CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 770

Musei Reali: immagini di battaglie (mai esposte) alla Sabauda

ALBUM BATTAGLIEDomenica 19 febbraio alle ore 11.30 nella sala delle Battaglie della Galleria Sabauda Annamaria Bava e Giorgio Careddu presenteranno un inedito album contenente stampe di scuola francese dei secoli XVI-XVIII e un’acquaforte con la raffigurazione della Battaglia dell’Assietta provenienti dai depositi del museo.

 

Il prezioso album, fino ad oggi mai esposto, fu donato nel 1921 dal collezionista e valente numismatico Pietro Gariazzo: consta di 229 incisioni e sarà aperto nella pagina in cui sono applicate tre acquaforti raffiguranti altrettanti scene di battaglie, opera di Jacques Courtois detto il Borgognone, uno dei più qualificati interpreti di soggetti militari e pittore documentato nelle raccolte del principe Eugenio di Savoia.

 

L’incisione che riproduce la battaglia dell’Assietta, combattuta nel 1747, è invece opera del pittore Hyacinthe De La Peigne, che ebbe l’incarico da Carlo Emanuele III di eseguire una serie di battaglie a Palazzo Reale sull’esempio di quelle di Hucthenburg, ora esposte in Galleria Sabauda.

 

Le due opere, che verranno esposte mentre è ancora in corso la mostra L’occhio fedele. Incisori olandesi del Seicento, sostituiscono le due stampe di Jan Huchtenburg Assedio di Cuneo e Battaglia di Staffarda che per ragioni conservative devono essere tolte dall’esposizione in quanto il materiale cartaceo non può restare esposto alla luce per lunghi periodi.

 

Minetti, ovvero l’impossibilità di essere attori

Eros-PagniEros Pagni interpreta il testo di Thomas Bernhard

 È stato definito magnifico Eros Pagni nella sua interpretazione del testo “Minetti”, con sottotitolo “Ritratto di un artista da vecchio” di Thomas Bernhard, diretto da Marco Sciaccaluga e in scena al teatro Astra fino al 15 febbraio prossimo. Rappresentato per la prima volta nel 1976, Minetti è un testo costruito intorno alla figura di Bernhard Minetti (1905-1998), attore tedesco nato da genitori italiani immigrati in Germania, ritenuto uno dei più efficaci interpreti teatrali della seconda metà del Novecento. La piece ruota intorno a una riflessione appassionata sul ruolo dell’arte e, in particolare, del teatro, ma ancor più di quello dell’attore nella società. Nel cercare di dare una risposta, l’autore lega il comico al tragico in modo indissolubile, la realtà a una dimensione prepotentemente onirica. Nella notte di San Silvestro, complice l’infuriare di una tempesta, Minetti indugia nella hall di un hotel nella cittadina atlantica di Ostenda, dove attende l’arrivo di un direttore di teatro che vuole riportarlo sulla scena nel ruolo di Re Lear, dopo un suo allontanamento dalle scene di 32 anni. Nell’attesa parla di sé e della propria arte e, durante questo flusso di coscienza, si rivolge al personale dell’albergo (Marco Avogadro e Nicolò Giacalone) e anche a una signora dall’aria disincantata (Federica Granata) e a una ragazza in attesa del suo fidanzato (Daniela Duchi) L’allestimento diretto da Marco Sciaccaluga fa riemergere nella memoria il ricordo vivido di un altro spettacolo, Hotel Paradiso, della compagnia Familie Flotz.

