CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 761

Concerto per Casalegno 40 anni dopo

Sabato 2 dicembre alle ore 16 all’Auditorium “Vivaldi” della Biblioteca Nazionale Universitaria (Piazza Carlo Alberto, 3), il violinista Massimo COCO ed il pianista Andrea IVALDI, in occasione del 40° anniversario della morte, terranno un “CONCERTO IN MEMORIA DI CARLO CASALEGNO”, promosso dal Centro Pannunzio. Ecco il programma:

– Tomaso VITALI:

Ciaccona in sol minore

Ludwig Van BEETHOVEN:

Sonata in do minore Op.30 n.2

Allegro con brio-Adagio cantabile-Scherzo (Allegro)-Finale (Allegro)

——-intervallo——–

Wolfgang Amadeus MOZART:

Sonata in mi minore K304

Allegro-Tempo di Minuetto

– Gabriel FAURÉ:

Sonata in La maggiore Op.13

Allegro molto-Andante-Allegro vivo-Allegro quasi presto

– Nell’intervallo Pier Franco QUAGLIENI ricorderà Carlo Casalegno. Porterà il saluto del Consiglio Regionale il Vicepresidente Nino BOETI. Introdurrà il Gen. Franco CRAVAREZZA, Presidente ABNUT.

I Soci del “Pannunzio” sono invitati ad intervenire. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti.

Il violinista Massimo Coco e’ il figlio del Procuratore Generale di Genova Francesco Coco ucciso dalle Brigate rosse nel 1976. Il concerto si tiene per onorare il nostro Consocio Carlo Casalegno ammazzato selvaggiamente quarant’anni fa sotto casa in corso Re Umberto.

Erica Sunshine Lee live

Domenica 3 Dicembre 2017 ospite internazionale al Luppolo saloon di Roletto (To), con  il grandissimo live di ERICA SUNSHINE LEE ed il suo Burried Treasure European Tour! Originaria della Georgia e residente a Nashville, ha ormai al suo attivo ben 8 album registrati con i migliori musicisti della scena country americana. Erica Sunshine Lee sfodererà tutto il suo honky tonk in una prima parte acustica a cui seguirà una seconda parte elettrica ed energica insieme alla DIXIE PARTY Country Power Band di Fiorella Mondo. Alcuni suoi pezzi sono stati coreografati, Check please, Georgia for this, per dirne due, per cui si potrà sia ascoltare che ballare. Ingresso libero al concerto. Per cenare è gradita la prenotazione.
Luppolo Saloon
0121542822
Concerto dalle ore 21.30
CON IL GRUPPO DI JOE CHIES CHITARRISTA DI RAOFRECCIA E DI FIORELLA MONDO  

I libri del mese di “Un libro tira l’altro”

 
Ecco una piccola rassegna dedicata ai titoli che maggiormente hanno interessato i lettori iscritti al gruppo di Facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di novembre.

Com’era prevedibile, tocca alle uscite più recenti fare la parte del leone: La colonna di fuoco, di Ken Follett e Pulvis et Umbra di Antonio Manzini che  ottengono “mi piace” e commenti in ogni post anche se non nella stessa misura: entusiasmo senza riserve, infatti, viene riservato alla nuova indagine del Commissario Rocco Schiavone, qualche critica delusa invece per il capitolo finale della Trilogia iniziata anni fa con I Pilastri della Terra. Meno convinti i lettori di Origin, il più recente tra i libri di Dan Brown, giudicato da molti noioso e ripetitivo.


Ma i membri del gruppo non si limitano agli ultimi titoli usciti,  lo dimostra il successo ininterrotto di Shantaram, lungo romanzo di Gregory Roberts ambientato in India, uno dei romanzi più letti e commentati nella storia del gruppo, che continua a venir proposto anche in questo mese di Novembre 2017, insieme a un altro intramontabile successo: It, di Stephen King che è tornato tra i libri più commentati anche grazie al successo del film di Andrès Muschietti, invogliando molti a leggere o rileggere quello che i membri del gruppo considerano il capolavoro dello scrittore americano. Nel reparto classici questo mese è Agatha Christie a primeggiare, visto che in molti suggeriscono i suoi libri, mentre chi cerca testi più impegnati sembra preferire Saramago e il suo Le intermittenze della morte oppure il Pratolini di Cronache di poveri amanti, romanzo al quel è dedicata una bella recensione. Lettori più curiosi propongono invece la graphic novel di Jiro Taniguchi La vetta degli dei oppure l’interessante Perdido Street Station, interessante evoluzione del fantasy a opera di China Miéville, oggetto di un’accurata recensione. Tra le numerose discussioni a tema quella che ha maggiormente coinvolto la community era legata al problema di ricordare o meno i libri letti in passato; chi ammette, candidamente, di ricordare solo poche sensazioni si è confrontato con chi ha una memoria più allenata e con chi ha l’abitudine di annotare titoli e trame su quaderni o supporti tecnologici; tanti tipi di lettori per molti tipi di lettura, come spesso si percepisce dai nostri dibattiti.

Volete dire la vostra su questi titoli o proporne di nuovi ?   Vi aspettiamo nel gruppo ! 

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Il podio dei più letti : Pulvis et umbra, di Antonio Manzini (Sellerio) – La colonna di fuoco, di Ken Follett (Mondadori) – Origin di Dan Brown (Mondadori). 

Intramontabili: Shantaram, di Gregory Roberts (Neri Pozza) – It di Stpehen King (Sperling&Kupfer). 

Classici da (ri)scoprire: Agatha Christie, Vasco Pratolini, Jose Saramago. 

Proposte per lettori curiosi: Perdido Street Station, di China Mièville (Fanucci) – La vetta degli dei di Jiro Taniguchi (Rizzoli).

