CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 807

Come sopravvivere spacciandosi per Nanni Moretti

Intervista di Laura Goria

Immaginate di essere un aspirante scrittore cinquantenne frustrato al quale il destino ha regalato sembianze identiche a quelle di uno dei maggiori registi italiani; perché allora non tentare di sbarcare il lunario ed emergere dall’anonimato fingendo di “Essere Nanni Moretti”? L’ultimo esilarante romanzo di Giuseppe Culicchia, edito da Mondadori.

Protagonista Bruno Bruni, scrittore molto di nicchia con l’ambizione -mancata- di scrivere il Grande Romanzo Italiano capace di far man bassa dei premi letterari più prestigiosi delle patrie lettere. Diciamo che la realtà è tristemente diversa dai suoi sogni di gloria …e lui che si inventa? Semplicemente sfrutta la somiglianza avuta in sorte, si fa crescere la barba e si spaccia allegramente per il regista più schivo d’Italia. Di più non vi racconto…posso dire che c’è molto più del semplice scambio di identità… e vi consiglio di leggerlo.

Perché è una spassosissima ed intelligente storia che prende in giro lo star system letterario e questa becera contemporaneità in cui conta di più essere popolari che davvero talentuosi. E Culicchia che, dai tempi del primo strepitoso successo “Tutti giù per terra”, è cresciuto in bravura e ironia, senza mai montarsi la testa, tenendosi ben lontano dalla spocchia e dai vezzi di certo milieu letterario è perfetto per maneggiare l’argomento con la sua consolidata verve.

Come ti è venuta l’idea di questa storia?

«Per una serie di fattori. Anni fa mi venne rubata l’identità: qualcuno si era presentato ad una finanziaria chiedendo un prestito a mio nome. E dovetti dimostrare di essere me stesso e non quello che si era spacciato per me. La cosa è bizzarra, uno è abituato a pensare che al massimo gli rubino la macchina, e all’epoca mi aveva fatto molto riflettere. Tempo dopo, ho letto su un quotidiano inglese di un signore identico a Stanley Kubrick che si spacciava per il regista e sfruttando la somiglianza si faceva invitare a destra e a manca. Ovviamente approfittava del fatto risaputo che Kubrick non aveva vita sociale, era una sorta di monaco guerriero auto recluso nella sua magione, non prendeva mai l’aereo e addirittura si faceva costruire i set dei film a due passi da casa».

Perché proprio Nanni Moretti?

«Perché era l’unico regista italiano che avesse una vita appartata, non dico monacale come quella di Kubrick, ma di sicuro è impossibile trovarlo nelle gallerie fotografiche di Dagospia o nei settimanali di gossip».

L’hai conosciuto di persona?

«L’unica volta che l’ho incontrato era da Fiorio e quando gli ho chiesto se era proprio lui….mi ha risposto “No, non sono Nanni Moretti”».

Al di là del divertimento, è anche un acuto romanzo sull’arte di arrangiarsi nella vita ed una metafora dei tempi che corrono: di oggi cosa ti disturba di più?

«Da un lato che sia stata sistematicamente distrutta ogni parvenza di diritto al lavoro per i giovani.

30 anni fa sarebbe stato inconcepibile un mercato del lavoro che prevede questo precariato capillare e atroce, non permette di progettare un futuro e in cui tutti diventano lavoratori a cottimo. D’altro canto, mi disturba la grande rassegnazione di fondo di chi subisce questo stato di cose, come se ormai fosse scontato. Spero che prima o poi le cose cambino; anche perché nell’arco di qualche decennio verrà a mancare l’ultima generazione che ha potuto godere di una pensione almeno dignitosa. Chi oggi ha 20-30 anni si troverà a vivere la 3° età in condizioni difficilissime».

Poi c’è un altro piano di lettura, quello dell’odierna sete di protagonismo…

«E’ un altro segno dei nostri tempi. Il famoso quarto d’ora di celebrità preconizzato da Andy Warhol a fine anni 60 è diventato i 5 secondi di fama odierna quando fai un tweet o su facebook ottieni 10 o 1 milione di like. C’è un po’questa ossessione collettiva, scatenata, credo, soprattutto dal mezzo televisivo; l’improvvisa celebrità di persone che non hanno particolari meriti né talento».

Perché le pagine più cattive sono dedicate proprio a te?

«Perché mi sono messo in gioco ed ho voluto entrare nei panni di chi mi detesta. Si vorrebbe sempre piacere a tutti; ma è impossibile e forse sarebbe anche un po’ pericoloso. Preferisco suscitare amore e odio: il protagonista del libro è tra quelli che non mi sopportano» .

Quanto ti sei divertito con questo romanzo?

«Moltissimo… molto spesso ridevo scrivendolo».