Mara Martellotta

Teatro Astra, via Rosolino Pilo 6

Sabato ore 19, domenica ore 18

Info 0115634352

Accardo con Čajkovskij al Conservatorio

Ritorna a Torino un grande artista che ha costruito un pezzo di storia accardo gornadell’Unione Musicale: Salvatore Accardo sarà al Conservatorio di Torino domenica 19 febbraio, per la serie pomeridiana domenicale, con i musicisti del suo Quartetto – Laura Gorna, Francesco Fiore e Cecilia Radic – ai quali si aggiungono per l’occasione Simonide Braconi (prima viola dell’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano) e Amedeo Cicchese (primo violoncello dell’Orchestra del teatro Regio di Torino) con i quali collabora regolarmente.Termina con questo appuntamento il ciclo di due concerti dedicati alla musica da camera di Čajkovskij, parte della produzione dell’autore russo che merita un particolare interesse perché, seppur superata per notorietà da balletti, opere e sinfonie, offre una sintesi originale e perfetta di eleganza formale e intensità espressiva. Concisi, nobili e impeccabili dal punto di vista formale, i Quartetti per archi – composti da Čajkovskij nei primi anni Settanta dell’Ottocento (fra le prime tre e la Quarta sinfonia, fra Il lago dei cigni e Onegin) – rappresentano il fulcro della produzione cameristica del compositore russo e aprono uno spaccato sul suo approccio, scisso tra la profonda venerazione del Classicismo viennese e l’intento di “attualizzare” un genere ormai poco frequentato come il quartetto per archi. Ne consegue da una parte il rispetto delle forme tradizionali e dall’altra lo sforzo di ricondurre il quartetto nell’ambito della corrente nazionalistica russa, con l’adozione di materiale tematico di derivazione folklorica. A questo si aggiunge l’abilità di un autentico maestro del colore come Čajkovskij, che riesce a conferire un’incredibile ricchezza di sfumature anche ai soli archi, animati di pathos e teatralità. Il Sestetto op. 70 “Souvenir de Florence” è così chiamato perché voleva essere un omaggio affettuoso alla città toscana dove Čajkovskij trascorse un riposante soggiorno nell’inverno del 1890, nel corso della stesura de La Dama di picche. Non mancano nel Sestetto alcune tracce del lirismo cantabile delle opere italiane, verso cui l’autore nutriva sincera ammirazione, ma nel complesso la musica di questo lavoro rispecchia uno stile inequivocabilmente russo, specialmente nei suoi accenti vivaci e popolareschi. 

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Poltrone numerate, euro 30. In vendita presso la biglietteria dell’Unione Musicale e online su www.unionemusicale.it, ingressi, euro 20 – ingressi giovani fino a 21 anni, euro 10in vendita il giorno del concerto presso il Conservatorio dalle ore 16

BIGLIETTERIA E INFORMAZIONI:

tel. 011 566 98 11 – info@unionemusicale.itmartedì e mercoledì 12.30-17 – giovedì e venerdì 10.30-14.30

www.unionemusicale.it

Chiara Gamberale alla ricerca del senso della vita

gamberale2Chi siamo, cosa vogliamo, qual è il senso della vita? Le risposte le trovate in “Qualcosa” (Longanesi), l’ultimo libro di Chiara Gamberale che l’ha presentato al Circolo dei lettori di Torino, città a cui è legata da un feeling speciale. Poco meno di 200 pagine al confine sottilissimo tra romanzo e fiaba, toni lievi e surreali, parole accompagnate dalle illustrazioni di Tuono Pettinato (al secolo Andrea Paggiaro, vignettista-narratore tra i migliori sulla piazza) e concetti tostissimi. La scrittrice, conduttrice radiofonica e televisiva (finalista al Premio Campiello nel 2008 e autrice di best seller come “Avrò cura di te”, scritto a quattro mani con Gramellini) riflette su vita, amore, amicizia e dolore, partendo dallo spazio vuoto che alberga in ognuno di noi e che ci affanniamo a riempire in tutti i modi (im)possibili. Al centro della storia   la “Principessa qualcosa di troppo”, esagerata in tutto quello che fa e sente, senza limiti e ingorda di vita. Ma alla morte della madre, scopre di avere un buco al posto del cuore. Tenta allora di riempirlo cercando sollievo tra i ragazzini “Abbastanza”, ovvero quelli normali (e mediocri) e nell’ingannevole condivisione di Smorfialibro. Qui la parodia dei social è lampante, solo che la comunicazione è affidata a lenzuoli con la propria immagine appesi alla finestra. Poi s’innamora di 5 fidanzati che incarnano altrettanti archetipi maschili; ma, chi per un verso, chi per un altro, nessuno di loro riesce a salvarla. Strategica invece sarà l’amicizia con “Cavalier Niente” che in un lieto fine filosoficamente immenso le farà capire che “è il puro fatto di stare al mondo la vera avventura” e dobbiamo imparare ad accettarci senza cercare soluzione negli altri.

