CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 747

“L’Italia civile” di Pier Franco Quaglieni

 quaglieniGiovedì 19 gennaio alle ore 17,30 nell’Aula Magna dell’Università di Torino (Via Verdi, 8), Dino COFRANCESCO, Sara LAGI e Francesco TUCCARI presenteranno, in dialogo con l’autore, il libro di Pier Franco QUAGLIENI “FIGURE DELL’ITALIA CIVILE”, Golem Edizioni. Coordinerà Giuseppe PICCOLI.

Il libro di Quaglieni tratteggia le figure di personalità importanti della cultura e della politica italiana del ’900, da Einaudi a Giovanni italia 2Amendola, da Marchesi a Soleri, da Calamandrei a casalegno1Chabod, da Burzio ad Adriano Olivetti, da Ernesto Rossi a Balbo di Vinadio. La parte più consistente del libro riguarda gli “amici e maestri” che l’autore ha conosciuto e frequentato: Jemolo, Bobbio, Galante Garrone, ciampiMontanelli, Valiani, Venturi, Casalegno, Alda Croce, Primo Levi, Ciampi, Luraghi, Romeo, Spadolini, Pininfarina, Ronchey, Tortora, Pannella. Due capitoli molto densi concludono il libro, quelli dedicati a Soldati e Pannunzio. Si tratta di scritti che Quaglieni arricchisce ricostruendo la pannellastoria dei rapporti tra il Centro “Pannunzio” e le soldati2diverse personalità che animano il libro. Le figure delineate sono spesso ricordate con episodi del tutto inediti e poco convenzionali, in alcuni casi persino politicamente “poco corretti”, ma sempre equilibrati sotto il profilo storico. Ne viene fuori un ritratto a tutto tondo dell’Italia civile, che l’autore ritiene vada riscoperta e valorizzata come patrimonio culturale irrinunciabile anche per il futuro delle nuove generazioni.

FISH&CHIPS, malizia al cinema

FISHFestival Internazionale del Cinema Erotico e del Sessuale

 

La 2a edizione del Fish&Chips Film Festival, unico festival in Italia dedicato al cinema erotico e del sessuale internazionale, sarà inaugurata giovedì 19 gennaio 2017 con il titolo cult d’animazione Belladonna of Sadness di Eiichi Yamamoto e proseguirà fino a domenica 22 gennaio a Torino, per 4 giorni con 55 film in 22 proiezioni, 4 incontri, 2 mostre e 1 progetto fotografico liveFish&Chips Film Festival è un progetto indipendente realizzato dall’Associazione Fish&Chips, grazie a coloro che credono nell’importanza di dare attenzione a un elemento fondamentale della vita di ognuno come il sesso, senza discriminazioni, attraverso la fascinazione del cinema e delle immagini: il partner Museo Nazionale del Cinema, il main sponsor Pornhub, lo sponsor Gold Tattoo, gli sponsor tecnici 001 Edizioni, La Valigia Rossa, Bijoux indiscrets, Tempietto Tantrico e Stramonio, i media partner Lacumbia, Agenda del Cinema Torino, Radio Banda Larga e Taxidrivers; e grazie anche alla collaborazione del DAMS di Torino e di Giovani per Torino.

 

Anche quest’anno Fish&Chips Film Festival proporrà al pubblico proiezioni, incontri ed eventi che difficilmente troverebbero spazio nei circuiti mainstream.” dichiara la direttrice artistica di Fish&Chips, Chiara PellegriniL’attenzione è rivolta a produzioni indipendenti e di qualità, in cui la tematica principale è la sessualità nelle varie forme e declinazioni: mostreremo erotismo esplicito e anticonvenzionale, film che indagano modi alternativi di vivere l’eros e le relazioni. Da Giuliana Gamba a Four Chambers, da Los Angeles a Bangalore, passando per l’Iran, daremo spazio a registe e registi che raccontano il vasto e complesso mondo del sesso, attraverso generi cinematografici eterogenei e visioni personali.

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Fish&Chips ha scelto di portare avanti la propria mission e sdoganare quello che sotto molti aspetti rimane ancora un tabù, la sessualità, attraverso l’immediatezza e la fascinazione del cinema.

Immagini dal forte valore estetico, come quelle del film d’apertura Belladonna of Sadness (Kanashimi no Belladonna, Giappone, 1973-2016, animazione, 86’) di Eiichi Yamamoto, presentato in anteprima nazionale nella versione restaurata in 4k in lingua originale (v.o.s. ita), giovedì 19 gennaio ore 21.00, al Cinema Massimo 1 (Via Verdi 18). Il film è un anime psichedelico e underground dall’erotismo esplicito, in cui scene crude e conturbanti si fondono in raffinate illustrazioni chiaramente influenzate dall’Art Nouveau. Liberamente ispirato a un saggio dello storico francese Jules Michelet sull’oppressione della donna nel tardo Medioevo, Belladonna of Sadness fu presentato alla Berlinale e uscì in un momento cruciale per il Giappone, raggiunto dal movimento di liberazione sessuale che stava travolgendo l’occidente. Ad anticipare il film, la proiezione del cortometraggio del regista Rino Stefano Tagliafierro, giurato del festival e ospite all’inaugurazione, Peep Show in cui i dipinti classici si animano in omaggio all’arte erotica e lo spettatore, come se spiasse dal buco della serratura, è testimone di una mostra privata in cui l’arte è oggetto del desiderio.

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La 2a edizione del Fish&Chips Film Festival proseguirà fino a domenica 22 gennaio con i concorsi per lungometraggi e cortometraggi, mostre, incontri e gli omaggi a due signore del porno: l’attrice statunitense Marilyn Chambers e la regista italiana Giuliana Gamba.

Giuliana Gamba è stata la prima donna a sperimentare il genere hard nel nostro paese come regista, sceneggiatrice e produttrice, contribuendo a quella rivoluzione sessuale che il porno – negli anni ‘70 e ’80 – ha incarnato in Italia. Nel 1981 esordisce con Pornovideo sotto lo pseudonimo Therese Dunn e poi dirige Claude e Corinne, un ristorante particolare; l’anno successivo firma come John Costa La lingua di Erika. Il suo percorso artistico la porta dall’hard verso il cinema erotico nel 1989 con La cintura tratto da un testo di Alberto Moravia e interpretato da Eleonora Brigliadori: in programma a FISH&CHIPS giovedì 19 gennaio ore 18 al Cinema Massimo 3, con una proiezione speciale in pellicola anticipata dal trailer di Pornovideo.

Marilyn Chambers, scomparsa nel 2009 a 57 anni, viene ricordata soprattutto per il suo debutto nel cinema hardcore con il film Behind the Green Door (domenica 22 ore 16.30 al Cinema Massimo 3) che ottenne successo anche al Festival del Cinema di Cannes nel 1973 e la rese una celebre pornostar della “Golden Age of Porn”. Nonostante una carriera segnata nel cinema porno, Marilyn Chambers fu scelta da David Cronenberg come protagonista di Rabid – Sete di Sangue del 1977 (sabato 21 ore 22 al Cinema Massimo 3), film intriso di riferimenti sessuali in cui la Chambers diede prova delle sue capacità attoriali.

