CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 809

Il Miur al Salone del Libro

SALONE 569Il Miur sarà presente, in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale, al salone del Libro. Ecco alcuni appuntamenti
 
Giovedì 12 maggio 
 

11.00 – 12.00 12.00 – 13.00 “CONCERTO DI INAUGURAZIONE” “Visioni musicali” con l’Orchestra della Scuola Media “Pascoli” di Valenza (AL) Dirigono: Gisella BOERO, Giusi CARINGELLA, Rodolfo MATULICH, Marco ROMANELLI – Docenti SMS “Pascoli” ad indirizzo musicale di Valenza (AL) Introduce: Maurizio Primo CARANDINI – Dirigente Scolastico SMS “Pascoli” di Valenza (AL) “VISIONI E CREATIVITA’” a cura del laboratorio DAMIANI Laboratorio di design “DALL’IDEA AL GIOIELLO”

13.00 – 14.00 “RAI! WOW! BAMBINI E MUSICA CON LA MERAVIGLIOSA ORCHESTRA DELLA RAI” Progetto di formazione docenti e formazione studenti per la messa in scena di un’opera teatrale ispirata al “MAGO DI OZ DI BAUM” Introduce: Pierangela DAGNA – Dirigente Tecnico USR Piemonte Relatore: Elisabetta DE MARTNO – Fondazione per la Scuola e Compagnia San Paolo

14.00 – 15.30 “INNOVATION IN THE TEACHING OF MATHEMATICS AND SCIENCE: THE SMART RESULT” Progetto ERASMUS + KA2 – SMART Chairman: Anna BRANCACCIO Fabrizio MANCA, Regional School Managementof Piemonte Carmela PALUMBO, Italian Ministry of Education, Opening of the conference, the learning of Mathematics and Science in the new curricula Claudio PARDINI, Carlo Anti School, The path from the national PP&S and LS OSA Projects to the international SMART Project Alberto CONTE, Accademia delle Science, The scientific and cultural aspects of the SMART Project Settimio MOBILIO, University of Roma Tre, The project results in Science Marina MARCHISIO, University of Turin, The project results in Mathematics Leila PICCO, Unione Italiana del Soroptimist International, The STEM competences and the scientific subjects for Women’s condition Anna BRANCACCIO Italian Ministry of Education, Conclusion SALA BLU 4

15.30 – 17.30 “ARTIGIANI DIGITALI: visioni d’artista” Il mondo di Valenza: Valenza nel mondo Disegni, arte, creatività e gioielli a cura di: For.AL, Consorzio per la Formazione Professionale e I.I.S. “Cellini” di Valenza (AL)

17.30 – 18.30 Un libro al giorno: “LO SGUARDO DELL’INNOVATOTORE” di Massimo TEMPORELLI – Curatore della Collana “ Microscopi” per Hoepli Editori con l’autore Intervengono : Claudio DEMARTINI – Politecnico di Torino, Edoardo CALIA – Istituto Boella Introduce: Enzo MARVASO – USR Piemonte 20,00 – 22.00 Liceo Coreutico e Teatrale Germana Erba – Teatro

Fondazione Ferrero: è l'anno di Balla

Alla Fondazione Ferrero di Alba (Cn) questo è l’’anno di Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958)