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E’ un tornado di spontaneità, pensieri e parole Chiara Gamberale. E s’illumina parlando della scommessa vinta con un desiderio che ha radici nella sua adolescenza: gamberale libro«Sognavo di trasferire i miei temi in un mondo come quello del “Piccolo Principe” o del “Visconte dimezzato” di Calvino”, per renderli ancora più chiari. Perché in un libro del genere la scrittura ti chiama a non sbrodolare» ci dice: «universi immaginati in cui poter chiamare le cose col loro nome: come il “troppo” della protagonista o i pretendenti ”il conte sempre triste”, “il duca sempre indignato”…e via così. Qui c’è tanta verità sul vuoto interiore e sulla fuga da noi stessi, argomenti ricorrenti nei miei libri, ma che qui sono presi di petto».

Come definirebbe “Qualcosa”?

«Una fiaba esistenziale che può essere letta a diversi livelli d’età. Narra ».

Ma come si trasforma il buco che abbiamo in passaggio segreto riempito con persone e cose non sbagliate?

«E’ possibile se non facciamo finta che i nostri dolori non ci siano. Se non giochiamo di rimozione; ma nemmeno ci affezioniamo troppo alla sofferenza, dimenticando che ai bordi di quel dolore possiamo costruire la nostra identità».

Lei ha capito il senso della vita?

«No, ma continuo a interrogarmi. Credo che proprio questa ricerca sia la vera avventura

dell’esistenza: con giorni in cui non pensiamo ci sia un senso, altri in cui invece lo troviamo».

Perché secondo Cavalier Niente “meno fai più sei”?

«Il non fare è una delle espressioni chiave del romanzo: non è il contrario di fare, quanto piuttosto spostarsi in un’altra dimensione dove si ha modo di so-stare e da quel momento in poi le cose che facciamo possono aver a che fare con i nostri desideri, non con i bisogni».

Un elogio del niente e uno della noia.

«Il primo è importantissimo perché ognuno di noi, a contatto col niente, può approdare alla sua originalità e personalità. E se si sopporta il cuscinetto della noia, si passa dal ritmo frenetico dei pensieri a quello più dolce delle idee e della fantasia».

E’ importante saper stare da soli?

«Fondamentale. Proprio quando riusciamo a stare in silenzio, senza condizionamenti delle voci di genitori, amici ed altro, ecco che finalmente arriva la nostra voce. Ognuno può trovare il suo modo. Io come esercizio di meditazione, ogni giorno, per almeno 10 minuti, mi isolo da tutto e guardo il soffitto. Il libro può essere anche un manuale di psicologia per trovare il modo di ascoltarci».

gamberale1L’ amore: per lei cos’è e qual è la dichiarazione più bella?

«Essere affamati di amore spesso ha a che fare più col nostro desiderio di essere amati che non con una reale disponibilità ad amare l’altro. A quasi 40 anni non ho più la voracità d’amore dei 16, ma passo dal bisogno al più autentico desiderio. La dichiarazione più bella è quella di un uomo che ti dica “non vedo l’ora di annoiarmi con te…”».

C’è una tipologia degli archetipi maschili più insidiosi?

«Nel libro ce ne sono 5, ma di fatto sono pericolosi tutti gli uomini con cui è impossibile instaurare un rapporto paritario e anziché fare da compagne ci inducono a fare da madre, figlia, sorella…..».

Ci salva l ’amicizia?

«Si, senza dubbio, con me lo fa tutti i giorni».

Come gestire il bisogno di sentirsi parte di qualcosa oggi che siamo iperconnessi tra social, selfie e condivisioni varie?

«Bisogna essere se stessi. Va bene far parte di una coppia o di un gruppo, ma non dobbiamo chiedere all’esterno di toglierci la responsabilità di scoprire chi siamo. Internet e i social sono strumenti straordinari se li si usa senza esserne usati; ma sono anche un attentato alla concentrazione. Io ad un certo punto mi sono difesa: per esempio non ho Internet né email sul telefonino, non ho un profilo privato facebook, anche se partecipo a quello dei miei lettori, e nel momento in cui ho rischiato di passare troppo tempo con Internet mi sono tirata i capelli ed ho letto tutta la Recherce di Proust».

Scrive che la morte “non significa che qualcuno se ne va, ma che tu resti”: come superare questo dolore?

