CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 74

Gran Paradiso dal Vivo con uno spettacolo nel weekend

Sabato 12 luglio a Locana all’alba, alle ore 5, con replica domenica 13 a Valprato Soana, al Pian dell’Azaria, con partenza alle 10 da Campiglia, un gruppo di dieci performer di O Thiasos TeatroNatura presentano “Albero Madre quando la fame non si sfama e il sacro si perde”, uno studio teatrale tratto dal mito di Erissitone, metafora dell’importanza del rispetto per la natura e per le divinità  che la proteggono. Il mito racconta la storia di un  uomo violento, Erissitone, figlio del re Triopa, che abbatté deliberatamente un bosco sacro a Demetra, la dea della terra e dell’agricoltura.  Per questa empietà la dea lo condannò a una fame inesauribile che, alla fine , lo portò  a consumare anche se stesso.

Lo spettacolo a Locana sarà  in borgata Chironio e sarà seguito da una colazione alle 6.30 e a Soana lo spettacolo è  abbinato  ad una semplice escursione di 60 minuti in compagnia di una guardia del Parco Nazionale Gran Paradiso da Campiglia Soana al Pian d’Azaria.
Fa parte di Gran Paradiso dal Vivo anche il secondo appuntamento  di domenica 13 luglio, alle 17.30 a Noasca, quando verrà  messo in scena lo spettacolo “Re di Carte” dalla compagnia Compagni di viaggio, accompagnati dal pianista Gioachino Scomegna e dal soprano Sherrie Anne Grieve.
Lo spettacolo è ambientato nei palazzi di Casa Savoia nel secolo in cui nacque l’Italia , con un percorso semiserio che porta in scena, ancor più che i re, le regine, dal 1821 al 1922, con i loro problemi, i loro rapporti di relazione, urgenze e protocolli, Carlo Felice di fronte ai moti piemontesi del 1821, la Bela Rosin, la regina Margherita e la salita al Gran Paradiso del 1890 di Vittorio Emanuele III.
Lo spettacolo a Noasca, con ritrovo all’albergo La Cascata, sarà preceduto dalla Merenda del Re, a offerta libera, a cura della Pro Loco di Noasca e la possibilità di fare il battesimo della sella per provare l’emozione di salire a cavallo per la prima volta.

Gran Paradiso dal Vivo  è l’unico festival a zero impact di teatro in natura in un parco nazionale.
Sul versante piemontese del Parco Nazionale Gran Paradiso, il più antico d’Italia, vanno in scena per l’ottava edizione, dal 5 al 20 luglio, nove spettacoli unici e irripetibili, senza alcun sipario, totalmente immersi nel contesto naturale per un’autentica esperienza immersiva in vari territori appartenenti ai Comuni di Alpette, Ceresole Reale, Locana, Frassinetto, Noasca, Ribordone,  Ronco Canavese, Sperone, Valprato Soana.
Gran Paradiso dal Vivo è  promosso e ideato dal Parco Nazionale del Gran Paradiso, con il contributo dell’Unione Montana Gran Paradiso, Unione Montana Valli Orco e Soana, Fondazione Crt, Iren , Smat e il patrocinio della Città Metropolitana di Torino.

