
Il film, dedicato allo chansonier torinese Gipo Farassino, è stato proiettato in 50 sale con una calorosa accoglienza di pubblico che testimonia come la figura di Farassino sia fortemente radicata nell’immaginario dei piemontesi, anche i più giovani.
Seguirà la proiezione e in chiusura si esibirà un’eccezionale Big Band formata da Luca Morino, Lucio Villani, Claudio Chiara, Vito Miccolis, Johnson Righeira, Daniele Lucca e Matteo Ganci. Musicisti che con Farassino hanno condiviso il palco e l’amore per la città.

SABATO 14 APRILE, ORE 16,30
Cacherano di Bricherasio, pittrice allieva del Delleani e antica proprietaria della dimora, aveva saputo creare intorno a se’. “Con il Circolo di Torre Pellice – spiega Maria Luisa Cosso – si è creato un legame consolidato nel tempo, e molto apprezzato dal pubblico, che ha già portato al Castello centinaia di appassionati, curiosi e sostenitori di un’iniziativa sicuramente particolare come quella delle ‘Letture ad Alta Voce’”. Il nuovo appuntamento è, dunque, per sabato 14 aprile, alle 16,30: in programma letture collettive de “Il giardino di Sofia. Racconti di parchi, giardini e giardinieri” per vivere un pomeriggio nel verde alla scoperta o alla riscoperta del Parco. Versi e parole, letti ad alta voce negli angoli più fascinosi del giardino, si fonderanno ai suoni e ai colori della natura, al fruscio dell’aria e allo scorrere dell’acqua nei canali. Per partecipare all’iniziativa, è sufficiente pagare il biglietto d’ingresso al Parco. Non occorre prenotazione.
Bob & Marys – Criminali a domicilio – Commedia. Regia di Francesco Prisco, con Laura Morante e Rocco Papaleo. Lui lavora in un’autoscuola, lei è casalinga, una coppia senza problemi se non fosse che la loro casa, ai limiti di un quartiere di degrado, non fosse presa di mira da una banda di delinquenti che la eleggono a magazzino per nascondere certa merce che scotta. La realtà è quella di Napoli, la storia ha autentiche radici nel passato ma il regista sceglie di inquadrarla con il cuore più che leggero. Durata 110 minuti. (Ambrosio sala 1 (lunedì 16), Uci)
anni, l’altro è rimasto ad abitare nella casa per far andare avanti la trattoria di famiglia, lei è un attrice, trasferita a Parigi per inseguire la sua carriera e lasciarsi alle spalle la perdita della figlia. Altre persone circolano attorno a loro, tutti a fare i conti, un bilancio tra ideali ed emozioni, tra aspirazioni e nostalgie, con un passato più o meno recente, a guardare il piccolo paese che ormai si è svuotato, lasciando le vecchie case agli speculatori, a parlare di politica, tra Macron e Le Pen, a guardare ai figli, anch’essi confusi. Un piccolo gruppo di giovanissimi profughi, senza genitori, obbligherà con il loro arrivo quelle scelte che tutti quanti gli abitanti della “villa” (questo il titolo originale del film), dovranno affrontare. Durata 107 minuti. (Nazionale sala 1)
proprietario di un negozio di maglieria, ordinatissimo come ordinata è la sua vita, vede i suoi principi e le abitudini sconvolte dall’arrivo, chiaramente davanti alla “sua” vetrina, di un giovane senegalese che si mettere a vendere calzini a prezzi stracciati alle signore di passaggio. Che fare? Aiutarli sì ma a casa loro, è la parola d’ordine. E allora ecco che il signor Mario rapisce Oba, legandolo e mettendoselo in macchina, con l’intenzione di riportarlo in Africa. Ma i bastoni in mezzo alle ruote del progetto arrivano in tempi più che brevi, uno per tutti la presenza della sorella (?) di Oba. E allora, umanità o idee di ferro? Durata 102 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Harpo, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)