Rassegna curata da Valentina Leoni con l’aiuto di Claudio Cantini

Oggi al Cinema

LE TRAME DEI FILM

NELLE SALE DI TORINO

 

A cura di Elio Rabbione

 

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American Assassin – Azione. Regia di Michael Cuesta, con Michael Keaton, Shiva Negar e Dylan O’Brien. Tratto dal romanzo di Vincent Flynn, tratteggiato tra Istanbul e Roma, tra Londra e Tripoli, è la storia di Mitch Rapp, che poco più che ventenne, vuole vendicarsi della morte della fidanzata, vittima di un attentato. Verrà allenato da un veterano dei Navy Seals per entrare in un programma della Cia volto ad addestrare gli “assassini americani” implacabili pedine dell’antiterrorismo. Il suo primo obiettivo sarà colpire il misterioso Ghost, che è in possesso di una bomba di settanta chili di plutonio in grado di scatenare la Terza Guerra mondiale. Durata 112 minuti. (Massaua, The Space, Uci)

 

Amori che non sanno stare al mondo – Drammatico. Regia di Francesca Comencini, con Lucia Mascino, Thomas Trabacchi, Iaia Forte e Carlotta Natoli. Una vicenda con tanti bassi (di vita e di cinema) e qualche alto, un amore improvviso, sragionato e possessivo di lei per un uomo che dovrebbe fuggirne sin dal primo istante. Dopo anni di relazione si lasciano, lui finalmente trova un nuovo amore in una ragazza più giovane, lei prova tra le braccia di una sua lodatissima studentessa. Uno sguardo tutto al femminile, un’altalena continua di tempi e di sentimenti, una scrittura che fa tanto letteratura ma che non riesce a coinvolgere mai lo spettatore. Anzi lo irrita, per quell’aria da saputelle intransigenti e battagliere di interprete e di regista. Tratto dal romanzo omonimo della Comencini. Durata 92 minuti. (Eliseo Blu, Lux sala 3, Uci)

 

Assassinio sull’Oriente Express – Giallo. Regia di Kenneth Branagh, con Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Penelope Cruz e Branagh nelle vesti di Hercule Poirot. Altra rivisitazione cinematografica del romanzo della Christie dopo l’edizione firmata da Sidney Lumet nel ’74, un grande Albert Finney come investigatore dalle fiammeggiati cellule grigie. Un titolo troppo grande per non conoscerlo: ma – crediamo, non foss’altro per il nuovo elenco di all star – resta intatto il piacere di rivederlo. Per districarci ancora una volta tra gli ospiti dell’elegante treno, tutti possibili assassini, una partenza da Istanbul, una vittima straodiata, una grande nevicata che obbliga ad una fermata fuori programma e Poirot a ragionare e a dedurre, sino a raggiungere un amaro finale, quello in cui la giustizia per una volta non vorrà seguire il proprio corso. Durata 114 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Eliseo Grande, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche in V.O.)

 

Auguri per la tua morte – Horror. Regia di Christopher Landon, con Israel Broussard, Ruby Modine e Jessica Roth. Tree, giovane studentessa, si sveglia dopo una notte di bevute nella camera dell’altrettanto giovane Carter. La sera è vittima di un assassino: per risvegliarsi il giorno successivo nelle medesime modalità e per vedere continuamente ripetute vita e morte. Dovrà scoprire il proprio assassino se vorrà interrompere gli eventi. Durata 96 minuti. (The Space)

 

Borg McEnroe – Drammatico/biografico. Regia di Janus Metz Pedersen, con Shia LaBeouf, Sverrir Gudnason e Stellan Skarsgård. Due campioni, due storie e due personalità diversissime, gli stili che catturano opposte folle di fan, i movimenti freddi e calibrati dell’uno contro quelli nervosi e impetuosi dell’altro, la calma contro il nervosismo, la loro rivalità che li vide a confronto per 14 volte tra il ’78 e il 1981, fino alla finale di Wimbledon, che qualcuno ancora oggi considera una delle più belle partite della storia del tennis. Fino alla loro amicizia, fuori dai campi. Durata 100 minuti. (F.lli Marx sala Chico, Reposi, Uci)

 

Caccia al tesoro – Commedia. Regia di Carlo Vanzina, con Vincenzo Salemme, Serena Rossi, Cristiano Filangieri e Carlo Buccirosso. Siamo dalle parti di “Operazione San Gennaro”, con un impareggiabile Nino Manfredi e la bonomia della Senta Berger, anno di grazia 1966, regia perfetta di Dino Risi. Anche oggi il fine, nobilissimo, è quello di rubare il tesoro del santo partenopeo, mentre la causa è il figlio malato della vedova Rossi, operabile negli States con la complicità del cognato Salemme. Durata 90 minuti. (Ideal, The Space, Uci)

 

Detroit – Drammatico. Regia di Kathryn Bigelow, con Hanna Murray, John Boyega, Will Poulter e Anthony Mackie. Premio Oscar, l’autrice di “The hurt rocker” e di “Zero Dark Thirty” guarda oggi a quei fatti sanguinosi scoppiati nel luglio del 1967 in un locale privato – privo di licenza – dove un gruppo di persone di colore festeggiavano due ragazzi, anch’essi di colore, ritornati a casa dalla guerra del Vietnam. Lo sguardo sulla repressione seguita, le violenze della reazione, l’invio da parte del governatore Romney della Guardia Nazionale e da parte del presidente Johnson dell’esercito: contro chi vorrebbe seguire ogni regola della legalità c’è chi con violenza la oltrepassa, facendosi forte dell’omertà che nelle forze di comando si fa ben visibile. Lo sguardo sui fatti dell’hotel Algiers, dove tre ragazzi, tra i 17 e i 20, sono barbaramente trucidati. I responsabili, al processo, non subiranno nessuna condanna. Durata 143 minuti. (Greenwich sala 2, Uci)

 

Il domani tra di noi – Drammatico. Regia di Hans Abu-Assad, con Kate Winslet e Idris Elba. Un aereo privato con a bordo una giornalista e un medico, incidente sulle montagne innevate dello Utah, mancanza di soccorsi, sopravvivenza ad ogni costo, lacrime disperazione ferite vedrai che ce la faremo non ce la potremo mai fare, primi sentimenti, amore. Catastrofe finale o salvezza? Durata 112 minuti. (Ideal)

 

Flatliners – Linea mortale – Drammatico. Regia di Niels Arden Oplev, con Diego Luna, Nina Dobrev, Ellen Page e James Norton. Una studentessa di medicina, ossessionata dalla morte della sorella, spinge i suoi compagni di corso ad un esperimento: dovranno fermarle il cuore con un defibrillatore per sessanta secondi e registrare i ricordi del suo cervello prima di riportarla in vita. Se non ci fosse modo di interrompere le allucinazioni che scoppiano in quel breve tempo? Remake di un film del ’90 di Joel Schumaker, con una giovanissima Julia Roberts. Durata 110 minuti. (The Space, Uci)

 

Happy End – Drammatico. Regia di Michael Haneke, con Isabelle Huppert e Jean Louis Trintignant. Una famiglia dell’alta borghesia a Calais. Il padre è il fondatore di un’azienda, ora guidata dalla figlia e dal nipote ribelle. Si devono risolvere i problemi che stanno dentro la fabbrica (qui è successo un incidente che ha provocato la morte di una persona) e la famiglia (qui il fratello della donna si risposa e inizia ad avere problemi con la figlia di primo letto, che gli è stata affidata dopo che la madre è stata ricoverata): tutto questo mentre i migranti stazionano sulle spiagge e creano tendopoli. Durata110 minuti. (F.lli Marx sala HarpoRomano sala 1)