Mara Martellotta

I pellegrini dell’Hotel Dieu

Si fermavano alla Maison Dieu, a Salbertrand, in alta Valle di Susa, i pellegrini diretti a Roma, la capitale della Cristianità. In questo antico ostello per viandanti, con tracce di affreschi del ‘500, chiamato anche Hotel Dieu, si rifocillavano con un semplice pasto, del pane e un bicchiere di vino, si riposavano alcune ore e riprendevano la strada verso la bassa valle di Susa, direzione Torino. Una lunga tunica con cappuccio per il freddo, la sacca a tracolla e il caratteristico e indispensabile bastone, con punta chiodata per difendersi, se necessario, da ladri e malviventi che aspettavano il momento opportuno per aggredirli. Era questo l’abito del pellegrino del XI secolo che percorreva a piedi anche 30-40 chilometri al giorno in pianura, un po’ meno in montagna. Sul mantello non poteva mancare il simbolo del santuario a cui era diretto, la palma per Gerusalemme, la conchiglia per i pellegrini in cammino verso Santiago di Compostela, la croce per coloro che si recavano a Roma, al sepolcro di Pietro. Tanta fatica e tanta voglia di arrivare, per fede, per desiderio di riscatto, per conquista, gli obiettivi non mancavano, ma non tutti raggiungevano la meta. Viaggiare nel Medioevo era pericoloso. L’agguato era sempre dietro l’angolo, i pericoli lungo la strada erano molti.
Le strade erano affollate di viandanti e religiosi, missionari e mercanti, crociati, cavalieri e notabili ma non mancavano i fuorilegge pronti ad assalire i pellegrini che per evitare imboscate viaggiavano spesso in gruppo. Cos’era il pellegrinaggio mille anni fa? Una prova di coraggio, uno strumento di salvezza, una buona occasione per cambiare la propria vita, forse tutto ciò insieme, che poteva spronare gli individui a camminare anche per centinaia di chilometri. In fondo, anche oggi, molti percorsi medievali vengono affrontati sia come cammini spirituali che fisici. Il pellegrinaggio divenne col tempo un fenomeno di massa che esaltò il ruolo della Via Francigena. Molte sono le guide turistiche che dedicano ampio spazio alla grande Via ma il libro che presentiamo oggi è la storia dei diversi percorsi che hanno attraversato i paesi della Valle di Susa e della Val Cenischia con gli antichi ricoveri di accoglienza che sono sopravvissuti nei secoli conservando intatto il loro fascino. Nel volume “Le Vie Francigene, dai due valichi a Torino. Le vie del Moncenisio e del Monginevro tra arte, storia e antichi ricoveri”, edizioni Susalibri, l’autrice, Rosanna Carnisio, ci porta a visitare tutti i paesi, alcune centinaia, che la Via toccava e molte delle meraviglie descritte sono visibili anche in auto, in bicicletta o a piedi. Salendo in alta Valle di Susa si lambisce, per esempio, la piccola Salbertrand senza mai fermarsi, come se non meritasse una visita, o magari solo per andare nella trattoria della piazzetta. “Parlare di Via Francigena è riduttivo, spiega l’autrice, è più esatto parlare di Vie Francigene perché soltanto nelle zone vicine ai valichi alpini i passaggi erano obbligati ma una volta giunti in pianura il viaggiatore poteva scegliere fra diverse possibilità”. Ci siamo fermati a Salbertrand perché il paesino di 619 anime offre molti spunti medioevali e anche oltre.
Oltre alla Maison Dieu, che diventerà forse un posto tappa per i moderni pellegrini, la “fontana du Milieu” del Cinquecento merita una visita, così come la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista con, all’esterno, un po’ scolorito, il ciclo pittorico della Cavalcata dei Vizi e delle Virtù e ancora la Cappella dell’Annunziata del Quattrocento. Pagina dopo pagina, il libro della Carnisio è una straordinaria cavalcata attraverso i paesi che dal Monginevro e dal Moncenisio si incontrano a Susa per proseguire fino a Torino attraverso la bassa valle. Un’occasione per visitarli tutti lungo le Vie Francigene, anche quelli meno conosciuti, seguendo le orme del viandante medioevale che arrivava dai due valichi e raggiungeva prima Susa e poi Torino tra non poche difficoltà. Salbertrand con l’albergo dei viandanti è solo un piccolo esempio di località turistica e storica descritta nel libro in cui si parla di innumerevoli paesi tra i due grandi valichi e il capoluogo piemontese.
Filippo Re
Nelle foto  l’Hotel Dieu a Salbertrand, il Lago del Moncenisio e il libro dell’autrice.

Il Libro del Mese. La Scelta dei Lettori

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Il libro più discusso nel gruppo Un Libro Tira L’Altro Ovvero Il Passaparola Dei Libri nel mese di giugno è stato Io Che Ti Ho Voluto Così Bene, drammatico romanzo di Roberta Recchia che racconta l’esperienza di un uomo che cresce col fardello di essere fratello di un assassino e che ha conquistato il cuore dei nostri lettori, risultando il più commentato per due mesi di fila.

Ecco alcuni suggerimenti che riguardano le novità in libreria del mese di luglio.

Tra le uscite più attese, segnaliamo La Mia Personale Idea Di Inferno, di Giulio Somazzi (Accento) un romanzo che parla di dinamiche complesse e contraddizioni familiari, in libreria dal 9 luglio; Vengo Io Da Te di Rebecca Kauffman che racconta la quotidianità domestica di una famiglia, in uscita il 9 luglio per Sur; Il buio Della Quiete di Claudio Calabrese, il ritorno dell’ispettore Andrea Pantaleo, in uscita l’8 luglio per Solferino.

 

 

 

Consigli per gli acquisti

 Questa è la rubrica nella quale diamo spazio agli scrittori emergenti, agli editori indipendenti e ai prodotti editoriali che rimangono fuori dal circuito della grande distribuzione.