grande sarto è anche un incallito e incredibile dongiovanni, nella cui vita le donne, fonte d’ispirazione e occasione di compagnia, entrano ed escono: fino a che non sopraggiunge la presenza della semplice quanto volitiva, a modo suo spregiudicata, Alma, una giovane cameriera di origini tedesche, pronta a diventare parte troppo importante della vita dell’uomo, musa e amante. L’ordine e la meticolosità, doti che si rispecchiano meravigliosamente nella fattura degli abiti e nella condotta di vita, un tempo così ben controllata e pianificata, vengono sovvertiti, in una lotta quotidiana tra uomo e donna. Film geometrico e algido quanto perfetto, forse scontroso, eccezionale prova interpretativa per la Manville e per Day-Lewis, forse il canto del cigno per l’interprete del “Mio piede sinistro” e di “Lincoln”, convinto da oggi in poi ad abbandonare lo schermo. Oscar per i migliori costumi. Durata 130 minuti. (Romano sala 1)
visi pallidi, al capitano Joseph Blocker viene affidato l’incarico non facile di riportare nelle terre del Montana il vecchio capo Cheyenne Yellow Hawk, proprio il responsabile delle morti di molti soldati del capitano. Durante il lungo percorso molti fatti verranno a mutare i rapporti tra i due uomini, non ultimo la presenza di una donna cui gli indiani hanno distrutto l’intera famiglia. Paesaggi, personaggi che sanno d’antico, un genere che ha avuto vita gloriosa e che oggi, più che raramente, vede qualche debole accenno. Bale è un macigno, un trionfo di espressioni indurite, capace di conservare un’unica speranza nella scena finale, pieno di crudeltà e di piccoli affetti; il film è un vero capolavoro, nello spessore del racconto, nella cadenza che il regista sa imprimergli, nel vecchio quanto superbo impianto, nella rivisitazione di una intera Storia. Gli appassionati non se lo lascino sfuggire. Durata 127 minuti. (Greenwich sala 3)
pure di quanto sia pesante la mannaia delle tasse. Perché allora non seguire l’esempio delle suorine del palazzo di fronte che con l’ospitalità a poveri e bisognosi vari si sono ritagliate un bell’angolo esentasse? Leo, anche coautore della sceneggiatura, studia allora di farne un centro religioso e volendo esagerare creare una nuova religione, lo Ionismo, un egocentrismo alle stelle, una piena responsabilità slacciata da ogni cosa o Ente che sappia di celestiale: risultato, un considerevole gruppo di adepti. Potrà funzionare? Durata 100 minuti. (Reposi)
bella restauratrice, con un paio di aiutanti al seguito, che vive grazie alla pensione della nonna visto che lo Stato tarda a riconoscerle i quattrini che le deve per tutto il lavoro che ha svolto. E se la vegliarda passa a miglior vita? Spetterà alla ragazza ingegnarsi per la sopravvivenza, l’elettrodomestico del titolo fa al caso suo, le amiche un piccolo aiuto non lo negano e la pensione della nonna si potrà continuare a percepire. Durata 100 minuti. (Uci)
Omicidio al Cairo – Giallo. Regia di Tarik Saleh, con Fares Fares. La morte di una cantante di successo nelle stanze del Nile Hilton Hotel, la sua relazione con un uomo che fa affari con il mondo della politica, un caso che si vorrebbe chiudere al più presto. La capitale egiziana del 2011, le rivolte e la corruzione senza limiti raccontata senza nulla nascondere, la criminalità che invade il paese, un commissario che pur tra le proprie zone d’ombra eccelle senza dubbio sui suoi superiori e che vuole andare fino in fondo pur di scoprire i colpevoli. Una cinematografia a molti sconosciuta, che merita con questo esempio d’essere tenuta d’occhio, un ritmo sostenuto nelle indagini che combattono contro le mazzette di quattrini che circolano a mo’ di ricompensa da una e dall’altra parte. Durezza e debolezze sulla faccia del protagonista. Durata 106 minuti. (Classico)
Rampage – Furia animale – Fantasy. Regia di Brad Peyton, con Dwaune Johnson e Naomie Harris. Il primatologo Davis Okoye ha instaurato un forte rapporto con un intelligente gorilla albino di nome George che, per un esperimento genetico, si tramuta in un pericoloso e feroce animale, impossibile a governare. Con lui hanno subito la stessa mutazione un lupo e un coccodrillo, seminando vittime e distruzione in tutto il nord America: spetterà a Davis e a un ingegnere genetico trovare un antidoto. Durata 107 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci anche V.O.)