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Da film che hanno cambiato il punto di vista sull’erotismo e la sessualità negli ultimi decenni, lo sguardo si sposta sulla scena contemporanea grazie ai CONCORSO per lungometraggi e cortometraggi. Sono 11 e tutti in anteprima nazionale i lunghi in concorso per l’omonima categoria: documentari e film di fiction provenienti da Argentina, Australia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia, che si addentrano tra le innumerevoli sfaccettature dell’eros e trascinano lo spettatore nel mondo del sesso passando per amore, erotismo e pornografia. Gli 11 finalisti sono stati selezionati tra circa 110 iscritti e si contenderanno il Primo premio di 1.000 € assegnato dai giurati Ayzad (massimo esperto italiano nel campo dell’eros insolito, scrittore, giornalista, organizzatore di eventi e personal coach), Chiara Borroni (collaboratrice per la rivista Cineforum e redattrice della versione online, social media manager per Torino Film Festival – di cui è anche selezionatrice -, Museo del Cinema e TGLFF) e Silvia Magino (progettista in ambito sociale e culturale, specializzata in cinema e audiovisivo come strumenti di sensibilizzazione).

La sezione dedicata ai cortometraggi, quest’anno si presenta nella duplice veste corti e corti XXX, quest’ultima caratterizzata da un approccio e una potenza visiva decisamente più hard, e propone in tutto 32 cortometraggi che raccontano il sesso in modo esplicito o con lieve ironia, ma sempre con una visione peculiare e dando anche una rappresentazione di come viene vissuto il sesso nel mondo.

Tra questi lavori, scelti tra i 500 che hanno risposto alla chiamata di FISH&CHIPS, la giuria composta da Enrico Petrilli (sociologo specializzato in alcol e droga, e sul piacere nei club di musica elettronica), Rino Stefano Tagliafierro (regista e videoartista che nel 2016 ha realizzato il corto Peep Show) e Cikiti Zeta (visual artist in live VJing, pittrice e illustratrice protagonista di numerose pubblicazioni ed esposizioni) sceglierà i vincitori del Primo premio CORTI di 300 € (Offerto da Gold Tattoo) e del Primo premio CORTI XXX, sempre di 300 €.

Tutti i vincitori del Fish&Chips Film Festival 2017 saranno proclamati durante la serata di premiazione di domenica 22 gennaio alle 21.00 al Cinema Massimo 3. A chiudere il festival, un focus sul progetto FOURCHAMBERS ideato e concretizzato della performer Vex Ashley, pioniera del porno sofisticato che, attraverso l’omonima piattaforma, realizza video raffinati, ricchi di simbolismo e dalla profonda cura estetica, seguendo le richieste dei suoi numerosi amatori ai quali regala, così libertà creativa e un coinvolgimento unici.

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Erostismo ed estetismo si fondono in diverse forme d’arte durante il Fish&Chips Film Festival, grazie alle proiezioni, ma anche a due mostre: IL PUNTO Q. Sollecitazioni e provocazioni dell’artista spagnolo Luis Quiles, a cura di 001 Edizioni, vede per la prima volta esposta in Italia una selezione di 40 opere di uno degli autori più dissacranti del web, noto per le sue illustrazioni provocatorie che mostrano una visione cruda della società, e A HUMBLE BOW. Un umile inchino in cui le opere del fotografo torinese Tomaso Clavarino, restituiscono l’indagine compiuta all’interno del mondo del BDSM in Italia, tra sesso e psicologia.

La mostra su Luis Quiles sarà inaugurata giovedì 19 gennaio alle 18 allo studio Spacenomore (Palazzo Graneri della Roccia – Via Bogino 9, Torino) alla presenza dell’artista e per l’occasione verrà presentato il suo ultimo libro “RIOTS”, edito da 001 Edizioni. Sempre giovedì 19, alle ore 19 alla Tonin Gallery (Via San Tommaso 6), si aprirà anche la mostra A Humble Bow di Tomaso Clavarino, visitabile dal martedì al venerdì (sabato su appuntamento), dalle ore 10.30 alle 13 e dalle 14.30 alle 19, fino al 21 febbraio. Inoltre la 2a edizione di Fish&Chips proporrà anche 4 incontri aperti a tutti: Il genere pornografico nell’epoca dei porn tubes in cui si parlerà della “crisi” dell’industria pornografica e il consumo del porno 2.0; Tantra e dintorni, una tavola rotonda dove alcuni esperti in materia interagiranno con il pubblico per scoprire questa disciplina orientale al di là degli abusati luoghi comuni; La Valigia Rossa presenta la sessualità soft bondage e grazie a esperienza e un pizzico di ironia, le consulenti LVR mostreranno le magie del soft bondage; infine Cake is better then sex. Il piacere secondo gli asessuali, progetto artistico a cura di Irene Pittatore, proporrà una cake-performance e un confronto sul tema del piacere, per promuovere la conoscenza e il dialogo sull’asessualità.

 

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Info

FISH&CHIPS FILM FESTIVAL

FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA EROTICO e DEL SESSUALE

2a edizione

19 – 22 gennaio 2017, Torino

 

Luoghi del festival

Cinema Massimo, Via Verdi 18

Spacenomore – Palazzo Graneri della Roccia, Via Bogino 9

Tonin Gallery, Via San Tommaso 6

Laboratorio Multimediale Guido Quazza, Via Sant’Ottavio 20

 

Modalità d’ingresso

– Massimo 1: singolo intero € 7,50 / singolo ridotto € 5,00 (Aiace, studenti universitari e Over 60)

– Massimo 3: singolo intero € 6,00 / singolo ridotto € 4,00 (Aiace, studenti universitari, Over 60)

I biglietti sono acquistabili presso le casse del Cinema Massimo il giorno della proiezione oppure in prevendita online.

– Abbonamento: Intero € 33,00 / Ridotto: € 22,00 (studenti universitari e Over 60)

Tutte le proiezioni si tengono al Cinema Massimo 3, ad eccezione della serata di apertura in Sala 1.

Tutti i film stranieri saranno proiettati in v.o. sottotitolati in italiano. Ingresso vietato ai minori di 18 anni.

Gli incontri e le mostre sono a ingresso gratuito.

 

Contatti

www.fishandchipsfilmfestival.com

fishandchipsfilmfestival@gmail.com

Facebook facebook.com/fishandchipsfilmfestival e Twitter twitter.com/fish_chipsff

 

Con Scorsese, nel seicentesco Giappone, disperati dubbi tra religione e martirio

Sul finire degli anni Ottanta, Martin Scorsese si ritrovò tra le mani Silence, un romanzo dello scrittore giapponese Shusako Endo, dato alle stampe vent’anni prima, forse l’esempio più efficace e pregnante delle idee di un uomo convertito al cattolicesimo all’età di undici anni, più per compiacere la madre che per ferma propria convinzione, del suo rapporto con la fede, dei legami tormentati e delle discordanze che univano e che separavano il cristianesimo e la cultura nipponica.