Hai per caso avuto dei riscontri da Nanni Moretti?

«Su suggerimento dell’ufficio legale Mondadori, gli avevo mandato il manoscritto, perché di fatto stavo usando il suo nome ed era bene che lo leggesse prima. Dopo circa 9 mesi mi ha chiamato dicendo che stava lavorando a un copione e non aveva tempo di leggerlo e mi ha chiesto di riassumere la storia. Così gliel’ho raccontata al telefono: si è divertito all’idea …e in maniera molto generosa mi ha dato il suo ok. Di questo lo ringrazierò per sempre».

Pellegrini e viandanti sulle vie delle montagne

“Pellegrini e viandanti sulle vie delle montagne dal Medioevo ai tempi moderni” è il titolo del convegno che si terrà sabato 20 maggio 2017 nella splendida cornice del Convento Francescano del Monte Mesma, ad Ameno (No), sulle colline che sovrastano il lago d’Orta. Nella ricorrenza dei trent’anni del convegno “Medioevo in cammino. L’Europa dei pellegrini”, tenutosi a Orta nel settembre del 1987, l’Associazione storica Cusius, La Storia nel futuro e la Fondazione Enrico Monti propongono a studiosi e appassionati di rimettersi in cammino. Un cammino di studio lungo le strade del Cusio, delle Alpi e dell’Europa, le antiche vie di pellegrini e viandanti dal medioevo all’età moderna. Se l’esperienza di studio di trent’anni fa era stata una pietra miliare per il mondo culturale cusiano, e importante riferimento a livello internazionale sul tema delle itineranze medievali,questo convegno vuole essere un ulteriore apporto allo studio di un argomento affascinante e ancora in parte inesplorato,alla vigilia delle celebrazioni del millenario della nascita di San Bernardo delle Alpi, patrono degli alpinisti, dei montanari e dei pellegrini. “I sentieri montani erano percorsi anche per recarsi in spazi sacri in occasione dei riti di passaggio: nascita, matrimonio, morte. Nelle Alpi sorsero molti santuari à répit, dove si portavano i bimbi morti senza battesimo, che la Chiesa destinava al limbo, per una breve resurrezione che permetteva d’amministrare il sacramento, salvandoli così dalla dannazione eterna”, come ricorda Fiorella Mattioli Carcano. Nell’alto medioevo, tra l’età carolingia e la fondazione dell’Ospizio del Gran San Bernardo (XI secolo), le Alpi erano ancora chiuse, selvagge e inabitate.

Erano rari i pellegrinaggi attraverso il cuore del massiccio. “ Nell’VIII secolo, a 1650 metri di quota, lungo la via del Summus Poeninus, sorse tuttavia il più alto monastero-ospizio del tempo, a Bourg-Saint-Pierre, “ad radicem montis”, commenta lo storico Enrico Rizzi, che parlerà al convegno degli antichi passaggi, sostenendo come vicende considerate ormai assodate, come le invasioni saracene e il loro presidio dei valichi alpini, vadano ripensate criticamente. Con uno sguardo su Alpi, cammini dei pellegrini, ospizi, colonizzazione della montagna, dove  tutto si aprì  solo nell’XI secolo, nell’età di San Bernardo. Il programma prevede, al mattino – dopo le introduzioni di Fiorella Mattioli Carcano,presidente dell’Associazione Cuscus, e di Lino Cerutti,vicepresidente di La Storia nel futuro – quattro relazioni:  Giancarlo Antenna, professore emerito di storia medioevale all’Università Cattolica di Milano e Accademico dei Lincei (Frati agostiniani che camminano in Europa (1572-1574). Da un manoscritto agostiniano edito da Claudia Castellani);Enrico Rizzi,storico della regione alpina, Presidente della Fondazione Monti (Le Alpi dei pellegrini nel Medioevo profondo (IX-XIsecolo);Fiorella Mattioli Carcano, storica del Cristianesimo e vicepresidente della Consulta permanente Unesco per i Sacri Monti (Camminare la montagna nei riti di passaggio e di ricognizione); Battista Beccarla,storico del Medioevo e della Chiesa novarese (L’apertura del Sempione – prima del marzo 1200-e la concomitante nascita della “Via francisca novariensis”, itinerario transalpino di commercianti e pellegrini). Al pomeriggio, prima dello spazio dedicato al dibattito e al confronto, ci saranno altri tre interventi: Simone Riccardi, storico dell’arte, ricercatore Università Cattolica di Milano (Sculture lignee tedesche in Piemonte sulle vie dei pellegrini);Michela Cometti, storica dell’arte, responsabile del patrimonio iconografico arte antica della Fondazione Torino Musei (Viandanti e pellegrini tra ‘500 e ‘600. Considerazioni su alcune fonti documentarie);Dorino Tuniz,docente di Storia della Chiesa Istituto Superiore di Scienze Religiose (Un acuto osservatore delle realtà territoriali: Carlo Bascapè, le montagne e i pellegrinaggi del Novarese).