preparata a quelle temperature e soprattutto alla violenza che circola più o meno silenziosa in quei luoghi, per investigare sul ritrovamento del corpo martoriato di una ragazza scomparsa. Le dà sostegno e aiuto Cory, un navigato cacciatore impiegato a difendere il bestiame dagli attacchi dei predatori sempre in agguato, un animo tormentato, abbandonato dalla moglie dopo la scomparsa della figlia maggiore. Entrambi alla ricerca del colpevole, in un territorio dove ogni cosa sembra essere abbandonato alla violenza, in cui forse è necessario agire e rispondere esclusivamente con le sue stesse leggi. Dallo sceneggiatore di “Sicario” e “Hell or High Water”, terzo capitolo di una trilogia che ha affrontato il tema della frontiera americana oggi. Miglior regia a Un certain regard a Cannes lo scorso anno, grande successo al TFF. Durata 107 minuti. (Eliseo Grande, Ideal, Massimo sala 2 anche in V.O., Uci)
The silent man – Drammatico. Regia di Peter Landesman, con Liam Neeson e Diane Lane. La storia dell’informatore del caso Watergate, della Gola Profonda che trasmise le notizie ai giornalisti di “Tutti gli uomini del Presidente”, una storia che è stata taciuta per oltre trent’anni e che nel 2005 è venuta alla luce per definitiva ammissione dell’interessato, Mark Felt, all’epoca dei fatti vice direttore dell’FBI. Un film che vuole rinfrescare la memoria di molti e magari cercare qualche legame con il mondo politico di oggi. Durata 103 minuti. (Eliseo Rosso, Romano sala 2The Space, Uci)
Schmidt-Schaller. Ultranovantenne, da poco vedovo, Eduard, di origini tedesche, rimette in ordine i propri ricordi e rivisita il proprio passato, mettendosi su un treno per Kiev e andare là a ricercare la donna che fu il suo primo amore, quello più grande e mai confessato, mai dimenticato. Alle calcagna la nipote Adele, una ragazza abituata a vivere alla giornata e certo non interessata alle storie del passato. Non si tratta soltanto della storia personale, anche la Storia reclama una rivisitazione: vi sono delle radici, vive, che vanno comprese e conservate, c’è una tragedia chiusa nel passato e ancora ben viva nel tempo presente. Sarà per la ragazza una lezione difficilmente dimenticabile, di sentimenti e di memoria. Durata 107 minuti. (F.lli Marx sala Harpo)
FINO AL 4 NOVEMBRE
generale, Carlo Alberto porta infatti immediatamente alla luce un bronzetto raffigurante un idolo fenicio nuragico dell’VIII secolo a. C. Clamoroso ritrovamento! Carlo Alberto (cui il grande amore per l’archeologia sarda era stato trasmesso dal generale, archeologo dilettante, Alberto Ferrero della Marmora), è al settimo cielo tanto da acquistarne, di quegli idoli, una settantina di esemplari per il suo “Medagliere” di Palazzo Reale, spendendo qualcosa come 85mila euro di oggi. Peccato però trattarsi di “falsi”, abilmente riprodotti da esperti falsari (il “migliore” nell’isola pare fosse, a quei tempi, un fabbro cagliaritano tal Raimondo Mongia) in combutta con lo stesso Cara; “idoli falsi e bugiardi” saranno definiti nel 1883 da Ettore Pais, l’allora direttore del Regio Museo cagliaritano, che ne vieterà l’esposizione. Nello stesso anno, anche a Torino, i bronzetti furono velocemente fatti sparire (ma Carlo Alberto era morto nel 1849, credendoli autentici) e riposti nei depositi di Palazzo Reale. Fino a un paio d’anni fa, quando Gabriella Pantò li ritrova e li fa restaurare per farne elemento di indubbia curiosità della mostra attualmente in corso nel Museo di Piazzetta Reale a Torino. Rassegna di grande valore storico-culturale, frutto di una passione frenetica che spinse il “re tentenna” o l’ “Italo Amleto” (come lo definì Carducci) a finanziare ricerche, oltreché in Sardegna, anche in Piemonte – nelle città romane di Industria e Pollenzo – e di cui resta traccia nella documentazione archivistica e bibliografica presente in mostra: un diario autografo e, soprattutto, le lettere scambiate con l’amata Contessa Maria