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Dopo il successo, davvero clamoroso, dell’’esposizione dedicata a Felice Casorati, Giacomo Balla sarà protagonista della grande mostra d’’autunno (dal 29 ottobre al 27 febbraio 2017), a cura di Ester Coen. Il livello dei prestiti ottenuti offre la certezza che questa sarà una mostra imperdibile tra quelle sino ad oggi dedicate all’’artista. L’’evento sarà annunciato ad Alba, al Centro Ricerche Pietro Ferrero, giovedì 5 maggio, alle 18.30, in un incontro pubblico promosso dalla Fondazione Ferrero, dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio del Piemonte e dalla GAM di Torino.v Il taglio scelto per la serata lascia intendere che quella dedicata a Balla sarà una esposizione originale, scientificamente inappuntabile e aperta anche ad aspetti meno indagati dell’’artista. All’’anteprima di giovedì 5 maggio, insieme a Ester Coen, curatrice della mostra, ai responsabili della Fondazione Ferrero e delle Istituzioni coinvolte nel progetto, interverrà Piero Bianucci, scrittore e giornalista scientifico – editorialista a «La Stampa», quotidiano dove per 25 anni ha diretto il settimanale «Tuttoscienze» –, a sottolineare un connubio tra arte e scienza, per nulla casuale. È infatti noto l’interesse di Giacomo Balla per l’’astronomia e sono celebri le sue opere dedicate a Mercurio che transita davanti al sole. Balla, dal suo telescopio, osservò il fenomeno il 7 novembre 1914. Il passaggio ebbe inizio pochissimi minuti dopo lo scoccare del mezzogiorno.  La figlia Elica ricorda ciò che avvenne quel giorno: «Con tutta calma, si prepara il vetro affumicato per osservare col suo cannocchiale il transito di Mercurio davanti il sole… L’’avvenimento astronomico è raro e Balla, appassionato di astronomia, non lo perse davvero… E traccia disegni e bozzetti in cui si sente l’artista che cerca di rendere gli oggetti con tecnica quasi aerea – non compatta – poi due tempere grandi, l’’una più complicata dell’’altra, più sintetica con linee che danno la sensazione del movimento dell’’osservatore al cannocchiale, il quale si sposta guardando fuori e dentro di esso. Queste linee si compenetrano con lo strumento e il sole. Il sole bianco, che fuori dall’’oculare viene a ferire l’’occhio, contrasta con il colore arancione del globo infuocato attraverso il vetro nero. Forme e colori costituiscono un complesso pittorico nuovo… non è più il piccolo misero strumento ma è l’’occhio più potente di quello dell’’uomo che carpisce nel suo cerchio visivo il piccolissimo pianeta, mentre passa davanti al disco giallo del sole». Il raro evento celeste ammirato da Balla nel lontano 1914, torna a ripetersi il 9 maggio di quest’’anno. Il transito durerà molte ore, circa sette e mezza, con inizio, in Italia, alle 13,12 e termine alle 20,42. Guardando, muniti di lente affumicata, quel puntino nero che si staglierà sul disco solare, il ricordo andrà a Giacomo Balla e alle opere meravigliose che seppe derivare da quella sua osservazione.

Il mondo di Alberto Longoni

Le opere dell’artista che seppe interpretare l’evoluzione del costume e della società italiana, dal dopoguerra alla fine degli anni ottanta

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Fino al 5 giugno si può visitare al Museo Monumento al Deportato Politico e Razziale di Carpi (Mo), a Palazzo dei Pio, in piazza dei Martiri, la mostra “Il mondo di Alberto Longoni”. L’esposizione, curata da Michela Corizza e Marzia Luppi, è promossa dal comune modenese e dalla Fondazione Fossoli, che ha come obiettivo la diffusione della memoria storica dell’omonimo ex-campo di concentramento in terra emiliana. Alberto Longoni, nato a Milano nel 1921 ( e morto nel 1991 a Miazzina, nel Verbano) durante la guerra , militare a Creta, fu fatto prigioniero dei tedeschi e internato in Germania nel campo di concentramento di longoni3longoni2Buchenwald, a due passi da Weimar, dove incontrò una ragazza polacca, Lidia Josepyszyn,  che diventò poi sua moglie. Una esperienza durissima, tremenda, che si può leggere  proprio nella prima sala del Museo al Deportato di Carpi, dove  si trova un  suo graffito grande come tutta la parete che raffigura centinaia di deportati così come essi diventavano nel campo: magri, ridotti a pelle e ossa,  con gli occhi vuoti e privi di espressione, senza bocca. In occasione dell’inaugurazione, il 24 aprile scorso, Michela Cerizza, co-curatrice della mostra, nonché nipote dell’artista, ha ricordato come suo nonno, quando tornò a casa dal campo di concentramento,  pesasse 35 chili, sottolineando come, nonostante tutto, non avesse “ mai menzionato l’odio come stato d’animo per spiegare l’orrore in cui era stato coinvolto. Lui faceva e fa emergere, tramite le sue opere, la vittoria dell’amore attraverso il viaggio, il sogno, i paesaggi”. La scelta di ospitare la mostra al Museo del Deportato, dove longoni4sono state selezionate opere realizzate da Longoni  nell’arco di quarant’anni, dal 1949 al 1989, assume un significato del tutto particolare ed evocativo. “La Sala dei nomi  è una cattedrale laica – ha detto il sindaco di Carpi , Alberto Bellelli, riferendosi alla celebre stanza del Museo dove sono graffiti i nomi di oltre tredicimila italiani morti nei campi di concentramento europei   – e  riportare qui Longoni significa un ritorno alle radici dello stesso Museo”. L’esposizione rappresenta un tributo a un artista “che ha saputo rappresentare la sera del tempo, ma anche lo spiraglio della speranza”, come ricordato dal presidente della Fondazione Fossoli, l’on. Pierluigi Castagnetti. Alberto Longoni, trasferitosi a metà degli anni ottanta in Ossola, a longoni1Emo di Crodo , scrisse ed illustrò libri ( tra i quali “Il gioco delle perle di vetro” di Hermann Hesse,  una delle opere che contribuirono ad attribuire all’autore di “Siddharta” il Nobel per la letteratura ), eseguì incisioni, graffiti, dipinti, illustrò riviste italiane e straniere, copertine di dischi, realizzò multipli, ceramiche, sculture e collaborò all’architettura di giardini. Se si considera la sua imponente produzione artistica, che lo portò a collaborare con le più importanti case editrici e le più prestigiose riviste italiane ed europee, oltre a scrivere e illustrare straordinari libri per l’ infanzia, sorge spontanea una domanda (che è anche una richiesta): perché non pensare, da parte delle nostre istituzioni culturali, ad un evento che consenta di ammirare le sue opere anche in Piemonte? Sarebbe davvero un importante occasione per celebrare un artista che, con le sue opere, ha accompagnato ed interpretato l’evoluzione del costume e della società italiana, dal dopoguerra alla fine degli anni ottanta.

