Intervista di Laura Goria
Immaginate di essere un aspirante scrittore cinquantenne frustrato al quale il destino ha regalato sembianze identiche a quelle di uno dei maggiori registi italiani; perché allora non tentare di sbarcare il lunario ed emergere dall’anonimato fingendo di “Essere Nanni Moretti”? L’ultimo esilarante romanzo di Giuseppe Culicchia, edito da Mondadori.
Protagonista Bruno Bruni, scrittore molto di nicchia con l’ambizione -mancata- di scrivere il Grande Romanzo Italiano capace di far man bassa dei premi letterari più prestigiosi delle patrie lettere. Diciamo che la realtà è tristemente diversa dai suoi sogni di gloria …e lui che si inventa? Semplicemente sfrutta la somiglianza avuta in sorte, si fa crescere la barba e si spaccia allegramente per il regista più schivo d’Italia. Di più non vi racconto…posso dire che c’è molto più del semplice scambio di identità… e vi consiglio di leggerlo.
Perché è una spassosissima ed intelligente storia che prende in giro lo star system letterario e questa becera contemporaneità in cui conta di più essere popolari che davvero talentuosi. E Culicchia che, dai tempi del primo strepitoso successo “Tutti giù per terra”, è cresciuto in bravura e ironia, senza mai montarsi la testa, tenendosi ben lontano dalla spocchia e dai vezzi di certo milieu letterario è perfetto per maneggiare l’argomento con la sua consolidata verve.
Come ti è venuta l’idea di questa storia?
«Per una serie di fattori. Anni fa mi venne rubata l’identità: qualcuno si era presentato ad una finanziaria chiedendo un prestito a mio nome. E dovetti dimostrare di essere me stesso e non quello che si era spacciato per me. La cosa è bizzarra, uno è abituato a pensare che al massimo gli rubino la macchina, e all’epoca mi aveva fatto molto riflettere. Tempo dopo, ho letto su un quotidiano inglese di un signore identico a Stanley Kubrick che si spacciava per il regista e sfruttando la somiglianza si faceva invitare a destra e a manca. Ovviamente approfittava del fatto risaputo che Kubrick non aveva vita sociale, era una sorta di monaco guerriero auto recluso nella sua magione, non prendeva mai l’aereo e addirittura si faceva costruire i set dei film a due passi da casa».
Perché proprio Nanni Moretti?
«Perché era l’unico regista italiano che avesse una vita appartata, non dico monacale come quella di Kubrick, ma di sicuro è impossibile trovarlo nelle gallerie fotografiche di Dagospia o nei settimanali di gossip».
L’hai conosciuto di persona?
«L’unica volta che l’ho incontrato era da Fiorio e quando gli ho chiesto se era proprio lui….mi ha risposto “No, non sono Nanni Moretti”».
Al di là del divertimento, è anche un acuto romanzo sull’arte di arrangiarsi nella vita ed una metafora dei tempi che corrono: di oggi cosa ti disturba di più?
«Da un lato che sia stata sistematicamente distrutta ogni parvenza di diritto al lavoro per i giovani.
30 anni fa sarebbe stato inconcepibile un mercato del lavoro che prevede questo precariato capillare e atroce, non permette di progettare un futuro e in cui tutti diventano lavoratori a cottimo. D’altro canto, mi disturba la grande rassegnazione di fondo di chi subisce questo stato di cose, come se ormai fosse scontato. Spero che prima o poi le cose cambino; anche perché nell’arco di qualche decennio verrà a mancare l’ultima generazione che ha potuto godere di una pensione almeno dignitosa. Chi oggi ha 20-30 anni si troverà a vivere la 3° età in condizioni difficilissime».
Poi c’è un altro piano di lettura, quello dell’odierna sete di protagonismo…
«E’ un altro segno dei nostri tempi. Il famoso quarto d’ora di celebrità preconizzato da Andy Warhol a fine anni 60 è diventato i 5 secondi di fama odierna quando fai un tweet o su facebook ottieni 10 o 1 milione di like. C’è un po’questa ossessione collettiva, scatenata, credo, soprattutto dal mezzo televisivo; l’improvvisa celebrità di persone che non hanno particolari meriti né talento».
Perché le pagine più cattive sono dedicate proprio a te?
«Perché mi sono messo in gioco ed ho voluto entrare nei panni di chi mi detesta. Si vorrebbe sempre piacere a tutti; ma è impossibile e forse sarebbe anche un po’ pericoloso. Preferisco suscitare amore e odio: il protagonista del libro è tra quelli che non mi sopportano» .
Quanto ti sei divertito con questo romanzo?
«Moltissimo… molto spesso ridevo scrivendolo».
Hai per caso avuto dei riscontri da Nanni Moretti?
«Su suggerimento dell’ufficio legale Mondadori, gli avevo mandato il manoscritto, perché di fatto stavo usando il suo nome ed era bene che lo leggesse prima. Dopo circa 9 mesi mi ha chiamato dicendo che stava lavorando a un copione e non aveva tempo di leggerlo e mi ha chiesto di riassumere la storia. Così gliel’ho raccontata al telefono: si è divertito all’idea …e in maniera molto generosa mi ha dato il suo ok. Di questo lo ringrazierò per sempre».


