CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 744

Dal pop a Paganini David Garrett alla conquista di Torino

Il violinista ex enfant prodige e il direttore d’orchestra McAdams protagonisti del concerto di Carnevale all’ Auditorium Rai, su musiche di Strauss, Bizet, Paganini e Bernstein

David Garrett sarà il protagonista del concerto di Carnevale dell’ Orchestra Sinfonica della Rai, in programma martedì 28 febbraio, alle 20.30 all’Auditorium Rai Arturo Toscanini di Torino.Garrett è uno dei violinisti di maggior successo internazionale e ha iniziato a suonare il violino a soli quattro anni, debuttando a dieci con la Filarmonica di Amburgo. A tredici anni è stato l’artista più giovane in assoluto a firmare in esclusiva un contratto con la Deutsche Grammophon. È inconfondibile la sua capacità di raggiungere anche le più giovani generazioni attraverso la mescolanza di elementi provenienti dalla musica colta, pop, rock e rhythm-and- blues. Sul podio, a dirigere l’Orchestra Rai, il direttore d’orchestra americano McAdams, già apprezzato con questa orchestra nel 2011 per l’esecuzione, in forma di concerto, dell’opera “Mozart y Salieri” di Nikolaj Rimskij-Korsakov e, nel 2015, per “Les pecheurs des perles” di Georges Bizet. Per festeggiare il Carnevale il concerto prevede un programma di brani brillanti, la cui apertura sarà affidata all’ Ouverture dal “Die Fledermaus” di Johann Strauss figlio, seguita da due pagine per violino di grande virtuosismo, interpretate da Garrett, la Czardas di Vittorio Monti e il celebre Capriccio n. 24 di Paganini, proposti nelle versioni per orchestra. La prima parte della serata si concluderà con una suite dalla Carmen di Bizet, mentre nella seconda parte si susseguiranno i Three dance episodes dal musical di Leonard Bernstein “On the town”, la danza ungherese n. 5 di Brahms, nella versione per violino e orchestra interpretata da Garrett, le Quattro danze del balletto Estancia di Alberto Ginastera e il Mambo da West Side Story di Bernstein. Il concerto si concluderà con l’ Ouverture dall’operetta di Offenbach “Orphee’ aux enfers” con il su celebre Can-can. Sempre McAdams e David Garrett saranno anche i protagonisti dei concerti in programma giovedì 2 marzo alle 20.30 e venerdì 3 marzo alle 20 all’ Auditorium Rai di Torino. Il programma verterà sull’ Ouverture KV 527 del Don Giovanni di Mozart, il concerto in re maggiore op. 35 per violino e orchestra di Cajkovskij, la sinfonia in tre movimenti di Igor Stravinskij e il notissimo Bolero di Maurice Ravel. Un’ora prima dei concerti saranno messi in vendita gli ingressi non numerati.

Mara Martellotta

Info:0118104653

Il tempo e il “respiro” del bosco

Rigoni Stern viveva sull’altopiano d’Asiago in una casa ai margini del bosco. In prossimità della sua abitazione sorgevano due larici: “Me li vedo davanti agli occhi ogni mattina e con loro seguo le stagioni; i loro rami quando il vento li muove, come ora, accarezzano il tetto”. Così raccontava in “Arboreto salvatico”, libro semplice e bello, pubblicato da Einaudi ventitré anni fa, nel 1991. Rigoni Stern di alberi, in quel testo, ne scelse venti, illustrandone caratteristiche botaniche, ambiente naturale, l’uso che ne facevano montanari e contadini, gli influssi sulla cultura popolare, i miti e le tradizioni. Prendeva  per mano il lettore, accompagnandolo sotto le piante per guardare la forma delle foglie, degli strobili,dei fiori, mescolando alle informazioni ricordi mitologici, letterari e familiari, come la quercia che il principe Andréj incontra in una pagina di “Guerra e pace” o il verso che Boris Pasternak dedica  al  tiglio: ” Il cerchio d’oro del tiglio / è come un serto nuziale” . Ai tempi in cui Mario era ragazzo si cercavano i rami di faggio “giusti”, ben inclinati  “per  costruire la ‘slitakufa’, la slittastorta” (dal tronco si ricavava lo scivolo, il ramo serviva da stanga). Lo stesso faceva mio nonno, sulla montagna tra i due  laghi, il Mottarone.