 

Justice League – Fantasy. Regia di Joss Whedon e Zack Snyder, con Ben Affleck, Amy Adams, Henry Cavill e Jeremy Irons. A Gotham City, Batman nutre la speranza di riunire un valoroso gruppo di eroi per fronteggiare l’ultima terribile pericolo. Chiaro che per la salute del film tutti aderiscano, da Wonder Woman a Flash più veloce della luce, da Aquaman ipertecnologici signore degli oceani a Cyborg. Manca soltanto Superman ma prima o poi anche lui sarà della partita. Durata 121 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Mistero a Crooked House – Drammatico. Regia di Gilles Paquet-Brenner, con Glenn Close, Christina Hendricks, Max Irons, Julian Sands e Gillian Anderson. Basato sul romanzo di Agata Christie pubblicato in Italia con il titolo “È un problema”, il film è un giallo corale, quelli che tanto piacevano all’autrice: un confronto incrociato tra i componenti di una ricca famiglia inglese. Per ottenere finalmente la mano della ricca Sophia, il giovane investigatore privato Charles Hayword deve risolvere il mistero che avvolge la morte del nonno della ragazza. Mentre tutti puntano il dito contro la giovane seconda morte dello scomparso, spetterà a Charles scoprire nuovi moventi e indizi e la verità. Per chi già non conosce il romanzo di partenza, una inaspettata risoluzione finale, magari anche troppo fuori da quella umanità corrotta su cui la Christie ha per anni indagato. Un buon prodotto, con le carte in regola, di sceneggiatura e interpretative soprattutto, con il piacere da parte dello spettatore di inseguire sviluppi e finali. Durata 105 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Ogni tuo respiro – Drammatico. Regia di Andy Serkis, con Andrew Garfield e Claire Foy. È la storia vera dei genitori del film, Jonathan Cavendish. L’avventuroso e carismatico Robin Cavendish ha tutta una vita di successi quando si ritrova paralizzato a causa della poliomielite che contrae nel continente africano. Contro il parere di tutti, sua moglie lo fa dimettere dall’ospedale e lo porta a casa, dedicandosi completamente a lui e usando intelligentemente tutta la determinazione di cui è capace. Non vogliono diventare prigionieri della malattia di lui, appassionano e incantano gli altri con il loro umorismo, il coraggio, l’intera sete di vita. Durata 117 minuti. (Centrale V.O.)

 

Paddington 2 – Commedia. Regia di Paul King, con Brendan Gleeson, Hugh Grant, Sally Hawkins e Ben Whishaw. L’orsetto inventato dalla fantasia dello scrittore inglese Michael Bond è in cerca di un regalo per la centenaria zia Lucy. Scova nel negozio di antiquariato del signor Gruber un antico libro, prezioso, che verrà rubato e del cui furto verrà sospettato un fascinoso attore. Durata 95 minuti. (The Space, Uci)

 

Gli sdraiati – Commedia. Regia di Francesca Archibugi, con Claudio Bisio e Gaddo Bacchini. Giorgio e Tito sono padre e figlio. Due mondi opposti che si scontrano all’interno di un appartamento a Milano. Giorgio è un giornalista di successo, apprezzato dai colleghi e dal pubblico, famoso volto televisivo, separato dalla moglie, discorsi con il figlio a livello pressoché zero. Il quale ultimo è un adolescente indolente, chiuso, refrattario a tutto e a tutti, incapace o senza la minima voglia di trasmettere le proprie emozioni agli altri, che si sente soffocato dalle attenzioni altrui, il suo (ristretto, piccolo) mondo sono gli amici per parlare di niente e i videogiochi Nemmeno l’invito del padre ad andare a fare insieme la vendemmia lo smuove: o forse sì, e allora potrebbe essere il modo per tentare di costruire insieme un minimo di comunicazione. Dal romanzo di Michele Serra. Durata 103 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Groucho, Romano sala 2, The Space, Uci)

 

Seven Sisters – Fantascienza. Regia di Tommy Wirkola, con Noomi Rapace, Glenn Close e Willem Dafoe. Un’attrice sola per sette diversi ruoli, un futuro più o meno lontano in cui la sovrapposizione terrestre ha portato all’applicazione di una rigidissima politica del figlio unico su scala globale. Ma da anni, sette sorelle, che hanno il nome dei giorni della settimana, vivono in segreto in un appartamento, uscendone una per ogni giorno della settimana, con la stessa identità. Poi, un lunedì, Monday non torna a casa. Durata 123 minuti. (The Space, Uci)

 

Smetto quando voglio – Ad honorem – Commedia. Regia di Sydney Sibilia, con Edoardo Leo, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti, Neri Marcorè e Luigi Lo Lascio.Terzo e ultimo capitolo della fortunata saga sulla banda di ricercatori, vittime della crisi e di un precariato che va sempre più stretto a chi può mettere in campo lauree con ottimi voti, che abbiamo conosciuto come inventori di una droga sintetica legale e in seguito come collaboratori in incognito della polizia: oggi sono in procinto di evadere tutti quanti insieme di prigione per ritrovarsi dove tutto è cominciato, alla Sapienza di Roma, per contrastare l’ultimo nemico, il crudele e pericolosissimo Mercurio. Durata 96 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, The Space, Uci)

 

The Place – Drammatico. Regia di Paolo Genovese, con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Giulia Lazzarini, Silvio Muccini, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Alessandro Borghi. Un film corale, un’ambientazione unica, una bella carrellata di attori italiani per altrettanti personaggi che Paolo Genovese – l’autore di quel piccolo capolavoro che è “Perfetti sconosciuti” – ha basato su una serie americana, ripensata e adattata, “The Booth at the Edge”, creta dall’autore e produttore Christopher Kubasik nel 2010. Un uomo misterioso, giorno e notte ospite abituale di un bar, con il suo tavolo sul fondo del locale, e personaggi e storie che a lui convogliano, di uomini e donne, lui pronto a esaudire desideri e a risolvere problemi in cambio di alcuni “compiti” da svolgere. Tutti saranno pronti ad accettare quelle richieste? Durata 105 minuti. (Ambrosio sala 3, Greenwich sala 2, Uci)

 

The Big Sick – Commedia drammatica. Regia di Michael Showalter, con Zoe Kazan, Kumail Nanjiani e Holly Hunter. È l’autobiografia del protagonista maschile del film, un giovane comico che di giorno a Chicago guida il suo taxi per conto di Uber e che la sera si fa conoscere nei piccoli club della città. La famiglia crede molto in lui, ritenendolo uno studente di successo e un ragazzo destinato al miglior partito pakistano che si possa immaginare. Sino al precipitare delle cose, l’amore che unisce Kumail e Emily, bianca e ancor più sposata, la malattia di lei, le due diverse famiglie che si ritrovano allo stesso capezzale. Durata 120 minuti. (Ambrosio sala 2, Centrale V.O., Due Giardini sala Ombrerosse)