M.Tr.

LELE BOCCARDO, IL NOIR APPRODA AL SALONE DEL LIBRO

 
Successo di critica e pubblico per l’autore torinese del libro musicale del momento

Domenica 21 maggio, alle ore 18, nella prestigiosa cornice del Salone del Libro di Torino, presso la ‘Sala Romania’, avrà luogo la presentazione del noir ‘Il Rullante Insanguinato’ (Sillabe di Sale Editore), il romanzo musicale del momento scritto dal noto giornalista e critico musicale Lele Boccardo. Il libro, uscito il 16 marzo 2017, ha fatto registrare un tale successo di critica e pubblico, imponendosi da subito come uno dei prodotti più richiesti nelle librerie e sui media. Ambientato tra Torino e Piemonte, giocato tutto su una serie di omicidi di importanti e affermate tribute band italiane, il volume vanta la doppia prefazione di Andrea Mingardi, cantautore e bluesman, e del noto giornalista e press agent Maurizio Scandurra. A presentare l’opera, oltre a Lele Boccardo, interverranno anche Maurizio Scandurra, Piero Partiti, Presidente di ‘Sillabe di Sale Editore’ e il celebre cantautore Valerio Liboni, già leader e batterista de ‘I Nuovi Angeli’, storico gruppo pop della musica italiana. “Sono felice del riscontro ottenuto da ‘Il Rullante Insaguinato’. Un risultato importante, conseguito sull’onda della passione, che segna il primo capitolo della mia avventura letteraria nel mondo del thriller”, commenta entusiasta Lele Boccardo.

Square Festival, le arti scendono in piazza

1 piazza, o meglio 1 quartiere, 4 discipline artistiche, 10 giorni, oltre 100 artisti, 30 performances e 40 locali coinvolti…

Sarà il Quadrilatero Romano di Torino, quartiere storico e centro pulsante della movida della città, il palcoscenico della prima edizione di Square Festival, l’evento culturale nato per promuovere l’arte nella sua forma più immediata, pura e pop, al di fuori dai soliti canali di fruizione (fiere, gallerie, teatri…), portandola letteralmente “in piazza”, rendendola inclusiva, gratuita, facilmente accessibile e godibile da tutti coloro che amano vivere la città nella sua fervente completezza.

Dieci giorni (dal 17 al 27 maggio) di spettacoli, mostre, performances e installazioni aperte e gratuite per torinesi e i turisti: una maratona culturale che dà l’opportunità ad oltre 50 artisti emergenti (provenienti da diverse parti d’Italia e dalla Francia) di esibirsi e farsi conoscere dal grande pubblico.

L’idea è nata circa un anno fa, quasi per scherzo, da una conversazione tra due amici: Danilo D’Amico, giovane storico dell’arte laureato all’Università di Torino, da sempre appassionato di letteratura, e Alessandro Grassi, proprietario del cocktail bar Quadrix. Quattro chiacchiere di “due amici al bar” diventate presto realtà: in poco tempo la squadra si è arricchita di altri sei giovani amici torinesi (tutti under 35) accomunati da grande intraprendenza e un forte amore per l’arte, che hanno messo a disposizione le loro personali competenze e dato vita all’Associazione Artiversum, organizzatrice di quello che in poco tempo è diventato un vero e proprio festival: Square.

Quattro le discipline artistiche coinvolte: arte contemporanea (pittura, scultura, fotografia, video arte, street art…), teatro (improvvisazione, teatro dell’assurdo, prosa, teatro dialettale piemontese…), letteratura (reading di poesie, “battle-poetry”, convegni, presentazione di libri…) e danza contemporanea.

Tanti i negozi, i ristoranti, i cocktail bar e gli spazi culturali (musei, atelier artistici, associazioni…) che hanno aderito all’iniziativa e che, per tutta la durata del festival, ospiteranno le esposizioni di un singolo artista, di più artisti o di una collettiva. Mostre temporanee alle quali ogni sera verranno affiancati, dalle 20.00 a mezzanotte, eventi dal vivo – performances d’arte, spettacoli di danza, rappresentazioni teatrali e happening letterari – che si svolgeranno sia all’interno che all’esterno dei locali coinvolti.

Già nel nome, “square”, è racchiusa la duplice anima della manifestazione: le quattro discipline artistiche, concepite come parte di un unico grande elemento così come i quattro lati identici che formano un “quadrato”, e l’idea di “piazza”, intesa come parte focale del circuito urbano, luogo di scambio ed aggregazione nella quale portare concretamente l’arte e la cultura, per renderle accessibile a tutti.