Fiorella Mattioli Carcano,presidente dell’Associazione Cuscus, e di Lino Cerutti,vicepresidente di La Storia nel futuro – quattro relazioni: Giancarlo Antenna, professore emerito di storia medioevale all’Università Cattolica di Milano e Accademico dei Lincei (Frati agostiniani che camminano in Europa (1572-1574). Da un manoscritto agostiniano edito da Claudia Castellani);Enrico Rizzi,storico della regione alpina, Presidente della Fondazione Monti (Le Alpi dei pellegrini nel Medioevo profondo (IX-XIsecolo);Fiorella Mattioli Carcano, storica del Cristianesimo e vicepresidente della Consulta permanente Unesco per i Sacri Monti (Camminare la montagna nei riti di passaggio e di ricognizione); Battista Beccarla,storico del Medioevo e della Chiesa novarese
(L’apertura del Sempione – prima del marzo 1200-e la concomitante nascita della “Via francisca novariensis”, itinerario transalpino di commercianti e pellegrini). Al pomeriggio, prima dello spazio dedicato al dibattito e al confronto, ci saranno altri tre interventi: Simone Riccardi, storico dell’arte, ricercatore Università Cattolica di Milano (Sculture lignee tedesche in Piemonte sulle vie dei pellegrini);Michela Cometti, storica dell’arte, responsabile del patrimonio iconografico arte antica della Fondazione Torino Musei (Viandanti e pellegrini tra ‘500 e ‘600. Considerazioni su alcune fonti documentarie);Dorino Tuniz,docente di Storia della Chiesa Istituto Superiore di Scienze Religiose (Un acuto osservatore delle realtà territoriali: Carlo Bascapè, le montagne e i pellegrinaggi del Novarese).
band italiane, il volume vanta la doppia prefazione di Andrea Mingardi, cantautore e bluesman, e del noto giornalista e press agent Maurizio Scandurra. A presentare l’opera, oltre a Lele Boccardo, interverranno anche Maurizio Scandurra, Piero Partiti, Presidente di ‘Sillabe di Sale Editore’ e il celebre cantautore Valerio Liboni, già leader e batterista de ‘I Nuovi Angeli’, storico gruppo pop della musica italiana. “Sono felice del riscontro ottenuto da ‘Il Rullante Insaguinato’. Un risultato importante, conseguito sull’onda della passione, che segna il primo capitolo della mia avventura letteraria nel mondo del thriller”, commenta entusiasta Lele Boccardo.

Introduce:
risorgimentale e contemporanea, è pubblicista dal 1968. È direttore del
Le poesie di Alessia Savoini
“Un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada – Noi non facciamo lampade, signore – Vedrete che le farete. E così fu”. A profetizzarlo (e a raccontare l’accaduto) con buona cognizione di causa, sia pure in un contesto quanto meno bizzarro, fu il grande Bruno Munari (Milano 1907 – 1998),
secolo, cui il Museo “Ettore Fico” di Torino dedica, fino al prossimo 11 giugno, un’importante rassegna espositiva curata da Claudio Cerritelli. Già il titolo – Bruno Munari. Artista totale – la dice lunga. In esposizione sono infatti oltre 300 opere che raccontano la multiforme ricerca e la mai doma voglia di sperimentazione di questo “leonardesco” artista. Al MEF, Munari viene infatti ricordato attraverso un ampio excursus delle sue operazioni creative: disegni, progetti, collage, dipinti, sculture, i suoi divertenti “libri illeggibili” (dove le parole spariscono fra carte dai colori diversi, con strappi, fori e fili che attraversano le pagine), oggetti di industrial design
nonché esperienze di grafica editoriale e fantasiose proposte didattico- pedagogiche. Sono le tappe salienti di un lungo iter creativo, che corre dagli anni Trenta ai Novanta, solcate da un artista impossibile da etichettare in modo categorico e definitivo, pur raccontandone gli iniziali afflati astratti (nel ’48 fu fra i fondatori del MAC) e le premesse futuriste delle “tavole tattili” o della tempera “Futurista” del ‘31, sviluppate via via con fanciullesca lievità in “mirabilia” dal sapore quasi barocco: ecco allora le “sculture aeree” sospese nel vuoto, le “macchine inutili”, così come i “concavi-convessi” (nuvole in fil di ferro svolazzanti lungo i soffitti del corridoio museale), fino alle “sculture da viaggio” sfidanti la retorica della scultura monumentale. Opere in cui si fondono ironia, divertissement e quell’eterno spirito infantile che permette “di conservare– scriveva Munari – la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare”. Ben documentata anche la famosa serie “matematica” delle “Curve di Peano” del ’74 e il ciclo dei
“Negativi-positivi” che lo impegna per quarant’anni, facendone una sorta di istrionico “operatore visivo”, creatore di effetti ottici mai univoci. Un autentico vulcano di idee. Ben attento, tuttavia, alla necessaria coesistenza di “regola” e “caso”, pur se capace di inventarsi qualcosa di sorprendente come le ludiche “Forchette parlanti”, o le “Scritture illeggibili di popoli sconosciuti” insieme a giochi grafici e ad altre “stramberie” quali la serie delle “cartoline modificate”. Un ricco campionario di oggetti che raccontano “meraviglie” mai più viste, inducendo a un sorriso che ci accompagna un po’ ovunque lungo gli spazi del Museo di via Cigna. In mostra c’è perfino un’improbabile “Sedia per visite brevissime”: nove esemplari progettati nel ’45 per la Zanotta, in noce lucidato a cera con intarsi e sedile in alluminio anodizzato. Particolarità più evidente: la seduta inclinata a 45° che probabilmente vuole proprio suggerire all’ospite poco gradito di non fermarsi troppo. Design? Gioco? O forse oggetto su cui impostare chissà quale diavoleria di disquisizione filosofica? Macché: la sedia di Munari “è intelligenza, è divertimento, è arte”. Poiché, come lui stesso ci insegna, “l’arte perde di significato proprio quando si cerca di capirla”.
