In attesa del Salone con il gruppo facebook “Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri”
Torino, Maggio: una meta ed una data, il Salone Internazionale del Libro, evento che da ormai più di trent’anni ci trasporta in un’atmosfera diversa dal quotidiano. In quei pochi giorni (dal 10 al 14 maggio) il mondo dei lettori emerge con prepotenza, esce dallo spazio personale per diventare pubblico, visibile e condiviso. Ancora di più quest’anno, perché sarà presente tutta l’editoria italiana, i grandi gruppi e gli editori indipendenti; ci saranno come sempre eventi culturali e presenze importanti. Torinesi e Piemontesi si riconfermano persone di grande sensibilità culturale, e questo viene avvalorato anche dalla presenza, nel gruppo Facebook “Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri” , di un grande numero di iscritti, che pongono la sola Torino fra le prime città d’Italia (con oltre 2300 partecipanti). Una presenza, fra l’altro, molto attiva ed interessata, non solo alle opere di autori storici piemontesi come Luigi Gramegna, Cesare Pavese, Primo Levi, Beppe Fenoglio, Fruttero e Lucentini, per citarne solo alcuni, ma anche agli emergenti
contemporanei, troppo numerosi per citarli tutti, che hanno evidentemente trovato un pubblico attento e preparato. Così i lettori piemontesi del gruppo Facebook, con i loro post ed i loro consigli, hanno permesso agli altri iscritti di conoscere autori e libri meno noti, legati al territorio e alle tradizioni della propria cultura. In tutto ciò è evidente ed innegabile che una simile divulgazione, basata esclusivamente sull’esperienza ed i pareri dei lettori, senza alcun interesse editoriale o economico, possa arricchire altri lettori, che potranno conoscere usi, costumi, storia di un territorio altrimenti lontano, grazie ai libri di Alessandro Perissinotto o di Margherita Oggero e di Luca Baggio, senza dimenticare Massimo Gramellini, Alice Basso o Sebastiano Vassalli, e qui mi fermo scusandomi con gli scrittori che non ho citato, suggeriti dagli iscritti al gruppo.Proprio grazie a questi suggerimenti è possibile venire in contatto con realtà poco note, un commento o una recensione possono incuriosire o lanciare un’idea, aprire una finestra su un paesaggio nuovo ma già selezionato, scremato, con indicazioni di letture, generi, ambientazioni che permettono una selezione critica alla fonte. Una selezione però basata su opinioni, gusti, idee di persone non legate al mondo dell’editoria, che esprimono le proprie valutazioni liberamente e senza secondi fini; magari ingenuamente, con semplicità, oppure con grande competenza, ma sempre e solo per amore della lettura. Ho vissuto alcuni anni a Torino, mi è rimasta nel cuore e credo che conoscerla e riconoscerla attraverso le parole dei suoi scrittori potrà essere un viaggio emozionante.