«Non ho istruzioni da dare, posso solo dire che, anche se sembra un ossimoro, guadagnare una perdita si può. In questo sono fortunata perché ho così tanta paura della morte delle persone che amo, che tendo, anche ansiosamente, a dire loro quanto siano importanti per me, senza lasciare nulla d’irrisolto. Così facendo i lutti che ho subito, dopo il grande dolore, si sono trasformati in qualcosa che mi tiene compagnia, perché è un dialogo che per me continua».

Quando occorre dove si rifugia?

«Su un’isola. Ne sento il bisogno come persona e come scrittrice. La mia vita oscilla tra la parte vitale mole giardini2e molto ricca della promozione, importantissima perché, come adesso, incontro i miei lettori che sono fondamentali. Mentre per scrivere mi ritiro, in genere su isole. Per “Qualcosa” sono stata 3 mesi in quella greca di Milos, affascinante ma certo non mondana».

Il suo legame con Torino?

«Qui ho vissuto per 2 anni, quando in Rai conducevo “Parola mia” con Luciano Rispoli. E’ una città di cui amo il clima, la bellezza, le chiese, la gente, il mix di fascino e cose che funzionano, la collina e le montagne che la circondano. A Torino ho fatto incontri importantissimi, come quello con Luciano Segre, grande uomo, protagonista del mondo politico ed economico italiano e con Casa Oz. L’associazione Onlus che da 10 anni aiuta i bambini colpiti da gravi malattie e le loro famiglie. A loro devolvo la mia parte di proventi del libro».

5 cose per cui vale la pena vivere?

«L’amore e svegliarsi la prima volta con una persona che sentiamo sarà importante per noi. Gli amici e la complicità. Il mondo vastissimo, con tutte le cose che ancora non ho né visto né letto: perché dopo la scrittura, la cosa che amo di più è viaggiare ed è bello vivere perché esistono Islanda ed Australia, per dire 2 luoghi che non ho ancora attraversato. Poi le montagne che m’incantano, calmano ed ispirano: sono una sciatrice e una gran camminatrice. E poi è bello vivere perché ogni giorno è una risposta diversa a questa domanda».

 

Laura Goria

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Santuari à répit

santuari3Santuari à répit. Il rito del “ritorno alla vita” o “doppia mortenei luoghi santi delle Alpi”, di Fiorella Mattioli Carcano (Priuli & Verlucca editore) è un libro importante, frutto di una originale e impegnativa ricerca condotta dalla presidente dell’associazione storica “Cusius” sui “santuari del ritorno alla vita. Fiorella Mattioli Carcano, nata a Orta San Giulio (No), dove vive e opera, intellettuale colta e impegnata sugli studi relativi alla religione popolare, al culto mariano e ai Sacri Monti, con questo libro indaga e riflette su un rito, quello del “respiro” o della “piuma”,  che veniva praticato sulle Alpi quando un bambino moriva prima del battesimo. Al fine di salvare la sua anima dal limbo se ne portava il corpicino in una chiesa del “répit”, quasi sempre dei luoghi di culto mariani,  dove si pregava per ottenere una breve resurrezione che consentisse di battezzarlo. Un’usanza che si perde nella notte dei tempi, molto diffusa nel seicento, secolo complicato dove alla cultura barocca e alla nascita del pensiero scientifico moderno si sovrapposero l’epoca della peste, della crisi, delle guerre e della controriforma.

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Dai territori alpini della Francia alla Svizzera, dai confini del Tirolo alle alpi occidentali, questo rito si rendeva necessario per dare ai piccoli defunti “la salvezza dell’anima”, impedendo che il  decesso prima del battesimo li condannasse al limbo e alla sepoltura in terra sconsacrata. Nel suo “Santuari à répit” – che vanta la prefazione di Annibale Salsa, noto antropologo e già presidente nazionale del Club alpino italiano – Fiorella Mattioli Carcano riassume l’intera storia utilizzando le fonti santuari2storiografiche su questi santuari, descrivendo lo svolgimento del rito, i luoghi dove avveniva e l’atteggiamento tenuto dalla chiesa. Nel “rito della piuma” il piccolo defunto veniva steso su un altare dedicato alla Madonna alla presenza di un medico o di un’ostetrica che potesse attestarne il ritorno alla vita, seppure per un breve istante: da un sospiro (répit) che facesse vibrare una piuma posta fra le labbra o da un rossore delle guance.In quell’attimo fuggente, il “resuscitato”veniva battezzato dal prete per ri-morire immediatamente dopo. Alla presenza di un santuari 1notaio, veniva redatto l’atto pubblico utile alla sepoltura in terra consacrata. I santuari del ritorno alla vita sono piuttosto rari in Italia, ma le Alpi occidentali ne annoverano diversi, soprattutto nei territori colonizzati dalle popolazioni Walser, a ridosso del Monte Rosa tra la Valsesia e l’Ossola. Il bel saggio della storica Fiorella Mattioli Carcano , oltre a esplorare questo rito sotto tutti i punti di vista, offre un censimento dei santuari destinati  al “répit” sull’arco alpino piemontese, dalle alpi Marittime alla Val Susa, dalle valli aostane alle alpi Pennine e Lepontine, con un intero capitolo dedicato ai luoghi di culto della Diocesi di Novara, una delle più vaste d’Italia.