Marco Travaglini

In scena al Regio la Lucia di Lammermoor

Il capolavoro di Donizetti diretto da Gianandrea Noseda

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Damiano Michieletto firma la regia di una dirompente Lucia di Lammermoor di Donizetti, che è stata uno dei suoi primissimi lavori teatrali, che gli è valso il titolo di enfant prodige. A metterla in scena, mercoledì 11 maggio alle 20, il teatro Regio di Torino, la cui Orchestra e Coro saranno diretti da Gianandrea Noseda. L’allestimento, in prima italiana, proviene dall’Opernhaus di Zurigo.

Eccezionalmente si alterneranno tre celebri soprani nella parte di Lucia: Jessica Pratt (11, 13, 15 e 18 maggio), Elena Mosuc (14, 17, 19 e 21 maggio) e Diana Damrau il 22 maggio, che affronterà il ruolo anche nella successiva tournée del Teatro Regio a Parigi al Theatre des Champs-Elysees e il 29 maggio alla Philarmonie Essen. Si tratta di tre eccezionali soprani, ognuna con grandi doti vocali e con un timbro particolarmente adatto a rendere la complessa parte della protagonista, tra passi di delicata malinconia e funambolici virtuosismi, che risultano tra i più difficili di tutto il repertorio ottocentesco. Sir Edgardo di Ravenswood sarà il tenore Pietro Pretti, artista di grande duttilità, impegnato in passaggi impervi alternati a momenti di pura liricita’, richiesti dalla parte. Lord Enrico Ashton sarà il baritono Gabriele Viviani, interprete molto apprezzato in questo ruolo, che ha portato sui più importanti palcoscenici di tutto il mondo.

La messa in scena di Michelietto, presentata a Zurigo nel 2009, è una riflessione sul potere maschile che genera sofferenza e opprime le donne. “I personaggi femminili nelle opere liriche ottocentesche -spiega il regista – sono rappresentate da una costellazione di vittime; la mia Lucia è affiancata in tutta l’opera da un fantasma femminile, un vero e proprio alter ego. Quel fantasma è la morte, perché per me Lucia si suicida e sceglie la morte come via di fuga per scappare dalla gabbia in cui il fratello l’ ha rinchiusa. Alla fine della scena della pazzia si gettera’ dalla torre che domina la scena. L’allestimento è molto semplice, costituito da una grande torre di vetro, che rappresenta la scena fissa e la torre in rovina degli Ashton, metafora di una società in procinto di crollare e che ha assolutamente bisogno di un matrimonio, quello tra Lucia e Ashton, per rimettersi in sesto”.