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Alla lettura, Scorsese decise di tradurre in immagini quelle parole del romanzo che bene si addicevano ad un suo personale percorso spirituale, altresì fatto di certezze e di profondi dubbi (a 24 anni entrò in seminario per uscirne poco dopo), un percorso che avrebbe attraversato titoli come L’ultima tentazione di Cristo pronto a scandalizzare il mondo cattolico e Kundun intorno alla vita e all’esilio del Dalai Lama. A sceneggiatura iniziata, con la collaborazione di Jay Cocks (il suo nome è pure legato all’Età dell’innocenza e a Gangs of New York), altri progetti arrivarono sul suo tavolo per concretizzarsi poco dopo, i finanziatori non erano al momento disponibili per un grosso budget, gli attori interpellati non erano più liberi per un progetto dai tempi lunghi e indefiniti. E per anni la vicenda non ha potuto prendere forma. È il silenzio di Dio al centro del film che esce ora, la presenza/assenza di un essere muto, la sua indifferenza al male e alle pene, il confine che divide il Bene e il Male, le false suggestioni, il sovrapporsi di una fede in qualche modo conquistatrice di valori già fortemente consolidati, di credenze improvvisamente cancellate. Al centro di certezze e di dubbi, in un Giappone colto nella prima metà del XVII secolo, sta il giovane gesuita padre Sebastian Rodrigues che dal Portogallo là si reca con il confratello padre Francisco Garrupe con il compito dell’evangelizzazione e nella ricerca del suo maestro di un tempo, il padre Cristobal Ferreira – figura storicamente esistita -, in odore di abiura.

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I tempi non sono certo facili, i sacerdoti sono obbligati a nascondersi e a vivere di stenti, le persecuzioni colpiscono chi abbia abbracciato la fede cristiana (la lettura di un nostro quotidiano è esplicita), tutto resta allo stesso modo confuso se troppi intendono il paradiso come un luogo di tranquillità, di abolizione della ferocia e delle tasse, calpestare le immagini religiose significa aver salva la vita, affidarsi con fermezza a Cristo significa il martirio. In una scrittura e in una trasposizione cinematografica che s’affidano entrambe prima alle parole e ai resoconti inviati in patria da parte di padre Rodrigues e poi nel finale ad una narrazione esterna, la lotta verbale e di sopraffazione avviene tra il religioso e l’Inquisitore, in un’atmosfera che riporta alle pagine dei dostoevskiani Fratelli Karamazov, laddove il primo tenta di fortificare le basi della propria spiritualità mentre il secondo ribatte con la necessità di abiurare al fine di salvare quei cristiani condannati al martirio. Ma i dubbi e la disperazione di Rodrigues sono lì con la loro forza e il loro sopravvento e il ritrovato padre Ferreira, che ha abbandonato il cristianesimo per vivere in una nuova vita con una moglie e un figlio tra le abitudini e i costumi del luogo, non fa fatica a spingere il suo antico allievo verso il gesto estremo dell’abbandono, dell’abiura.

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Silence è un grande progetto, forte, che fa parte di una letteratura e di una cinematografia immerse a tutto tondo nella morale, nella religiosità, nel rovello che colpisce gli spiriti alti. È una narrazione limpida, concretissima, irta e inquieta, diremmo faticosa ma nel significato più bello e liberatorio del termine, è una narrazione dove storia e finzione coabitano senza forzature, dove trovano posto le simbologie (le tante scene immerse nel biancore delle nebbie), la crudezza e la drammaticità del martirio (l’acqua, il fuoco, il sangue che danno la morte), la solitudine (il villaggio distrutto dove sono soltanto i gatti a passeggiare) e il sogno debordante (alle fattezze del religioso riflesse nell’acqua si scorsesesostituiscono quelle di Cristo): soprattutto quei dialoghi che costruiscono la debolezza di un individuo, e se la parte di avvio del film appare di minore spessore, messa lì ad avviare una storia, proprio quei dialoghi danno allo spettatore tutta la forza di Scorsese e del film. Pregevole ancora una volta l’apporto di Dante Ferretti con Francesca Lo Schiavo per le ambientazioni e i costumi, della bellissima fotografia di Rodrigo Prieto, a tratti impalpabile, in altri momenti distesa nei chiaroscuri e nei primissimi piani, nei piccoli particolari che fanno il momento. È Silence un’opera che lega ed emoziona anche per la intensa prova interpretativa di un vulnerabile Andrew Garfield, coraggioso ma altrettanto perso e disperato, eccellente. Accanto a lui Adam Driver e Liam Neeson, come vittima l’uno e come chi, l’altro, ha compiuto a suo tempo “il più doloroso degli atti d’amore”, ovvero l’abiura per porre in salvo altre vite umane altrimenti destinate alla morte.

 

Elio Rabbione

“Assassinio sul Nilo”: libertà teatrali, ma la tensione rimane la stessa

Torino Spettacoli vanta, come ognuno ben sa, non trascurabili successi per le proprie incursioni nel mondo letterario di Agatha Christie, le stagioni dove immancabilmente trovano spazio le tappe di “Trappola per topi” e “La tela del ragno” ne sono la testimonianza. Sale piene, pubblico più che soddisfatto e per questo capace di ritornare sul luogo del delitto stagione dopo stagione, decisione a furor di popolo di prolungare le repliche, e sino ad una data insuperabile per il semplice fatto che già la programmazione di altri titoli è d’obbligo.

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Oggi s’è varato “Assassinio sul Nilo” (repliche prolungate all’Erba sino al 22 gennaio per le ragioni di cui sopra), altro grande successo della britannica scrittrice, signora in giallo per eccellenza, dato alle stampe nel 1946 e approdato al cinema nel ’78 per la regia di John Guillermin ed un cast di stelle hollywoodiane in gran forma. E con la benedetta sceneggiatura di Anthony Shaffer, raffinato scrittore che rasentò l’Oscar con “Gli insospettabili” e che nel mondo di pistolettate, soffocamenti e pugnalate se l’è sempre cavata un gran bene, leggi per tutti l’hitchckockiano “Frenzy”, “Delitto sotto il sole” e l’“Assassino sull’Oriente Express” (quest’ultimo titolo non accreditato, ma era pur anche farina del suo sacco).