Marco Travaglini

“Le vittorie imperfette”, uno spettacolo inedito dell’Accademia dei Folli

folli2Lo sport a teatro come metafora per raccontare la vita, il superamento dei propri limiti, delle proprie paure. Lo sport come pretesto per calarsi in un racconto di pura epica moderna e per entrare nel vivo della Storia da una porta secondaria. Dal 15 al 17 febbraio una delle pagine più famose della storia dello sport è protagonista – ognuna delle tre sere, alle 21.oo –  al Teatro Agnelli di Torino, in via Paolo Sarpi. “Insolito“, la stagione teatrale di Assemblea Teatro, ospita la compagnia Accademia dei Folli con uno spettacolo inedito “Le vittorie folli1imperfette”, tratto dall’omonimo romanzo di Emiliano Poddi. In scena ci sarannoGiovanna Rossi, Enrico Dusio, Gianluca Gambino con Carlo Roncaglia (che cura anche la regia) alla voce e piano. I costumi ed elementi scenici sono di Carola Fenocchio e disegno luci e fonica diAndrea Castellini.I protagonisti sono Saša Belov e Kevin Joyce. Due ragazzi all’inseguimento di un sogno: vincere la medaglia d’oro del basket alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Uno si è allenato all’ombra della statua colossale della Grande Madre Russia a Stalingrado, l’altro sui campetti di cemento tra i grattacieli di New York. Due squadre. Due mondi contrapposti. Due culture. Usa contro Urss. Una partita che sarà per sempre legata ai tre secondi più leggendari, folli3contraddittori e ingarbugliati della storia dello sport. Ma Monaco ’72 è anche la scena di una strage spaventosa: undici atleti israeliani cadono sotto l’attacco terroristico di Settembre Nero. Un lutto che deve essere riassorbito in fretta, proprio per fare spazio alla sfida fra le due superpotenze. Molti anni dopo, in un cimitero di San Pietroburgo, Kevin Joyce e Saša Belov sono di nuovo l’uno di fronte all’altro: Kevin con addosso il peso degli anni e di una sconfitta impossibile da accettare; Sasha giovane per sempre e per sempre innamorato di Sonja, la giovane donna che non è riuscita a salvarlo dal suo stesso trionfo. “Le vittorie imperfette” è uno spettacolo che alterna epica sportiva e racconto intimista, canzoni americane e ninne nanne russe, tragedia e spigliata commedia d’amore. Una  storia in cui il palleggio echeggia come il battito del cuore.

Marco Travaglini

Gli alpini del “Battaglione Intra” al fronte. Una storia da ricordare

intra alpiniLa storia degli Alpini in generale, di quelli appartenenti al Battaglione Intra in particolare, è ancor oggi viva nella memoria dei pochi protagonisti sopravvissuti alla seconda guerra, ma anche dei figli, nipoti e di tutti quelli che in qualche modo ne hanno ereditato vicende ed emozioni. Così se ne parla ancora spesso a Verbania, a Gozzano, a Novara o in altre zone del Piemonte ma anche del Varesotto. L’Assessorato alla Cultura della Città di Verbania e l’Associazione Nazionale Alpini – Sezione di Intra, hanno organizzato tre appuntamenti dedicati alle loro vicende, durante le due guerre mondiali. La rassegna si è conclusa venerdì 10 febbraio, a Villa Giulia, con Pier Antonio Ragozza ed Agostino Roncallo, autori del libro “In guerra con gli Alpini del Battaglione Intra”, che racconta la storia degli alpini durante il secondo conflitto mondiale.

