

Prosegue con grande successo anche la quarta settimana della rassegna ‘#Parco Dora Live’, che sino a fine luglio offre concerti e spettacoli di cabaret gratuiti di grandi artisti italiani nella piazzetta esterna del Centro Commerciale ‘Parco Dora’ a Torino in Via Livorno angolo Via Treviso. Dopo gli ottimi show di grandi nomi della musica e del teatro comico, venerdì 30 giugno, presentato dal noto attore comico torinese Gianpiero Perone, sarà di scena Gabriele Cirilli, volto tra i più amati della tv. Domenica 2 luglio,
invece, presentato da Gino Latino di Radio GRP (media partner dell’evento) e Carlotta Iossetti, sarà la volta del concerto di Mario Venuti, affermato e amato cantautore italiano con all’attivo svariati grandi successi della musica italiana. Attesi inoltre nelle prossime settimane anche l’ex cantante dei Matia Bazar Silvia Mezzanotte, Donatella Rettore, Alexia e Marco Ferradini. Tutti gli spettacoli sono gratuiti e iniziano alle 20.30. Per informazioni, www.parcocommercialedora.it.
I LEGAMI CON L’AREA TORINESE
Le ventisette cappelle, nelle quali è ricompreso il Paradiso, vera ricchezza artistica, che compongono il percorso devozionale del Sacro Monte di Crea, patrimonio dell’Umanità Unesco portano su di esse le lapidi con i nomi delle rispettive vicarie della Diocesi di Casale Monferrato cui sono state assegnate a suo tempo. Partendo da questo dato di fatto il rettore del Santuario di Crea (e vice presidente dell’Ente di gestione dei Sacri Monti piemontesi e lombardi) monsignor Francesco Mancinelli propone che i comuni intestatari prendano a cuore le rispettive cappelle “non però nel senso di contributi finanziari diretti ma di sensibilizzare le rispettive comunità con iniziative di fund rising che consentano la manutenzione ordinaria delle cappelle stesse”. Tra i comuni in questione ci sono anche Vercelli, con la Cappella di Sant’Eusebio, del resto fu proprio il Santo a portare a Crea la statua di Maria, da secoli oggetto di devozione, ed Alessandria con quella che illustra “L’annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine”. Per quanto riguarda la Città Metropolitana di Torino, quella de “L’Orazione di Gesù nell’orto”, si riferisce alle parrocchie di Brusasco, Cavagnolo, Monteu da Po, Brozolo e Verrua Savoia. Crea, da secoli, è un punto di riferimento non solo per il Monferrato, ma anche per il Vercellese, l’Astigiano, l’Alessandrino, il Torinese e la vicina Lombardia, soprattutto per le province di Milano, Varese e Como, oltre che il Canton Ticino, dal quale sono arrivati nel 2016 ben sette pellegrinaggi.
Massimo Iaretti
Da mercoledì 28 giugno e fino a sabato 1 luglio 2017 ritorna al Teatro Espace di via Mantova 38 a Torino il Moving Bodies Festival Butoh e Performance Art. Connecting Sea – Onde è il tema di questa quarta edizione curata da Ambra G. Bergamasco e Edegar Starke. Il Moving Bodies fa tappa a Torino dopo l’edizione di Dublino che si è tenuta con grande successo nel Centro Nazionale della Danza di Dublino – Dance Ireland, dal 20 al 22 aprile 2017. Il Festival è realizzato con il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano ed in collaborazione con Dance Ireland, il Teatro Espace, la C.S.D Compagnia Sperimentale Drammatica. Dal 2016 è anche partner di Nesxt Festival, arte contemporanea e performance art curato dalla critica Olga Gambari.
Il Moving Bodies Festival si presenta, anche per questa edizione, come una piattaforma che mette in relazione la danza Butoh con altre forme performative affini nel sentire artistico quali la Performance Art.