Dalle betulle, “praticando un piccolo foro al piede del tronco”, si faceva  colare una linfa che aveva virtù terapeutiche. Anche da noi s’usava piantare il sorbo nei pressi delle case perché i suoi rossi frutti  attiravano gli uccelli e, come raccontava Mario “era facile così catturarli, o  con il fucile o con le trappole o con il vischio ” (quando “pochi erano i denari, rara la carne e arretrata la fame”). Del mondo degli alberi mi parlava spesso lo zio Gùstin, montanaro che aveva imparato a leggere e far di conto. L’abete era l’albero della nascita ed a lui era dedicato il primo giorno dell’anno, mentre le querce (come la farnia, il rovere ed il leccio ) erano sacre. Tanto sacre che Tacito raccontava come persino le legioni romane di Cesare, in Gallia, avessero timore ad affrontarne il taglio:credevano che, usando le  scuri contro quei tronchi, ne sarebbero usciti lacrime e sangue e i colpi si  sarebbero, poi, riversati contro di loro sui campi di battaglia. Ed è dalle  querce che i druidi celti, con il loro falcetto d’oro, recidevano il vischio,”seme degli Dei”. Questi “echi” di vita montanara spingevano ad un’immedesimazione spontanea nella natura, come quando lo stesso Rigoni Stern osservava, descrivendo un frassino : “. .da giovane la sua corteccia è liscia, di colore olivastro, con gli anni diventa grigia, rugosa e fessurata. (con  l’età gli umani assomigliano agli alberi!)”. Infatti, lo scorrere del tempo si può leggere nel numero dei cerchi nel tronco degli alberi ed anche nella corteccia, così come l’avvizzirsi della pelle e l’incedere degli anni “segnano” il nostro invecchiare. Nei boschi sul versante del Mottarone che guarda verso il Verbano dove, fin da piccolo ,sono andato “a far legna” con mio padre, s’imparava presto a conoscere virtù e difetti degli alberi. Dal nocciolo -lungo, dritto, uniforme nel diametro – si ricavavano il manico del rastrello e altri attrezzi. Lo stesso si faceva con il frassino, il faggio (per la “ranza”, la falce da fieno) e il duro corniolo, per i “denti” del rastrello. La casa era riscaldata dalla stufa a legna,ma dal taglio dell’albero all’imboccatura della stufa, ci si “scaldava” sei, sette volte. Dopo aver tagliato la pianta (faggi o o robinia, castagno o rovere) la si “sramava”, portandola, poi, fuori dal bosco, in spalla. A pezzi lunghi fino a tre metri, trascinati per un paio di chilometri sul sentiero fino a valle (grazie ad una corda legata all’anello fissato ad un cuneo di ferro che si”piantava” nel tronco) gli alberi “scendevano” e, successivamente, con il tronco di nuovo a spalla, percorrevamo un altro chilometro fino alla cascina vicino casa dove c’erano la legnaia e la sega “circolare”. Azionata con un sistema di pulegge collegate ad un motore di Vespa V 98 “farobasso” del 1948, la sega serviva a tagliare il tronco a tocchi che poi, in ultimo, con un colpo d’ascia ben assestato venivano spaccati a metà. Per il taglio ci si regolava con la luna. L’influenza dell’astro d’argento apriva gli occhi su di un’infinità di regole e di “buone pratiche”.Il legname del tetto andava tagliato ai primi di marzo così, in caso d’incendio, le travi sarebbero rimaste sì scure, annerite, affumicate, ma sane e riutilizzabili. Se non si voleva che il legno marcisse sotto le intemperie andava tagliato,indipendentemente dalla luna, gli ultimi giorni di marzo, in modo da risultare quasi impermeabile. La legna da ardere si tagliava d’inverno, da  novembre in poi, solo inluna calante. Se, poi, si voleva un bosco sano e forte, il taglio andava organizzato per ottobre, in luna crescente. Questo lo potevamo far noi, per le nostre necessità ma c’era anche chi seguiva un’altra  logica. Ricordo un racconto di Mauro Corona,lo scultore-alpinista-scrittore di Erto, nella valle del Vajont. Scriveva che, tagliando in quel periodo il bosco,  questo si rigenerava, rapidamente, ma la legna tagliata in quel momento pesava meno e, quindi, i boscaioli storcevano il naso (“minor peso,meno guadagno”). La stessa linea di crescita di un albero era ed è importante. Dipende da tante cose e non è uguale per tutti, anche se tutti crescono in  verticale. L’andatura può andar su dritta, ma anche girare a destra o a sinistra.

Se si vuol lavorare il legno per delle scandole o una grondaia, bisogna lasciar perdere quello dalla corteccia che si “avvita”: prima o poi si torcerà. Anche i fulmini “scelgono” gli alberi dove cadere. Mai su quelli ad  andatura diritta, sempre su quelli che “girano” tant’è che la “lésna”, la saetta, provoca uno squarciamento che va giù, dalla cima al piede, a spirale. Se un albero soffre, non “butta” più, fa crescere poche foglie,occorre mozzargli subito la cima, e farlo in luna piena. Se si è attenti e rapidi, se non è troppo compromesso, si riprenderà, mentre con certe lune anche il solo taglio di un ramo potrebbe essere esiziale e condurre la pianta a morte certa. Anche per eliminare le erbacce, i nonni non usavano i diserbanti: estirpandole in luna giusta, alla fine d’aprile, non ricrescevano più. Un cespuglio intralciava il passaggio su di un sentiero? Per non averlo più tra i piedi bastava tagliarlo in luna crescente, a febbraio. La cura del bosco, le fasi lunari, le buone pratiche hanno fatto della montagna uno straordinario contenitore di culture e di saperi. Ai tempi di mia nonna non c’era il servizio meteo e se ci fosse stato non avrebbe saputo di che farsene. Lei gettava lo sguardo al “bossolo” del sale grosso (quante volte mi e capitato di sentirle dire”.. Deve piovere, il sale è umido!”) o alla Carlina spinosa nel prato, le cui brattee interne sono sensibili all’umidità e quanto l’aria n’è satura la “sentono” fino a chiudere il fiore. I tempi giusti per tagliare la legna, la Carlina, l’impasto di colla e cloruro di cobalto per colorare il santino segnatempo, le tavole della lunazione e lo sguardo che si perde alla sera nel  cielo, non sono lontani ricordi, impastati di nostalgia. Offrono la possibilità per  riflettere, seriamente, sul nostro tempo e sul bisogno di far “valere” i nostri  tempi. E avere un tempo per noi.