 

The broken Key – Fantascienza. Regia di Louis Nero, con Andrea Cocco, Geraldine Chaplin, Rutger Hauer, Franco Nero, Christopher Lambert e Michael Madsen. Nel futuro descritto dal film la carta è diventata un bene prezioso, quindi è proibito stampare e le biblioteche sono luoghi cui pochi studiosi possono accedere. L’arrivo in Italia di un celebre accademico è l’occasione per indagare su una serie di delitti, con strane testimonianze e indizi che scomodano Dante e Hieronymus Bosch. Girato in parte a Torino e in località facilmente riconoscibili dal pubblico piemontese. Solita compagnia di celeberrimi attori che da sempre (ri)vivono nel cinema di Nero. Durata 120 minuti. (Ideal)

 

The Square – Drammatico. Regia di Ruben Östlund, con Elisabeth Moss, Dominic West, Claes Bang, Terry Notary e Linda Anborg. Palma d’oro all’ultimo Cannes. Protagonista del film è Christian, curatore di un importante museo di Stoccolma, divorziato e amorevole padre di due bambine, sempre all’inseguimento delle buone cause. Nel museo c’è grande fermento per il debutto di un’installazione, “The Square”, che invita all’altruismo e alla condivisione (“il quadrato è un santuario di fiducia e altruismo”): ma quando gli vengono rubati il cellulare e il portafoglio per strada, Christian reagisce in modo scomposto. Nel frattempo, l’agenzia che cura le pubbliche relazioni del museo crea un’inaspettata campagna pubblicitaria a promuovere l’installazione, ottenendo una risposta da parte del pubblico che manda in crisi sia Christian che il museo stesso. Strano e brillante, pieno di interrogativi, simpatico (si ride! si ride!), certo meno “chiarito” rispetto a quel “Forza maggiore” che ci aveva fatto conoscere il regista svedese all’interno del TFF, da guardare (e da ammirare) con occhio decisamente interessato non nella sua complessità ma nei grumi di scene che via via si susseguono e si solidificano, tra il filosofico e il divertito (eccezionale la scena della performance dell’uomo scimmia, costellata dalla curiosità e dallo scetticismo e dalla allegria attenta del pubblico, pronti a farsi terrore), nello sguardo ironico buttato sulla pochezza e sulle turlupinatura di certa arte contemporanea (i vari mucchietti di sabbia che danno vita ad una installazione recuperati in un sacco della spazzatura da un addetto alle pulizie). Durata 142 minuti. (Massimo sala 1 anche in V.O., Nazionale sala 1)

 

Una questione privata – Drammatico. Regia di Paolo e Vittorio Taviani, con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy e Valentina Bellè. Dal romanzo di Beppe Fenoglio. “Over the rainbow” è il disco più amato da tre ragazzi nell’estate del ’43. Si incontrano nella villa estiva di Fulvia, che gioca con i sentimenti di entrambi: con quelli di Milton, pensoso e riservato, con quelli di Giorgio, bello ed estroverso. Un anno dopo Milton, partigiano, si ritrova davanti alla villa di Fulvia ormai chiusa, il custode lo riconosce e insinua un dubbio, che Fulvia, forse, abbia avuto una storia con Giorgio. Ogni cosa pare fermarsi per il ragazzo, la vita, le amicizie, la lotta partigiana, è ossessionato dalla gelosia e vuole scoprire la verità. Deve ritrovare Giorgio ma l’amico di un tempo è stato fatto prigioniero dai fascisti. Atmosfere tavianiane, le colline delle Langhe scambiate con montagne della val Maira, tutto pare molto teatrale ma come privo di anima, sognano l’età dell’oro della “Notte di San Lorenzo” che non arriva, la Bellè e Richelmy sono due belle quanto insignificanti statuine, Marinelli unico cerca di costruire veri sentimenti. Meglio tornare alla scrittura di Fenoglio. Durata 84 minuti. (Romano sala 1)

 

Vittoria e Abdul – Drammatico (ma piuttosto commedia). Regia di Stephen Frears, con Judy Dench, Ali Fazal, Michael Gambon e Olivia Williams. Nel 1887 Abdul lascia l’India per Londra, per poter donare alla regina settantenne, sul trono da oltre cinquant’anni, una medaglia, proprio in occasione del suo Giubileo d’Oro. La sovrana è attratta dalla cultura che l’uomo porta con sé, dalla sua giovinezza e dalla prestanza, contro lo scandalo che il suo nuovo amico semina in tutta la corte, che non esita a bollarla come pazza. Più “storiucola” che Storia, a tratti imbarazzante per quell’aria di operetta senza pensieri che circola all’interno: naturalmente per il regista di “Philomena” (da ricordare) e di “Florence” (da dimenticare) il ventiquattrenne Abdul è senza macchia, la vecchia e inamidata corte inglese da mettere alla berlina e allo sberleffo, il piccolo entourage regale che grida “sommossa” se ne ritorna tranquillo a servire la vecchia sovrana. Ma ci voleva ben altro polso e visuale, e qui Frears ha tutta l’aria di voler andare in pensione. Durata 112 minuti.           (Romano sala 3)

Lo sguardo tutto al femminile della Comencini e gli operai che arrivano dal Portogallo

DAL NOSTRO INVIATO  Elio Rabbione

Che ci sta a fare Daniel Craig nel pasticcio di Kings della regista di origine turca Deniz Gamze Ergüven ospitato al TFF 35 all’interno della sezione Festa Mobile? Sta, unico e povero bianco arrabbiatissimo, in un grande quartiere a sud di Los Angeles, nella primavera del 1992, spazio per le tensioni e le lotte razziali all’indomani dell’assoluzione di quattro poliziotti bianchi colpevoli d’aver pestato a sangue Rodney King, un tassista di colore. Morti sul campo, feriti e arresti di grandi proporzioni. In un infuocato panorama, che meriterebbe il taglio del documento – Bigelow insegna – e l’asprezza della morte colta in ogni strada, come i saccheggi, come le imboscate, Ergüven imbocca la strada della storiella facile facile, che poggia malamente su di una sceneggiatura zoppa e a tratti degna della peggior commedia, laddove lo sbiadito personaggio dello 007 per eccellenza in quest’ultimo decennio gioca nelle prime scene a fare l’energumeno che fascia mobili, per poi sparire e ricomparire nell’ultima mezz’ora a dar man forte, bell’innamorato, ad una Halle Berry che una volta per sbaglio si portò a casa un Oscar. Sarebbe sufficiente la scena nella quale i due si liberano delle manette con cui i poliziotti li hanno legati ad un lampione, sotto lo sguardo di un campionario dei ragazzini già teppistelli che la donna ospita in casa propria, per classificare con facilità il film nel reparto del puro svago comico. Ed è davvero troppo cercare quel “piglio energico” annunciato tra le promesse del film.