All’edizione 2017 di Torino parteciperanno per la danza Butoh artisti di fama internazionale quali il maestro Masaki Iwana che chiuderà il Festival sabato 1 luglio con una sua performance, oltre naturalmente agli stessi curatori Edegar Starke ed Ambra G. Bergamasco (il 28 e il 30 giugno) , Enrico Pastore (30 giugno) e Chiara Burgio con Francesca Kezich e Margherita Tosi (29 giugno). Per la Performance Art in programma i nomi di Francesca Arri, (il 30 giugno con i partecipanti al workshop performance corale) Eleanor Lawler, Sinead Keogh
“Connecting Sea – Onde”, tema di questa quarta edizione, è una riflessione sulla contemporaneità, dedicata alle complesse vicende legate al mare e ai territori che mette in relazione. Oggi, nel nostro quotidiano, il mare è portatore di storie e di nuove vite. Come onde, alcune si frastagliano violentemente davanti ai nostri occhi, altre invece diventano connettori creando e generando relazioni tra paesaggi e persone, creando così l’opportunità di scoprire nuovi mondi e nuove relazioni.
Circo contemporaneo, danza di ricerca, giocoleria coreografica, teatro urbano e di strada. Per gli appassionati di arti performative l’appuntamento è a Fossano, dal 27 giugno al 2 luglio, con l’11° edizione di Mirabilia, International Circus & Performing Arts Festival, dal titolo “The Soul surfers” ovvero i surfers dell’anima. 6 giorni per scoprire la massima creatività a livello internazionale
Un fitto calendario di performance e spettacoli che coinvolgono 236 artisti e 56 compagnie, provenienti da Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Spagna; e oltreoceano da Cile e Giappone. In programma ben 149 repliche nei giorni del festival, 6 prime assolute e 9 nazionali.La manifestazione che per una settimana trasforma la cittadina della Provincia Granda in un caleidoscopio di discipline e linguaggi è organizzata dall’Associazione culturale IdeAgorà, con la direzione artistica di Fabrizio Gavosto. Mirabilia invaderà letteralmente Fossano, tra cortili teatrali, tendoni da circo, castello e bastioni, trasformandone il volto tra sperimentazioni tecnologiche e coreografiche, laboratori e notti bianche.Spettatori come “surfisti dell’anima” che cavalcano le onde della creazione contemporanea attraverso il labirinto degli eventi in programma.
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Tra i Grandi nomi, il giapponese Hisashi Watanabe con il suo mix di contorsionismo, danza, butoh e giocoleria coreografica in “Inverted tree”; Stefan Sing che esprime una nuova dimensione del corpo e del suo rapporto con lo spazio e gli oggetti, maestro e innovatore della giocoleria magica; mentre il confine tra il nostro “io” e gli altri e l’interdipendenza nella società attuale è esplorato in “Taival” dal trio Cie Nua, un acrobata, un giocoliere e una danzatrice.
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Tra i Progetti speciali, workshop, incontri e spettacoli, come quello di teatro-danza di B612 Lab “Progetto Trentesimo”; ma anche “Kaleidos”, progetto di respiro internazionale che promuove la diffusione delle discipline circensi… e per i più piccoli 4 scuole di circo che presenteranno le loro performance.
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Tra i Sentieri dell’anima per un pubblico eterogeneo il festival si snoda in 4 percorsi. Quello dedicato al circo di ricerca con spettacoli innovativi e visionari, e prime assolute delle più importanti compagnie europee, come i Nuua, la Compagnia di Chaos e i Defracto.
Da non perdere il filone che ruota intorno alla danza con sperimentazioni anche interdisciplinari; mentre il percorso del teatro di strada passa dal divertissement della Sbrindola all’impegno sociale degli Houseclowns e arriva allo spazio scenico quasi post bellico disseminato di macerie di EgriBiancoDanza con il suo “Itinerario per una possibile salvezza”. Divertimento assicurato anche per i bambini con tendoni da circo che ospitano spettacoli delle migliori Scuole di Circo Ludico Educativo italiane.
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Focus ovvero 4 vetrine internazionali con le compagnie più innovative della scena contemporanea.
La Francia va in scena con 3 compagnie: i Defracto e il loro ultimo lavoro “Dystonie”; Matteo Sospeso con “Tu me fais tourner la tête” ispirato alle visioni sospese di Chagall. E la Compagnie du Chaos con Rafael de Paula (nel 2015 premiato come miglior autore di circo contemporaneo) che presenta 2 spettacoli: la prima italiana di “Nebula”, performance tra circo e arte digitale, e “Nonada” prima assoluta in collaborazione con Vignale Monferrato Festival.