Un festival tutto torinese, “nato dal basso”, dove ogni artista è libero di mostrare la propria arte senza restrizioni, quote partecipative o vincoli tematici prestabiliti.

Un’iniziativa nuova, fresca, giovane, ambiziosa: Square Festival si propone di diventare un’offerta di intrattenimento fissa per la città di Torino, un’opportunità unica per artisti e fruitori, una manifestazione che sa valorizzare un’area urbana dalla grande valenza storico culturale.

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Link al programma completo dell’evento, partner e locali aderenti: http://bit.ly/2ql8dmN

 

Square Festival è organizzato dall’associazione culturale ARTIVERSUM, fondata nel gennaio 2017, e composta da un gruppo di giovani amici/collaboratori under 35: Danilo D’Amico (presidente – direttore artistico arti visive e letteratura), Luca Albonico (direttore artistico arti visive), Noel Colledani (direttore artistico danza), Giulio Occhipinti (direttore artistico teatro), Alessandro Grassi (vice presidente – tesoriere), Daniele Carparelli (segretario), Francesco Bianco (Brand Manager & Graphic Designer), Lucas Vigliocco (web designer).

Sgarbi al Salone per il libro di Quaglieni

Dal suo angolo  privilegiato l’autore ha incontrato e conosciuto da vicino molte personalità di cui ha scritto in “Figure dell’Italia civile”

Domenica 21 maggio, ore 17.30-18.30, Spazio Eventi: presentazione di Figure dell’Italia civile di Pier Franco Quaglieni (insieme all’autore intervengono Vittorio Sgarbi, Annella Prisco e Valter Vecellio. Introduce: Marina Rota). Amendola, Bobbio, Calamandrei, Casalegno, Chabod, Montanelli, Olivetti, Spadolini, Tortora e tanti altri protagonisti raccontati da chi ne è stato allievo o amico, una serie di scritti che Quaglieni arricchisce ricostruendo la storia dei rapporti tra il Centro “Pannunzio” e le diverse personalità che animano il libro. Il ritratto a tutto tondo dell’Italia civile, con episodi del tutto inediti e poco convenzionali, in alcuni casi persino politicamente “poco corretti”.

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L’AUTORE
Pier Franco Quaglieni, docente e saggista di storia risorgimentale e contemporanea, è pubblicista dal 1968. È direttore del Centro Pannunzio, che  ha contribuito a far crescere a fianco di Arrigo e Camillo Olivetti, Mario Soldati, Alessandro Passerin d’Entrèves. Dal suo angolo  privilegiato ha incontrato e conosciuto da vicino molte personalità di cui ha scritto in questo libro. È conferenziere invitato in tutta Italia e all’estero. È dirigente della Fondazione Volontari della Libertà. All’età di 47 anni è stato insignito dal Presidente della Repubblica della Medaglia d’oro di I classe di Benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte. Ha vinto, tra gli altri, i premi “Voltaire”, “Tocqueville”, “Popper” e “Venezia”. Ha scritto di lui Aldo Cazzullo: “È un cavaliere solitario che da decenni tiene viva la memoria di una grande tradizione culturale spesso misconosciuta”. Massimo Gramellini ha, a sua volta, affermato: “È un liberale del Risorgimento nato nel secolo sbagliato. Per nostra fortuna”.

Una bugia con gli occhi azzurri

Le  poesie di Alessia Savoini

Eravamo nella mia testa e ci dicevamo il male che ancora non ci eravamo fatti, circoscritti nel buio di una folla ubriaca, circostante. È un demone intrappolato in quei fottuti occhi oceano, cerco la scelta sbagliata nei loro occhi, ma in quegli sguardi non c’è nessun demone. Eravamo nella mia testa, perché incontrarlo avrebbe dato importanza alle bugie di vite che non avremmo vissuto. E a cui, però, forse, abbiamo entrambi creduto per un qualche istante. Mi ferì lo sguardo di colpa, ghiacciato a schegge azzurre a contornare pupille a spillo, senza nemmeno riuscire ad ammettere di aver cambiato idea. Bugiardo carnefice di disillusioni spezzate, mi lasciò sola in mezzo al sudore e all’odore di respiri, inalati e rubati in una vecchia scuderia, in centro città. Per questo, ciò che avvenne dopo, fu un incontro nella mia testa, dove tutto era possibile, anche non averlo desiderato tanto.