La Lucia di Lammermoor di Donizetti andò in scena per la prima volta nel 1835 e fu riconosciuta immediatamente come un successo indiscusso del suo autore. Si articola in due parti, in cui si compie il tragico destino di Lucia, e rappresenta una delle prove vocali più appassionanti di tutto il repertorio lirico. L’opera lirica del compositore bergamasco è tratta da un romanzo storico di Walter Scott, ambientato nella Scozia del Cinquecento, capolavoro del realismo drammatico- romantico della prima metà dell’Ottocento.

Mara Martellotta

Torino Città del Jazz

Il Festival 2016 ha invaso la città per dieci giorni – tra due importanti feste, il 25 aprile e il 1° maggio – totalizzando oltre 200mila presenze

JAZZ TORINO

L’edizione 2016 segna un’ulteriore crescita del Torino Jazz Festival – afferma Stefano Zenni Direttore della rassegna musicale -. Una crescita soprattutto artistica: la produzioni del ‘Persecutore’ con Vinicio Marchioni e il quartetto di Francesco Cafiso, quella di Roy Paci con Hindi Zahra, di Pulse con Max Casacci, Daniele Mana ed Emanuele Cisi e l’esclusiva di Birdman con Antonio Sanchez dal vivo mostrano come il festival sappia proporre stimoli nuovi e intrecci inediti tra le arti che hanno incontrato il gradimento del pubblico.

E la città stessa ci è apparsa più coinvolta che mai: il tutto esaurito per quasi la totalità dei concerti, inclusi quelli nei giorni feriali, la quantità di pubblico che ha affollato gli eventi più diversi dal Fringe, al Jazz Club Torino, al manouche in via Roma, l’attenzione alla musica nei quartieri o anche le tantissime persone che hanno assistito alle meditazioni musicali di Dimitri Grechi Espinozanell’inedita cornice della Gran Madre ci dicono –  sottolinea Zenni – che in questi giorni il Festival è entrato nella vita delle persone. Il calore che ha accolto le proposte dei giovani italiani al mattino certifica che la cultura musicale del nostro paese, compresa quella del pubblico è in piena crescita e il Torino Jazz Festival ne è ormai un attore originale ed essenziale”.

jazz quartieri

Il Festival Jazz 2016 ha invaso la città per dieci giorni – tra due importanti feste, il 25 aprile e il 1° maggio – totalizzando oltre 200mila presenze.

I suoni del jazz hanno attratto molti cittadini e turisti sia in piazza Castello sia negli spazi al chiuso, teatri, cinema e locali vari rendendo Torino una città viva complice il successo dei musei sempre aperti. Nei giorni successivi al ponte del 25 aprile da martedì 26 a giovedì 28, gli appuntamenti del Festival sono proseguiti negli spazi al chiuso dove, ogni sera, si è registrato il tutto esaurito. Tra i tanti concerti in particolare si segnala l’esibizione del quintetto di Tim Berne.

Il week-end del 1° maggio, un po’ meno fortunato sotto il profilo metereologico, non è stato da meno. Emozionante il doppio concerto di Dimitri Grechi Espinoza il 29 e 30 aprile  nell’inedita location della Gran Madre salutato da uno straordinario successo di pubblico.

Sabato 30 aprile, nella Giornata Internazionale del Jazz, una folla di appassionati ha seguito quello che fin dall’inizio è stato considerato l’appuntamento principe del cartellone 2016: la proiezione, al cinema Massimo, del film “Birdman” di Alejandro Gonzalez Iñárritu con colonna musicale dal vivo del batterista Antonio Sanchez. Particolarmente apprezzate le produzioni originali del TJF: dal ‘Persecutore’ con Vinicio Marchioni e il quartetto di Francesco Cafiso a Roy Paci con Hindi Zahra, da Pulse! con Max Casacci, Daniele Mana ed Emanuele Cisi a Battista Lena con ‘Ultimo cielo’. Oltre alla presenza di grandi artisti internazionali,  la programmazione ha avuto il pregio di mettere in evidenza i tantissimi artisti italiani che si stanno affermando sempre più a livello internazionale. Tra questi Fabrizio Bosso, Paolo Russo, Rosario Giuliani, Enrico Rava, Gianluca Petrella, Flavio Botto, Petra Magoni, Ferruccio Spinetti.