L’Irlanda scende in campo con 3 compagnie. DueDà Company (nata dalla collaborazione tra l’acrobata irlandese Steve Boyd e la ballerina-coreorafa italiana Giada Negroni) si ispira alla poesia di Robert Frost e in “Diverged” racconta l’atavica lotta tra logica e istinto. In prima nazionale “Boa Noite” del duo di artisti di Maleta Company (il performer Alex Allison e l’acrobata Davi Hora); mentre Outside the box presenta “Lulu’s world” in prima nazionale.
Focus “Beyond Borders” – sostenuto dalla Fondazione Piemonte dal vivo- è un approfondimento sulla transdisciplinarietà, con spettacoli che travalicano e mischiano diverse discipline all’insegna di una geniale contaminazione. Ed ecco l’innesto tra danza e circo contemporanei in spettacoli come “Kudoku”di Daniele Ninarello, “Pesadilla” di Piergiorgio Milano e, tra gli altri, “Quintetto” di TIDA Thêatre Danse.
Focus Stagione Europea del Circo con compagnie e spettacoli sostenuti dal progetto europeo CircusNext. Ed allora spazio alle esibizioni degli artisti che sono la punta di diamante della sperimentazione contemporanea: da Defracto agli attesissimi Nuua.
Ma non solo arte e spettacolo a Mirabilia… è previsto infatti anche un piacevole e sorprendente corollario di degustazioni e appuntamenti enogastronomici di altissimo livello e cene a lume di candela.
Laura Goria
Per saperne di più e seguire sui social Mirabilia: online il sito festivalmirabilia.it; su Facebook @FestivalMirabilia; Twitter @MirabiliaFest; Istagram mirabiliafestival
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Ha talento da vendere e buone dosi di coraggio, tenacia e intraprendenza, Pietro Milanesi, giovane compositore torinese che oggi vive e lavora a Los Angeles e crea con straordinaria abilità soprattutto musiche per spot pubblicitari, film e televisione. Aria sbarazzina e tempra da golden boy, ha solo 28 anni ed è un gran bell’esempio di italiano nel mondo. La sua passione per la musica lo ha guidato verso continui importanti traguardi… ha fatto tutto da solo e non ha sbagliato un colpo.
I suoi primi passi a Firenze nello storico studio Larione 10; poi a Roma dove ha lavorato in uno dei più grandi studi di registrazione italiani con artisti del calibro di Ennio Morricone, Nicola Piovani, Max Pezzali, Fiorello, Nek, Antonello Venditti ed artisti internazionali come la band francese Fortune e gli inglesi East 17. E’coup de foudre per il mondo del cinema e della musica per immagini e dà il meglio si sé in progetti di successo, come la serie televisiva “Benvenuti a tavola” e il film natalizio “Una famiglia perfetta”. E’ sul trampolino di lancio, diventa inarrestabile, vince borse di studio e plana a Boston dove lavora con mostri sacri come Celine Dion e Harvey Mason.
Ma la grande svolta è il trasferimento a Los Angeles, dove collabora con il compositore inglese Adam Peters a vari progetti tra cui il documentario “Icarus”, scrive un album per la Red Bull e partecipa a uno stage presso Hans Zimmer al famoso Remote Control Production. I suoi contributi vanno anche al cinema e con il compositore Marcelo Zarvos lavora al film “Wonder”, con Julia Roberts e Owen Wilson, che sarà nelle sale a novembre.
Le cose più importanti e di successo che hai fatto?
«Di recente “Icarus” che, partito come film low budget, sta creando parecchio rumore. Ha vinto il premio speciale della giuria al Sundance Film Festival, il premio della critica al Sundance London e sta raccogliendo successi nel circuito dei festival internazionali. Sono curioso di vedere come lo accoglierà il grande pubblico quando a fine estate uscirà su Netflix. Poi ho un gran bel ricordo di “Una famiglia perfetta”, primo film a cui ho collaborato componendo la colonna sonora. Andare al cinema con tutto il team e sentire le musiche su cui avevo lavorato per mesi è stato emozionante».
Cosa hanno significato in termini di impegno e difficoltà?