Scegliendo tra i titoli della Christie, Shaffer si prese altresì non poche libertà, inserendo particolari nuovi, eliminando personaggi e vicende legate a costoro, attribuendo a qualcuno quel che l’autrice affidava ad altri. Libertà sacrosante, anche se niente e nessuno pensava di eliminare il perno della narrazione e dell’indagine, il baffuto Hercule Poirot, la testa d’uovo della letteratura, il sofisticato ragionatore per eccellenza, l’anima insostituibile. La trasposizione che oggi vediamo – e applaudiamo come tutto il pubblico che dallo scorso dicembre ha continuato ad affollare la sala – sul palcoscenico s’è presa anche questa libertà, affidando a Piero Nuti, pure in veste di regista, di tirare le fila dell’intero plot nelle vesti del non identificato canonico Pennefather, non esente pure lui da qualche leggera ombra. Non è quindi il caso di gridare al tradimento, semmai di sottolineare una riscrittura che, sulle linee limpide dell’originale, inquadra con particolare ricchezza i vari personaggi, che analizza e srotola situazioni, che sfrangia la storia di tipi e di vittime, che corre verso il drammatico finale con concreta sicurezza. Ogni pedina della vicenda, dei due perfetti calcolatori che per raggiungere il loro scopo non badano a qualsivoglia ostacolo, con buona pace dei loro compagni di viaggio, è ben risistemata al proprio posto, con eccellente tensione, tenendo sempre ben sveglia l’attenzione dello spettatore, e questo è quel che più conta. Nella scena fissa firmata da Gian Mesturino, ricordiamo le prove di Luciano Caratto, Micol Damilano e Barbara Cinquatti con il ritrattino dell’anziana zitella tutta pretese, la signorina ffoliot-ffoulkes (il minuscolo ci spiega lei stessa è d’obbligo), disegnato con gusto e misura da una frizzantissima Patrizia Pozzi.

 

Elio Rabbione

I Savoia, Torino e il Piemonte: passato, presente e futuro

risorgimento4Per la 75a Storica Conversazione presso il Museo Pietro Micca GUSTAVO MOLA DI NOMAGLIO su I Savoia, Torino e il Piemonte: passato, presente e futuro, nel 600° anniversario della nascita del Ducato.

Il 19 febbraio 1416 l’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo erigeva la Contea di Savoia in Ducato. Se anche il dominio dei Savoia, una tra le più antiche e potenti casate d’Europa [e probabilmente la più amata dai propri popoli], durava con piena autonomia, al di qua e al di là delle Alpi da quasi cinque secoli, si trattò di un evento di forte rilievo sia simbolico sia politico. La concessione della corona ducale sulla Savoia ad Amedeo VIII, già X duca di Aosta e di Chiablese, era carica, infatti, di valenze simboliche e di implicazioni politiche di grande rilevanza nell’Europa dei principi e nelle sue pratiche di potere. Mentre Torino e il Piemonte affrontano le sfide del presente e del futuro, guardare alle radici e alla storia non è un mero esercizio culturale ma un impegno necessario, in particolare con riferimento alle vicende ed eredità sabaude (musei, palazzi, pinacoteche, spazi architettonici, chiese, biblioteche, archivi…) che costituiscono un’opportunità e una risorsa insostituibili, non solo per la definizione dell’identità e dei valori piemontesi e subalpini, in prospettiva italiana ed internazionale, ma anche sotto il profilo economico che giustifica un grande progetto di valorizzazione e di studio. Di tutto ciò e di altro si parlerà nell’incontro.

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Gustavo MOLA di NOMAGLIO, è uno storico e studioso dei ceti dominanti e della società sabauda di antico regime. Collabora con riviste scientifiche italiane e straniere. È autore di numerosi volumi, risorgimrnto3fra questi: Feudi e nobiltà degli Stati dei Savoia (2006), Bibliografia delle famiglie subalpine (2008), Un primato piemontese in Europa. Venaria e la Cavalleria sabauda alla vigilia del Risorgimento (2009); La cessione di Nizza e Savoia alla Francia (2011); Bibliografia critica e antologica della Convenzione di Settembre. Dai lutti di Torino Capitale all’insediamento fiorentino (2015). suoi scritti compaiono in numerose opere miscellanee ad Atti di Convegni. È Vice Presidente del Centro Studi Piemontesi, consigliere dell’ABNUT (Associazione Amici della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino) e di altri sodalizi che studiano, tutelano, valorizzano e promuovono, con molteplici iniziative, il patrimonio culturale, ambientale ed identitario del Piemonte, della Valle d’Aosta e, in generale, degli antichi Stati sabaudi. È uno dei curatori, con Franca Porticelli e Andrea Merlotti, della Mostra Piemonte Bonnes Nouvelles presso la Biblioteca Nazionale di Torino, appena conclusa con grande successo di pubblico, realizzata dalla Biblioteca con la collaborazione del Consiglio regionale del Piemonte e del Centro Studi Piemontesi – per celebrare i 600° anni del Ducato di Savoia.

2017, l’anno dei Musei Reali

Un anno di percorsi, mostre, appuntamenti per una nuova identità Primo traguardo per i Musei Reali di Torino, che fanno un bilancio dei primi 12 mesi di attività sotto la direzione di Enrica Pagella e tracciano la rotta per il 2017, che si preannuncia particolarmente intenso.

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BILANCIO 2016. “È stato un anno impegnativo e entusiasmante” commenta la Direttrice “la sfida più complessa è la costruzione della nuova identità dal punto di vista amministrativo, organizzativo e di servizio. Bisogna riaprire porte tenute chiuse per troppo tempo, attivare funzioni e servizi museali quasi assenti. Il processo non è ancora terminato ma, grazie all’impegno e alla buona volontà di tutti per superare i mille ostacoli che quotidianamente si presentano, sono stati fatti passi avanti: la macchina si è messa in moto, ed essendo una macchina molto grande, prenderà velocità con il tempo, ma sarà poi inarrestabile”. In termini di numeri, il bilancio del 2016 si chiude con 489.000 visitatori: 314.000 ai Musei Reali e 175.000 nello spazio espositivo di Palazzo Chiablese, che ha ospitato le mostre dedicate a Matisse e Toulouse-Lautrec (in corso fino al 5 marzo). Circa 400.000 i passaggi nei Giardini Reali, stimati dai volontari del Touring Club Italiano che collaborano al mantenimento dell’apertura. L’iniziativa più importante è stata la grande mostra Le meraviglie del mondo. Le castello armeria realecollezioni di Carlo Emanuele I aperta al pubblico lo scorso 16 dicembre con oltre 250 opere e 80 tavole acquerellate degli album naturalistici conservati alla Biblioteca Reale (fino al 2 aprile 2017 in Galleria Sabauda e Biblioteca Reale). Sempre nel 2016 sono stati riaperti i Giardini Reali, chiusi per lungo tempo; ora sono accessibili solo parzialmente, ma è stato da poco ultimato il progetto per il completamento del verde e presto riprenderanno i lavori per perfezionare i percorsi e i servizi. A tutto questo si aggiunge la creazione di aree dedicate a mini-mostre e mostre speciali come lo “Spazio Confronti” e lo “Spazio Scoperte” della Galleria Sabauda, le aperture serali nel periodo estivo e quelle speciali degli appartamenti minori promosse in collaborazione con l’Associazione Amici di Palazzo Reale, il fitto calendario di attività per il pubblico e altro ancora: in sintesi, i Musei Reali si sono aperti, cercando di coinvolgere un pubblico sempre più ampio e più trasversale nella scoperta di un patrimonio tra i più ricchi, interessanti e variegati d’Europa.