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Il TJF è stato anche palcoscenico per decine di giovani artisti italiani, dall’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti diretta da Paolo Damiani ad Alessandro LanzoniSimone Graziano, Stefano Tamborrino, Gabriele Evangelista e il progetto Multikulti diretto da Cristiano Calcagnile.

Originali, curiose e partecipate sono state inoltre le iniziative che hanno coniugato la moda con i suoni del jazz al Cap10100; la performance di danza, musica e arte contemporanea alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la mostra di Giansone a Palazzo Saluzzo Paesana e i sei concerti di Quartieri in jazz. Quest’anno il TJF ė stato nuovamente la colonna sonora del 25 aprile accompagnando così la nascita del Polo del ‘900.

Nella giornata finale di domenica 1° maggio si sono succeduti sul palco la Artchipel Orchestra di Ferdinando Faraò con un progetto dedicato ai Soft Machine,Yilian Cañizares, le note incandescenti di Giovanni Falzone con la Contemporary Orchestra che ha presentato una suggestiva rilettura dei mitici Led Zeppelin e infine a chiudere l’edizione 2016 del TJF gli Incognito che hanno aperto il concerto omaggiando Prince con il pezzo “Purple Rain”. Straordinaria anche la partecipazione al TJF Fringe, curato da Furio Di Castri, a partire dal 22 aprile, giornata “a tutto Fringe” che ha inaugurato il Torino Jazz Festival, fino al gran finale al Quadrilatero Romano del 30 aprile – Giornata Internazionale Unesco del Jazz.ROY PACI JAZZ

Oltre 250 sono stati i musicisti e i performer che hanno calcato i “palchi del Fringe”: dalla chiatta in mezzo al fiume del Music on the River ai concerti sulle Night Towers, al Palco Fringe di Piazza Vittorio, all’area Dance&Cooking fino ai tanti locali e piazze della città di Torino negli oltre 100 concerti ed esibizioni in programma. Tra i nomi di spicco degli “artisti Fringe”, l’acclamato pianista statunitense Robert Glasper che ha fatto registrare il tutto esaurito, le alchimie del duo Food con Gianluca Petrella, la reunion del Lingomania  a trent’anni dal debutto discografico e le eccezionali artiste donne che hanno donato il loro “tocco magico” al TJF Fringe di quest’anno: Rita Marcotulli, Maria Pia De Vito, Marije Nie, Nuria Sala Grau, Wallis Bird e tanti altri musicisti italiani e internazionali che hanno incantato un pubblico sempre attento e curioso.

Dopo cinque edizioni si può dire che il Torino Jazz Festival è uno degli eventi culturali più importanti della nostra città – afferma l’Assessore alla Cultura, Turismo e Promozione della Città -. Il lavoro svolto porta a guardare con fiducia verso il futuro di questa grande manifestazione la cui formula sempre più  partecipata raggiunge due obiettivi importanti, far conoscere il mondo del jazz a tante persone e far vivere a Torino come una delle città più dinamiche e interessanti del nostro Paese. Motivi per i quali penso e spero che tale opportunità debba essere coltivata anche in futuro. Si tratta di un vero e proprio investimento culturale a vantaggio di tutti e dell’immagine del nostro territorio. Impegno reso possibile anche grazie alla fiducia che hanno voluto confermare i nostri preziosi partner che ancora una volta voglio ringraziare: Iren, Intesa San Paolo, Poste Italiane, Toyota Lexus e Seat Pagine Gialle.