Il jazz “barricadero” dei Gogo Penguin

In collaborazione con Salone del Libro di Torino Sweet Life Society

 

 

Il jazz “barricadero” dei Gogo Penguin sarà il protagonista del live previsto per giovedi 18 maggio nello spazio Open Incet di Torino e firmato Jazz:Re:Found. Ormai celebri grazie a performance di successo, che dalla città natale li hanno portati ai palcoscenici di Londra, Parigi e Montréal, i Gogo Penguin si indirizzano ad un pubblico trasversale, che spazia dagli appassionati di jazz ad una audience più giovanile e più solita a pensare alla musica senza distinzioni e barriere fra i generi. Un live fortemente voluto ed inserito anche nel nuovo cartellone di eventi previsti per il Salone Internazionale del Libro OFF, all’interno del programma di Book Circus presentato dagli The Sweet Life Society.

 

Il live del trio inglese è inserito all’interno della rassegna “HeyDey”, la costola primaverile/estiva del Jazz:Re:Found, pensata per celebrare i dieci anni del festival e il viaggio che lo ha portato a crescere e a diventare un appuntamento internazionale. Una rassegna ricca di collaborazioni in cui l’ultimo appuntamento degli “HeyDey”, previsto per luglio a Milano, passerà il testimone alle previews autunnali della decima edizione di Jazz:Re:Found 2017.

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GOGO PENGUIN: http://gogopenguin.co.uk/

 

Ormai celebri grazie a performance di grande successo che dalla città natale li hanno portati ai palcoscenici di Londra, Parigi e Montréal, i GoGo Penguin – che hanno nel curriculum anche una nuova colonna sonora per il film-mito “Koyaanisqatsi” – si indirizzano ad un pubblico trasversale, che spazia dagli appassionati di jazz ad una audience più giovanile e più solita pensare alla musica senza distinzioni e barriere fra i generi. Le linee melodiche del pianista Chris Illingworth, d’influenza classica, vengono filtrate dall’energia “dance” del bassista Nick Blacka e dal batterista Rob Turner. Il trio piano-basso-batteria di Manchester propone un jazz moderno e contaminato da ritmi tipici della musica elettronica.

Ma non c’è un vero leader: ogni membro del gruppo s’ispira agli altri e ne adotta le idee. Se la strumentazione è quella archetipica del trio di pianoforte, con idee influenzate dal jazz e dalla musica classica, i loro ritmi sono di netta ispirazione elettronica. Da questo incontro fortunato è scaturito un suono unico e si presentano al pubblico con un affascinante repertorio di grande ricchezza emotiva. Un sound che è stato descritto come “elettronica acustica”, un termine che riassume perfettamente il loro modus operandi. “Molti dei pezzi di questo album sono iniziati come composizioni elettroniche che ho creato con sequencer come Logic o Ableton”, afferma il batterista Turner, “li ho poi proposti alla band trovando il modo di riprodurli acusticamente”.

Le influenze apparentemente disparate di elettronica, jazz e musica classica nel dna musicale dei GoGo Penguin risaltano in un suono immediatamente riconoscibile e convincente. “Man Made Object” è il loro ultimo lavoro, uscito lo scorso febbraio 2016 per l’etichetta Blue Note.

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GOGO PENGUIN

18 Maggio 2017 

Spazio Open Incet

via Francesco Cigna 96/17 

 

Ingresso gratuito

 

