Da mercoledì 28 giugno e fino a sabato 1 luglio 2017 ritorna al Teatro Espace di via Mantova 38 a Torino il Moving Bodies Festival Butoh e Performance Art. Connecting Sea – Onde è il tema di questa quarta edizione curata da Ambra G. Bergamasco e Edegar Starke. Il Moving Bodies fa tappa a Torino dopo l’edizione di Dublino che si è tenuta con grande successo nel Centro Nazionale della Danza di Dublino – Dance Ireland, dal 20 al 22 aprile 2017. Il Festival è realizzato con il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano ed in collaborazione con Dance Ireland, il Teatro Espace, la C.S.D Compagnia Sperimentale Drammatica. Dal 2016 è anche partner di Nesxt Festival, arte contemporanea e performance art curato dalla critica Olga Gambari.

Il Moving Bodies Festival si presenta, anche per questa edizione, come una piattaforma che mette in relazione la danza Butoh con altre forme performative affini nel sentire artistico quali la Performance Art.
All’edizione 2017 di Torino parteciperanno per la danza Butoh artisti di fama internazionale quali il maestro Masaki Iwana che chiuderà il Festival sabato 1 luglio con una sua performance, oltre naturalmente agli stessi curatori Edegar Starke ed Ambra G. Bergamasco (il 28 e il 30 giugno) , Enrico Pastore (30 giugno) e Chiara Burgio con Francesca Kezich e Margherita Tosi (29 giugno). Per la Performance Art in programma i nomi di Francesca Arri, (il 30 giugno con i partecipanti al workshop performance corale) Eleanor Lawler, Sinead Keogh

“Connecting Sea – Onde”, tema di questa quarta edizione, è una riflessione sulla contemporaneità, dedicata alle complesse vicende legate al mare e ai territori che mette in relazione. Oggi, nel nostro quotidiano, il mare è portatore di storie e di nuove vite. Come onde, alcune si frastagliano violentemente davanti ai nostri occhi, altre invece diventano connettori creando e generando relazioni tra paesaggi e persone, creando così l’opportunità di scoprire nuovi mondi e nuove relazioni.



immagini e dà il meglio si sé in progetti di successo, come la serie televisiva “Benvenuti a tavola” e il film natalizio “Una famiglia perfetta”. E’ sul trampolino di lancio, diventa inarrestabile, vince borse di studio e plana a Boston dove lavora con mostri sacri come Celine Dion e Harvey Mason.
premio speciale della giuria al Sundance Film Festival, il premio della critica al Sundance London e sta raccogliendo successi nel circuito dei festival internazionali. Sono curioso di vedere come lo accoglierà il grande pubblico quando a fine estate uscirà su Netflix. Poi ho un gran bel ricordo di “Una famiglia perfetta”, primo film a cui ho collaborato componendo la colonna sonora. Andare al cinema con tutto il team e sentire le musiche su cui avevo lavorato per mesi è stato emozionante».
I big con cui hai lavorato e cosa ha comportato?
Cos’è per te la musica?
stato uno shock. Non è certo una città facile; per esempio se mi devo spostare il traffico è tale che la giornata si accorcia drasticamente. Ma le opportunità che ci sono qui non le troverei in nessun’altra parte del mondo: per tutto ciò che riguarda l’intrattenimento è un posto unico e ricco di offerta».
perdutamente il rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella che finì ucciso nel 1929. Leggendo la vita di Tina Modotti si fanno incontri straordinari: i fotografi Jane Reece, Johan Hagemayer, Robert Capa, Edward Weston, che la ritrasse in un nudo bellissimo ; i grandi pittori messicani Diego Rivera e Clemente Orozco; attivisti politici come il triestino Vittorio Vidali, conosciuto durante una manifestazione di protesta dopo la condanna a morte di Sacco e Vanzetti ;scrittori come John Dos Passos, André Malraux, Ernest Hemingway. Da donna appassionata qual’era si dedicò alla causa rivoluzionaria in Messico e combatté con le Brigate internazionali in Spagna. Le sue foto “narrano” gli ultimi.Sono immagini di campesinos, pescatori, donne che lavano i panni e che allattano, bambini. Molte fotografie sono dedicate al Messico, sua terra d’elezione, dove morì a 46 anni e dov’è sepolta. Pablo Neruda scrisse le parole dell’elogio funebre che ancora oggi si possono leggere sulla sua tomba: “Sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova
rosa. Riposa dolcemente, sorella…Perché non muore il fuoco“. Dopo l’improvvisa scomparsa le venne tributato il giusto riconoscimento per la sua personalità umana, artistica e politica, tant’è che per alcuni anni la sua memoria restò ben viva nell’opinione pubblica latinoamericana. Poi cadde l’oblio, lungo quasi trent’anni. Le sue opere, che si trovano in gran parte negli Stati Uniti, vennero tenute nascoste negli archivi dei dipartimenti di fotografia a causa del maccartismo e della sua assurda “caccia alle streghe”. Una scelta oscurantista, come ricordano al Centro Cultural Tina Modotti di Caracas , “che rese impossibile, per molti anni e non solo in America, lo studio e la presentazione di un’artista che aveva creato immagini di qualità e militato nel movimento comunista internazionale”. L’inquietudine l’accompagnò per tutta la vita, quasi sempre in credito con la fortuna. Artista, intellettuale, tra i primi fotografi a capire il valore sociale e la forza di denuncia di un’immagine, perseguitata da viva e persino da morta per le sue idee, fu comunque una delle più belle figure di donna che l’Italia seppe dare al mondo.