L’Idea Di Te (Auto-pubblicazione, 2025), romanzo dell’esordiente Sara Bruni, un racconto, delicato ma potente, che analizza il percorso del recupero della consapevolezza e offre una chiave per mettere in guardia chiunque dal pericolo di una relazione tossica.

 

Controcanto (Il Foglio, 2025) è la nuova silloge poetica di Sylvia Zanotto che torna a esplorare le profondità dell’animo umano messo di fronte al mistero della morte. Da non perdere.

 

Manuale Di Sopravvivenza Per Imprenditori, Manager E Professionisti,  di Gabriele Pensieri,  (Jolly Roger, 2025) è una guida per chi vuole prosperare nel mondo del business, mantenendo al contempo un alto livello di benessere personale.

 

 

Incontri con gli autori – Speciale Lucca Comics 2025

E’ appena uscita la lista degli scrittori ospiti della prossima edizione di Lucca Comics, dal 29 ottobre al 2 novembre e i nomi annunciati sono di quelli che muovono migliaia di appassionati: abbiamo quindi pensato di dedicare questa rubrica al loro elenco, per permettere agli interessati di organizzarsi e provare ad incontrarli.

Per la prima volta, arriva in Italia Rick Riordan, autore della saga fantasy di Percy Jackson e sarà una prima volta anche per  Cassandra Clare, l’autrice di Shadowshunter, che parteciperà alla manifestazione con Holly Black, la creatrice di Spiderwick; sarà presente al salone lo scrittore Glenn Cooper, uno dei più amati autori della nostra community, che presenterà il suo nuovo romanzo La Chiavi Del Cosmo.

Maggiori informazioni sul sito della manifestazione.

 

Per rimanere aggiornati su novità e curiosità dal mondo dei libri, venite a trovarci sul sito www.ilpassaparoladeilibri.it

“Terrazza Monferrato”, dove i Paesaggi sono “siderali”

Fra le suggestive colline di Langhe e Monferrato, il “Castello di Moasca” ospita l’anteprima di “Terrazza Monferrato”, nel programma di “Art Site Fest”

Dal 4 al 6 luglio

Moasca (Asti)

Dopo le importanti tappe torinesi e dintorni (fra “Palazzo Madama” e “Chiablese”, “MAO” e “Museo Egizio” fino alla “Reggia di Venaria” e alla “Palazzina di Caccia di Stupinigi”, per non dimenticare il “Castello di Racconigi”, quello di “Masino” e il “Gamba” di Chatillon) “Art Site Fest” approda, alla sua XI edizione, da venerdì 4 a domenica 6 luglio, all’astigiano trecentesco “Castello di Moasca”, nello scenario mozzafiato di paesaggi unici (fra Langhe e Monferrato) non per nulla dichiarati “Patrimonio Mondiale dell’Umanità – Unesco”. Direttore artistico e ideatore dell’evento, Domenico Maria Papa (curatore e noto critico d’arte) che ha idee ben precise sugli obiettivi della sua creatura: “Obiettivo primo di ‘Art Site Fest’ ha da essere sempre – precisa – quello di portare l’arte contemporanea nei luoghi della storia, della natura e dell’impresa, creando una connessione col territorio, intrecciando il proprio programma con le attività locali, permeando così il tessuto sociale in un’interessante connessione di scambio civico e culturale”.

“Paesaggi siderali”, il tema del primo appuntamento “moaschese” che va ad unire quanto programmato sul piano della proposta artistica al tradizionale evento “Nero di stelle”, promosso dal “Comune di Moasca”, che ormai da anni dedica agli amanti del “buon vino” e dell’“astronomia” una “notte magica”, il primo sabato del mese di luglio.

Su questa linea, il “Castello di Moasca” si animerà per tre giorni con un ricco calendario di iniziative, prime fra tutte quelle dedicate all’arte. “Abbiamo chiesto ad artisti di grande esperienza e curriculum internazionale – ancora Domenico Maria Papa – di immaginare un intervento ‘site specific’ tra le mura del Castello e nei suoi dintorni”. Il primo selezionato è l’intervento dell’artista argentina (oggi residente a Milano) Elizabeth Aro, dedicato a Davide Lajolo (il celebre “partigiano Ulisse” da Vinchio d’Asti), che a questi paesaggi ha rivolto sempre pagine memorabili, ricolme d’intenso amore e poesia. La “Torre” del Castello ospiterà infatti la creazione “site specific” di Aro, concretizzatasi in una fantasiosa trama di luci e neon a unire “in un unico fregio”, le colline circostanti la Torre. “Mi scoprii nell’anima”, il titolo dell’opera, concepita – attraverso il disegno, il vetro e il led – proprio come omaggio al grande Lajolo, scrittore, politico e giornalista, nonché appassionato collezionista d’arte. Sottolinea la stessa artista, presente con una sua personale, “Paesaggi siderali”, anche nella Sala espositiva del “Castello” con nove opere legate al tema del “paesaggio” e dell’“universo”: “Mi avvicino al paesaggio attraverso l’opera di Davide Lajolo. Lui aveva un rapporto profondamente intimo, quasi simbiotico, con il paesaggio delle colline del Monferrato. Cerco quindi di immedesimarmi con il suo sguardo e di vedere la terra non solo come sfondo ma come presenza viva, carica di memoria, capace di illuminare la vita interiore degli uomini”.