WWW.COMUNE.TORINO.IT

Un amico e un cane al fondo della vita

Il film di produzione spagnola che s’è portato a casa cinque premi Goya, gli Oscar di Madrid miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, miglior attore protagonista e non protagonista -, non tradisce chi lo vede, voglio dire non gioca in maniera ricattatoria con i sentimenti, con le scene madri e con gli effettacci strappalacrime ad ogni costo

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Pianeta Cinema / di Elio Rabbione

Tomàs lascia moglie e figli in Canada per andare a Madrid a trovare l’amico di sempre, Julian, separato dalla moglie, attore dai grossi successi sulla scena, un figlio che studia ad Amsterdam ed un cane, Truman, un bullmastiff ciondolante, massiccio e taciturno, che tuttavia con un solo sguardo lancia lunghissime chiacchierate al suo padrone. Julian è (anche) malato di un tumore al polmone, è arrivato alle ultime settimane di vita, ha deciso di chiudere possibilmente in bellezza la partita rifiutando cure e chemio e quant’altro. Amen, è fatta. Sarà quell’improvvisata, quell’arrivo inaspettato ad accompagnarlo nelle ultime passeggiate, nelle ultime bevute, nel riallacciare quei rapporti che da troppo tempo si sono persi per strada, nel prendere (soprattutto, “io nella vita ho due figli, mio figlio e Truman”) quella grama decisione d’affidare a qualcuno il suo cane, per sempre. Truman di Cesc Gay, il film di produzione spagnola che s’è portato a casa cinque premi Goya, gli Oscar di Madrid miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, miglior attore protagonista e non protagonista -, non tradisce chi lo vede, voglio dire non gioca in maniera ricattatoria con i sentimenti, con le scene madri e con gli effettacci strappalacrime ad ogni costo. Grazie ad una regia molto in punta di piedi, vola molto più alto, trattiene i gesti e le parole, se si deve piangere si va a piangere in un angolo, non si addentra in paroloni che trattino la pena del trapasso o le sorprese dell’al di là, gioca in modo pulito con l’amicizia tutta maschile che arriva da lontano e che si riconsolida in un attimo, e con la morte, guarda con un velato, sommesso ottimismo ad un futuro che riserverà un’unica amara certezza. Realisticamente, adopera la malinconia e la consapevolezza del domani con una buona dose di tranquilla allegria, o meglio scena dopo scena il dolore si stempera quasi con piacere con il sorriso di un attimo, con una delle battute che i due si portano dietro da anni e oggi si rimpallano.

Quattro giorni di soggiorno madrileno che sono attraversati dalle rese dei conti, si diceva (c’è anche il tempo per un volo velocissimo ad Amsterdam, un incontro tra padre e figlio, l’incontro con la ragazza di questi, un passaggio in un bar e un abbraccio densissimo, dove tutto è silenzio), dall’ultima chiacchierata con il proprietario del teatro, pronto tra troppe parole di rammarico a trovare un sostituto, o con l’amico cui un tempo ha fregato la moglie (“ero un seduttore, io”) o con il rappresentante di pompe funebri un po’ sulle spine a ragguagliare quello strano cliente intorno ai prodotti della casa.

Truman, complice una perfetta sceneggiatura che sa calibrare tra parole e silenzi e scene intessute con rarissima partecipazione e maestria una vicenda “semplice” e fuori di ogni norma al tempo stesso, aveva la necessità di trovare i tempi meticolosamente giusti e Gay ha saputo darglieli con grandissima attenzione; e soprattutto di una coppia d’attori che umanamente facessero propri Tomàs e Julian. Il primo è Javier Càmara, di area almodovariana (Parla con lei, La mala educaciòn), gioca Tomàs in uno splendido sottotono, il compagno alla fine dei giorni è Ricardo Darìn (Il segreto dei suoi occhi di José Campanella, Oscar nel 2010 come miglior film straniero), un Julian che vuole ancora respirare nella più completa libertà. Davvero insuperabili.

 

Lucio Dalla secondo Beatrice al Circolo dei Lettori

beatricePer i fan di Lucio Dalla  il 4 marzo 1943 è una data memorabile. Dopo quattro anni dalla scomparsa del cantautore, il Circolo dei Lettori dedica una serata a Dalla raccontato partendo da quella ricorrenza,  il giorno della sua nascita che dà il titolo a uno dei suoi successi. ‘Per i ladri e le puttane sono Gesù bambino’, è la biografia del cantante edita da Baldini & Castoldi scritta come un romanzo popolare, che Luca Beatrice (nella foto) presenta giovedì 5 maggio alle ore 21.

Lo strasuccesso dei Tre Moschettieri

moschettieri 3 dueE se Beppe Navello scommettesse di poterne inventare un sequel?