A metà del concorso, quando già le speranze sembrano sparire, ci si imbatte nel portoghese A fabbrica de nada, opera prima robusta e bella che si deve alla collaborazione di cinque cineasti che hanno fondato otto anni fa una società cinematografica di grandi aspirazioni e alla firma di uno di essi, Pedro Pinho. 177’ per descrivere tra finzione e trascrizione iperrealista, ma questa supera di gran lunga quella, la “dismissione” – sembrano davvero le stesse radici di Rea – di una fabbrica di ascensori a Lisbona (una metafora degli alti e dei bassi dell’esistenza), dei primi dubbi degli operai che vedono i macchinari lasciare i reparti e le immediate certezze, gli sfilacciamenti e le incomprensioni familiari, delle coppie e dei genitori, gli scontri tra chi vuole abbandonare e portarsi a casa quel che al momento la direzione offre, domani di soldi non ci potrebbe essere più nemmeno l’ombra, e quanti vorrebbero una lotta a oltranza, chiusure, occupazioni. È un racconto limpido quello del regista, che neppure si sogna di lasciar cadere ideologie dall’alto ma analizza con umanità, quella vera, quella quotidiana, quella dell’elemento pressante alla sopravvivenza, fisica e materiale e degli affetti (significativi i momenti di un padre “di vacanza” e del ragazzino che non gli è figlio), lo svolgimento della storia. Ed è un racconto che non vuol essere soltanto la rappresentazione di “quella” storia, ma sogna di raccontare dall’interno anche la crisi che il Portogallo attraversa dal 2008. Importante, costruito con grande partecipazione da quanti “sono” gli operai, documentato, capace di farti apprezzare quanto le parole siano importanti.

Irritante al contrario Amori che non sanno stare al mondo che Francesca Archibugi ha tratto dal suo romanzo omonimo, scritto per lo schermo in compagnia di Laura Paolucci e Francesca Manieri. Due esseri, un uomo e una donna, due docenti universitari, una conferenza di lui, Flavio, che fa imbestialire lei, Claudia, per le idee vecchie e contorte, salvo la scena successiva lei innamorata cotta che è lì al tavolo, davanti al suo piatto di pasta, a giurargli amore eterna. Invece di filarsela a gambe come qualunque normale mortale avrebbe fatto, Flavio intreccia una relazione fatta di passione e di litigi, di travolgimenti e di stravolgimenti, di affetti e di distruzioni. Finché nascono nuovi amori, altrettanto infuocati, lui con una ragazza molto più giovane, lei si perde tra le braccia di un’allieva, tutto quanto raccontato in un poco entusiasmante susseguirsi di altalenanti passaggi temporali e soprattutto con dialoghi e situazioni riempitive (le tre amiche a scambiarsi confidente e no all’interno di un bagno) che suonano false, costruite a tavolino, troppo letterarie. Si tenta l’evoluzione dei personaggi, ma Flavio continua a starsene chiuso nelle proprie paure e Claudia, caposaldo di uno sguardo tutto al femminile, brandito come uno spadone che mena colpi senza pudore, rimane la folle, guerriera, ossessiva, arruffata donna da cui in molti fuggiremmo. Lucia Mascino e Thomas Trabacchi sembrano affrontare la storia con convinzione: siamo noi a uscire dalla sala insoddisfatti, bruciati da quel troppo di prosopopea che la regista ci ha buttato in faccia.

 

Art for Excellence, arte e imprenditoria

Si è aperta martedì 28 la mostra d’arte contemporanea realizzata nell’ambito della terza edizione di Art for Excellence, in programma dal 29 novembre al 13 dicembre, con proroga fino al 17 dicembre, presso Palazzo Carignano a Torino, sede del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.

 

Art for Excellence è un’iniziativa di marketing culturale non convenzionale destinata alla promozione dell’imprenditoria d’eccellenza. Il progetto, nato da un’idea di Sabrina Sottile con un format innovativo per contenuti e finalità, crea un dialogo tra due mondi spesso considerati molto lontani tra loro, quello artistico quello imprenditoriale: l’obiettivo è esaltare e comunicare i valori delle imprese, attraverso lo sguardo, la creatività e lo stile di artisti di talento.

 Il progetto prevede la realizzazione e l’esposizione di una collezione d’arte inedita, che comprende opere di pittura, fotografia, scultura e performance artistiche, nate dal lavoro condiviso di artisti e imprenditori illuminati: le opere realizzate esprimono e rispecchiano liberamente i valori trasmessi dalle aziende, diventando il simbolo tangibile del loro impegno in ambito artistico e culturale. Gli artisti sono stati scelti dalla curatela, quest’anno affidata al gallerista Riccardo Costantini, direttore artistico dell’iniziativa, e al curatore e critico d’arte Michele Bramante, per le loro capacità nel saper utilizzare nuovi linguaggi espressivi, per la loro originalità nell’interpretazione del mondo produttivo e per le loro affinità con le aziende d’eccellenza, selezionate tra quelle con una storia imprenditoriale importante, un forte legame con le tradizioni del territorio e una grande sensibilità nei confronti dell’arte e della cultura.

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Le aziende e gli artisti che hanno partecipato al progetto Art for Excellence 2017 sono: Gruppo Building con Mimmo Borrelli, Bus Company con Neri Ceccarelli, Chiusano & C. Immobiliare con Anila Rubiku, Ci-Bi con Francesco Pergolesi,Roberto Demeglio con Nicola Bolla, Gruppo Ferrero con Piero Gilardi, Fior di Loto con Pablo Mesa Capella, Galup con Max Ferrigno, Gustevole con Salvatore Zito, Inamorada con Vanni Cuoghi, Mabele con Nicola Ponzio, Mazzetti d’Altavilla con Paolo Albertelli e Mariagrazia Abbaldo, Birra Menabrea con Jins, Mepit con Enrico Tommaso De Paris, Piatino Pianoforti con Machine MMLF°°V (Pusole e Visentin), Piemont Cioccolato con Carlo Galfione, Olio Roi con Radu Dragomirescu, Acqua Sant’Anna con Andrea Caretto e Raffaella Spagna, Secap con Bruno Pontecorvo vs Pierluigi Pusole e Studio Sistema con Gianni Colosimo.