SABAUDA5LE ATTIVITÀ DEL 2017. Spina dorsale delle attività saranno i progetti di miglioramento dell’offerta museale, con novità che vanno dalla comunicazione ai percorsi, oltre alle mostre, grandi e piccole, che punteggiano tutto il calendario. Tra i progetti più impegnativi ci sarà il completamento dei lavori di restauro della Cappella della Sindone, che sarà riaperta al pubblico a venti anni dal disastroso incendio che ne determinò la chiusura. Un recupero lungo e complesso, curato nel tempo dalla Soprintendenza di Torino con il contributo della Compagnia di San Paolo, che porterà di nuovo il gioiello di Guarini al centro dell’attenzione internazionale (novembre). Un altro importante obiettivo riguarda il riallestimento di una parte del Museo di Antichità, con la creazione di un nuovo percorso dedicato alle antiche civiltà del Mediterraneo (assiro-babilonese, cipriota, greca, etrusca e italica) che accoglierà i visitatori negli spazi della manica nuova. Proseguiranno anche i lavori di valorizzazione dei Giardini Reali con la risistemazione del verde e il collocamento dei vasi, la nuova illuminazione, la segnaletica e i servizi. Terminati i lavori, i Giardini saranno il vero cuore verde di collegamento tra tutte le aree dei Musei (da giugno a settembre). Alla Galleria Sabauda sarà aperto il nuovo spazio dedicato ai maestri piemontesi dal Trecento al Cinquecento: Un’altra armonia. Il Rinascimento in Piemonte, con le tavole e i polittici di Martino Spanzotti, Dedendente Ferrari, Gaudenzio Ferrari e altri ancora (giugno). A SABAUDA4fine anno, negli ambienti al piano terra, la mostra dedicata a Giovanni Battista Piranesi (ottobre). Negli spazi espositivi di Palazzo Chiablese, proseguirà fino a marzo l’esposizione di disegni e stampe di Henri Toulouse-Lautrec, coprodotta con Arthemisia Group, a cui seguirà Il bello senza tempo. La collezione di Gian Enzo Sperone da Roma antica a Ai Weiwei, la grande mostra incentrata sulle raccolte di uno dei più importanti collezionisti d’arte internazionali, con gallerie che portano il suo nome a Torino, Roma e New York (da aprile a settembre). In autunno protagonista sarà il pittore surrealista catalano Joan Mirò, di cui saranno esposte un centinaio di opere in arrivo dalla Fundaciò Pilar i Joan Mirò di Mallorca, la fondazione creata da Mirò e dalla moglie Pilar nel marzo 1981. Le attività di Confronti proseguiranno con A spasso con un drago, che presenterà un lavoro di Carlo Mollino recentemente acquisito dal Ministero per le collezioni della Galleria Sabauda (da febbraio), a cui seguiranno confronti dedicati a Daniele da Volterra (da maggio) e a Bellotto (da ottobre). Anche lo spazio Scoperte proseguirà la propria attività: al termine della mosta dedicata agli incisori olandesi, le sale saranno occupate dalle opere di Grechetto (aprile-agosto) a cui seguiranno quelle di Dürer e Luca di Leida (da settembre). Nuove attività per l’affascinante Museo di Antichità, con appuntamenti dedicati alla storia del restauro (da gennaio a marzo), a tutto quello che nell’abbigliamento ha preceduto il bottone (da aprile a settembre) e alla storia dei militari romani a Torino (da settembre). All’Armeria Reale, a gennaio, appuntamento con un’opera restaurata grazie al programma “Restituzioni” di Intesa San Paolo e ora di nuovo accessibili al pubblico: un’armatura giapponese nello stile delle dō-maru del secondo periodo Chusei (XIIIXVI secolo), donata dall’imperatore del Giappone Meiji a Vittorio Emanuele II nel 1869, a tre anni dalla firma del trattato di amicizia e commercio tra il Regno d’Italia e l’Impero giapponese, ratificato a Edo (l’odierna Tokyo) il 25 agosto 1866. A tutto questo si aggiunge l’intenso programma di attività (calendario SABAUDA2aggiornato sul sito museireali.beniculturali.it) dai laboratori didattici alle visite di una sola opera del ciclo Ogni opera è un mondo, dagli spazi aperti dagli Amici di Palazzo Reale come le cucine e gli appartamenti della Regina Maria Teresa fino alle visite di approfondimento delle mostre e delle diverse sezioni dei Musei Reali. “Il 2017 sarà l’anno decisivo per la costruzione dell’identità dei Musei Reali” sottolinea Pagella, “Lavoreremo sul piano della comunicazione, ma soprattutto su quello del miglioramento dell’accoglienza; a rappresentarci avremo un nuovo logo, dei nuovi uffici nel torrione Frutteria di Palazzo Reale, e l’avvio di importanti progetti che segneranno il futuro dei Musei e anche, ci auguriamo, quello della città. La mostra su Carlo Emanuele I che abbiamo appena inaugurato dimostra quanto sia grande il potenziale dei nostri musei anche come capacità di produrre idee, ricerca, occasioni di conoscenza e di scoperta. Per questo il 2017 dovrà essere anche l’anno destinato alla creazione di una nuova rete di rapporti, sia con le realtà locali, sia con quelle nazionali e internazionali. Tutto questo è necessario anche in vista del 2019, cinquecentenario di Leonardo che ci vedrà assolutamente protagonisti”.

www.museireali.beniculturali.it

(foto: il Torinese)

Sébastian Jacot “re” di Lingotto Giovani

jacot_hdMartedì 17 gennaio 2017 ore 20.30 • Sala Cinquecento, via Nizza 280, Torino