Oltre alla proposta artistica, inaugurata con l’esposizione delle opere di Elizabeth Aro, il fine settimana al “Castello” non lesinerà al pubblico svariati e piacevoli altri appuntamenti, passando dalle più eterogenee proposte musicali alle degustazioni enogastronomiche(con indimenticabili prodotti del territorio), fino a sessioni di “meditazione yoga” e a curiosi incontri, come quello di sabato 5 luglio, alle 11, con il biologo e giornalista scientifico Danilo Zagaria che dialogherà con Domenico Maria Papa sull’improbabile possibilità di “coltivare viti” nientemeno che sul “Pianeta rosso”.

Da segnalare ancora, domenica 6 luglio (ore 13), al Ristorante del Castello “Tra la terra e il cielo”, il tradizionale pranzo a tema “Nero di stelle” a cura dello chef Filippo Maria Oliviero; a seguire in serata (ore 18) nella “piazza del Catello”, lo spettacolo teatrale “Ai signori della terra”  interpretato dall’attrice, doppiatrice e scrittrice torinese Eleni Molos, accompagnata dalle musiche dell’estroso trio dei “Futurarkestra”.

Per tutta la giornata di domenica 6 luglio, il “Castello di Moasca”  ospiterà inoltre (pensate un po’!) la prima tappa della “Tiramisù World Cup” della “Monferrato Selection”, ove appassionati del dolce al cucchiaio più famoso al mondo si contenderanno l’accesso alle “Semifinali” della competizione.

Per info più dettagliate sul programma: “Castello di Moasca”, piazza Castello, Moasca (Asti); tel. 0141/1800739 o www.comune.moasca.at.it

g.m.

Nelle foto: Il Castello di Moasca (visto dall’alto); Elizabeth Aro (Photo Credit Chiara Ferrandi); Elizabeth Aro “Mi scoprii nell’anima” (particolare); Eleni Molos

La scuola Holden e l’oro che luccica

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Adesso capisco dopo le polemiche innescate da una ex allieva della Scuola Holden di cui è fondatore e preside Alessandro  Baricco, cosa significhi la competitività esasperata che si genera in quella scuola tra allievi aspiranti scrittori. Avevo avuto occasione di conoscerne uno che ebbi l’ingenuità di invitare a cena dopo un incontro con due amici colleghi di due importanti università italiane. Il ragazzo stette in silenzio tutta la sera, ma poi riportò i discorsi che udì a docenti nemici dei due, aggiungendo pettegolezzi suoi. Ne nacque un piccolo caso diplomatico che mi premurai di risolvere rapidamente. Quando chiesi ragione di un comportamento sleale al giovane cresciuto alla Holden egli mi disse che “oggi per sopravvivere si fa così, senza andare tanto per il sottile”. Io ingenuamente pensavo di aver fatto una cortesia ad invitare a cena con due maestri un giovane. In effetti sbagliavo perché l’ex allievo di Baricco voleva trarre un vantaggio anche da un invito a cena. Un diabolico piccolo Machiavelli in sedicesimo che allontanai dai miei rapporti. Questo episodio dimenticato mi è tornato alla mente, leggendo dell’ambientino della scuola che rilascia diplomi senza valore legale (in effetti una convenzione con il ministero la ottenne e forse essa andrebbe quanto meno rivista) con delle rette di 20mila euro.
Sono sempre stato convinto che non si possa insegnare la creatività artistica dello scrittore e in ogni caso, leggendo i nomi dei docenti, ritengo assai improbabile che il miracolo di scoprire un nuovo scrittore possa essere compiuto da una scuola che potrebbe rischiare di illudere gli ingenui ed attrarre gli ambiziosi.
Tra il resto, ho scoperto che l’autore del testo scolastico di storia che fa politica spicciola, ha anche lui frequentato la scuola Holden e certo non ha appreso la storiografia in quelle aule. Forse l’ex allieva arrabbiata per aver buttato tempo e denaro, non ha la lucidità per apprezzare la scuola frequentata. C’è anche chi dopo averla frequentata  ha fatto carriera negli uffici stampa e nella politica. Forse la scuola Holden è davvero una stella del firmamento torinese come vorrebbero farci credere. E‘ certamente un bastione di quel deprecabile sistema Torino che neppure i grillini hanno saputo o voluto  intaccare: anzi, alcuni si sono omologati  senza problemi. C’è chi ha scritto che “la scuola Holden  è una macchina commerciale che crea un ecosistema di promesse ed illusioni“. Sicuramente la studentessa che denuncia nell’anonimato sui social, può aver esagerato o addirittura può aver diffamato. Ma il polverone che ha sollevato la sua denuncia deve far riflettere sul fatto che non è sempre oro ciò che luccica.