Bruno Munari. Artista totale

“Un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada – Noi non facciamo lampade, signore – Vedrete che le farete. E così fu”. A profetizzarlo (e a raccontare l’accaduto) con buona cognizione di causa, sia pure in un contesto quanto meno bizzarro, fu il grande Bruno Munari (Milano 1907 – 1998), che proprio utilizzando una maglia elastica tubolare prodotta nel calzificio di cui sopra, e che prendeva forma mediante l’inserimento di anelli metallici di vario diametro, disegnò e realizzò – nel ’64 per Danese- la lampada da soffitto “Falkland”, ancora oggi fra le più note del design italiano. L’ennesimo lampo di genio di un Maestro dalla poliedrica attività creativa, fra le figure più significative della cultura artistica internazionale del XX secolo, cui il Museo “Ettore Fico” di Torino dedica, fino al prossimo 11 giugno, un’importante rassegna espositiva curata da Claudio Cerritelli. Già il titolo – Bruno Munari. Artista totale – la dice lunga. In esposizione sono infatti oltre 300 opere che raccontano la multiforme ricerca e la mai doma voglia di sperimentazione di questo “leonardesco” artista. Al MEF, Munari viene infatti ricordato attraverso un ampio excursus delle sue operazioni creative: disegni, progetti, collage, dipinti, sculture, i suoi divertenti “libri illeggibili” (dove le parole spariscono fra carte dai colori diversi, con strappi, fori e fili che attraversano le pagine), oggetti di industrial design nonché esperienze di grafica editoriale e fantasiose proposte didattico- pedagogiche. Sono le tappe salienti di un lungo iter creativo, che corre dagli anni Trenta ai Novanta, solcate da un artista impossibile da etichettare in modo categorico e definitivo, pur raccontandone gli iniziali afflati astratti (nel ’48 fu fra i fondatori del MAC) e le premesse futuriste delle “tavole tattili” o della tempera “Futurista” del ‘31, sviluppate via via con fanciullesca lievità in “mirabilia” dal sapore quasi barocco: ecco allora le “sculture aeree” sospese nel vuoto, le “macchine inutili”, così come i “concavi-convessi” (nuvole in fil di ferro svolazzanti lungo i soffitti del corridoio museale), fino alle “sculture da viaggio” sfidanti la retorica della scultura monumentale. Opere in cui si fondono ironia, divertissement e quell’eterno spirito infantile che permette “di conservare– scriveva Munari – la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare”. Ben documentata anche la famosa serie “matematica” delle “Curve di Peano” del ’74 e il ciclo dei “Negativi-positivi” che lo impegna per quarant’anni, facendone una sorta di istrionico “operatore visivo”, creatore di effetti ottici mai univoci. Un autentico vulcano di idee. Ben attento, tuttavia, alla necessaria coesistenza di “regola” e “caso”, pur se capace di inventarsi qualcosa di sorprendente come le ludiche “Forchette parlanti”, o le “Scritture illeggibili di popoli sconosciuti” insieme a giochi grafici e ad altre “stramberie” quali la serie delle “cartoline modificate”. Un ricco campionario di oggetti che raccontano “meraviglie” mai più viste, inducendo a un sorriso che ci accompagna un po’ ovunque lungo gli spazi del Museo di via Cigna. In mostra c’è perfino un’improbabile “Sedia per visite brevissime”: nove esemplari progettati nel ’45 per la Zanotta, in noce lucidato a cera con intarsi e sedile in alluminio anodizzato. Particolarità più evidente: la seduta inclinata a 45° che probabilmente vuole proprio suggerire all’ospite poco gradito di non fermarsi troppo. Design? Gioco? O forse oggetto su cui impostare chissà quale diavoleria di disquisizione filosofica? Macché: la sedia di Munari “è intelligenza, è divertimento, è arte”. Poiché, come lui stesso ci insegna, “l’arte perde di significato proprio quando si cerca di capirla”.

Gianni Milani

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“Bruno Munari. Artista totale”

Museo “Ettore Fico”, via Cigna 114, Torino, tel. 011/853065, www.museofico.it

Fino all’11 giugno

Orari: merc. – ven. 14 – 19, sab. e dom. 11 – 19

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Nelle immagini:

I) Bruno Munari: “Positivo-Negativo”, 1995, collage e acrilico su cartone

II) Bruno Munari: “Scultura da viaggio”, 1959, cartoncino

III) Bruno Munari: “Futurista”, 1931, tempera su cartone
IV) Bruno Munari: “Sedia per visite brevissime”, 1945, noce e alluminio anodizzato

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AL MEF ANCHE “PETROLIO” DI COSIMO VENEZIANO

Fino al 16 aprile il MEF ospita anche “Petrolio”, rassegna dedicata al giovane Cosimo Veneziano, moncalierese ma operante in Inghilterra, a Leeds. Ideate appositamente per gli spazi del Museo, le opere di Veneziano – presentate da Elena Forin – indagano il vasto universo di immagini del patrimonio sociale, architettonico e urbano, incentrandosi in modo particolare sulla natura dei monumenti e sulla loro identità contemporanea. Molto particolare é il corpus di disegni a china su feltro industriale che degli stessi monumenti prevedono la copertura parziale. Un atto di denuncia contro le barbarie umane e un invito al dialogo con la città.

g.m.

Stabile, Martone se ne va e arriva Binasco

Presentata al Carignano la stagione 2017/18


 