E alla fine scesero i fiori. Sullo spazio a scacchi che per 56 repliche ha invaso la platea dell’Astra. Per la simpatica iniziativa di due gentili signore che dai loro bouquet hanno cominciato a scartocciare rose e garofani. Su Richelieu, sui tre moschettieri, sul guasconissimo d’Artagnan, sulla regina dalla bella voce e su un re che più da operetta non si potrebbe, sulla perfida Milady vittima alla fine dei suoi misfatti, sugli osti e sui valletti e sulle guardie, sul maestro di cerimonie alias pianista impareggiabile, sulla dolce Costanza, sul padre del protagonista buffamente sentenzioso e onnipresente, su un lord Winter da manuale, sui riassunti delle puntate precedenti, sulle pubblicità effervescenti dei vari sponsor, sulle canzoncine e sulle marcette, sui costumi bellissimi, su una squadra invidiabile di tecnici pure loro tutti quanti schierati in alto sulle passerelle. I tre moschettieri, prodotto dalla Fondazione TPE, arrivato alla sua ottava e ultima puntata è finito con una festa, una grande festa, di cuore, di risate, di applausi, di chiamate che non cessavano. Con il ricordo e i commenti degli otto appuntamenti, della gradevolezza dei testi, della banalità sconfitta, delle regie sempre diverse che hanno di volta in volta coinvolto Beppe Navello, Gigi Proietti, Piero Maccarinelli, Myriam Tanant, Andrea Baracco, Robert Talarczyk, Ugo gregoretti ed Emiliano Bronzino (ognuno porta con sé i propri preferiti), della prova di questo e quell’attore, della professionalità (alta, 41 in scena a duellare,mosche tre tre a tramare, a soffrire) di ognuno, del divertimento senza limiti e freni, delle invenzioni e degli sberleffi, delle mosse improvvise e mai a vuoto che hanno ogni sera scaldato i cuori. Un successo che alla fine può vantare su un totale di oltre 10.800 spettatori e su 812 abbonamenti venduti dedicati esclusivamente al progetto. Per presenze e incassi, sottolinea Beppe Navello, l’anima di un’operazione riportata alla luce a trent’anni dall’esempio inventato con lo Stabile dell’Aquila, “è difficile contestare al nostro progetto il riconoscimento di essere, per dimensioni e ambizioni, una delle più apprezzate novità della stagione teatrale italiana, applaudita unanimamente dalla critica e dal pubblico”. Un percorso che ha visto affollarsi appassionati e critici, quel pubblico incuriosito e sempre più partecipe che ha (ri)scoperto l’aspetto nazionalpopolare del teatro – citava persino Gramsci papà d’Artagnan – coinvolgendo giovani e bambini, nonni e genitori, in uno schieramento unico delle età più diverse. Sottilmente, lasciandoci intendere chissà quale sviluppo in quello che potrebbe aver tutte le intenzioni di voler divenire una soap opera letteraria o un rinfoltimento di puntate su puntate, Navello scherza, più o meno: “Dopo uno sforzo così imponente, la prudenza consiglia a un teatro avveduto di non esagerare e di pensare programmi più tranquilli: ma di fronte all’entusiasmo di quanti ci hanno seguito fino a oggi, di fronte a tanto successo, ci lasciate sperare che quest’ultimo titolo, Addio d’Artagnan, si possa trasformare in un Arrivederci d’Artagnan?”. Non ci resta che attendere qualche sorpresa per la stagione prossima, mentre già qualche attore con un largo sorriso che s’intravede sotto la barba ci incuriosisce ancor di più con un tranquillizzante “ritorneremo!”.

Elio Rabbione

 

Il Medio Oriente raccontato da Molinari

molinari agliè3Al Circolo dei Lettori il direttore della Stampa Maurizio Molinari in un dialogo con la giornalista Ariela Piattelli, condivide le proprie riflessioni su attori e interessi in gioco in Medio Oriente. Analizzando la situazione, ipotizza possibili scenari futuri. L’appuntamento, lunedì 9 maggio, alle ore 18, è a cura di Gruppo Sionistico Piemontese, Comunità Ebraica di Torino e di Vercelli, Agenzia Ebraica per Israele-Sochnut Italia e Adei Torino.