Era veramente una gran signora, Milly. Doveva esser stata , in gioventù, una donna dal fascino irresistibile. Il portamento austero, la postura studiata nei minimi particolari, i lineamenti fini, il trucco mai eccessivo, le conferivano un non so ché di regale nonostante le forme giunoniche
comunità, dalle Dame di San Vincenzo al Circolo dei Combattenti e Reduci, dall’Oratorio alla Pro Loco. La realizzazione delle scenografie, in cartapesta e ritagli di lavorazione del legno, fu affidata a Primo Plini detto Giuseppe, falegname devotissimo alla Vergine Maria che, in quattro e quattr’otto costruì un fondale in grado di far viaggiare l’immaginario dello spettatore attraverso l’Egitto dei Faraoni. L’opera in se, con la nota “Marcia Trionfale”, aveva una complessità musicale e una profondità nella partitura che la ponevano sul gradino più alto delle opere verdiane e difficilmente i componenti della banda comunale sarebbero stati all’altezza di una buona interpretazione. Così, dalla vicina Lombardia, vennero scritturati una mezza dozzina di musicisti dell’Orchestra Spettacolo “Le melodie vagabonde”, che all’epoca andava per la maggiore nelle balere della bassa padana. La vera sorpresa della serata, però, doveva assicurarla la principale protagonista che si sarebbe esibita sul palco parrocchiale: la soprano Milly Devoti, nel ruolo di Aida. Gli organizzatori erano certi che la sua voce potente, ma allo stesso tempo avvolgente e calda, avrebbe affascinato il pubblico, in particolare durante l’interpretazione dell’aria “O patria mia“. Milly, quando s’esibiva, come ogni grande artista che si rispetti, portava con sé, agitandolo, il suo amuleto: un prezioso e ricamato fazzoletto di pizzo bianco, donatogli all’inizio della sua carriera dal grande tenore Mario Del Monaco.
prezioso quadrato di pizzo, questo le sfuggì dalla mano, cadendo a terra. Pierino, figlio della sorella del Prunelli, Desolina, e quindi nipote dell’organizzatore, lo raccolse al volo e sotto lo sguardo esterrefatto della cantante lo utilizzò per soffiarsi rumorosamente il naso. Non una ma due, tre volte. Poi, con un sorriso smagliante, lo protese verso la signora Milly che, a quel punto si sentì mancare, privata del proprio amuleto che era stato così volgarmente violato. La cantante lanciò un urlo potente che gran parte del pubblico interpretò come l’acuto finale dell’opera, alzandosi in piedi ed applaudendo a scena aperta. Solo in due – don “Trippa” e il cavaliere Della Spiga – rimasero dubbiosi su quanto avevano udito: quelle parole urlate erano parse ad entrambi un sonoro “che schifo!” e, pur essendo il primo un appassionato d’Opera e il secondo un fervente melomane, non ricordavano dove trovasse posto,nel libretto dell’Aida, quell’affermazione che, dall’ugola della signora Milly, era uscita con tanta forza da trasformarsi in un terribile singulto.




Nel decennale della sua nascita si presenta in una veste rinnovata a luglio, ottobre e dicembre


Ecco il rischio che corre chi vuole accingersi a sfogliare un libro, Figure dell’Italia civile, il cui peso sulla coscienza può essere gravoso e liberatorio.
degli aneddoti di quei Giganti dell’Italia civile ha la forza di ridestarci dal torpore in cui siamo sprofondati, infelicemente inebriati dal populismo della politica e dalla trivialità delle relazioni sociali.
atteggiamento dignitosamente e coraggiosamente umile, a una preparazione frutto di studio costante, analisi critica e forza delle idee.
Premessa al libro.
Venturi, Carlo Casalegno, Alda Croce, Primo Levi, Carlo Azeglio Ciampi, Raimondo Luraghi, Rosario Romeo, Giovanni Spadolini, Sergio Pininfarina, Alberto Ronchey, Enzo Tortora, Marco Pannella, lo stesso Mario Soldati e Mario Pannunzio, per citarli tutti, i cui lineamenti sono stati ben rimarcati dall’esperienza dell’autore, il quale, con molti di essi, è stato testimone o protagonista di vicende culturali, politiche e personali.
influenzato il grande saggista torinese. A Quaglieni dobbiamo somma gratitudine anche per questo cammeo preziosissimo, che si aggiunge alla grande opera culturale che lo vede protagonista da tempo, a Torino e in tutta Italia.