«L’impegno è sempre molto ed ogni progetto, piccolo o grande che sia, pone diverse problematiche. Cerco di dare ogni volta il massimo, ma il risultato finale dipende da tutte le persone coinvolte».
I big con cui hai lavorato e cosa ha comportato?
«Sono tanti. A Roma, dove lavoravo come fonico al Forum Forum Music Village, sono passati tutti i grandi nomi della musica italiana ed internazionale. Situazioni in cui c’è più pressione, la qualità dei musicisti è molto alta, quindi il livello di attenzione è sempre al massimo. Ero particolarmente emozionato a lavorare con Max Pezzali, perché, come molti della mia generazione, sono cresciuto con la sua musica. Lui in studio è molto pacato e gentile, proprio come lo si vede in pubblico. Il suo album è stato in vetta alle classifiche e spero di aver contributo al suo successo».
Cos’è per te la musica?
«E’ la mia passione e sono fortunato che sia anche il mio lavoro, che è molto vario, perché ogni progetto è differente. Inoltre alterno l’attività di compositore a quella di fonico. Mi appaga lavorare sulle musiche di un film: progetto collettivo in cui relazionarsi con regista, editor del video e dell’audio, tecnici del suono, musicisti e così via. L’impegno è notevole, 7 giorni su 7. La carriera che ho scelto richiede sacrifici, ma mi ha dato anche diverse soddisfazioni».
Il genio assoluto chi è e com’è lavorarci insieme?
«Immagino ti riferisca a Morricone. Sicuramente un talento fuori dal comune, non a caso è tra i compositori viventi più stimato al mondo. Scrive tutte le parti, incluse le orchestrazioni; dirige ed è presente a tutte le sessioni del missaggio. Considerando che quando ero in studio con lui nel 2012 aveva 84 anni…non è poco».
Il tuo pensiero prima di entrare in sala registrazione, quello durante il lavoro e cosa ti passa per la testa una volta finito.
«”Speriamo vada tutto bene!” Soprattutto per quanto riguarda le tecnologie musicali, perché può capitare che i banchi analogici, vecchi di alcuni decenni, diano problemi e, se succede nel mezzo di una registrazione con l’artista, può rovinarti la giornata. Durante il lavoro sono superconcentrato su quello che faccio. Quando ho finito spesso sono esausto e non ho molti pensieri se non quello di riposare e cominciare a pensare al progetto successivo».
L’ispirazione da dove ti arriva?
«Sicuramente contribuiscono tutti gli stimoli esterni e non solo musicali. Influiscono la musica che ascolto a come mi sento in determinati momenti; poi è fondamentale l’allenamento nello scrivere.
Spesso ci sono scadenze fisse e la necessità di finire in tempo aiuta l’ispirazione. Cerco di essere versatile per comporre ogni tipo di musica; ma allo stesso tempo, spero di riuscire a sviluppare un suono che mi appartenga, una mia voce originale».
La tua giornata tipo ?
«Non esiste. A volte lavoro da casa e non faccio altro che scrivere tutto il giorno: forse è l’attività che prediligo, anche se alla lunga tende ad essere solitaria. Mi piace molto stare in studio di registrazione con altri musicisti. Quando lavoro per un compositore e dobbiamo finire un film faccio orari assurdi e la mia vita sociale scompare. In qualche modo cerco di ritagliarmi del tempo libero e fare altro dalla musica, ma non sempre è possibile».
Per il tuo lavoro perché l’Italia non basta?
«Gli Stati Uniti offrono opportunità uniche, spesso di portata internazionale. Il 90% della musica che ascolto da sempre è americana ed è uno stimolo straordinario poter lavorare con persone di cui sono un fan. Sono ambizioso e trasferirmi ha significato trovarmi a stretto contatto con alcuni dei più grandi nomi della scena musicale mondiale. Poi, per la musica da film qui i grandi budget dell’industria cinematografica permettono un’ampia varietà di generi».
Los Angeles, Hollywood e il mondo in cui lavori…che esperienza è?