(foto: P. Chiariglione)

Alex Langer, l’arte della convivenza di un costruttore di ponti

Uomo politico nel senso più nobile del termine, Langer si è impegnato fino alo stremo nella diplomazia della pace, a favore di relazioni più giuste tra i popoli, per la conversione ecologica della società, dell’economia e degli stili di vita

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La figura di Alexander Langer (1946-1995) è più attuale che mai. Per certi aspetti, anzi, nel dibattito sociale e politico Langer è oggi più conosciuto, e “riconosciuto”, di quando era in vita e doveva subire anche amarezze e misconoscimenti. Marco Boato –  sociologo, giornalista, ricercatore universitario, più volte parlamentare, esponente di spicco di Lotta Continua, del Partito Radicale e dei Verdi –  che ha condiviso tante iniziative di Langer, ha scritto un libro molto bello e prezioso: “ Alexander Langer. Costruttore di ponti”. Un libro che presenta al lettore il ritratto di un autentico e coerente testimone del nostro tempo: le radici sudtirolesi, il rapporto con la Chiesa, la formazione, il Sessantotto, l’impegno politico e la “conversione ecologica”, la nonviolenza, l’impegno per il dialogo interetnico. Come ricorda il cardinale Loris Capovilla nella presentazione, “anche Alex ha perseguito ostinatamente la pace, e, insieme, la custodia del creato. Ha inseguito con tenacia questi ideali. Ne ha fatto la sua passione e la sua vita”. Il tenace “costruttore di ponti”, intellettuale altoatesino pioniere della “conversione ecologica” auspicata dalla Laudato si’ di papa Francesco ( che, essendo “Pontefice” è anch’esso un costruttore di ponti)  spese gran parte dei suoi 49 anni di vita al servizio degli altri nel segno del dialogo, della pace, della tutela dell’ambiente. Giornalista, traduttore, insegnante, Alex langer33Langer nel 1989 fu eletto deputato al Parlamento Europeo e divenne il primo presidente del neo-costituito Gruppo Verde. Uomo politico nel senso più nobile del termine, Langer si è impegnato fino alo stremo nella diplomazia della pace, a favore di relazioni più giuste tra i popoli, per la conversione ecologica della società, dell’economia e degli stili di vita. Non a caso proprio Alexander Langer. Costruttore di ponti è il titolo con cui l’Editrice La Scuola ha mandato nelle librerie  questo profilo dedicatogli da Marco Boato. Nella consapevolezza che mai come ora il pensiero di Langer è attuale e ha molto da dire alle nuove generazioni. Un testimone del nostro tempo, protagonista dell’ecologismo politico in Italia e nella dimensione europea e internazionale. Il suo  dinamismo senza soste, diventato ancor  frenetico dopo la caduta del muro di Berlino quando non risparmiò alcuna forza per contrastare i contrapposti nazionalismi, sostenendo le forze di conciliazione interetnica nei territori dell’ex-Jugoslavia, è la “cifra” della sua stessa vita. Alex non tollerava le divisioni etniche. In Alto Adige nel 1981 e poi nel 1991 si era rifiutato di aderire al censimento nominativo per la dichiarazione del gruppo linguistico, perché riteneva che ciò rafforzasse una politica di lacerazione invece che di coesione. Spese tutto se stesso per un’idea e un progetto che si può riassumere nella frase scultorea e bella di don Primo Mazzolari: “pace, nostra ostinazione”. Fino all’estremo, fino alla fine. Quando uno si rende disponibile all’apertura all’altro senza remore, come Alex ha cercato di fare tutta la vita, la sua vulnerabilità diventa assoluta. Così, il pomeriggio del 3 luglio 1995, a 49 anni, si è tolto volontariamente la vita impiccandosi a un albicocco a Pian dei Giullari, alle porte di Firenze. Eppure, anche in quel momento  in cui si sentiva “più disperato che mai”, ha sentito il bisogno di rassicurare gli amici, scrivendo nell’ultimo dei suoi tanti bigliettini: “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”.  L’ultimo sprazzo di luce nel buio, un invito che non si può rifiutare, continuando cosí “in ciò che è giusto”. Il bel racconto di Boato è completato  dalle testimonianze di Peter Kammerer, Adriano Sofri, Leonardo Zega, Edi Rabini.

Marco Travaglini