È il vincitore dell’edizione 2015 dell’Internationaler Musikwettbewerb der ARD di Monaco di Bavieramartedì 17 gennaio 2017 alle 20.30 è protagonista del terzo appuntamento di Lingotto Giovani, la rassegna cameristica di Lingotto Musica che da alcuni anni imposta la propria programmazione reclutando strumentisti e formazioni risultate vincitrici di recenti edizioni dei concorsi strumentali più prestigiosi di Europa. Da poco divenuto primo flauto della gloriosa orchestra del Gewandhaus di Lipsia, Sébastian Jacot nasce a Ginevra dove incomincia lo studio del flauto all’età di 8 anni e successivamente si perfeziona presso il locale Conservatorio sotto la guida del grande flautista e didatta Jacques Zoon. Insieme a lui il pianista Lucas Buclin, altro musicista svizzero, che a un’intensa attività cameristica ha negli ultimi anni affiancato la singolare attività di improvvisatore su pellicole del cinema muto.
Il programma della serata, che si svolge come di consueto presso la Sala Cinquecento del Lingotto, prende le mosse dalla Ballade (1939) di Frank Martin, massimo compositore svizzero del Novecento. Seguono i Fantasiestücke op. 73 (1849) di Robert Schumann, destinati buchlinoriginariamente a clarinetto o violoncello con accompagnamento di pianoforte e qui eseguiti in una insolita versione per flauto. Ispirata all’omonimo racconto di Friedrich de la Motte Fouqué, la Sonata op. 167 «Undine» (1882) di Carl Reinecke narra la tragica storia di una Ondina, spirito acquatico del folclore germanico, mentre Le merle noir (1951) è una breve pagina che rispecchia gli interessi di Olivier Messiaen nell’ambito ornitologico, scritta per testare le abilità dei flautisti candidati all’ammissione presso il Conservatorio di Parigi. Chiude la serata la Fantaisie brillante sur l’opéra Carmen de Georges Bizet di François Borne, unica opera dell’autore ancora oggi in repertorio e paradigmatico esempio di quella fioritura ottocentesca di trascrizioni, parafrasi e fantasie basate su temi celebri delle più note opere del teatro musicale.
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Grazie all’accordo con l’Università di Torino e il corso di laurea in DAMS il concerto è introdotto da una breve guida all’ascolto a cura della studentessa Beatrice De Caroli
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La biglietteria è aperta nel giorno del concerto, 17 gennaio 2017, in via Nizza 280 interno 41, dalle 14.30 alle 19, e un’ora prima del concerto, dalle 19.30 nel foyer della Sala Cinquecento. Poltrone numerate da 5 a 10 euro. Vendite on line su www.anyticket.it. Informazioni: 011.63.13.721 oppure www.lingottomusica.it

La stagione 2016-2017 è resa possibile grazie al sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Piemonte, Città di Torino, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, FIAT, Exor, Reale Mutua, Banca del Piemonte, Lingotto, IPI, Lavazza, Sadem Arriva, Vittoria Assicurazioni, Banca Regionale Europea, Guido Castagna, AON, Generali, Banca Sella, Amiat, PKP Investments.

Calosso, un colonnello piemontese alla corte del Sultano

Possiamo immaginarlo mentre cavalca a fianco del Sultano nei giardini imperiali sul Bosforo o nella piazza dei Cavalli, il famoso ippodromo di Costantinopoli, all’ombra della Moschea Blu e di Santa Sofia, in mezzo a vecchi turbanti e donne velate, colonne romane e obelischi egizi, un po’ come si vede nelle cartoline d’epoca che ritraggono Istanbul nei secoli passati. Trascorreva le giornate nei palazzi della capitale ottomana, sempre a stretto contatto con il sultano, gran visir, pascià e giannizzeri. Istruì giovani soldati e ufficiali all’arte della cavalleria, riformò l’esercito e divenne consigliere militare e diplomatico del sultano che lo volle nelle stanze del potere. Ma chi era costui?

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Il sultano ottomano era Mahmud II (1808-1839), il riformatore dell’Impero della Mezzaluna, ben presente nei libri di storia e immortalato dal pittore Luigi Gobbi in un ritratto esposto al Palazzo Reale di Torino mentre del nostro personaggio rimane ben poco, forse solo una fotografia e poche notizie. Non era un sovrano europeo o un celebre condottiero e si chiamava semplicemente Giovanni Timoteo Calosso. Non era nato a Roma o a Parigi, ma nella piccola Chivasso, alle porte di Torino, anche se la sua seconda città fu Costantinopoli, alla corte del sultano, al quale insegnò a cavalcare all’occidentale e a mettere in riga uno degli eserciti più potenti del mondo. Addestrava le reclute e incontrava ogni giorno il monarca che gli regalò una delle case più belle della capitale. È la straordinaria storia di un colonnello piemontese che all’inizio dell’Ottocento, in cerca di gloria, istanbul re 2fortuna e avventura, si mise al servizio della potenza ottomana. Poco conosciuto in Italia e sicuramente più noto all’estero, Giovanni Calosso influenzò con le sue idee libertarie e innovatrici alcune scelte politiche del sultano convincendolo ad aprire l’Impero alle riforme europee, ispirate a principi democratici e liberali. Amò l’Impero sul Bosforo, già al tramonto ma ancora forte e tenace, e fu intimo del sultano. Fu quasi uno di loro, ma non si convertì mai all’Islam. Nato a Chivasso nel 1789, divenne ufficiale con Napoleone e partecipò a diverse campagne militari, tra cui quelle di Prussia nel 1807 e di Russia nel 1812, e alla fine dell’Impero prestò servizio nell’esercito del Regno di Sardegna. Cadde in disgrazia per aver preso parte ai moti rivoluzionari del 182021 in Piemonte e fu esiliato. Non si perse d’animo e, pur costretto a lasciare la moglie, la Contessa Secondina Tarini Imperiale e il suo Piemonte, continuò a viaggiare in vari Paesi europei e si fermò soprattutto in Grecia, dove combattè per la causa dell’indipendenza ellenica contro il dominio turco. Ma il suo avvicinamento all’Oriente e all’Impero Ottomano non tardò.

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Il sultano, in difficoltà sul piano militare e politico, cercava ufficiali ed esperti europei per riformare il suo esercito, dopo aver sciolto il Corpo dei giannizzeri. Il quarantenne Calosso, come molti altri esuli europei, non si lasciò sfuggire l’occasione e giunse a Costantinopoli nel 1826 per restarci fino al 1843. L’ingresso nella Corte imperiale non fu immediato perchè i soldi scarseggiavano e fu quindi costretto a svolgere alcuni semplici impieghi per guadagnarsi da vivere lavorando per un certo periodo in alcuni locali di Istanbul. Ma le sue qualità di cavallerizzo non tardarono a farsi apprezzare.

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Fu subito maestro di equitazione e poi istruttore capo della cavalleria ottomana. A quel punto il sultano lo chiamò a Palazzo per addestrare un gruppo selezionato di giovani destinati a diventare le sue guardie del corpo personali. Nell’arco di breve tempo Calosso diventò stretto consigliere militare e diplomatico del Gran Turco che gli diede il nome di Rustem Aga. Grazie al colonnello piemontese il nuovo esercito applicò l’ordinamento francese di cavalleria e questo successo gli conferì l’elevazione alla dignità di Bey, ovvero di Signore e gran capo. Nel 1830 ultimò la formazione di quattro reggimenti della Guardia imperiale e fu incaricato dal sultano in persona a rinvigorire il nerbo dei Sipahi, la cavalleria leggera dell’esercito, numerosa e indisciplinata, che negli ultimi tempi aveva perduto smalto e vigore. Non girò tutto sempre nel verso giusto in quanto l’esercito ottomano subì pesanti sconfitte contro i russi e contro le popolazioni che cercavano di liberarsi dal dominio turco, ma gli interventi di Calosso per istruire e formare le truppe continuarono senza sosta. Ma qualcosa cominciò a guastarsi nei suoi rapporti con i 