Antonia Truchsess von Waldburg di Robilant. Riportati in luce dai Musei Reali e oggetto di attenti restauri e nuovi studi, nel Museo di Antichità si possono quindi ammirare oggi importanti reperti – autentici! – provenienti dalla Sardegna: dal preziosissimo e di raffinata cesellatura scudo greco di bronzo da oplita del VI secolo a. C. ritrovato a Tharros, al mosaico romano del III secolo d. C. (scoperto in realtà già nel 1763, scavando nel quartiere Stampace di Cagliari) raffigurante Orfeo che incanta gli animali feroci con le note della sua cetra, fino alle stele puniche già esposte nel 1764 al Regio Museo torinese o alla base di colonna con iscrizione in latino greco e punico da San Nicolò Gerrei (1861) e al nucleo di fibbie bizantine parte delle collezioni di Bartolomeo Gastaldi (prima del 1895). A chiudere l’esposizione bronzetti nuragici (raffiguranti persone, animali, navicelle e oggetti quotidiani) armi come asce e pugnali datati fra il X e il VII secolo a. C, e ancora vasi e ceramiche presenti a Tharros fra il VII secolo a. C. e il II d. C. fino al gruppo di busti in terracotta cosiddetti di “Sarda Ceres” (I-II secolo d. C.) testimoni della diffusione del culto di Cerere in Sardegna e ad una statuetta di figura femminile seduta (VI – V secolo a. C.) da tempo esposti nel “Medagliere Reale”.
componenti tutte cui più o meno ci hanno abituato i passati metteurs en scène del secolo che ormai ci siamo messo alle spalle. È un invito a liberarci di ogni vecchia sovrapposizione, ai limiti della menzogna teatrale, e a considerare Molière nostro contemporaneo, a stendere su un tappeto il borioso e giovane burlador per metterlo alla berlina, a snocciolare senza se e senza ma ogni malefatta, i mariti i fratelli e i padri picchiati o uccisi, le donzelle sverginate e riempite di promesse che non avranno mai un lieto fine. Don Giovanni non è più il gentiluomo sfrontato, senza legami e senza morale, colui che rimorchia senza fatica e abbandona: è, nell’adattamento di Binasco, che ogni tanto sa sfacciatamente di riscrittura, “un delinquente, un autentico delinquente”, violento ma pur capace di giocare sulla simpatia, mentitore ma pur efficace nel trasmettere ogni parola come somma verità, odioso ma pur sorridente nel tentare senza successo il povero mendicante con un luigi d’oro purché bestemmi, salvo concederglielo non per quell’”amor del cielo” con cui era stato poco prima pregato ma con un ben diverso e soppesato “amore per l’umanità”. Don Giovanni, nella ricerca continua del suo libertinaggio, incessante e pieno di sfide, non è il gentiluomo altero e anche raffinato in cerca di gonnelle, è il miserabile che con il proprio servo si ritrova accucciato su un
pulcioso pagliericcio, da ricovero per sbandati, che se la spassa in un bar di paese, lucine accese e tavolini pieghevoli sotto gli alberi, a strusciarsi con una donna Elvira che ancora reclama un futuro. È il campione della ribellione, l’inseguitore per eccellenza dell’affermazione della libertà, una ribellione che senza pudore arriva sino ad accettare la cena con il silenzioso convitato, sino a Dio: mentre Sganarello, finora improbabile raisonneur intorno ai principi della religione e delle verità della fede, privato del suo signore e del suo sostentamento, reclama il proprio guadagno (“Chi mi paga?”), forse tutto alla fine può acquietarsi nella morte, in una insperata “pietà” tutta al maschile.