Loredana Cella, la passione per i libri grazie a Carlo Fruttero

 

La scrittrice e curatrice racconta il suo legame con Torino e il Piemonte.

Con Loredana Cella non è stata solo una intervista, ma una piacevole chiacchierata, uno scambio tra donne che amano Torino e si nutrono della sua unicità e della sua bellezza.

Loredana è una donna gentile e garbata, ma anche determinata, eclettica e vulcanica. Scrive, è curatrice di libri di successo, gestisce fortunate rubriche sui social come il Caffè letterario di Lory su Facebook e Insoliti punti di vista – Quello che le donne non dicono ed è ideatrice insieme a Paolo Menconi di format radiofonici come La Clessidra su Caffè Italia Radio, una interessante collana di interviste lampo di 10 minuti che presenta insieme a Dario Albertini.

Il suo spettro di collaborazioni è molto ampio così come è importante la sua dedizione all’ attività di sensibilizzazione e supporto nei confronti di chi convive con la sclerosi multipla. A proposito di questo tema medico scientifico, ma anche sociale Loredana Cella ha curato la creazione del libro “Una vita da sclero” (Graphot/Spoon River), una collezione di storie, raccontate da pazienti affetti da questa grave malattia del sistema nervoso centrale, realizzata in collaborazione con il San Giovanni Bosco e l’Aism di Torino. 

La sua è una vita dinamica divisa tra produzione editoriale, creazione di eventi, ma anche impegno sociale a favore di diverse realtà del territorio. È una torinese doc, ma con una apertura culturale ampia. Le parole, scritte e pronunciate, sono la sua passione, così come le storie del territorio, quello a cui è fortemente radicata. Il suo modo di affrontare temi e argomenti è collettivo, condiviso e sinergico come dimostrano i lavori di cui si è occupata.

Loredana come definiresti il tuo rapporto con Torino?

È un bellissimo rapporto. Ho sempre vissuto in centro, nello stesso stabile di Carlo Fruttero che ha influenzato il mio amore per la scrittura; la mia vita è stata caratterizzata dai libri e faccio parte di diversi gruppi di lettura. Il mio sogno è sempre stato quello di poter mettere su carta le storie e le bellezze della mia città. Il primo libro, che ho scritto insieme a Giuliano Vergnasco, è stato “Piazza Statuto e Porta Susa” edito da Graphot e grazie a questa pubblicazione Edizioni della Sera di Roma mi ha proposto di curare la realizzazione di diverse antologie come “Torinesi per sempre”, “Piemontesi per sempre” e “Chiacchierate Torinesi” che vede la città raccontata attraverso i suoi meravigliosi e unici bar. Questo lavoro antologico ha permesso la nascita di nuove amicizie e di osservare la città e la regione con uno sguardo emotivo, appassionato e profondo. Non posso non citare un’altra raccolta che è “Piemonte sulle vie del vino”, pubblicato da Affiori, del Gruppo Giulio Perrone, che racconta di vigneti, dolci colline e borghi che narra la vendemmia e il processo magico che si cela dietro alla produzione del vino. 

Ti sei dedicata molto anche alle donne di Torino e alle loro gesta?

Esatto. Grazie alla Neos edizioni è uscito il libro “Le Torinesi Ribelli”, diciannove storie per ricordarle.

Sono dei brevi racconti scritti da diverse autrici e autori dedicate a straordinarie “signore” che hanno segnato periodi e nuove consuetudini per l’emancipazione e la conquista della libertà della donna come Rita Levi Montalcini, Adelaide di Susa, Carol Rama, Isa Bluette, ecc. Ciascuno con il proprio stile e la propria scrittura ha ridato vita a queste eroine che hanno avuto il coraggio di affermare diritti e desideri. L’idea di realizzare questo libro è nata anche dal fatto del mio sentirmi ribelle e dalla mia ammirazione per la fermezza con cui queste donne si sono imposte andando spesso contro convenzioni, ma anche in contrasto con la propria famiglia.