 

Marco Travaglini

Primo Levi e le sue storie

Mercoledì 1 marzo, alle ore 21, nell’auditorium del grattacielo Intesa Sanpaolo, inaugura il ciclo di letture TRENT’ANNI DOPO. PRIMO LEVI E LE SUE STORIE, a cura di Giulia Cogoli. Un omaggio voluto da Intesa Sanpaolo nel trentennale della morte di Primo Levi, narratore, uomo di scienza e pensatore di rango internazionale. Protagonista della serata il grande attore Gioele Dix, che leggerà alcune pagine da I sommersi e i salvati, Così fu Auschwitz, Se questo è un uomo (Shemà, Ottobre 1944, I fatti dell’estate), La Tregua (Il disgelo). Il reading sarà preceduto da un’introduzione di Marco Belpoliti, e di Domenico Scarpa. Trent’anni – l’arco di una generazione – sono trascorsi da quando Primo Levi è mancato a Torino, la città dov’era nato. Trent’anni durante i quali si è affermato come il testimone di Auschwitz per eccellenza. Trent’anni durante i quali è stato riconosciuto come un narratore, un uomo di scienza, un pensatore di rango internazionale. Le sue opere complete sono oggi disponibili non solo in italiano ma, caso unico tra gli autori italiani di tutti i tempi, anche in inglese, mentre a decine si contano le lingue nelle quali i suoi libri sono stati tradotti. Se Primo Levi è divenuto un classico contemporaneo, letto e amato in tutto il mondo, lo si deve alle sue storie: storie, al plurale. Difatti, l’omaggio che Intesa Sanpaolo gli rende nella città dove ha trascorso l’intera sua vita («con involontarie interruzioni», come egli stesso osservava con spirito) è intitolato alle storie, perché Levi fu una persona dalle molte avventure e dai molti talenti. In tre serate, affidate ad altrettanti attori di prima grandezza, saranno dunque offerte tre letture tematiche, ciascuna delle quali esplorerà una delle storie di Levi scrittore e figura pubblica. La prima fra le storie da rievocare riguarda naturalmente il Lager: il suo viaggio di deportazione, l’anno di prigionia in Auschwitz, il lungo ritorno a Torino attraverso un’ Europa sconvolta dalla guerra. La seconda storia, meno nota, ma altrettanto avvincente, riguarda le invenzioni di Levi come narratore di talento: i suoi racconti ispirati a una peculiare fantascienza o fanta-biologia o fanta-tecnologia, le sue poesie dal linguaggio ricco e arguto, chiare come cristalli e costruite a loro volta come racconti. Infine, la terza storia da ripercorrere riguarda la passione che Levi testimoniò per il proprio mestiere di chimico e per l’avventura del lavoro in generale: che ci parli degli elementi della tavola periodica legandoli alla propria vicenda personale, o ci racconti le peripezie di un operaio giramondo, al suo lettore-ascoltatore giungerà inalterata – e inconfondibile – la pronunzia della sua voce morale. Gioele Dix, attore, autore e regista, milanese. La sua formazione e la sua carriera sono di origine teatrale, inizia con grandi maestri come Antonio Salines e Franco Parenti. Intraprende poi la carriera di solista comico: diventando protagonista in televisione con Mai dire gol e Zelig. La sua grande creatività e la sua capacità interpretativa unica si esprimono al loro massimo in teatro. Di grande interesse alcune sue interpretazioni fra classico e comico: Edipo.com, La Bibbia ha (quasi) sempre ragione; di assoluto rilievo gli spettacoli, in tournée per anni, come: Dixplay e Nascosto dove c’è più luce; attualmente è in tournée con Vorrei essere figlio di un uomo felice e Il malato immaginario. Fra le sue regie: Oblivion show, Sogno di una notte di mezza estate, Matti da slegare, Fuga da Via Pigafetta. Tra i suoi libri: Cinque Dix (Baldini e Castoldi, 1995); Manuale dell’automobilista incazzato (2007), Quando tutto questo sarà finito (2014), per Mondadori. Marco Belpoliti, saggista e scrittore, ha curato l’edizione delle Opere di Primo Levi presso Einaudi (1997) e la nuova edizione Opere complete (Einaudi, 2016), Domenico Scarpa, consulente del Centro internazionale di studi Primo Levi di Torino, per il quale cura la collana «Lezioni Primo Levi», pubblicata da Einaudi, e curatore di diverse pubblicazioni dello scrittore torinese.

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L’ingresso è gratuito su prenotazione. È possibile prenotarsi per l’appuntamento del 1 marzo a partire da mercoledì 22 febbraio sul sito: www.grattacielointesasanpaolo.com Sezione Eventi e News

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I prossimi appuntamenti con Trent’anni dopo.Primo Levi e le sue storie:

giovedì 9 marzo ore 21 Sonia Bergamasco legge Primo Levi: invenzioni Introduce Marco Belpoliti

giovedì 16 marzo ore 21 Fabrizio Gifuni legge Primo Levi: mestieri Introduce Domenico Scarpa