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La mostra di Art for Excellence è aperta al pubblico dal martedì alla domenica, con orario 10.00/19.00 e ingresso libero fino a esaurimento biglietti scaricabili gratuitamente dal sito www.artforexcellence.it. Sono inoltre in programma visite guidate per il pubblico durante le quali saranno presenti il curatore e alcuni degli artisti coinvolti nell’iniziativa. Per informazioni e prenotazioni: info@artforexcellence.it.

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La collaborazione tra Art for Excellence e il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano per l’edizione 2017 è nata con l’idea di realizzare un ponte tra epoche e stili artistici differenti, nell’intento di proporre al pubblico un percorso espositivo ancora più fantasioso ed originale: per il Museo ospitare una mostra temporanea all’interno della Aula della Camera Italiana è senz’altro un avvenimento inedito che, per la prima volta nella sua storia, ha permesso a opere d’arte contemporanea di dialogare con i vari tesori e cimeli storici contenuti nella sala. Art for Excellence ha ottenuto un grande successo nelle sue prime due edizioni, grazie al coinvolgimento di 37 aziende 37 artisti e alla loro partecipazione attiva a tutte le diverse fasi del progetto, ha goduto di una grande affluenza di pubblico, facendo registrare in due anni circa 13.000 visitatori, e di un’importante copertura mediatica su carta stampata, testate online e media radiotelevisivi. Nel 2016 Art for Excellence ha ricevuto il prestigioso riconoscimento di “Miglior progetto imprenditoriale in ambito culturale dell’anno” da parte del 2i3T – Incubatore d’Impresa dell’Università degli Studi di Torino.

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Art for Excellence 2017

DURATA: dal 29 novembre al 13 dicembre (con proroga fino al 17 dicembre)

LUOGO: Museo Nazionale del Risorgimento Italiano – Palazzo Carignano, Torino

ORARI: dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00

MODALITÀ DI ENTRATA: ingresso libero fino a esaurimento biglietti scaricabili gratuitamente dal sitowww.artforexcellence.it

CONFERENZA STAMPA, PREVIEW MOSTRA E LIGHT LUNCH: 28 novembre ore 11.00

INAUGURAZIONE MOSTRA: 28 novembre ore 18.00 con ingresso libero senza necessità di registrazione

PERFORMANCE DI LIVE PAINTING: nel porticato del Museo a ridosso dell’inaugurazione

VISITE GUIDATE SU PRENOTAZIONE: negli orari di normale apertura della mostra con modalità gratuita (presenti il curatore e alcuni degli artisti coinvolti nell’iniziativa). Per informazioni e prenotazioni: info@artforexcellence.it

“Cento anni” al Museo del Risorgimento

Nell’ambito del 35° Torino Film Festival il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano ospiterà la proiezione del film documentario “Cento anni” di Davide Ferrario


Trama: 24 ottobre 2017: l’anniversario della disfatta di Caporetto. Da questa ricorrenza si sviluppa un emozionante saggio storico fatto di testimonianze, voci, biografie, documenti visivi. Ricostruzione di un evento leggendario, per ritrovare, attraverso cent’anni di storia, lo spirito di un popolo capace di rovinose sconfitte, ma anche di sorprendenti riscosse. Con Massimo Zamboni (ex C.C.C.P. e CSI), Marco Paolini, Diana Hobel, il poeta Franco Arminio e il violoncellista Mario Brunello.

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Appuntamento alle ore 16 presso la Sala cinema del Museo. Sarà presente il regista.
Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti.

Deludono i fantasmi del Giappone e quanto zoppica il Riccardo di Massimo Ranieri

DAL NOSTRO INVIATO Elio Rabbione

C’è il rischio, man mano che si attraversano le giornate del concorso, di incappare in film che potremmo comodamente scambiare per tentativi o esercitazioni. Volenterosi, per carità, ma pur sempre gli affanni di presunti giovani registi che scivolano sulla buccia di banana della giovane età o sulla sfrontatezza di voler etichettare con il loro nome la loro prima fatica. Proviamo a pensare all’opera del nipponico Jun Tanaka, Bamy, una storia fatta di persone reali e di fantasmi nerovestiti e incappucciati, di un ragazzo che li vede e li fugge e li combatte, di una ragazza che lo invita aa andare a vivere con lei ma che con gli ectoplasmi proprio non ha rapporti di sorta. E di una seconda ragazza che al contrario li vede, e di ombrelli rossi che come in un quadro di Magritte riempiono il cielo della metropoli. Nella confezione sfuggente tutto diventa abbastanza ridicolo, nel modo di pronunciare le battute, nei silenzi e nelle pause incomprensibili, nella musica roboante che nulla ha a che fare con il resto, nei movimenti robotici che occupano lo schermo e nella inespressività che al pubblico torinese fa riprendere l’uscita a una mezz’ora dall’inizio o strappa sonore risate poco rassicuranti per la troupe seduta a metà della sala. Al di là della presentazione in cartella stampa, ti è difficile ritrovare qualcosa di “affascinante e misterioso” e non ti accontenti certo di una cura formale che scivola immediatamente nel banale. Rispedendo al mittente quella “limpidezza di intenzioni” che fa a pugni con lo svolgersi ingessato della vicenda. Il medesimo discorso si potrebbe fare per Kiss and cry diretto da Chloé Mahieu e Lila Pinell, francesi. Il titolo definisce il luogo a bordocampo di una pista di ghiaccio dove i campioni stazionano nel dopo partita in attesa del giudizio della giuria mentre la storia narra della quindicenne Sarah, trasferitasi con la madre da Parigi a Colmar per essere impegnata quotidianamente in uno sport come il pattinaggio, con i salti le corse le cadute le perfette posizioni le giravolte, che le richiede dedizione completa e la cancellazione della sua vita di ragazza, sino a chiedersi quanto sia stufa o quanto lo faccia per ubbidire agli sforzi di una madre. Mentre deve combattere contro le compagne che la deridono e la emarginano, contro un allenatore che la insulta senza mezzi termini. Sul fronte della ribellione c’è la festa notturna nel bosco a suon di alcol e spinelli o le chiacchierate con le nuove amiche, con tanto di immagini delle loro parti intime sparate su social (e immediata risposta maschile), o la ricerca del primo ragazzo con la paura che lui la cerchi per farci soltanto sesso, mentre la sorella maggiore la tempesta di “l’hai già fatto?”. Il film tenta di entrare nel mondo giovanile ma lo fa in modo quantomai scontato, tenendo lontano lo spettatore da immedesimazione o pietà, subendo la trappola di slungare oltre il dovuto certe situazioni che dovrebbero approfondire il discorso giovanile ma che finiscono con lo svilirlo del tutto. Tutto quanto diventa ancor più antipatico se si pensa che il punto di partenza è stato un documentario sullo stesso ambiente e con lo stesso tragitto, nessuno sentiva il bisogno di gonfiarlo con una storia che alla fine risulta elementare e vuota.