Progetti per il futuro?

Entro fine anno usciranno altri due libri, il primo è un’antologia per la Neos Edizioni dedicata a Torino e al Natale per cui non sarò curatrice, ma autrice e promotrice mentre il secondo sarà pubblicato da Aede Books, di Milano, e prevedrà’ anche una serie di attività nell’ambito della scuola che coinvolgeranno molti lettori. Ad ottobre, inoltre, ripartirà una nuova stagione della Clessidra. Per il 2026 ho in previsione altri interessanti  progetti per i quali sto già lavorando.

Maria La Barbera

“La traversata notturna” di Andrea Canobbio: le vie di Torino come “teatro della memoria”

THE PASSWORD Torino oltre gli asterischi

 

Per la rubrica The Password: Torino oltre gli asterischi”, in collaborazione con Il Torinese, Anna Gribaudo presenta La traversata notturna, penultimo romanzo di Andrea Canobbio, approdato sino alla finale di un importante premio letterario. Le pagine del libro narrano di un viaggio nella memoria familiare, tra le pieghe di un rapporto padre-figlio complesso, con Torino a fare da coprotagonista, nella sua cupa e malinconica ortogonalità.

La traversata notturna è il penultimo romanzo dello scrittore torinese Andrea Canobbio, classe 1962, pubblicato nel 2022 da La nave di Teseo. Il libro è stato finalista nella cinquina del premio Strega 2023, frutto di otto anni di lavoro. Come racconta l’autore in un’intervista al Circolo dei Lettori, il motivo scatenante per l’ideazione del libro era stata la solenne consegna, da parte delle sorelle, di una valigetta contenente le lettere che i genitori si erano scambiati durante il loro fidanzamento, tra 1943 e 1946, testimoni di una felice storia d’amore, sbiadita nel ricordo del figlio.

Al centro dell’opera c’è la famiglia Canobbio, e in particolare il complicato rapporto padre-figlio, sicuramente tra i più indagati nella storia della letteratura, da Ulisse e Telemaco fino a Kafka con la sua Lettera al padre: qui questa relazione è senza dubbio condizionata dalla malattia del padre, la depressione, di cui lo scrittore cerca di ricostruire le cause, ritrovandosi senza risposte definitive, se non con un sentimento di dolore inconfessato: «[…] non lo perdonavo di essere stato un depresso […]. Poi non riuscivo a perdonargli di non aver mai giocato con me, di non avermi mai parlato o incoraggiato, di non avermi mai trattato alla pari, come un adulto». Della malattia l’autore offre definizioni semplici e lapidarie: « […] e per me era questo il ritratto di mio padre, il ritratto della depressione, cioè del non vivere per non morire – come se la depressione fosse una scelta, una volontà di potenza o di impotenza […]».

Il libro è una “traversata” nel senso stretto del termine, un percorso per i sentieri tortuosi della memoria, con dei sopralluoghi tra le vie di Torinocittà che si erge in tutta la sua ortogonalità come coprotagonista: «Il cielo stellato sopra di me, la pianta ortogonale dentro di me». Infatti, l’autore ha creato una griglia di 81 caselle con i luoghi più significativi della città, in cui si muove procedendo come un cavallo su una scacchiera, non passando mai due volte dalla stessa casella. Canobbio afferma di aver ripreso l’idea da La vita, istruzioni per l’uso di Georges Perec, che aveva fatto lo stesso ma per le stanze di un condominio. Torino è però oggetto di sentimenti ambivalenti da parte dell’autore; infatti, è prima di tutto la città dei genitori, in cui si sente spesso esiliato: «ma in realtà la disprezzavo [Torino] perché era la città di mio padre, e mi sembrava triste e grigia come lui, e anche quando fingevo di appartenerle me ne sentivo escluso per sempre».

A tratti romanzo storico, con squarci sulla Torino bombardata e ricostruita nel Dopoguerra, a tratti autobiografia, ma anche album di famiglia, con vecchie fotografie, appunti dell’agenda del padre, disegni, schizzi che si mescolano alle pagine, per cercare di mettere ordine tra quello che resta dopo un lutto. La stesura difatti è stata lunga, racconta Canobbio, anche per via del dolore che i ricordi risvegliano – per cui interrompeva spesso il progetto con altre letture, come Perec, Queneau, ma anche con opere etnografiche di Griaule e Leiris, che paradossalmente lo riportavano al proprio vissuto e ai propri genitori. Vedeva anche un parallelo tra il suo lavoro e quello degli etnologi, viaggiare nello spazio per viaggiare nel tempo, in quanto si guardava spesso alle popolazioni primitive come all’infanzia dell’umanità.