«Sicuramente molto diversa da quella in cui sono cresciuto. Vengo da Torre Pellice, un piccolo paese in provincia di Torino e, al primo impatto, trovarmi in una metropoli come Los Angeles è stato uno shock. Non è certo una città facile; per esempio se mi devo spostare il traffico è tale che la giornata si accorcia drasticamente. Ma le opportunità che ci sono qui non le troverei in nessun’altra parte del mondo: per tutto ciò che riguarda l’intrattenimento è un posto unico e ricco di offerta».
I tuoi prossimi passi?
«Sto ultimando le musiche per il film”FollowingKanika” che tratta un tema attuale: la distorsione dell’immagine che i giovani hanno di se stessi, legata agli effetti dei social media. Inoltre continuo a scrivere brani per diverse librerie musicali come Gramoscope o FineTune Library, che si occupano di inserirli in diversi programmi televisivi di successo quali “The Bachelor” o “So you think you can dance”. Sul fronte italiano ho nel cassetto una canzone per Fabio Rovazzi, il rapper che la scorsa estate cantava“Andiamo a comandare; vedremo se avrò modo di fargliela sentire».
Come vorresti il tuo futuro?
«Continuare a scrivere musica e lavorare su progetti stimolanti. Il futuro è incerto, ma promettente».
Allora i nostri migliori auguri a questo giovane talentuoso di cui potete ascoltare alcuni brani sul suo blog www.pietromilanesi.com
Laura Goria
Per molto tempo è stata relegata nell’oblio,volutamente confinata in un cono d’ombra perché scomoda, ribelle, anticonformista. Eppure i suoi scatti, a parere di molti, hanno anticipato i moderni reportage fotografici, creando una “memoria visiva” che ha documentato in maniera straordinaria culture e realtà sociali. Nella sua vita amò molto uomini, idee, arte, diritti umani, rivoluzione. Una donna straordinaria, Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina. Nata il 17 agosto 1896 nel popolare Borgo Pracchiuso a Udine, da un’umile famiglia friulana, aderente al socialismo della fine Ottocento, ad appena due anni si trovò costretta ad emigrare in Austria con la sua famiglia.
I Modotti tornarono a Udine nel 1905 e Tina frequentò lì le prime classi della scuola elementare. A dodici anni s’impiegò come operaia nella fabbrica tessile Kaiser, alla periferia della città. Il padre era nuovamente emigrato, questa volta in America, in cerca di lavoro e la ragazza dovette contribuire al mantenimento della numerosa famiglia. Tempo un anno e anch’essa – nel giugno del 1913 – varcò l’oceano per raggiungere il genitore in California, dove – come ha scritto nella sua biografia Pino Cacucci – “stavano crescendo i grandi movimenti sindacali” e “la vita culturale e artistica era in gran fermento”. Così a Tina Modotti si dischiusero in un primo tempo le vie del teatro e del cinema, e poi della fotografia. Fu musa di artisti importanti, recitò nel cinema muto di Rodolfo Valentino, amò perdutamente il rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella che finì ucciso nel 1929. Leggendo la vita di Tina Modotti si fanno incontri straordinari: i fotografi Jane Reece, Johan Hagemayer, Robert Capa, Edward Weston, che la ritrasse in un nudo bellissimo ; i grandi pittori messicani Diego Rivera e Clemente Orozco; attivisti politici come il triestino Vittorio Vidali, conosciuto durante una manifestazione di protesta dopo la condanna a morte di Sacco e Vanzetti ;scrittori come John Dos Passos, André Malraux, Ernest Hemingway. Da donna appassionata qual’era si dedicò alla causa rivoluzionaria in Messico e combatté con le Brigate internazionali in Spagna. Le sue foto “narrano” gli ultimi.Sono immagini di campesinos, pescatori, donne che lavano i panni e che allattano, bambini. Molte fotografie sono dedicate al Messico, sua terra d’elezione, dove morì a 46 anni e dov’è sepolta. Pablo Neruda scrisse le parole dell’elogio funebre che ancora oggi si possono leggere sulla sua tomba: “Sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova
rosa. Riposa dolcemente, sorella…Perché non muore il fuoco“. Dopo l’improvvisa scomparsa le venne tributato il giusto riconoscimento per la sua personalità umana, artistica e politica, tant’è che per alcuni anni la sua memoria restò ben viva nell’opinione pubblica latinoamericana. Poi cadde l’oblio, lungo quasi trent’anni. Le sue opere, che si trovano in gran parte negli Stati Uniti, vennero tenute nascoste negli archivi dei dipartimenti di fotografia a causa del maccartismo e della sua assurda “caccia alle streghe”. Una scelta oscurantista, come ricordano al Centro Cultural Tina Modotti di Caracas , “che rese impossibile, per molti anni e non solo in America, lo studio e la presentazione di un’artista che aveva creato immagini di qualità e militato nel movimento comunista internazionale”. L’inquietudine l’accompagnò per tutta la vita, quasi sempre in credito con la fortuna. Artista, intellettuale, tra i primi fotografi a capire il valore sociale e la forza di denuncia di un’immagine, perseguitata da viva e persino da morta per le sue idee, fu comunque una delle più belle figure di donna che l’Italia seppe dare al mondo.