sberleffo di oggi non arriva in platea, arriva tutta la serietà di quell’attualizzazione, ripensata, inviata allo spettatore con un nuovo, concreto messaggio. Nella nuova drammaturgia convergono tutti gli attori, da Giordana Faggiano a Elena Gigliotti a Fabrizio Contri agli altri; la sensualità e l’assoluzione del peccato, la sfida e le menzogne arrivano dall’ottimo protagonista che è Gianluca Gobbi, corporatura ragguardevole e magliette non proprio di bucato, polvere e sudore, lontano dall’immagine di tombeur de femme che ci aspetteremmo in scena, una prova convincente filtrata attraverso il tessuto delle parole di Molière, il ritratto comunque possente e prepotente, mentre Sergio Romano è un contraltare tempestoso e perfetto nel suo Sganarello, nel suo svilire una religione confondendola con superstiziose credenze e nei suoi eterni confronti con un padrone che ha fatto propria come bestemmia la sfida al cielo.

La mattina di mercoledì 18 aprile 1945, con lo sciopero generale, ebbe inizio la lunga battaglia per la liberazione di Torino.
Resistenza Pop (del quale è disponibile anche il Cd-Dvd) è dedicato alle Liberazioni di ieri e di oggi e contiene canzoni d’autore rivisitate, testi inediti, melodie partigiane riscoperte, emozionanti monologhi e video testimonianze dei protagonisti, partigiani piemontesi e liguri. Durante lo spettacolo riservato alle scuole, gli studenti saranno invitati a preparare degli aeroplanini di carta con i loro messaggi, disegnati o scritti, sul tema della Resistenza e delle esperienze di libertà di ieri e di oggi. Gli aeroplanini saranno raccolti e lanciati nel corso dello spettacolo serale in una performance ribattezzata “Bombardamenti Intelligentissimi”.
1965, grazie ai concerti di quei “Fab Four” e “Stones”, la strada era già chiaramente tracciata; l’area del Midwest americano (tra Ohio, Michigan, Minnesota, Iowa, Illinois, Indiana, fin quasi al Colorado e all’Oklahoma) divenne terreno fertile per la nascita di una nuova forma di rock dai toni più crudi, grezzi e “home made”: il garage rock. Prendeva le mosse dalla scia del rock & roll e inglobava
l’apporto del British Invasion rock, ma trasformandolo in un prodotto realizzabile da un vasto bacino di musicisti e fruibile da un variegato pubblico; le chitarre diventavano aggressive e distorte, la voce ringhiante, i testi più graffianti, sfacciati e diretti. La fiammata fu veloce ed improvvisa, l’ascesa travolgente; ma altrettanto rapido fu il declino, tanto che molte bands ebbero carattere di meteore ed entrarono nell’oblio già al giro di boa degli anni Settanta. In parallelo, la metà degli anni Sessanta vide l’affermarsi del movimento psichedelico, che impregnava il rock di particolari caratteristiche: la forma musicale ed il rapporto testo-musica assumevano fattezze fluide, venivano assorbiti suoni dell’area indiana e orientale, si sperimentavano novità pionieristiche nelle sale di registrazione, si ricorreva anche all’uso di chitarre “fuzz-toned” e alla stratificazione sonora con effetti di eco e di riverberi multipli. L’area californiana irradiò il verbo dello psychedelic rock in tutti gli Stati Uniti, tramite Doors, Jefferson Airplane, Grateful Dead, Big Brother and The Holding Company, Quicksilver Messenger
Service, Byrds, Love, Moby Grape, Electric Prunes e molti altri. L’onda raggiunse anche il terreno del garage rock e si fuse con esso, dando vita ad una forma ibrida di “garage rock psichedelico”, sfaccettato e borderline che agli esordi degli anni Settanta si trasformò ancora e, come il garage, lasciò dietro di sé una vasta realtà di bands dalla vita breve o che non ebbero la fortuna di incrociare produttori musicali di primo piano e finirono per essere ingiustamente dimenticate. Dei “grandi” hanno discusso, discutono e discuteranno in molti (forse anche in troppi). Ma chi parlerà delle seconde e terze linee? Chi toccherà quest’area quasi ignota delle bands che vennero travolte dal rapido trasformarsi degli eventi, in quel lustro che dal 1965 al 1970 fu contraddistinto da un furore ed una frenesia musicali che, a dire il vero, probabilmente non avranno più eguali nella storia? Magari noi in questo spazio, perché no…