Tra le pagine trovano spazio anche momenti di tenerezza e di leggerezza, e divertite riflessioni sulla natura dei piemontesi e dei torinesi: «se non sta attento, un piemontese può allargare le vocali fino ad aprire voragini al centro del discorso», «perché la natura profonda del torinese è militare e religiosa, mentre il milanese è laico e mercantile», «era torinese e quindi per natura e cultura attratto dalla melancolia […]».

Un libro decisamente lungo, 514 pagine, ma dalla lettura scorrevole e dallo stile preciso, trasparente, elegante, che lascia questioni aperte e forse irrisolvibili: quanto si è responsabili della propria malattia? Quanto è difficile vedere i propri genitori come persone? E come perdonarli per non essere come vorremmo che fossero?

Anna Gribaudo – redattrice di The Password

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Le parole sono ponti o bombe

Di Irma Ciaramella *

Il mio liceo e’ stato una grande palestra di Vita. Al D’Azeglio, all’inizio degli anni ‘80 gli anni di piombo bruciavano ancora, e lo strascico della contestazione studentesca degli anni ‘70 si trasformava nelle catene a malapena celate nei picchetti, per impedire a noi quartini (avevo 13 anni all’epoca !) di entrare (mi ricordo ancora uno della sinistra extra parlamentare chiamato Shampoo perché aveva stupendi capelli biondi a caschetto) e pugni di ferro sotto il guanto di montone a maggio degli altri che non mollavano. Avevo una prof di Storia e filosofia che fieramente si dichiarava anzi si proclamava, comunista trotzkista marxista leninista.

Ma ha sempre avuto l’onestà intellettuale di insegnarci che la storia è fatta di voci, non di una sola voce; che spesso è raccontata dai vincitori, ma che la verità — se esiste — richiede metodo, confronto, fonti.
Anche quando Franco Cardini veniva a tenerci una ‘conferenza’ così si chiamava allora, in aula magna nessuno si sognava di tacitarlo o boicottarlo perché non era allineato con la vulgata di allora.

La stessa prof, che si proclamava atea convinta (erano gli anni del “Dio è morto”), l’ho ritrovata quarant’anni dopo, seduta con la stessa dignità di sempre nella chiesa dei Camilliani, ad ascoltare una predica di Padre Antonio. Con spirito critico, certo. critico. Non senza l’amore per la dialettica. Proprio come quel giorno in prima liceo, quando la mia interrogazione su Ficino e Pico della Mirandola finì in un match dialettico tra la sua laicità e le ragioni della mia mia fede.

Una palestra di vita figherrima come dico io.

E se sono un’avvocata magari lo devo -anche – a quel continuo ‘dibate camp’ che è stato il mio liceo.

Abbiamo imparato a pensare.
A usare i sillogismi. A smontare le nostre tesi per vestire i panni dell’altro. A costruire un ragionamento logico e solido anche partendo da una posizione opposta alla nostra.
Questa è, per me, la scuola.
Non un luogo dove riempire teste vuote con concetti precotti, ma un laboratorio in cui si costruisce il pensiero. Dove si offrono strumenti critici. Dove si insegna a ragionare con la propria testa.

Questa è’ per me la scuola.

Ecco perché torno sul caso del libro di storia pubblicato da Laterza, e sulle critiche del Ministro Valditara, che ha contestato alcuni passaggi in cui si parla dell’attuale governo con espressioni come “deportazione”, “base dichiaratamente fascista”, “criminalizzazione dei migranti”.

Noi che lavoriamo con le parole – e sulle parole e di parole viviamo– sappiamo bene che ogni lemma pesa.

Che la parola può essere cesellata o appuntita, inclusiva o divisiva, evocativa o manipolatoria.

Può creare ponti, o far esplodere bombe.

E chi scrive un libro di storia destinato agli studenti non solo racconta i fatti: plasma coscienze. Offre chiavi di lettura del presente. Alimenta – o depotenzia – il pensiero critico.

E alla fine di quel liceo nutrito di così tante voci e da tutta quella conoscenza vera ci sentivamo tutti davvero pronti ad affrontare senza paura qualsiasi studio.

Venendo a noi e al caso del libro di storia editi da Laterza e e alle critiche del Ministro Valditara a un passaggio che descrive il governo in carica con termini come “deportazione”, “base dichiaratamente fascista”, “criminalizzazione dei migranti”

Parole che Evocano – in modo inequivocabile e, temo, cieco – una narrazione parziale, militante, lontana da quella pluralità di voci che forma una coscienza libera.