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vertici dell’esercito dopo la sostituzione di alcuni ufficiali con nuovi uomini a lui non graditi e dopo aver scoperto casi di corruzione e di malcostume tra i militari. Nel 1839 gli eventi precipitano. Mahmud II muore e Rustem Bey cade da cavallo procurandosi gravi lesioni agli arti che gli impediscono di proseguire il suo lavoro preferito. La sua brillante carriera nell’armata ottomana e presso la corte era finita. Calosso viene ricordato per la grande capacità professionale dimostrata nella sua attività e per aver inculcato nei suoi allievi una ferrea disciplina militare unita all’insegnamento di quelle idee liberali che riuscirono a infiltrarsi in qualche modo nel chiuso e tradizionale ambiente del palazzo imperiale. La sua fama era così elevata che anche il Regno Sardo fu

costretto a fare marcia indietro e ritirare le accuse contro di lui per i moti in Piemonte. Lo stesso ministro sardo, il marchese Vincenzo Gropallo, lo contattò più volte come intermediario per arrivare

colored XVIIIth century Turkey and Greece map, by royal french geographer Vaugondy
colored XVIIIth century Turkey and Greece map, by royal french geographer Vaugondy

al sultano. Nel 1843 l’ex rivoluzionario piemontese abbandonò la capitale sul Bosforo. A questo punto le poche fonti disponibili sulla vita di Calosso sono contrastanti. Si dice che tornò subito nella sua Chivasso, dove trascorse in ritiro e in pace l’ultima parte della sua esistenza, non prima però di essere ricevuto in udienza da Carlo Alberto, mentre secondo altri racconti tornò a Costantinopoli, dove si trattenne ancora tre anni per poi tornare definitivamente in Italia. Non si conoscono né la data, né il luogo della morte del Calosso, che pare comunque sia vissuto circa settant’anni. Ci ha lasciato un libro di memorie, «Mémoires de un vieux soldat», la sua vita di soldato e di diplomatico accanto a due grandi personaggi, Napoleone e il sultano Mahmud II, pubblicato a Torino, in francese, nel 1857.

Filippo Re

(Da “La Voce e il Tempo”)

L’avventura “europeista” dei “Sei di Torino”

ALLA “FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA” OLTRE 40 OPERE  DEL GRUPPO NATO ALL’OMBRA DI FELICE CASORATI

 

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Diversi per età. Diversi per origini culturali. Diversi per provenienza. I “Sei di Torino”, ai quali la torinese “Fondazione Giorgio Amendola” dedica un’ampia mostra (inserita nell’ambito dei progetti di riqualificazione delle periferie urbane ), ebbero in comune per un certo periodo del loro iter artistico un privilegio sicuramente non da poco: l’assidua frequentazione di una delle più prolifiche “scuderie” d’arte della Torino Anni Venti – Trenta e oltre: quella del Maestro Felice Casorati, che nel 1923, nel suo studio di via Mazzini, aveva aperto una scuola per giovani artisti. Lì si trovano a lavorare gomito a gomito, chi con più adesione ai “precetti” casoratiani e chi con maggiore libertà e originalità creativa, quelli che qualche anno dopo si assoceranno appunto sotto la sigla (quasi un marchio di fabbrica) dei “Sei di Torino”:

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Francesco Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa, Jessie Boswell (unica donna del Gruppo), Enrico Paulucci e Nicola Galante. Ufficialmente – sotto l’influente sponsorizzazione dello storico dell’arte Lionello Venturi (che all’epoca andava costituendo la corposa Raccolta Gualino) nonché del critico Edoardo Persico (arrivato nel ’27 a Torino da Napoli) –il Gruppo nasce nel gennaio del 1929 con una mostra a sei alla “Galleria Guglielmi” di piazza Castello, che proprio Persico definì come “la prima battaglia delle nuove generazioni per un’arte europea in Italia”. Loro segno levi3distintivo fu infatti la volontà di perseguire una pittura “intuizionistica” (a mezza strada fra Fauvismo ed Espressionismo) e proiettata verso l’Europa –in primis Scuola di Parigi e Modigliani, secondo Venturi – in antitesi al nazionalismo retorico del regime: pittori “dissidenti” insomma rispetto all’arte ufficiale del Novecento e, per questo, non poco “sospetti” in un periodo in cui anche le divergenze artistiche assumevano un significato pericoloso di contrasto ideologico e politico. Sciacquati “i panni in Senna” (ma la “lezione impressionista” non sempre appare così preminente nei quadri dei Sei) la vita del Gruppo si esaurì nel giro di pochi anni, con la mostra a Parigi del dicembre 1931, quando venne a perdersi l’appoggio dei due veri “creatori” del Sestetto: il finanziere Riccardo Gualino, confinato a Lipari per bancarotta fraudolenta, e Lionello Venturi, che proprio nel ’31 espatria a Parigi aderendo a “Giustizia e Libertà”.

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Tre anni di mestiere “in comune”, con esiti assolutamente non univoci, e che tornano a riproporsi nelle 45 opere esposte alla “Fondazione Amendola”, all’interno di una mostra imperdibile, curata da Loris Dadam. Il percorso si apre con nove opere di Carlo Levi eseguite fra il ’26 e il ’69. Si va da un “Ritratto del padre” ancora fortemente iperrealista, per passare al parigino impressionista “Notre Dame sotto la neve” del ’29, fino alla svolta palesemente espressionistica con il ritorno del colore che si fa materia densa quasi informale in quadri che troveranno il loro apice espressivo durante il periodo del confino politico in Lucania (1935- ‘36), per concludersi con l’imponente telèro “Lucania ‘61” – il suo “Cristo si è fermato a Eboli” trasferito su tela – custodito in Palazzo Lanfranchi a Matera e di cui la “Fondazione Amendola” ospita una fedele riproduzione. Di Francesco Menzio, insegnante dal ’51 all’Accademia Albertina di Torino, la mostra presenta, fra gli altri (notevole il matissiano “Fiori e conchiglie”), un pezzo del ’59, “Stazione a Torre Pellice”, dove il colore cede il passo al segno, levi5graffiante immediato essenziale, come elemento portante di un’opera con caratteri similari alla briosa “Passeggiata a Nervi”, guazzo su tela del ’33 di Enrico Paulucci e al carboncino su carta del ’46 “Torre Pellice (Castelluzzo)” dell’abruzzese Nicola Galante apprezzato xilografo oltreché pittore. Di Gigi Chessa, che al Gruppo aderì vantando già al suo attivo innumerevoli mostre nonché la partecipazione alla XVI Biennale di Venezia del ’28, la rassegna sottolinea quanto egli sia stato volutamente il meno “casoratiano” dei Sei, quale “pittore di luce” più che di rigidi “spazi” compositivi. Sua “La zuppiera” del ’24, incantevole con quel “bianco illuminato dal raggio di luce come un caravaggesco della Scuola di Utrecht, che emerge da grigi, bruni, sfondi afoni”. Più fedele, invece, alla lezione del Maestro (pregevoli i numerosi “Interni” dalla tipica “griglia geometrica casoratiana”) fu l’inglese Jessie Boswell, la più “anziana” del Gruppo e a Torino dama di compagnia di Cesarina Gualino. Suo il rigoroso e severo “Autoritratto” del ’41, composto forse per i suoi sessant’anni. Immagine intensa, di pensierosa fissità.