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FINO AL PRIMO MAGGIO
libri di poesie e poeta egli stesso, nonché – intorno agli anni Trenta – editore con il fratello Tino (insieme al quale, dopo averla rilevata, prosegue l’attività dell’“Editrice Fratelli Ribet” fino al 1932), Buratti entra giovanissimo all’“Accademia Albertina”, dove segue in modo particolare i corsi di Disegno di Giacomo Grosso e stringe forte amicizia con i coetanei Felice Carena, Cesare Ferro, Anton Maria Mucchi e Mario Reviglione. Inizia ad esporre nei primi anni del ‘900, allorché sue opere, di netta impronta simbolista, vengono presentate alla “Promotrice” di Torino. Messa
bene in testa, negli occhi, nelle mani e nel cuore, la grande lezione di Grosso, Domenico Buratti “è, prima di tutto – scrive Pino Mantovani – un disegnatore; anche quando lavora di pennello, di colori smaltati e velature, di lacche e vernici”. E nulla, più del disegno, è in grado, secondo lo stesso artista, “di far diventare il corpo trasparente come acqua e leggero come l’aria”. Nell’attuale mostra alla “Pinacoteca dell’Albertina” (poco più di trenta le opere esposte e realizzate in gran parte fra il 1904 e il 1910), troviamo anche una decina di piccoli “paesaggi” raccolti sotto il titolo significativo di “Impressioni”; opere decisamente gradevoli giocate sul tratto rapido del colore nella ricerca di sintesi narrative che paiono scivolare spesso oltre la rigida sintassi del segno e delle forme. Una sorta di “bizzarria” pittorica, pur accompagnata da grande mestiere. Poiché la “vera pittura” per Buratti è rigore, è puntigliosità, è attenzione scrupolosa al segno che “prepara, imposta, sviluppa e conclude i processi delle arti visive”. Per questo l’indimenticato Marziano Bernardi recensendo, nel ’40, una sua mostra alla Galleria “Martina” scriveva: “Le sue più intime gioie Buratti deve averle godute nello scoprire come si dipinge un bel quadro piuttosto che nel contemplare il suo bel quadro dipinto”. Opere di grande scuola e perfezione accademica oltre che
di trascinante forza introspettiva sono quindi, e soprattutto, i Ritratti, gli Autoritratti e le Scene di corale umanità che troviamo ben esposte in rassegna. Dai “Ribelli”, olio austero del 1904 che segna l’avvicinamento – anche attraverso l’impronta simbolista di Leonardo Bistolfi – a quel Socialismo umanitario che aveva improntato il “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo a quell’autentico capolavoro di maestria pittorica che è “Il gregge”ancora incentrato sui temi della denuncia sociale, acquistato nel 1905 alla “Promotrice” da Arturo Toscanini e andato purtroppo disperso dopo la morte del grande direttore d’orchestra. In mostra troviamo però esposti il bozzetto e otto imponenti disegni preparatori realizzati a matita su carta: disegni così perfetti e analiticamente studiati nella trascrizione drammatica di quel “gregge di bambini”, impietosamente curvi e deformi sotto la spinta degli adulti aguzzini, da rappresentare opere compiute e “in se’ concluse”. Notevoli, di stupefacente bellezza i ritratti e gli autoritratti. Al 1910 risale “Il babbo e la mamma”, posteriore di quattro anni a “La madre”, che tanto piacque a
Grosso per le “ricerche di colore – ambiente” e a Bistolfi perché “concepito come una scultura nelle pieghe soprattutto delle vesti grigio-pietra”. Di sontuosa rinascimentale armonia è ancora “Il manto viola”, ritratto del ‘22 di grande formato della moglie Vittoria Cocito, anche lei pittrice allieva del Ferro e rappresentata con un mazzo di primule fra le mani; accanto un imponente “Autoritratto” della stessa Vittoria di cui attrae il bianco candore del lungo abito e l’atmosfera di solenne ieraticità. E infine i vari “Autoritratti” di Domenico. Giovane, appena ventiseienne in quello dal “berretto rosso” del 1907 fino all’“Autoritratto con paesaggio invernale” del ’50. Buratti era allora prossimo ai settanta e in una sua poesia, malinconico controcanto letterario al dipinto, così scriveva: “Ci somigliamo alle fattezze/ o inverno, scabre, alle cortezze grezze/ fra turni di sonno e turni/ di sogno, lungo giorni notturni…”.