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I diari di guerra e numerose foto hanno consentito di ricostruire piccole e grandi storie, la vita di trincea, le assurdità della guerra. “Gli Alpini sono una parte importante per la costruzione della storia della nostra comunità, della nostra città” ha detto l’Assessore alla Cultura e  al Turismo Monica Abbiati, presentando gli autori del libro.

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Dal canto suo Ragozza ha spiegato che  “ c’è un collegamento diretto tra i due conflitti: alcuni dei nostri soldati del battaglione hanno partecipato alla Prima Guerra, poi alla Campagna Coloniale d’Etiopia, altri sono stati sul fronte francese nella Seconda Guerra, altri ancora hanno patito le intra alpini3vicissitudini più difficili in Grecia , Albania e Jugoslavia”. “Hanno patito la fame: mangiare? Era un’ossessione! Da entrambe le parti, bisogna ammetterlo, ci sono stati rappresaglie e crimini di guerra.” Ha spiegato infine Agostino Roncallo, concludendo la serata “in pratica gli Alpini sono stati poi abbandonati a sé stessi l’8 settembre 1943: dopo la Liberazione, parte di loro saranno liberi, altri diventeranno partigiani, altri ancora saranno costretti ad andare in Germania”.

Elio Motella

Al Regio una Katia Kabanova spirituale ed eterea

La regia poetica di Robert Carsen  per una protagonista aggredita dalle convenzioni del mondo circostante a lei ostile

 

kabanova2Debutta al teatro Regio di Torino mercoledì 15 febbraio, alle 20, l’opera di Leos Janacek “Katia Kabanova”, a quasi cento anni dalla sua composizione, in tutta la sua bellezza. L’opera è sicuramente uno dei capolavori più intimi del musicista, che è stato uno dei più originali di tutti i tempi, capaci di prendere le mosse dalla realtà sociale e linguistica morava, nella quale era nato e cresciuto, per creare gli intrecci più disparati dell’opera europea fin-de-siecle, dal genere eroico rappresentato da “Sarka”, al fantastico ( “La volpe astuta”), fino alla suspense modernista intrisa di magia de “Il caso Makropoulus”. Janacek è stato, comunque, un compositore sempre attento a immettere nel proprio teatro e musica i tratti di aderenza alla realtà, che sono stati tra le caratteristiche fondamentali degli scrittori russi dell’Ottocento, da Dostoevskij a Ostrovskij, drammaturgo caro anche a Cajkovskij e da cui Janacek trasse il soggetto per l’opera “Katia Kabanova”. Il 9 gennaio 1920 Janacek appunta, a proposito del soggetto di Katia Kabanova, ” Ho cominciato a scrivere una nuova opera. Il personaggio principale è una donna di animo dolce e gentile. Ella svanisce al solo pensarla, un alito di vento la spazzerebbe via, figuriamoci la tempesta che le scoppia sul capo”. La nuova opera era tratta dal dramma di Ostrovskij “L’uragano “, il cui titolo originale in russo significa tanto tempesta quanto terrore. Fu lo stesso Janacek a scrivere il libretto dell’opera, riducendo a tre i cinque atti del dramma, che Max Brod aveva definito una “Madame Bovary russa”. Com nel romanzo di Flaubert, l’intera azione si basa kabanovasull’adulterio di una donna romantica, che non riesce a sopportare un ambiente gretto a lei ostile. Il debutto, avvenne il 21 novembre 1921, al teatro Nazionale di Brno, e riscosse un successo straordinario. Marco Angius, direttore artistico dell’ Orchestra di Padova e del Veneto, sarà sul podio a dirigere Ochestra e Coro del Teatro Regio. Il teatro di Carsen, che ne firma la regia, si contraddistingue per la sua essenzialità e risulta capace di riportare alla luce i significati più riposti del testo. Carsen immagina per questa Katia Kabanova una scena formata da passerelle che galleggiano su uno specchio d’acqua. Questa instabilità, il riflesso delle luci sull’acqua e il fluttuare perenne delle scene, rimandano alla spiritualità del personaggio di Katia e alla sua intimità, aggredita dalle convenzioni e dai complessi della comunità in cui è costretta a vivere. Janacek fu detto il Puccini ceco per l’affascinante lirismo della sua opera e l’intensa teatralità   delle sue melodie, anche se l’analogia   tra i due compositori risulta ben più profonda: entrambi aspiravano al ruolo di operisti popolari, senza rinunciare agli esperimenti musicali, un obiettivo che li condusse ad attuare soluzioni linguisticamente e insospettatamente avanzate.