Una conferenza stampa “altra”, come credo non se ne fossero mai viste. Titoli, percentuali in crescita, parterre di attori, produzioni e ospitalità, ma in primo luogo s’è dovuto combattere con la lacrima che è lì lì per venir fuori, con il groppo in gola, con l’interruzione momentanea di una lettura, con l’abbraccio prolungato, con la pacca d’incoraggiamento o d’affetto: è il giorno finale di Mario Martone che, dopo dieci anni di fervore e a tratti di vera genialità, fa le valigie e passa il testimone a Valerio Binasco. Con un colpo basso, per legare il passato e il futuro, come da un cilindro, in maniera inaspettata, Filippo Fonsatti, direttore dello Stabile torinese – Teatro Nazionale, lancia sullo schermo alle sue spalle un’immagine che ritrae Martone e Binasco sul set di Noi credevamo, l’uno regista e l’altro attore pronto a raccogliere i suggerimenti: ed è un’immediata standing ovation. Dice oggi Martone: “Ciò che oggi mi colpisce è ricordare con quanta energia scrivevo il personaggio che Valerio avrebbe interpretato in Noi credevamo, come lo osservavo nel buio a prepararsi per la sua entrata in scena nell’Edipo a Colono, come ho pianto di commozione quando l’ho visto abbracciare, nei panni di Pietro Giordani, il giovane Leopardi sul set”. La staffetta è pronta, il testimone è già nell’altra mano. E ancora i ringraziamenti, a quanti l’hanno accompagnato in questi dieci anni, al gioco di squadra, a quella telefonata inattesa di Evelina Christillin, “io non avevo nessuna intenzione di tornare a dirigere un Teatro Stabile ma lei mi convinse, e oggi gliene sono profondamente grato; quando volevo lasciare lo Stabile qualche anno fa di nuovo mi convinse a restare, e di nuovo sono felice e grato di averla ascoltata”.

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Poi si entra nell’ufficialità e Fonsatti snocciola dati su dati, che sono il fiore all’occhiello dell’Ente. Lo Stabile si conferma saldamente al secondo posto tra i Teatri Nazionali nella classifica ministeriale e per il decimo anno consecutivo il bilancio si è chiuso in pareggio a 12.825.488 euro, ai tagli dei trasferimenti agli enti locali si risponde con sempre maggior impegno e con la vicinanza della Città e della Regione, per il “raggiungimento di obiettivi ambiziosi”, utili anche a una prepotente ricaduta nello sviluppo del territorio: “A riprova di tale capacità – illustra Fonsatti – ora è ufficiale che il Teatro Stabile e la Scène Nationale de Chambéry et de la Savoie hanno vinto un bando europeo Interreg Alcotra aggiudicandosi un finanziamento di 1.650.000 euro sull’”Ricerca e innovazione”, che avrà una significativa ricaduta occupazionale”. E ancora, guardando ai recenti due anni, c’è stata una crescita di recite (da 315 a 354), con un aumento del 12,5%, il numero di biglietti venduti in sede e fuori cresce dell’8%, il fatturato per la vendita di spettacoli vede uno straordinario 85% in più, il numero degli abbonati continua a salire, da 17.579 a 18.381 ovvero del 4,5%, per finire con il dato riguardante il 2016, allorché per la produzione dei 14 titoli per le suddette 354 recite hanno lavorato per lo Stabile complessivamente 227 persone tra dipendenti, artisti e tecnici scritturati, essendo il 51% under 40. Se c’è una nota dolente, è l’aumento del costo degli abbonamenti del 7%, pur restando invariati i prezzi per gli studenti.

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Per quando riguarda il cartellone, che porta il titolo di “Playlist”, si elencano 16 produzioni, di cui 5 nuove esecutive, 6 nuove coproduzioni e 5 riprese, con 29 spettacoli ospiti e 24 programmati per Torinidanza. Si prende il via il 9 ottobre con Disgraced del quarantasettenne pakistano Ayad Akhtar, interpreti Paolo Pierobon e Fausto Russo Alesi, per la regia dell’austriaco Martin Kušej, oggi direttore del Residenz Theater di Monaco di Baviera, un testo attualissimo, un atto unico che esplora temi come la libertà di parola e il bisogno di sentirsi integrati, vincitore del premio Pulitzer nel 2013. Ancora produzioni dello Stabile, da Binasco (a proposito, a chi stende queste note ha confessato in mattinata “ci divertiremo!”, con un sorriso stampato largo così), pronto a iniziare la propria avventura con il Don Giovanni di Molière (ad aprile), a Jurij Ferrini che proporrà le goldoniane Baruffe chiozzotte (tra novembre e dicembre), da Fabrizio Falco che, dopo le prove di Giordano (il loro Galois sarà ripreso al Gobetti nel mese di ottobre per partire poi in tournée in Italia) e di Leopardi, porta in scena L’illusion Comique di Pierre Corneille, capolavoro del teatro barocco, al Lewis Carroll di Alice nel paese delle meraviglie sotto lo sguardo di Marco Lorenzi. Per quanto riguarda le coproduzioni, Andrea De Rosa metterà in scena Le Baccanti con Cristina Donadio e attesissime, coprodotte con l’Odeon di Parigi, Les trois soeurs cecoviane, modernissime, uno spettacolo diretto dal trentatreenne di Basilea e talentoso Simon Stone, tra gli interpreti Valeria Bruni Tedeschi, reduce da quel capolavoro interpretativo che è la sua Beatrice nella Pazza gioia di Virzì e dalla vittoria del David di Donatello; e ancora la tragedia di Antigone riletta da Antonio Piccolo attraverso i sentimenti del cugino Emone, un omaggio a Gianmaria Testa con Da questa parte del mare proposto da Giuseppe Cederna e Giorgio Gallione, Mistero buffo di Fo in cui Eugenio Allegri dirigerà Matthias Martelli e i Marcido Marcidorjs che con la riscrittura di Marco Isidori porteranno in scena uno speciale Lear, schiavo d’amore.