e Don Harney (chit) e Jim Price (b); a questi si aggiunsero, dopo alcune sostituzioni, Wayne Groves (batt), John Parisi (org) e Tom Vorhauer (V). Le esibizioni coprirono soprattutto l’area nord-est della Virginia e la zona di Washington; fra le venues si segnalano “Mac’s Pipe and Drum”, la “Firehouse” di Fairfax e la famosa “Roller Rink” di Alexandria (qui The Apollos furono support band di gruppi quali The Vogues, The Mad Hatters, The British Walkers). Un’affermazione ad una “Battle of the Bands” locale consentì, presso gli Edgewood Studios di Washington, la registrazione di una demo di 4 brani; due di questi erano originali (scritti da Vorhauer-Parisi e Don Harney) e sarebbero poi stati il materiale del primo 45 giri. “That’s The Breaks” [T. Vorhauer – J. Parisi] (Delta MM 183; side B: “Country Boy”, 1965) uscì con etichetta Delta [Music Company] e con la produzione del manager della band, Bill Mosser. Il brano divenne presto una hit locale, ma diede visibilità anche ad ampio raggio, tanto che la MGM records si fece avanti per acquisire i diritti del pezzo; The Apollos tuttavia rifiutarono la proposta, in quanto scettici sulla convenienza di cedere subito i diritti del brano che li aveva fatti emergere con tanta rapidità.
nonostante il buon livello, ebbe scarso riscontro nelle classifiche e purtroppo scomparve presto dai radar. Dopo l’estate 1966 Vorhauer, Price e Groves dovettero lasciare per motivi personali e di studio; subentrarono Doug Collis (V) e Wayne Goubilee (batt), che con i fratelli Harney cercarono di proseguire un’avventura ormai già segnata da un mercato musicale non più favorevole. La parabola de The Apollos si chiuse probabilmente entro l’inizio del 1967; tuttavia non ha impedito agli Harney, a Price, Vorhauer e Groves di incidere nel 2013 un album celebrativo del cinquantennio e di organizzare nel 2017 un’ultima reunion a Hot Springs in Arkansas, ricordando ancora le origini a McLean e Falls Church e le feste alla George C. Marshall High School.

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
divenne maestro di grammatica e riuscì ad acquistare il lotto di terra per progettare la costruzione di una filanda, con annessa coltivazione di gelsi. Ercole sposò Maria Garagno, una donna del luogo molto facoltosa; essi ebbero tre figli, Giorgio, Ercole II e Antonio Maurizio. Tutti aiutarono il padre nell’attività dell’opificio, che andò presto iniziò ad avere successo. Fu del terzogenito di Antonio Maurizio, Giuseppe Maurizio, l’idea di costruire una villa attorno alla fabbrica. Per progettare l’abitazione, Giuseppe chiamò illustri personalità torinesi, tra cui forse Filippo Nicolis di Robilant e Luigi Barberis. Giuseppe Maurizio si sposò due volte, ma non ebbe eredi. La villa cadde poi in uno stato di abbandono, fino a quando, nell’800, il Conte Federici, un patrizio genovese, la acquistò per capriccio, e subito dopo la regalò ad un suo faccendiere di umili origini. Questi, senza denaro e incapace di gestire un edificio così grande, lo svuotò completamente, vendendo tutto il possibile.
in parte ristrutturata e occupata dai Salesiani, che la tramutarono in un centro per novizi missionari.
La prima cosa che noto è che, per essere un luogo in abbandono, esso è piuttosto frequentato: si sente il vociare di gruppetti di giovani curiosi, li raggiungiamo ci diamo come il cambio di consegne con altri tre “esploratori” che si fermano a darci alcuni consigli su dove andare a “ficcanasare”. Entriamo nella villa oltrepassando un porticato, le colonne massicce sorreggono sulle proprie spalle tutto un altro piano, costellato di finestre e finestroni, che il forte sole di questo giorno rende iridescenti. L’edera ed i rampicanti sono riusciti ad entrare ovunque, si avvinghiano alle pareti con forza, stritolano tutta villa, tanto che il rumore dei nostri passi potrebbe essere il suono dei muri che scrocchiano. La prima stanza che incontriamo è color acqua marina, non è molto grande e serve a condurci allo scalone principale. La bella giornata ci regala spettacolari giochi di luce ed ombre, ottimi per le fotografie che stiamo scattando. Le altre sale che oltrepassiamo differiscono per grandezza e sfumature di colore, alcune sono lievemente più cupe, altre fanno male agli occhi talmente riflettono la luce esterna. Unico elemento in comune è lo stato di degrado, non c’è un vetro intatto, i pavimenti sono consunti e si alternano a pezzi di terriccio, le pareti sono state tutte spellate e private di dignità e bellezza. L’intera struttura è senza mobilia, gli unici elementi di arredo sono vecchie porte di legno secco, alcuni bagni troppo sporchi persino per essere vandalizzati e pezzi di antichi e arrugginiti macchinari, ammonticchiati uno sull’altro, come si fa con le cose vecchie.