Marco Travaglini
Il Maestro Gianandrea Noseda soffre di una sindrome lombo-sciatalgica da ernia del disco lombare che si è manifestata ieri mattina. Il prof. Michele Naddeo, che lo ha visitato questa mattina, ha consigliato un trattamento chirurgico al quale Gianandrea Noseda si sottoporrà domani presso la Clinica Fornaca di Torino.
Con suo grande dispiacere, il Maestro Noseda deve rinunciare a dirigere le prossime recite di Macbeth programmate al Teatro Regio.
Su indicazione del Maestro Noseda, Direttore musicale del Regio, tutte le recite saranno dirette da Giulio Laguzzi. Il Teatro ringrazia il Maestro Laguzzi per la disponibilità.
Augurando a Gianandrea Noseda una pronta guarigione, vi daremo aggiornamenti nei prossimi giorni.
Era veramente una gran signora, Milly. Doveva esser stata , in gioventù, una donna dal fascino irresistibile. Il portamento austero, la postura studiata nei minimi particolari, i lineamenti fini, il trucco mai eccessivo, le conferivano un non so ché di regale nonostante le forme giunoniche. Del resto, che volete: portare a spasso centoventi chili con eleganza e nonchalance non è da tutti. Milly, comunque, ci riusciva benissimo. La voce da soprano tradiva la sua arte che, in altri tempi, le aveva consentito di calcare le scene dei più importanti teatri d’opera, raccogliendo applausi e apprezzamenti anche dai pubblici dal palato più fine. “Artisti dell’ugola si nasce” diceva con una punta di civetteria, aggiungendo ironica, parafrasando il principe De Curtis, in arte Totò, “ e io, modestamente, lo nacqui”. Del resto, a giudicare dai commenti dei frequentatori del circolo culturale “Giuseppe Verdi”, tutti incalliti melomani, molto esigenti e poco inclini a fare sconti quando si trattava di valutare il bel canto, non l’erano mai mancati gli apprezzamenti. Poi l’ingiuria del tempo aveva intaccato le sue corde vocali, impedendole di proseguire la carriera che, con dignità e compostezza, terminò pur con qualche rimpianto quand’era ancora nel fiore degli anni.
Così, rispondendo ai solleciti di vecchi amici come l’onorevole Mariano Marabotti o il cavalier Ortensio Della Spiga, piccolo industriale del ramo tessile , si esibiva in serate benefiche dove l’obiettivo era raccoglier fondi a favore degli enti morali promotori. Il 18 ottobre, un venerdì sera, l’occasione si presentò con la serata a sostegno della ristrutturazione dell’asilo “Sbernazzoni”. Il parroco, don Primo Zirlocchi, detto “Trippa”, aveva messo a disposizione il piccolo teatrino parrocchiale che poteva contare su di una ottantina di posti a sedere, sulle panche di legno, e di altri venti o trenta in piedi.