Sul versante italiano, per la sezione “After hours” ci interessava Riccardo va all’inferno di Roberta Torre (“Tano da morire” e “Sud Side Stori”), un grande, sfavillante carrozzone dark, una rilettura del Riccardo III shakespeariano nella Roma di oggi, fredda, buia, sotterranea. Si risente “l’inverno del nostro scontento”, si risente “il mio regno per un cavallo”, Massimo Ranieri che non ha il modo o la forza per essere il re del palcoscenico, ingobbito, una gabbia nera che intrappola una gamba, un trucco che fa resuscitare Nosferatu, esce dall’ospedale psichiatrico in cui è stato chiuso per anni per dare inizio alla sua carneficina di fratelli e nipoti, della madre (una strepitosa Sonia Bergamasco imparruccata e bistrata, una vecchia regina di Hollywood in disarmo trattenuto) che lo ha privato del suo amore. Si sta al gioco della Torre, caciaroso quanto basta, non tanto quello narrativo che è pressoché inesistente, tanti episodi mortiferi uno eguale all’altro, pressoché senza spessore, quanto per la cornice scenografica del film, per i costumi, per le canzoni di Mauro Pagani, per gli effetti roboanti della storia. Ma con una materia come la grande tragedia come base, si poteva davvero fare di più.

 

Pittori / Poeti / Pittori

FINO AL 17 DICEMBRE 

“Ho continuato fino a diciotto, diciannove anni a non sapere se la mia vocazione fosse quella del pittore piuttosto che quella dello scrittore”: a confessarlo é Franco Fortini, pseudonimo di Franco Lattes (Firenze, 1917 – Milano, 1994), poeta “difficile e intenso”, critico letterario e saggista, ma anche (pochi lo sanno) pittore. E pittore vero, con tanto di corsi all’Accademia e laurea in Lettere, con tesi in Storia dell’Arte su Rosso Fiorentino. Una passione per la pittura e per il disegno ben testimoniata per altro dalle oltre 300 opere conservate nell’Archivio del “Centro Studi Fortini” dell’Ateneo di Siena. E proprio Fortini è uno dei nove grandi artisti del nostro Novecento (con il dubbio del “cosa farò da grande?”) protagonisti della raffinata mostra “Pittori / Poeti / Pittori”, curata da Marco Vallora, con l’organizzazione della “Fondazione Bottari Lattes”, e allestita nel Palazzo Banca d’Alba, fino a domenica 17 dicembre. “Il titolo della mostra – spiega Vallora richiama una circolarità, un volano che evoca un’incertezza feconda tra arte e poesia. E’ un fenomeno che in Italia ha avuto alcuni esiti assai curiosi: artisti che all’inizio del loro percorso sono indecisi sulla strada da prendere, se farsi pittori, poeti, musicisti o saggisti”. Fortini optò per la “parola”, senza mai ripudiare però la pittura e soprattutto il disegno e l’opera grafica: suo in mostra un rigoroso “Autoritratto”, linografia su carta del 1936-’37, palese dimostrazione di un’abilità tecnica (nell’uso marcato e attento del lavoro di sgorbia) che andava ben oltre il semplice diletto del fare. La rassegna s’avvia con il bellissimo “Beccaccino”, regalato da Filippo De Pisis a Eugenio Montale (entrambi classe 1896, conosciutisi nel 1919 post-bellico): dono che voleva ricambiare l’omaggio fatto dal poeta ligure di una copia delle sue “Occasioni” con tanto di dedica al pittore ferrarese, che Montale sapeva essere anche buon poeta. E in mostra (dove di De Pisis scrittore troviamo manoscritti di poesie, libri rari e tele che rappresentano il tema del libro, della penna-piuma e del sonetto) scopriamo la lettera in cui, fra orgoglio e ironia, Montale confida al De Pisis: “Lei non lo sa, ma sono anche io pittore, e forse più bravo di lei”. Parole audaci se raffrontate ai risultati pittorici “non brillanti” ma “pugnaci”: incisioni, tele, bozzetti a pastello. Insieme a carte, lettere, autografi e fotografie. Allievo a Bologna, come De Pisis, di Roberto Longhi, anche per Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Ostia, 1975) la passione per l’arte e la pittura è per tutta la vita compagna fedele della sua attività di regista-scrittore-poeta-giornalista. In mostra ad Alba, troviamo disegni, scritti poetici e autoritratti. Particolarmente suggestivo il pirandelliano“Autoritratto con il fiore in bocca” realizzato a 25 anni, il volto verdastro ferito da violente pennellate bianche e nere, un fiore rosso in bocca e un disegno di ragazzo alle spalle; opera – s’è scritto – che parla già di “sconcertante anticipazione del tocco distorto di Francis Bacon”. Curiosa e abbastanza unica anche la caratteristica di Pasolini, messa in luce dalla rassegna (che propone anche spezzoni scelti e montati del suo cinema), di dipingere non solo con i colori tradizionali, ma con stramberie come fondi di caffè, olio e vino. E che dire di quello stravagante divertissement che pare essere il “Ritratto di De Pisis col pappagallo” realizzato da Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975) nel ’33? Quanto lontana è la lezione casoratiana e l’elementare monumentalità dei ritratti della gente di Lucania! Qui Levi bonariamente ironizza sull’eccentrica personalità di De Pisis, appassionato collezionista di strane “chincaglierie da Wunderkammer”, immortalandolo con giacca di un azzurro “polveroso” su cui trionfano chiassose medaglie, il fiore all’occhiello, la cravatta a pois e sul viso bello tondo il monocolo e l’orecchino, a far da pendant con gli anelli sopra il guanto di pelle. E, per finire, sulla spalla destra il “pappagallo Cocò”. Verso il “fantastico visionario” volano invece le opere di Giuseppe Zigaina (Cervignano del Friuli, 1924– Palmanova, 2015), apprezzato pittore ma anche superbo letterato, soprattutto per l’attività critico-interpretativa degli ultimi testi di Pasolini, di cui fu amico d’infanzia e con cui collaborò a vari film. In un ambito di singolare eccentrica “visionarietà” si collocano anche i disegni, i dipinti e le bozze di romanzi di Mario Lattes (Torino, 1923 – Torino, 2001): campi di creatività diversi, ma tenuti vivi con grande maestria, così come fu per Alfonso Gatto (Salerno, 1909 – Orbetello, 1976), poeta, scrittore, critico d’arte e perfino gallerista, ma anche pittore di deliziosi acquerelli, oli, tempere e disegni. Suo il libro “Coda di paglia”, illustrato da Mino Maccari (Siena, 1898 – Roma, 1989), anche lui pittore e incisore, ma pure scrittore e giornalista. Fu perfino caporedattore a “La Stampa”, sotto la direzione di Curzio Malaparte. Pittura “ricca e furente”, la sua; “anarchico e geniale”, per Pasolini disegna anche un manifesto di “Accattone”.