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Auditorium sospeso Il grattacielo Intesa Sanpaolo offre al pubblico alcuni ambienti particolarmente suggestivi. Spazi permeabili alla vita della città, aperti agli appassionati dell’ingegno e della bellezza e a chi cerca nuove prospettive verticali. La hall del piano terra, aperta sul Giardino Grosa, completamente riqualificato nel 2014, conduce con due scale mobili all’Auditorium sospeso. Attraverso un sistema meccanizzato la sala, che può ospitare fino a 400 posti a sedere, assume in breve tempo tre diverse configurazioni: sala conferenze, concerto e spazio espositivo. La qualità acustica è assicurata da un sofisticato sistema di controllo dei rivestimenti a parete

Chiacchiere risate e infelicità, e c’è chi deve portare il proprio lavoro lontano

Quando Carlo Goldoni nel 1762 lasciò la laguna per intraprendere il viaggio verso Parigi (viaggio di non ritorno, quantunque l’autore lo desiderasse) dove poter far germogliare quella riforma teatrale che in patria non era certo ben vista, affidò alle stampe e alla scena del teatro San Luca Una delle ultime sere di carnovale, nella quale commedia, attraverso la figura di Anzoleto, disegnatore di stoffe veneziano, raccontò il proprio animo e il proprio lavoro dentro una metafora di sapore autobiografico.

Beppe Navello, nell’ambito del cartellone della Fondazione Teatro Europa Piemonte, ricostruisce la poesia di un testo bellissimo che continua ad affasciare, come l’allegria che è in superficie e l’infelicità che trama sotto quei sorrisi, con intuiti felici, orchestra sapientemente e con gusto le piccole, impercettibili, quasi cecoviane, azioni che si susseguono, facendone altresì il terzo capitolo di una trilogia intorno alla commedia settecentesca che in passato ha visto sul medesimo palcoscenico dell’Astra Il divorzio di Alfieri e Il trionfo del Dio Denaro di Marivaux: innestandosi qui, estremamente intrisa la commedia dei tempi in cui viviamo, la piaga di quanti sono obbligati a trasportare all’estero il proprio bagaglio giovanile e intellettuale, e tutto arriva in sala fluido fluido senza la necessità di quell’immagine finale di bastimento che invade il molo di San Marco, tra l’arrivederci di chi parte e il saluto di chi resta, in un end che non è decisamente da intendersi come happy. Una serata di carnevale quindi, con un padrone di casa che felicissimo ha invitato alcuni amici per una serata da trascorrere in allegria, tre coppie già formate e altrettante che si formeranno, tra chiacchiere e piccole gelosie, speranze e dispetti, le debolezze e le rivincite di ognuno, l’arrivo di una madame d’oltralpe che vorrebbe il giovane protagonista tutto per sé e scombussola per un attimo di troppo tutte le carte, la complicità delle donne, i pettegolezzi come soltanto l’autore veneziano ha saputo imbastire, i mal di testa improvvisi e le risate che contagiano ancora oggi. Un gioco perfetto, geometrico e preciso, suddiviso nella conoscenza dei personaggi, nel gioco della meneghella, nella cena con i saluti e le nuove unioni uscite dalle imbronciate tempeste che arrivano a chiudere la vicenda.

Un gioco perfetto reso in una lingua, il veneziano, che arriva musicalmente alle orecchie di chi ascolta, al colmo delle emozioni, e non si sente davvero il bisogno dell’intervento di un grande come Eduardo – paiono quasi delle espressioni di scusa da parte di chi oggi mette in scena la commedia – che apra lo spettacolo a spiegarci come non è davvero indispensabile che al pubblico arrivi il significato di ogni parola, tornando alla memoria certi suoi tentativi ad addolcire testi che fuori Napoli avrebbero incontrato parecchie incomprensioni. Un gioco perfetto che all’inizio genera ancora il dubbio di ricordarsi troppo delle maschere (perché paròn Zamaria scende in scena con quel posticcio sul volto?) ma che, sul finire delle varie presentazioni, abbraccia in toto i differenti tipi, li concretizza, li sfuma, li imprime di un proprio preciso carattere, in una pregevole immedesimazione compiuta dagli attori della compagnia (una gran bella compagnia, anche numericamente), in una coralità (ci si accorge quanto l’avventura e il successone dei Tre moschettieri siano stati un ottimo preambolo) e in una centralità di intenti davvero encomiabili.

Nel “pover” ed essenziale ambiente scenografico dovuto a Luigi Perego – tessuti dai vari colori a far da fondali, un lungo tavolo e le sedie pronte a essere disposte per le varie scene d’insieme -, giocano con un invidiabile ritmo Antonio Sarasso come Zamaria, il deus ex machina della vicenda, Marcella Favilla che riempie da sola la scena tra emicranie e risate, il raisonneur quanto dolente Anzoleto di Alberto Onofrietti, la innamorata e combattiva Domenica di Maria Alberta Navello, il rassegnato, eccellente Augustin di Matteo Romoli, e poi ancora lo strabordante Momolo di Alessandro Meringolo, Diego Casalis, Daria Pascal Attolini, Andrea Romero, Eleni Molos, Erika Urban. Per quanto l’abbiamo vista alla prima, leggermente staccata dal divertissement generale, le repliche dovrebbero aiutare Geneviève Rey-Penchenat a fare della sua madame Gatteau una creatura più spavaldamente civettuola, più eroticamente intrigante e sospirosa, più dimentica dei suoi capelli bianchi, più agguerrita nella conquista del suo oggetto del desiderio. Sarebbe un’esplosione di languori che con maggiori ragioni la lancerebbe nell’entusiastico dinamismo di una compagnia che è sempre più un piacere applaudire. Spettacolo da vedere, repliche sino al 5 marzo.