altre zone.
diventare per tre giorni meta degli amanti della lettura, in tutte le sue sfaccettature: dalla letteratura intesa nell’accezione più classica del termine alla saggistica, dal racconto all’illustrazione, dalla musica al teatro, dalla poesia al fumetto, dall’arte all’architettura, sino alla fotografia. Fittissimo il calendario degli eventi, con alcune novità: sulla scia dell’enorme partecipazione delle passate edizioni, viene raddoppiato l’appuntamento con la Colazione e giornali, l’ormai tradizionale rassegna stampa che apre ogni giornata del festival in cui si fa colazione con la lettura dei quotidiani commentati dagli ospiti. Confermata anche La nostra carriera di lettori, in cui autori di riferimento tracciano un percorso tra le proprie letture, curiose, insolite e spesso inaspettate. Tra gli ospiti confermati ci sono Walter Siti, Paolo Giordano, Melania Mazzucco. Aumentano gli appuntamenti dedicati all’arte figurativa: ben nove le mostre in programma, tra cui quella del celebre fumettista Igort, ospitata al Museo Civico Garda.
I suoi romanzi hanno ottenuto un eccezionale riscontro popolare, soprattutto presso gli adolescenti, ma sono stati scarsamente apprezzati dalla critica letteraria
in quella successiva, avido lui stesso di scorribande corsare in cui calarsi con il kriss tra i denti, covando riscosse impossibili.
rovinato, senza un soldo, invece è annichilito dal suo stesso sentirsi inferiore, oppresso da sentimenti di autosvalutazione. Il suo umore influenza le interazioni con il resto del mondo, soprattutto quello letterario, da cui non si sente riconosciuto. Incontra De Amicis alle partite di pallone elastico e nemmeno osa avvicinarsi per stringergli la mano.
saluto spezzando la penna”, lascia scritto, ma, sfortunatamente, neppure quel gesto estremo suscita nella comunità letteraria il clamore che egli aveva sperato; tutta l’attenzione del mondo accademico è rivolta ai preparativi per l’imminente celebrazione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Al funerale che si svolge nel Parco del Valentino partecipano un nugolo di ragazzi, i suoi libri sotto il braccio. A ben pensarci, è il più bel commiato che uno scrittore possa meritare.
manifesti, video di centinaia di enti. Un ecosistema condiviso a livello regionale che a oggi conta 70.000 oggetti digitali, 500.000 schede descrittive di beni artistici e 500 inventari di archivi storici: un patrimonio destinato a crescere, giorno per giorno, per metterne in luce quantità, qualità e varietà. Mèmora infatti gestisce attraverso un’unica interfaccia web beni culturali di tipologie diverse, integrando i molteplici software fino a ieri utilizzati e superando così la divisione tra beni archivistici e beni museali, in favore di una visione complessiva del patrimonio, garantendone la conservazione e la fruibilità nel tempo.
tecnici, aggiornamenti continui, facilità di personalizzazione e interoperabilità. La piattaforma nei mesi scorsi è stata testata anche da 27 professionisti dei principali istituti culturali e musei del territorio piemontese con l’obiettivo di raccogliere feedback e suggerimenti dagli addetti ai lavori e apportare eventuali modifiche o miglioramenti. 