Gianni Milani

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“Pittori /Poeti / Pittori” Palazzo Banca d’Alba, via Cavour 4, Alba (Cn), tel. 0173/789282

Fino al 17 dicembre. Orari: mart. – ven. 15,30/19; sab. e dom. 10,30/18,30

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Le immagini:

– Franco Fortini: “Autoritratto”, linografia su carta, 1936 – ’37

– Filippo De Pisis: Interno con libri e bottiglietta”, olio su cartone, 1931
– Pier Paolo Pasolini: ” Autoritratto con il fiore in bocca”, olio su faesite, 1947
– Carlo Levi: “De Pisis col pappagallo”, olio su tela, 1933

Gerda Taro. La vita ribelle e breve di una fotoreporter


Nel cimitero di Père-Lachaise, il grande cimetière de l’Est sulla collina che sormonta la rive droite e il Boulevard de Ménilmontant, nel ventesimo arrondissement di Parigi, è sepolta, tra i tanti illustri defunti, Gerda Taro. La sua tomba è nella 97° divisione, non lontana da quella di Edith Piaf e dal “muro dei Federati“, un luogo-simbolo dove, il 28 maggio del 1871, furono fucilati dalle truppe di Thiers gli ultimi 147 comunardi sopravvissuti alla “semaine sanglante”, la settimana di sangue che pose fine al sogno ribelle del governo rivoluzionario della Comune di Parigi. Questo è, senza dubbio, il luogo ideale per custodire le spoglie mortali della prima giornalista di guerra a cadere sul campo durante lo svolgimento della sua professione, entrata nella storia della fotografia per i suoi reportage realizzati durante la Guerra di Spagna. Gerda Taro, il cui vero nome era Gerta Pohorylle, nasce nel 1910 a Stoccarda e, nonostante le sue origini borghesi entra giovanissima a far parte di movimenti rivoluzionari di sinistra. Le idee politiche, la militanza e la sua origine ebraica, con l’avvento del nazismo in Germania, la costringono a rifugiarsi a Parigi. Nella ville Lumière degli anni folli, magistralmente descritta da Ernst Hemingway in “Festa mobile”, la stella cometa della Taro travolge le vite degli amici e degli amanti con un’energia inesauribile. E’ a Parigi che Gerta Pohorylle conosce André Friedmann, ebreo comunista ungherese e fotografo, che le insegna le tecniche del mestiere. Formano una coppia e iniziano a lavorare insieme. L’atmosfera magica della città e l’estro creativo e vulcanico della giovane la portano a creare per il compagno una figura del tutto nuova. Nasce così Robert Capa, un fantomatico fotoreporter americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Con questo pseudonimo il mondo intero conoscerà Friedman e il fotografo finirà per sostituirlo al suo vero nome, conservandolo per tutta la vita. Lei stessa cambia il nome in Gerda Taro.

Nel 1936 entrambi decidono di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola. Si tratta di una scelta importante che li coinvolgerà e segnerà così profondamente da farli diventare alcuni tra i più importanti testimoni del conflitto, che seguono e raccontano al mondo attraverso scatti sensazionali e numerosi reportage pubblicati su periodici come “Regards” o “Vu“, la prima vera rivista di fotogiornalismo. Gerda con incredibile coraggio e sprezzo per il pericolo, rischia più volte la vita per fermare, attraverso le immagini, un momento del conflitto. Helena Janeczek ne “La ragazza con la Leica” ci regala un ritratto incisivo e significativo della Taro, raccontando che si “trascinava dietro la fotocamera, la cinepresa, il cavalletto, per chilometri e chilometri. Ted Allan ha raccontato che con le ultime parole ha chiesto se i suoi rullini erano intatti. Scattava a raffica in mezzo al delirio, la piccola Leica sopra la testa, come se la proteggesse dai bombardieri”. Gerda fotografa prevalentemente con una Rolleiflex, formato 6×6, mentre Robert preferisce la Leica. Poi anche lei inizia ad utilizzare la piccola fotocamera. Nello stile di Gerda predomina l’individuo, i suoi scatti mettono a fuoco i protagonisti della guerra, le vittime, i combattenti, le donne e i bambini, immagini forti che descrivono, in punta di obiettivo, l’evento storico che anticipò come un tragico prologo la seconda guerra mondiale. Le sue foto sono come la sua vita tumultuosa, simile ad una corsa a perdifiato, una vita segnata da passioni forti, da un’incredibile vitalità e da un desiderio di affermazione e di emancipazione che, storicamente, le donne avrebbero raggiunto solo molto più tardi. Questa vita viene spezzata dai cingoli di un carro armato che la travolge proprio mentre torna dalla battaglia di Brunete dove aveva realizzato il suo servizio più importante, che viene pubblicato postumo sulla rivista “Regards”. Sotto quel carro armato si spengono i sogni, l’entusiasmo, tutte le foto che il futuro avrebbe potuto regalarle e la breve ed intensa vita della 26enne Gerda Taro.Trasportata a Madrid, la fotografa resta cosciente per alcune ore, giungendo a vedere un’ultima alba: quella del 26 luglio 1937. Il suo corpo viene riportato a Parigi, la patria della sua vita di artista, e, accompagnato da un corteo funebre di duecentomila persone, viene tumulato al cimitero del Père Lachaise. Il suo elogio funebre viene scritto e letto da Pablo Neruda e Louis Aragon. Robert Capa, distrutto dalla morte della sua compagna di vita e d’arte, un anno dopo la scomparsa di Gerda, pubblica in sua memoria “Death in the Making“, riunendo molte delle foto scattate insieme. La vita di Capa, da quel momento, sembra procedere in uno strano, inquietante e provocatorio “gioco a rimpiattino” con la Morte che il fotografo sfida, conflitto dopo conflitto, scattando immagini sconvolgenti e sempre fedeli al suo motto “se le foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino”. La morte gli dà scacco matto attraverso una mina antiuomo, nel 1954, nella guerra in Indocina, mentre Capa cerca, ancora una volta, di regalare all’umanità un’altra testimonianza dell’orrore dei conflitti bellici. Un fotoreporter, in fondo, non deve fare niente altro se non testimoniare la realtà e semplicemente “dare la notizia”.

Marco Travaglini