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L’idea era venuta a Guglielmo Prunelli,grande amico del prelato con il quale condivideva la passione del mangiar bene e del bere ancor meglio. Partecipando ad una gita a Verona, aveva assisto all’opera lirica per eccellenza:l’ Aida di Verdi. Non all’Arena, ma in un piccolo teatro. E non con grandi interpreti in scena quanto, piuttosto, una piccola compagnia. Ma sì sa: l’arte è arte. E Prunelli rimase incantato, applaudendo più volte, rumorosamente, nonostante gli sguardi critici e sdegnati degli altri spettatori, sibilando dei fischi per poi sbottare in un liberatorio..”Vacca boia, che bravi. Quest’opera è una bomba. Adesso ho capito perché l’hanno messo sulle mille lire, il Giuseppe Verdi”. Così, l’idea di portare l’opera nel piccolo paese, a poco a poco conquistò l’intera comunità, dalle Dame di San Vincenzo al Circolo dei Combattenti e Reduci, dall’Oratorio alla Pro Loco. La realizzazione delle scenografie, in cartapesta e ritagli di lavorazione del legno, fu affidata a Primo Plini detto Giuseppe, falegname devotissimo alla Vergine Maria che, in quattro e quattr’otto costruì un fondale in grado di far viaggiare l’immaginario dello spettatore attraverso l’Egitto dei Faraoni. L’opera in se, con la nota “Marcia Trionfale”, aveva una complessità musicale e una profondità nella partitura che la ponevano sul gradino più alto delle opere verdiane e difficilmente i componenti della banda comunale sarebbero stati all’altezza di una buona interpretazione. Così, dalla vicina Lombardia, vennero scritturati una mezza dozzina di musicisti dell’Orchestra Spettacolo “Le melodie vagabonde”, che all’epoca andava per la maggiore nelle balere della bassa padana. La vera sorpresa della serata, però, doveva assicurarla la principale protagonista che si sarebbe esibita sul palco parrocchiale: la soprano Milly Devoti, nel ruolo di Aida. Gli organizzatori erano certi che la sua voce potente, ma allo stesso tempo avvolgente e calda, avrebbe affascinato il pubblico, in particolare durante l’interpretazione dell’aria “O patria mia“. Milly, quando s’esibiva, come ogni grande artista che si rispetti, portava con sé, agitandolo, il suo amuleto: un prezioso e ricamato fazzoletto di pizzo bianco, donatogli all’inizio della sua carriera dal grande tenore Mario Del Monaco.
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Quella sera, per indicazione della cantante lirica, condivisa con entusiasmo dal Prunelli, la sua esibizione doveva toccare l’apice con l’entrata in scena, accanto a lei, dei lupetti del locale gruppo Scout, vestiti da piccoli egiziani, con le tuniche bianche e dorate.I ragazzini, disposti a cerchio, dovevano sorreggere i lembi dell’ampio vestito della cantante lirica. Le prove erano andate bene. I musicisti, nonostante qualche stecca, erano in fondo passabili. Le scenografie, quasi miracolose, strapparono al parroco un incauto “Oh, che bel lavoro…San Giuseppe”, che emozionò il falegname fino alle lacrime. Lo spettacolo, ridotto nella durata a poco più di un’ora ( secondo Prunelli “le cose belle devono essere brevi per non rischiare di rompere le scatole”) proseguì liscio e senza intoppi fino all’entrata dei lupetti che, come stabilito, cinsero in cerchio la cantante. Mentre Milly si esibiva in un acuto, agitando il prezioso quadrato di pizzo, questo le sfuggì dalla mano, cadendo a terra. Pierino, figlio della sorella del Prunelli, Desolina, e quindi nipote dell’organizzatore, lo raccolse al volo e sotto lo sguardo esterrefatto della cantante lo utilizzò per soffiarsi rumorosamente il naso. Non una ma due, tre volte. Poi, con un sorriso smagliante, lo protese verso la signora Milly che, a quel punto si sentì mancare, privata del proprio amuleto che era stato così volgarmente violato. La cantante lanciò un urlo potente che gran parte del pubblico interpretò come l’acuto finale dell’opera, alzandosi in piedi ed applaudendo a scena aperta. Solo in due – don “Trippa” e il cavaliere Della Spiga – rimasero dubbiosi su quanto avevano udito: quelle parole urlate erano parse ad entrambi un sonoro “che schifo!” e, pur essendo il primo un appassionato d’Opera e il secondo un fervente melomane, non ricordavano dove trovasse posto,nel libretto dell’Aida, quell’affermazione che, dall’ugola della signora Milly, era uscita con tanta forza da trasformarsi in un terribile singulto.
Marco Travaglini