 

Elio Rabbione

 

Narrazioni Jazz, scelti 10 progetti

‘Narrazioni Jazz’ si svolgerà in modo parallelo e intrecciato al Salone del libro, da mercoledì 17 a domenica 21 maggio, armonizzandosi con le esigenze della Fiera e contribuendo nello stesso tempo alla diffusione del festival in città attraverso una Notte bianca (20 maggio) e il progetto ‘Jazz per la Città’ lanciato con una call pubblica.

 

Il bando Jazz per la Città 2017attività musicali diffuse’ ha portato alla selezione di 10 progetti, 2 in più rispetto agli 8 indicati inizialmente nella chiamata (visibili su http://www.fondazioneperlaculturatorino.it/risultati-call-jazz-per-la-citta-2017/La Città di Torino, unitamente alla Fondazione per la Cultura Torino, valutata la disponibilità delle risorse finanziarie ha infatti deciso di aggiungere altri 2 progettiprocedendo in ordine di graduatoria -, agli 8 selezionati dalla Commissione presieduta da Stefano Zenni, direttore artistico del festival, e composta da Claudio Merlo, coordinatore organizzativo e artistico, Gino Li Veli, giornalista,  Letizia Perciaccante, della segreteria di produzione della Fondazione per la Cultura Torino e Laura Tori, responsabile Area Eventi – Gabinetto della Sindaca, Città di Torino.

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“La call pubblica ‘Jazz per la città’, inserita nel programma di ‘Narrazioni jazz’, ha riscosso uno straordinario successo, non scontato trattandosi di un esperimento originale per il mondo del jazz sia locale, sia nazionale. – afferma Francesca Leon, assessora alla cultura della Città -. Sono stati compresi e premiati i punti di forza della call: la facilità nella compilazione del form, la professionalità della Commissione incaricata di vagliare i progetti, la rapidità del procedimento, la volontà di coinvolgimento del ricco tessuto artistico torinese e l’impegno economico messo in campo. Sono arrivate alla  Fondazione per la Cultura Torino 45 domande, in rappresentanza di un numero molto più alto di associazioni. Per premiare la partecipazione e la qualità progettuale la Commissione, la Città e la Fondazione per la Cultura hanno deciso di aumentare il numero di contributi erogati, passando da 8 a 10. ‘Jazz per la Città’ arricchirà il programma di ‘Narrazioni Jazz’ con decine di iniziative diffuse nell’intera città: il tutto confluirà nella più ampia collaborazione con il Salone Internazionale del Libro. Il mese di maggio si preannuncia straordinario”.

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“Per la prima volta in Italia un festival del jazz programma una parte consistente dell’attività artistica con una chiamata pubblica rivolta alleassociazioni del territorio, selezionate e finanziate con una procedura snella e trasparente. Questo vuol dire che per la prima volta la città ha l’occasione di esprimere idee, attività, proposte, frutto di una collaborazione reciproca e ragionatasottolinea Stefano Zenni, Direttore artistico di TJF-Narrazioni Jazz -. La chiamata ha portato alla selezione di progetti che coprono 7 Circoscrizioni della città, con attività che vanno dalla propedeutica per i più piccoli alle produzioni originali, dalla mobilità sul territorio all’intreccio tra le arti. I criteri di selezione artistica, copertura del territorio, fattibilità e capacità di mettersi in rete hanno consentito di scegliere i progetti più significativi, a fronte di un livello molto alto delle proposte. L’esclusione dalla rosa dei vincitori non va intesa quindi come un giudizio di inadeguatezza: al contrario, il lavoro della commissione è stato complesso proprio per il numero di idee e proposte di buona qualità. Segno che anche nel jazz Torino si distingue come un vivace laboratorio culturale”. ‘Jazz per la città’ (Narrazioni Jazz) è un programma unico nel suo genere e sperimenta una nuova modalità di coprogettazione tra l’amministrazione comunale, organizzatrice della rassegna musicale, ed enti e associazioni che lavorano stabilmente sul territorio cittadino.

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Qui di seguito l’elenco, in ordine alfabetico, delle associazioni con i relativi progetti selezionati:

 

  • Associazione ARCI, Comitato di Torino: JAZZ IS DEAD!
  • Associazione Arcote:  KIND OF JAZZ
  • Associazione Culturale Comala: WALKABOUT JAZZ
  • Associazione Culturale Giardino forbito: READING SOTTO SOPRA
  • Associazione Culturale Immagina: STRANGE FRUIT, L’ALTRO DEL JAZZ
  • Associazione Culturale Kaninchen-Haus: ULYSSES IN JAZZ TIMES
  • Associazione Culturale Torino: JAZZ CITY, QUARTIERI IN JAZZ & BOOK
  • Associazione Tedacà: OH MY JAZZ!
  • Cooperativa Sociale CLGEnsemble: JORGE LUIS BORGES, ZOO EXPERIENCE
  • Jazz School Torino: BALTEA SOUND STATION

 

Maximilian Hornung re del violoncello

È uno dei vincitori dell’edizione 2015 dell’Europäischer Kulturpreis conferito dalla Pro Europa Stiftung di Dresda, emerita fondazione tedesca che dal 1995 conferisce premi in ambito culturale, scientifico e sociale a eminenti personalità del vecchio continente. Jonas Kaufmann, Angela Gheorghiu, Daniel Hope – per limitarci al solo ambito musicale – sono coloro che hanno ricevuto nel 2015 questo prestigioso riconoscimento insieme al violoncellista tedesco Maximilian Hornung protagonista martedì 28 febbraio 2017 alle 20.30 di una nuova tappa della rassegna Lingotto Giovani. Sponsorizzato e sostenuto dalla fondazione di Anne Sophie Mutter e dal Borletti Buitoni Trust, nonostante la giovane età ha già alle spalle collaborazioni in veste di solista con orchestre e direttori di primissimo livello, tra cui Bernard Haitink e Daniel Harding. Insieme a lui la pianista giapponese Hisako Kawamura, anch’essa già lanciata verso un’importante carriera solistica internazionale con incisioni per RCA e collaborazioni con direttori come Yuri Temirkanov e Mikhail Pletnev.

