facendo la scelta di raccontare episodi  che si propongono di strappare un sorriso. Storie, tra l’altro, che hanno come sfondo fatti reali.

In alcuni casi vissuti in prima persona dall’autore che è stato l’ultimo segretario provinciale del PCI della Federazione di Verbania (realtà della quale è stato praticamente coetaneo avendo entrambi visto la luce nell’autunno del 1957, quando si separò dalla realtà novarese) e, come tale, ha potuto viverne da protagonista una fase importante della storia e le successive evoluzioni. Quasi tutti i racconti si svolgono in Piemonte, tra l’Ossola, le terre delle risaie e il biellese, le terre dei laghi Maggiore e d’Orta, con qualche puntata nella lomellina pavese e sulla sponda magra del Verbano, in Lombardia. Dalle lotte operaie dell’acciaieria Cobianchi alle cene elettorali a base di polenta e coniglio in Valle Strona, dalle avventure di un comunista omegnese tra le risaie vercellesi a caccia dei voti dei monarchici al tempo della “legge truffa”  alla strana bandiera che sventolò sulle Settimane musicali di Stresa, queste storie – ricche di situazioni grottesche generate perlopiù da malintesi- strappano sorrisi nel dar conto di una importante e per certi versi non comune vicenda umana. “Nei racconti cito vicende più o meno note, utilizzando solo una parte di una vasta casistica immagazzinata dalla memoria”, afferma l’autore. “Naturalmente, come insegnava Piero Chiara,  quel che mancava a raggiungere l’effetto narrativo l’ho aggiunto. Del resto, nessuna realtà è buona per sé”. Apparentemente fatti “tutti d’un pezzo”, i protagonisti di questi racconti  dimostrano – il più delle volte loro malgrado, inconsapevolmente – di non esser privi d’ironia. Sorridono, ammiccando a malintesi e disavventure di questo o quell’altro loro “compagno”.

Sono vicende, in gran parte tramandatesi oralmente e arricchitesi con il trascorrere del tempo fino a diventare sempre più grottesche e ironiche, modificandosi e ingigantendosi un poco come i pesci nei racconti dei  pescatori. Storie romanzate  ma sempre con un fondo di verità (con le opportune modifiche a nomi e cognomi) a riprova dell’umanità di quelle donne e quegli  uomini che all’ombra della stessa bandiera hanno contribuito a fare la storia di un partito che è stato tanta parte della realtà politica e della società italiana. Livia Turco, già ministro e autorevole esponente di quello che un tempo fu il Pci di Berlinguer, oggi Presidente della fondazione Nilde Iotti, nella sua prefazione ha scritto: “il bel  libro di Marco Travaglini ci consente di fare un tuffo in una storia bellissima, di incontrare la comunità dei comunisti italiani. Per raccontarla sceglie il modo più autentico ed efficace. Racconta le persone in carne ed ossa, i loro contesti di vita, la loro quotidiana normalità. Questa umanità generosa avrebbe dovuto molto di più entrare nella narrazione e nella rappresentazione dell’Italia. Sono convinta che l’idea e la pratica della politica raccontata in queste pagine sia non solo moderna, ma necessaria. In questa nostra società,  in questo nostro tempo, ciò che alimenta le  passioni  tristi è la solitudine, la fragilità delle relazioni umane.

C’è bisogno di comunità e di compagnia”. Tutti i principali protagonisti di quelle vicende, ambientate negli anni dal primo dopoguerra agli anni ’80, hanno fatto parte di quel PCI voluto da Togliatti nel 1944 come un “partito nuovo” con l’obiettivo di trasformare l’ossatura clandestina e resistenziale dell’organizzazione comunista in  un partito di governo, progressista e democratico. Una lunga storia testimoniata da documenti, congressi, atti parlamentari, campagne elettorali, libri – a partire dagli straordinari Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci –  fino a quaderni della propaganda con i quali il partito organizzava la sua presenza nei territori e tra la gente. Travaglini sorride e ricorda la “Guida al segretario di cellula”, uno dei manuali per la propaganda capillare che riportavano, in copertina, le citazioni di Togliatti per definire la linea. Ne legge un brano: “..il Partito si sviluppa e si rafforza quando sa lavorare non soltanto per chiusi interessi di organizzazione e di gruppo, ma per gli interessi di tutto il popolo e di tutta la nazione”. I suoi anni sono stati però gli anni di Berlinguer, del colpo di stato in Cile e del  compromesso storico, del rinnovamento culturale e politico del Pci a partire dalla “questione morale” (l’eccesso di occupazione dello spazio pubblico da parte dei partiti), della capacità de gli ultimi tempi della segreteria berlingueriana di immaginare una strategia fondata su una nuova lettura della società italiana.

Si coglie, tra le righe dei racconti, una lieve nota malinconica e qualche rimpianto non solo per gli anni più belli della gioventù. “ E’ vero. Per certi versi mi manca quel partito”, dice il giornalista e scrittore, ormai lontano dalla politica attiva. “Non era per nulla esente da difetti, anche seri; era certamente imperfetto ma al tempo stesso autentico, popolare, molto più vicino alle necessità delle persone di quanto non sia la politica oggi. Continuerà a mancarmi e  sono certo che questo sentimento è comune a molti pur avendo coscienza che ciò che è stato fa parte della storia e va considerato con rispetto, senza indulgere in nostalgie”.

B.C.

Addio a Mario Mazza, devoto cantore del Monferrato

Con la scomparsa di Mario Mazza Casale ha perso un devoto cantore del Monferrato, tema costante della sua pittura da quando, nel 1960, si trasferì dalla Calabria nella nostra città.

Con ancora negli occhi e nel cuore il mitico mare di Crotone, gli aspri boschi, i suggestivi ulivi antropomorfi, il sentore delle mimose di Montagna Piana, trovò rimedio alla nostalgia della sua terra immergendosi nella bellezza del nostro paesaggio collinare.

Qui ritrovò la gioia di vivere e di dipingere cangianti vigneti autunnali, calde distese di girasole, fantastici tramonti sul Po e vecchi filari di gelsi, che ancora si trovano nella nostra campagna, sulle rive di rogge in cui si riflettono gialle giunchiglie tra il riverbero del sole.

Ogni angolo del Monferrato è stato osservato e dipinto con l’entusiasmo della scoperta trasformatosi presto in un amore viscerale e in riconoscenza per la terra che gli ha dato la possibilità di passare, da semplice decoratore, a vero e proprio pittore.

Uomo semplice e modesto, ma non modesta la sua arte, allievo del chiarista Giuseppe Campese e dell’espressionista Alberto Bertazzi, Mazza apprese da loro  i segreti del mestiere per poi procedere verso un suo singolare Realismo fatto di immagini non convenzionali e transitorie bensì universalizzate come archetipi, forme di vita sedimentate e durature nel tempo.

Il suo lungo percorso artistico si avvale di innumerevoli collettive e personali in diverse città italiane, in particolare a Casale, basta ricordare la mostra al Castello Paleologo e l’ultima, come premio alla carriera del 2023 nello splendido edificio settecentesco del Ricovero cittadino.

Molti i riconoscimenti, dal conferimento del “Campidoglio d’Oro” a Roma nell’Accademia Burckhardt all’acquisto del suo bellissimo quadro “Vento tra gli ulivi” nel Museo d’arte contemporanea di Crotone.

Giuliana Romano Bussola

(Da “Il Monferrato”)

FOTO. Paesaggio monferrino