 

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Tra le riprese, l’applaudissimo Sindaco di rione Sanità eduardiano diretto da Martone (una lunga tournée da gennaio a maggio, “uno spettacolo che tutti i teatri ci hanno richiesto”, dice orgoglioso Fonsatti, e infatti Milano Napoli, Bologna, Firenze, Roma per dire dei maggiori), Il nome della rosa dal romanzo di Eco per la regia di Leo Muscato, che debutta al Carignano il prossimo 23 maggio, L’Arialda di Testori, regia di Valter Malosti, interprete la più che promettente Beatrice Vecchione. Lungo l’elenco degli ospiti: Liliana Cavani e la Filumena di Eduardo, Silvio Orlando, Carlo Cecchi che torna a Pirandello con Enrico IV, Lavia al Carignano con Il padre di Stridberg, Toni Servillo che dirige e interpreta Elvira riprendendo le “Sette lezioni” di Louis Jouvet sulla seconda scena del IV atto del Don Giovanni, Alessandro Gassmann regista di Qualcuno volò sul nido del cuculo, tratto dal romanzo di Ken Kesey e dalla sceneggiatura dell’indimenticabile film di Milos Forman. Per le feste natalizie arrivano con un brivido i Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, messi in scena dallo spagnolo Ricard Reguant con Ivana Monti, Luciano Virgilio, Carlo Simoni e Mattia Sbragia.

Elio Rabbione

 

Al Regio il “Flauto magico” di Mozart

Approda al teatro Regio di Torino martedì 16 maggio prossimo alle ore 20 il mondo della “Zauberoper”, ovvero dell’opera magica, che pervade il “Flauto   Magico” di Wolfgang Amadeus Mozart. Si tratta di un genere particolarmente amato dal pubblico tedesco e contraddistinto da una commistione dei temi magico, comico e tragico. La regia di Roberto Andò è ripresa da Riccardino Massa, direttore dell’Orchestra e Coro del Teatro Regio sarà un esperto conoscitore del repertorio austro-tedesco, Asher Fisch.

Il cast è di primo ordine, da Ekaterina Bakanova nel ruolo di Pamina a Markus Werba in quello di Papageno, da Elisabeth Breuer nei panni di Papagena a Antonio Poli in quelli di Tamino e di Olga Pudova in quelli della Regina della Notte. Il Flauto Magico di Mozart nasce proprio come Zauberoper e molte sono le fonti che lo ispirano, tra cui la più accreditata è “Lulu, ovvero il flauto magico” di August Jacob Liebeskind. Mozart compose l’opera per l’amico massone Emanuel Schikaneder, attore e impresario teatrale che gestiva il Theater auf der Wieden di Vienna, in cui avvenne il suo debutto, e che ne compose il libretto. Egli fu anche il primo interprete di Papageno. L’opera andò in scena a Vienna per la prima volta il 30 settembre 1791, due giorni dopo la stesura finale da parte del compositore della partitura dell’ouverture, con il solenne triplice accordo iniziale,   e compendia in sé diversi generi, da quello drammatico, essendo un’opera seria con accenti drammatici, a quello buffo, essendo un’opera ricca di manifestazioni di gioia, leggerezza e ironia. Ma risulta anche un’opera sacra, proto-romantica, un turbinio di registri cui Mozart è riuscito a conferire un’unità compiuta. Un altro suo aspetto rilevante è quello della possibilità di una sua lettura su diversi livelli: l’approccio più immediato è quello della fiaba, dato dalla storia che tradizionalmente si dipana tra dame da salvare, prove, imprevisti e numerosi elementi fantastici. Letture più raffinate colgono i riferimenti della storia di ispirazione illuminista nella contrapposizione tra la luna e il sole, il bene e il male, il vero e il falso. Infine sono noti i rimandi al mondo della massoneria e ai suoi riti di iniziazione con il ritorno continuo del numero 3, sia musicalmente sia nei personaggi, i simboli, i richiami alla fratellanza e all’evoluzione dell’uomo nel superamento delle prove.

Si narra che Mozart in letto di morte avesse chiesto che gli venissero cantate le arie di Papageno. Eugenio Montale ha ritenuto il Flauto Magico il “capolavoro poetico dell’Illuminismo”.

 

Mara Martellotta