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Il programma della serata, che si svolge come di consueto presso la Sala Cinquecento del Lingotto, prende le mosse dai 5 Stücke im Volkston op. 102 di Robert Schumann, capolavoro particolarmente amato dai due interpreti che lo hanno definito un «microcosmo di umanità». Una vera curiosità il pezzo che segue: nell’arrangiamento per violoncello e pianoforte dello stesso Hornung si ascolteranno i Lieder eines fahrenden Gesellen di Gustav Mahler, dall’autore scritti in una prima versione per voce e pianoforte e successivamente orchestrati. Si chiude con la Sonata FP 143 di Francois Poulenc, dedicata al grande violoncellista Pierre Fournier e da questi eseguita per la prima volta insieme all’autore al pianoforte nella Salla Gaveau di Parigi nel 1949.

Grazie all’accordo con l’Università di Torino e il corso di laurea in DAMS il concerto è introdotto da una breve guida all’ascolto a cura della studentessa Francesca Riva

La biglietteria è aperta nel giorno del concerto, 28 febbraio 2017, in via Nizza 280 interno 41, dalle 14.30 alle 19, e un’ora prima del concerto, dalle 19.30 nel foyer della Sala Cinquecento. Poltrone numerate da 5 a 10 euro. Vendite on line su www.anyticket.it. Informazioni: 011.63.13.721 oppure www.lingottomusica.it

La stagione 2016-2017 è resa possibile grazie al sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Piemonte, Città di Torino, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, FIAT, Exor, Reale Mutua, Banca del Piemonte, Lingotto, IPI, Lavazza, Sadem Arriva, Vittoria Assicurazioni, Banca Regionale Europea, Guido Castagna, AON, Generali, Banca Sella, Amiat, PKP Investments.

Nuova vita per la Cappella di Palazzo Reale

Lunedì 27 febbraio 2017, ore 11 ai Musei Reali di Torino (con ingresso in piazza Castello 191 esclusivamente per questa occasione) si terrà la presentazione del RESTAURO DELLA CAPPELLA DI CARLO ALBERTO. In programma la conferenza stampa e vla isita in anteprima dello spazio restaurato Introduce Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali di Torino. Intervengono: Mauro Laus, Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte Maria Carla Visconti, Progettista e Direttore dei lavori Franco Gualano, Responsabile Collezioni Palazzo Reale. Torna a splendere un piccolo e prezioso ambiente del Palazzo Reale di Torino: la cappella privata di Carlo Alberto, adiacente alla Sala delle Udienze, realizzata da Pelagio Palagi tra il 1837 e il 1839. L’intervento, condotto tra il settembre e il dicembre 2016, è frutto di un protocollo di intesa tra Musei Reali di Torino e Consiglio Regionale del Piemonte che prosegue nel tempo con progetti di recupero e di valorizzazione degli spazi e delle decorazioni del Palazzo Reale.

Giambattista Tiepolo e la grande pittura del Settecento veneto

Si apre sabato 25 febbraio alle 15, nelle sale del Castello di Miradolo, la mostra Tiepolo e il Settecento veneto, curata da Giovanni Federico Villa, un percorso tra i capolavori – circa cinquanta opere in esposizione, tra tele, incisioni, acqueforti e disegni – di un artista che ha pressoché attraversato un intero secolo e che con l’apporto dei figli Giandomenico e Lorenzo è stato il protagonista assoluto di un’età e di una pittura che si lasciavano alle spalle il barocco per avvicinarsi agli anni della grande Rivoluzione l’oltralpe, coltivando i nomi di David e Goya. Un percorso che si è reso possibile attraverso la collaborazione tra la Fondazione Cosso e i Musei Civici di Vicenza, da tempo nel novero dei maggiori poli museali italiani (non soltanto per i 600.000 visitatori all’anno ma pure per l’eccellente dato che è la copertura del 62% delle spese con la bigliettazione), che hanno in palazzo Chiericati una delle più importanti collezioni oggi esistenti sul territorio nazionale. In questo sguardo d’insieme che vede da un lato il passaggio temporaneo ad una sempre più prestigiosa sede piemontese delle opere e dall’altro il contributo ai lavori finali all’interno del palazzo vicentino che la Fondazione Cosso sosterrà, consentendo così la messa in opera delle strumentazioni necessarie a rendere il salone del piano nobile atto a ospitare conferenze e convegni, si potrà ammirare la Immacolata Concezione (datata 1733), splendido esempio posto su un altare della chiesa guariniana dell’Araceli, a Vicenza, di un artista che reclamava con forza la propria autonomia ed esaltava la pura luce nei confronti di un Giambattista Piazzetta, di vent’anni più vecchio, che ancora coltivava le ombre e di cui si potrà ammirare un’opera di alto sentimento drammatico, l’Estasi di san Francesco, dove l’artista non coglie l’attimo cui l’iconografia ci ha abituato, bensì quello successivo in cui il santo, svenuto e sfinito, appare tra le braccia di un angelo sopraggiunto in suo soccorso, a sorreggerlo “su di una nuvola fattasi solida e tamponarne la ferita sul costato”.