Mara Martellotta

 

Il cinema che spiega la montagna

Si svolge nel periodo compreso tra il 16 febbraio e il 7 aprile 2017 la XIX edizione di “Cinema in Verticale”, rassegna sul cinema e la cultura di montagna che viene organizzata dall’associazione Gruppo 33 di Condove come anteprima del Valsusa Filmfest, festival sul recupero della memoria storica e sulla difesa dell’ambiente la cui XXI edizione inizierà il 31 marzo con bando di concorso ancora aperto sino al 28 febbraio 2017 e tutte le informazioni reperibili nel sito www.valsusafilmfest.it

cine verticale

La rassegna affronta varie tematiche legate alla montagna come l’alpinismo e altri sport legati alla verticalità, l’esplorazione, la salvaguardia dell’ambiente e delle specie animali, la cultura, la vita e le abitudini di piccole e grandi comunità montane. In ogni appuntamento, oltre alla proiezione di filmati, sono presenti ospiti quali autori e protagonisti delle immagini, alpinisti, guide alpine, scrittori, giornalisti, esperti ed appassionati per dibattere ed attualizzare i temi.

La rassegna è stata ideata come anteprima del Valsusa Filmfest nel 1999 per riservare attenzioni e riflessioni specifiche alla montagna che per gli abitanti della Valle di Susa riveste significati importanti. Nel corso degli anni è diventato un appuntamento molto atteso che richiama un numeroso pubblico e svolge anche un’importante funzione di aggregazione e divulgazione culturale.

I 12 appuntamenti, sempre ad ingresso gratuito, si svolgeranno nei Comuni di Caprie, Condove, San Giorio di Susa, Venaus e Villar Dora in Valle di Susa e nei Comuni di Giaveno e Orbassano nella limitrofa Val Sangone.

Gli ospiti sono Nicolò Bongiorno, Marco Camandona, Roberto Mantovani, Nico Valsesia, Luigi Cantore, Francesco Torre, Renzo Luzi ed il Gruppo 71° Parallelo.

La rassegna si aprirà giovedì 16 febbraio al Cinema di Condove alle ore 21 con NICOLÒ BONGIORNO, figlio dell’indimenticato Mike, che presenta il suo film “Cervino la montagna del mondo”, una storia che si sviluppa su più piani narrativi in un meraviglioso viaggio attraverso il tempo, a contatto con la saggezza della natura più selvaggia e alla ricerca di una nuova “via” dentro se stessi. Al centro di questo racconto c’è la spettacolare ascesa vissuta da un giovane uomo sulla via normale Italiana del Cervino aperta da J.A. Carrel nel 1865. A creare un ponte di collegamento tra i documenti e le testimonianze storiche della via alpinistica di 150 anni fa e quella di oggi, alcuni protagonisti d’eccezione accompagnano l’ascesa del protagonista. Il film si è aggiudicato il premio del pubblico al Cervino Cinemountain Film Festival 2015.

La storica collaborazione con il Trento Film Festival si concretizzerà quest’anno con due appuntamenti, il 17 febbraio nella sede CAI di Giaveno e il 31 marzo a San Giorio con l’organizzazione di eventi nel corso dei quali verranno proiettati alcuni dei più bei filmati presentati nel corso dell’ultima edizione, la 64a, del rinomato festival. Il prime mese di programmazione si conclude il 24 febbraio a Venaus insieme al regista e filmaker Luigi Cantore, storico collaboratore del Valsusa Filmfest per il quale cura il concorso Le Alpi ed altri eventi, che presenta il suo docu-film intitolato “La grappa del Forte di Gravere”.