Gianni Milani

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“Carlo Levi – I Sei di Torino”. Fondazione Giorgio Amendola, via Tollegno 52, Torino,  tel. 011/2482970. 

Fino al 31 gennaio – Ingresso libero – Orari: lun. – ven. 10-12,30/ 15,30-19; sab. 10-12,30;

dom. visite guidate su prenotazione al 348/2211208   

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Nelle immagini:

– Carlo Levi: “Notre Dame sotto la neve”,olio su tela, 1929

– Francesco Menzio: “Stazione a Torre Pellice”, olio su tela, 1959

– Enrico Paulucci: “Passeggiata a Nervi”, guazzo su tela, 1933

– Gigi Chessa: “La zuppiera”, olio su tela 1924

– Jessie Boswell: “Autoritratto”, olio su cartone, 1941

Il liberale Zanone

zanone 2Si è tenuto ieri , nel primo anniversario della sua morte, un ricordo di Valerio Zanone promosso dalla Fondazione Burzio e ospitato nell’Aula Magna della Scuola di Applicazione per ricordare chi fu anche ministro per la Difesa. In questa occasione la Fondazione ha ristampato il saggio di Zanone “Il liberalismo moderno” pubblicato dalla Utet nella “Storia delle idee politiche, economiche,sociali” curata da Luigi Firpo. Hanno parlato tre personaggi importanti,l’ex direttore del “Corriere della Sera” Stefano Folli, il nipote di Benedetto Croce Piero Craveri, l’ex ministro Domenico Siniscalco. Salvo la noiosa tiritera di Craveri che ha divagato, pur leggendo, sia rispetto a Zanone sia rispetto al suo saggio, i due ottimi interventi di Folli e di Siniscalco hanno reso il dovuto omaggio al liberale Zanone, per quanto vada rilevata l’assenza della famiglia all’unico ricordo torinese programmato, ma forse chissà che la proverbiale litigiosità liberale non ci riservi qualche sorpresa con altre iniziative. E’ stato invece un fatto positivo che certi “eredi” torinesi di Zanone non si siano sentiti. Un anno fa ai funerali è stato un po’ penoso  ascoltarli  nel tentativo  di appropriarsi di un’eredità che appartiene non solo ai liberali, quelli veri, ma ma anche  alla cultura politica  italiana  più in generale. Nessun uomo di cultura venne invitato a ricordare Zanone ai suoi funerali in Comune.

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Prima dei relatori è intervenuto il capo di Gabinetto della Sindaca di Torino Paolo Giordana che ha fatto un discorso che è andato molto oltre il semplice saluto.Si è colta in Giordana una conoscenza approfondita  dei temi della cultura liberale di notevole spessore. Ci si aspettava  un qualcosa di rituale,invece, abbiamo ascoltato un intervento di alto livello e di sicura pregnanza culturale.
Folli mi ha citato in chiusura del suo intervento e quindi non parlerò della sua relazione tutta giocata sull’ossimoro zanoniano Giolitti-Gobetti, volto a conciliare lo statista di Dronero con il giovane torinese che aveva aperto una collaborazione con Gramsci:un’operazione quasi esclusivamente intellettuale,non essendo possibile trovare una sintesi politica tra Giolitti e Gobetti.
Vorrei invece soffermarmi sulla relazione,molto brillante e spesso  illuminante per capire l’economia mondiale dei tempi d’oggi, di Domenico Siniscalco che non conoscevo di persona,se non per quanto mi dissero Franco Reviglio e Sergio Ricossa. Non l’avevo mai ascoltato e debbo dire che in passato ho perso molto.

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pliSiniscalco ,parlando del saggio di Zanone ,lo ha contestualizzato negli Anni 70
torinesi(il saggio uscì nel 1972 ), descrivendo quel mondo  politico-culturale. Per Siniscalco quel mondo si identificava con la Fiat ,il PCI ,i sindacati,”La Stampa”,la Juventus con una DC fortemente impegnata a sinistra con Donat Cattin. Siniscalco cita anche le frange di “Lotta continua” e i terroristi che colpivano manager, avvocati, giornalisti, poliziotti . Forse ha solo tralasciato la Chiesa del Cardinale Pellegrino che esercitò sicuramente un ruolo dopo la fine della lunga presenza sulla cattedra di San Massimo del Cardinale Maurilio Fossati. A fianco di questo blocco predominate c’era un “mondo laico,non comunista e non cattolico,parzialmente azionista…”. In questo blocco Siniscalco  colloca Zanone e lo stesso Firpo ,curatore della monumentale storia in sei volumi editi dalla Utet ,vi appartiene a pieno titolo. Siniscalco mette in evidenza il Centro “Einaudi” animato da Zanone e una parte della Facoltà di Economia e Commercio con Castellino, Ricossa,Reviglio e Monti  che allora insegnava a Torino, prima di passare alla Bocconi. In effetti era proprio così.

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Senza inquadrarlo in quel tempo,spesso fatto di demagogia e di contestazione studentesca ed operaia violenta, il saggio di Zanone  non può essere compreso appieno nel suo tentativo di trovare comunque agganci , persino in sede storica, tra liberalismo e socialismo. Giustamente Siniscalco ha parlato di un”saggio politico”.E senza fare riferimento a quel clima che si respirava all’Università nelle facoltà umanistiche non si può comprendere l’intera opera curata da Firpo e che dà spazio anche a politici (e non studiosi veri ) che sostengono nelle loro farneticazioni ideologiche l’esistenza di un solo totalitarismo novecentesco,quello nazista e fascista,un tesi storicamente aberrante. Lo storico delle idee Firpo accolse tutti nella sua opera, ma non credo  che ciò  fosse per dimostrarsi liberale e tollerante,quanto piuttosto per non discostarsi troppo dal plumbeo clima che si respirava allora. Firpo uomo tollerante è cosa molto difficile, se non zanone-craxi-1000x600impossibile. Chi lo ha conosciuto da vicino lo sa bene. Mi resta un dubbio: perché Siniscalco non abbia citato il gruppo formatosi nel 1967/68 del Centro “Pannunzio”. C’erano persone importanti: Arrigo  Olivetti, Mario Soldati, Gaetano Zini Lamberti, Alessandro Passerin d’Entrèves, Paolo Greco,Piero Pieri, Alda Croce, Mario Fubini… Non c’era solo chi scrive in compagnia di  alcuni compagni di università. Io non sono certo un giudice imparziale, ma credo che il Centro “Pannunzio”abbia pur contato qualcosa -come hanno riconosciuto in molti –  nella storia della cultura non solo torinese (basterebbe citare la sua coraggiosa posizione sul terrorismo a fianco di Carlo Casalegno) ma per l’economista Siniscalco quel mondo  liberale si identificava nel giovane Zanone che sicuramente seppe fare moltissimo e assai bene e che io considero comunque un amico-maestro.

                                                                                  Pier Franco Quaglieni