I giochi di luce, schiariti in loro ogni pennellata, ancor meglio si comprendono nel Tempo svela la Verità e fuga l’Ignoranza, la decorazione di un soffitto che in anni recenti è giunta a nuova e inaspettata popolarità per essere stata la suggestiva allegoria posta a fare da sfondo alla sala stampa di palazzo Chigi. Un posto di tutto riguardo hanno nelle altre sale del castello di Miradolo le nature morte del secolo XVII pronte a spingersi verso l’inizio di quello successivo e che portano i nomi di Jacob van der Kerckhoven (Natura morta con frutta, pappagallo e conigli), di Jacobus Victor e di Elisabetta Marchionni; senza dimenticare i contemporanei dei Tiepolo e quanti sono stati da loro influenzati, da Louis Dorigny con i suoi grandi affreschi a Luca Carlevarijs maestro del paesaggio settecentesco, qui presente con Paesaggio con arco trionfale e monumento equestre, messo accanto ad un altro gioiello, firmato da Marco e Sebastiano Ricci, Prospettiva di rovine con figure, tra le opere più note e studiate del Settecento veneto. E ancora Antonio De Pieri con l’Allegoria dell’inverno o le tele mitologiche di Giambattista Pittori (Diana e le ninfe) o i paesaggi di Giuseppe Zais. Innegabile il valore e la bellezza di opere che recenti restauri ripropongono al pubblico dei visitatori, come la Decollazione del Battista dovuta a Giandomenico Tiepolo, capace oggi di esplodere nel contrasto tra gli incarnati del santo e quelli del boia, le vesti sgargianti e le ombre profonde della passione. A completare la mostra che rimarrà aperta fino al 14 maggio prossimo, una ricca vetrina di disegni (uno per tutti, bellissimo, Il tempo svela la Verità) e di acqueforti e incisioni, dovute soprattutto alla maestria di Giambattista, Scherzi e capricci che trovano spazio gioiosamente e con un pizzico di ironia nella complessità dell’opera dell’artista, circolando amabilmente tra una tradizione classica fatta di bassorilievi e scene pastorali e un sentire popolare che con gufi e teschi e maghi abbraccia pure gli interessi del tempo, dando spazio ad argomenti come la cabala, l’astrologia e l’archeologia. Schizzi, divertimenti, sperimentazioni che nemmeno sembrano considerare la continuità della linea (o il gioco delle ombre) ma la interrompono e la riprendono, leggera, per poi terminarla in maniera definitiva.

 

Elio Rabbione

 

 

 

 

Rock al femminile contro la violenza

 Si chiama Rock Female Festival e si terrà sabato 25 febbraio al Taurus Factory di Ciriè. Il programma vede sul palco nove band (inediti, cover e tributi) che si esibiranno in un’unica serata dedicata al rock al femminile: Dirty Label, Oniricide, Kosmic Band, Fallen, Dayslived, Soundscape, Stush, The Dark Side, Così A Caso. La serata partirà alle 19 ma verrà anticipate da un ricco apericena mezzora prima. Durante l’evento verrà allestito un banco per la presentazione dello Sportello Donna (Centro di Aiuto, ascolto, accoglienza e reinserimento comunitario e lavorativo per Donne). Servizio gratuito della cooperativa Libera Dimensione in collaborazione con la Cooperativa Quarantatrè e Privata Assistenza che si occuperanno delle attività di inserimento.

Lo scopo è quello di prevenire e contrastare ogni forma di violenza contro le donne, sia in ambito familiare che sociale, ma vuole essere anche un punto per il reinserimento nel circuito lavorativo o anche semplicemente un luogo d’incontro e di scambio. Il progetto associativo si fonda sulla convinzione che la donna, anche se in situazione di disagio, abbia dentro di sé la capacità di progettare il futuro e le risorse per uscire dalla precarietà, riappropriandosi della propria identità e riprendendo in mano la propria vita. Questo percorso è lungo e difficile: affrontato insieme ad altre donne può diventare più facile. Inoltre sarà anche possibile assistere all’inaugurazione della mostra fotografica “Yin – l’arte del femminile”, di Gabriella Catalano.

 

Massimo Iaretti

Il Patto della Montagna

Sabato 25 febbraio, viene inaugurato un nuovo ciclo di incontri tutti dedicati al mondo del documentario della nostra regione: Glocal Doc / Il cinema del reale in Piemonte. Il progetto, realizzato da Associazione Piemonte Movie, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte, sarà una vetrina del documentario e dei documentaristi della regione, con proiezioni in anteprima, presentazione di progetti, incontri e dibattiti, con l’obiettivo di valorizzare il ricco panorama del cinema del reale girato e prodotto in Piemonte. Una serie di appuntamenti, per un totale di 5 serate, che si terranno ogni due mesi al Cinema Massimo di Torino (Via Verdi 18), in questa prima edizione 2017.