Nei restanti appuntamenti il 4 marzo a Villar Dora Marco Camandona presenta “Makalù 2016 – altitudine 8463m”, il 7° ottomila in carriera scalato senza ossigeno salendo la via dei francesi, il 9 marzo a Orbassano il CAI locale e Roberto Mantovani presentano “Indagine sul Monviso”, la grande piramide del sud ovest delle Alpi raccontata nel libro “Monviso l’icona della montagna piemontese” con la proiezione del film “Bartolomeo Peyrot, il primo italiano sul Monviso”,il 10 marzo a Caprie e il 17 marzo a Giaveno Francesco Torre sarà il protagonista dell’evento intitolato “Everest, la vetta del mondo scalata dall’uomo comune”, il 18 Marzo a Villar Dora torna Luigi Cantore che presenta il docu-film “Profumo di resina” tratto dal romanzo di Fabrizio Arietti, il 21 Marzo a Orbassano la sezione del CAI di Orbassano ospita Nico Valsesia, maestro di sci, runner, trailer, ciclista e noto rappresentante italiano di trail running, che presenta il film “Mas alto lisa cóndores” del progetto From zero to Aconcagua e l’anteprima della sua ultima fatica “From Zero to Elbrus”, il 24 marzo a Caprie la guida alpina e maestro di alpinismo Renzo Luzi conduce la serata intitolata “40 anni di alpinismo dalla Valsusa al mondo” e il 7 Aprile a Caprie il Gruppo 71° Parallelo con Giovanni Martinacci, Barbara De Polli e Claudio Palmero, presenta la serata intitolata “Emozione Tibet – Lhasa-Kathmandu in bicicletta”, avventure a pedali con la testa tra le nuvole in Himalaya.

 

Massimo Iaretti

 

 

 

Notre Dame de Paris: tutte le sfumature dell’amore

L’amore di Quasimodo per Esmeralda, impossibile nella vita, diventa, con la morte dei due protagonisti, una possibilità, oltre le stelle, oltre la cortina di fumo, in un aldilà dove Esmeralda tornerà a ballare e a cantare, dove non conteranno più la sordità e la deformità di Quasimodo, ma l’unione perfetta di due anime

notre dame de

Nell’anno del Signore 1482, al tempo delle cattedrali in cui la pietra si fa statua, musica e poesia, si rinnova la magia dello spettacolo “Notre Dame de Paris”, magistralmente musicato da Riccardo Cocciante, tornato al Pala Alpitour di Torino, ieri sera, 10 febbraio. Sullo sfondo della cattedrale di Notre Dame, accogliente e incombente, materna e protettrice, va in scena ormai dal 1998, data dell’uscita della versione francese, la magia di questo musical tratto dall’omonimo romanzo di Victor Hugo, uno spettacolo che, attraverso gli emarginati della Corte dei Miracoli e le loro proteste, racconta la lotta sociale degli ultimi e dei diseredati che l’autore francese sublimera’ nei Miserabili con il personaggio di Jean Valjean, e che, qui, anticipa con gli zingari, gli artisti senza nome, Esmeralda e il deforme Quasimodo, esseri umani che vivono ai margini e che provano un bisogno quasi brutale e viscerale di essere accolti e di sentirsi parte di una città e di una società ostili e chiuse in se stesse, diffidenti nei confronti del diverso.

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Notre Dame de Paris non è soltanto la storia di un amore in particolare, ma dell’Amore in tutte le sue sfaccettature, in tutte le sue sfumature: quello in boccio e puro di Esmeralda, quello paterno di Clopin, quello lussurioso e falso della seduttore Febo, quello egoista e geloso di Fiordaliso, quello infernale, dannato e distruttivo del prete Frollo, quello straziante e disperato di Quasimodo, il più autentico di tutti, ed è, al tempo stesso, una storia di morte che non rappresenta, tuttavia, una fine, ma che, quasi paradossalmente, apre una porta alla speranza. L’amore di Quasimodo per Esmeralda, impossibile nella vita, diventa, con la morte dei due protagonisti, una possibilità, oltre le stelle, oltre la cortina di fumo, in un aldilà dove Esmeralda tornerà a ballare e a cantare, dove non conteranno più la sordità e la deformità di Quasimodo, ma l’unione perfetta di due anime. Attorno ai due cadaveri abbracciati, crolla il mondo delle cattedrali per lasciare spazio al futuro, ad un’altra epoca nella quale l’uomo, nonostante le scoperte della scienza e della tecnica, continuerà diabolicamente a ripetere e a perpetrare gli errori del passato e nella quale qualcuno continuerà a lottare e morire per gli ideali di giustizia, libertà e riscatto.

 

Barbara Castellaro