 

Come parte del ciclo Glocal Doc / Il cinema del reale in Piemonte, il Museo Nazionale del Cinema ci permette di stringere i legami con la storia passata e recente del cinema documentario, mentre Film Commission Torino Piemonte rappresenta un punto di riferimento fondamentale per lo sviluppo e la produzione made in Piemonte grazie alle sue attività di sostegno al settore, in primis attraverso il Piemonte Doc Film Fund, primo fondo italiano per il sostegno al cinema documentario, istituito nel 2007. Glocal Doc va inoltre ad aggiungere un tassello importante all’interno del quadro composto dalle numerose iniziative volute e realizzare da Piemonte Movie, a sostegno delle realtà cinematografiche locali. Una rassegna che si collega infatti al concorso Panoramica Doc del Piemonte Movie gLocal Film Festival per quanto riguarda il presente della produzione documentaristica e si allaccia, inoltre, alla manifestazione Movie TellersNarrazioni cinematografiche che nel mese di maggio proporrà 28 serate-evento in 13 comuni della regione con 4 lungometraggi, 4 documentari e 4 cortometraggi piemontesi, per far circuitare sul territorio le ultime produzioni realizzate sotto le Alpi. Un’iniziativa sostenuta da Regione Piemonte, promossa da Film Commission Torino Piemonte e FIP Film Investimenti Piemonte, ideata e organizzata da Associazione Piemonte Movie in collaborazione con Museo Nazionale del Cinema, Torino Film Festival e Agis-Anec.

 

Sabato 25 febbraio 2017 al Cinema Massimo ore 20.30, il Museo Nazionale del Cinema e Piemonte Movie insieme alle società di produzione Jean Vigo Italia e VideoAstolfoSullaLuna (Biella) presentano il documentario Il Patto della Montagna di Manuele Cecconello e Maurizio Pellegrini. Il film in corso di realizzazione con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund e del Mibact e parte del ricavato della serata – ingresso euro 6,00 – sarà devoluta per il completamento della produzione del film.

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IL PATTO DELLA MONTAGNA

 

C’è una storia che pochi conoscono e che si svolge in Piemonte, a Biella. Una storia nobile italiana che intreccia i destini di imprenditori tessili, lavoratori e partigiani, che nel ‘44, nel pieno della guerra, firmarono clandestinamente un Patto che affermava, per la prima volta in Italia e in Europa, la parità salariale tra uomo e donna. Il Patto della Montagna stabilì infatti “pari salario a pari lavoro” e segnò una conquista che diverrà nazionale ed europea solo negli anni Sessanta, aprendo una strada tra molte difficoltà, tuttora evidenti.

 

Quella vicenda è un evento eccezionale all’interno di 150 anni in cui la capacità di negoziazione tra lavoratori e imprese è diventata una delle condizioni di competitività e resilienza dell’area biellese. Nonostante la crisi e i processi di delocalizzazione globale, infatti, il Biellese è ancora l’unica area in Europa dove resiste l’intera filiera tessile e dove si producono tessuti tra i più fini al mondo.

Il Patto della montagna sta per diventare un film documentario, una co-produzione tra Jean Vigo Italia e VideoAstolfoSullaLuna, con il sostegno del Mibact e della Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund, con la regia di Manuele Cecconello e Maurizio Pellegrini e la produzione esecutiva di Francesca Conti. Il documentario, di cui verranno presentati alcuni estratti, indaga le ragioni dell’eccellenza del prodotto tessile, trovandola nella qualità delle relazioni tra gli uomini, ovvero nella capacità di affrontare i conflitti attraverso una mediazione fondata sul rispetto reciproco. Una metafora per l’oggi che deve ritrovare il senso del futuro e del patto sociale.

La serata ripercorrerà il lungo percorso verso la parità salariale, di cui il “Patto” è il momento cruciale, affrontandone il prima e il dopo, dalle prime rivendicazioni sindacali nell’800 al definitivo riconoscimento sul contratto nazionale del 1964. Tra parole dette e recitate, pezzi di film, camei di testimoni eccellenti, sarete coinvolti in questo racconto inedito dagli autori e registi, da storici, stilisti, e dai rappresentanti delle istituzioni che sostengono la produzione.

 

La serata prevede il reading del Patto, la proiezione di clip con contenuti storici e interviste, e il teaser del film. A parlare della vicenda storica, di moda e territorio e del ruolo del cinema saranno presenti i registi con Francesca Conti (produttore esecutivo del film), Lorenzo Canova (Responsabile programma Sensi contemporanei), Nino Cerruti (industriale e stilista), Sara Conforti (artista), Claudio Dellavalle (Storico Università degli Studi di Torino), Alessandro Gaido (Presidente Piemonte Movie), Paolo Manera (Direttore Film Commission Torino Piemonte), Enrico Pagano e Marcello Vaudano (Istituto Storico della Resistenza di Varallo), Christian Pellizzari (stilista), Luisa Trompetto (attrice).

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Il Patto della Montagna. Le radici nobili della qualità biellese

Regia di Manuele Cecconello e Maurizio Pellegrini.

una co-produzione tra Jean Vigo Italia e VideoAstolfoSullaLuna, con il sostegno del Mibact e della Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund

Con il patrocinio di Comune di Biella, ATL Biella.

Sviluppato in collaborazione con ANPI Provincia di Biella, Docbi – Centro Studi Biellesi, ISRSC BI-VC – Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea nel Biellese, Vercellese e Valsesia, ISRSC Torino – Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “Agosti” Torino.