Noi che viviamo di parole, parole calibrate, soppesate, cesellate, arrotondate o rese aguzze come frecce, dilatate ed ampie da ricomprendere un tutto e innalzate come a ‘volo di drone’ diremmo oggi. Noi che di parole viviamo, sappiamo l’importanza del labor limae, dell’adeguare i lemmi alla platea alla quale rivolgiamo i nostri scritti, della potenza della parola, capace di creare o di distruggere, di stimolare curiosità e desiderio di approfondimento, ovvero sconcerto, disgusto, piacere, noia e così via.
Qui chi scrive di storia (forse qui più ‘Cronache’?) per i ragazzi plasma coscienze, forma pensiero critico (o lo deresponsabilizza), offre una chiave di lettura del presente.

E se autore assume il tono dell’attivista, sta facendo il suo mestiere di storico? Sta offrendo un quadro sintetico ma efficace di questo periodo? Sta proponendo oltre che una tesi (la sua fazione di tesi) anche l’antitesi, lasciando ai docenti di prospettare una sintesi semmai?

Ecco perché serve una riflessione più ampia:
sul contenuto di questo libro, certo.
Ma anche – e soprattutto – sulla democrazia culturale.
Sul ruolo della scuola.
Sui suoi strumenti.
E sulla libertà – fragile, preziosa, indivisibile – del pensiero.

Conoscere la storia – anche la più scomoda – è necessario.

Ma le parole contano.

Le parole sono ponti o bombe.

E qui le parole adoperate sono forti, fortissime evocano tanto inequivocabilmente, quanto in maniera ciecamente faziosa, una storia dolorosa e non così lontana da noi.

Ma c’è’ di più.

Un livello ancora superiore di analisi.

Cosa deve essere la scuola?

Un luogo neutro dove si coltiva il dialogo? Uno spazio in cui si affina l’arte del confronto e del dubbio?
O una fabbrica di pensiero unico, dove la tesi è già servita e lo studente deve solo mandarla a memoria?

Io credo nel pluralismo.
Credo nella libertà intellettuale, nella responsabilità educativa, nella vigilanza democratica. Credo che la scuola debba essere alimentata dai tanti rivoli del confronto culturale, e non chiusa in un’ansa ideologica.
Credo nella conoscenza dei fatti, non nei filtri faziosi. E soprattutto: credo che gli insegnanti vadano valorizzati, non lasciati soli in un campo minato.

E mi sembra che questo testo, che peraltro cita autorevoli fonti ( … fanpage) non centri questi obiettivi.

Ecco perché serve una riflessione più ampia:
sul contenuto di questo libro, certo.

Ma anche – e soprattutto – sulla democrazia culturale.
Sul ruolo della scuola.
Sui suoi strumenti.

La scuola non deve insegnare cosa pensare, ma come pensare.

E in tempi di parole urlate, la vera rivoluzione è ancora il dubbio.

Ecco perché oggi non è in discussione solo un libro.

È in gioco l’idea stessa di scuola come presidio di libertà, non come trincea ideologica.

Se vogliamo che la democrazia resti viva, dobbiamo difendere la pluralità delle voci, la complessità del pensiero, il diritto di dubitare.

Sempre.

* Avvocato

“Olimpia – Prova d’orchestra” Biennale di Arte Contemporanea in Alta Langa

Dal 5 luglio al 31 agosto

Alta Langa (Cuneo)

Intrigante il titolo dell’evento “Olimpia”, che ci rimanda all’antica “Olimpia” (oggi “Archea Olympia”), città greca del Peloponneso dove si svolsero, dal 776 a. C. al 393 d. C., i primi “Giochi Olimpici” della Storia; e non meno intrigante il sottotitolo “Prova d’orchestra”. L’iniziativa, infatti, tutta e con varie sfaccettature dedicata all’“arte contemporanea”, intende proprio presentarsi come una perfetta “Prova d’orchestra”, capace di mettere insieme in un’unica sinfonia le più varie espressioni delle attuali prove d’arte visiva (dalle performance alle installazioni site-specific), senza dimenticare la musica, la letteratura e il paesaggio stesso (come elemento non meno decisivo alla completezza del messaggio estetico), interpellando e dando spazio alle più interessanti e  giovani voci della “contemporaneità” di casa nostra.

Programmata da sabato 5 luglio a domenica 31 agosto, l’iniziativa – curata dalla Galleria “Lunetta11” di Mombarcaro (Cuneo) e organizzata dall’“Unione Montana Alta Langa” con la collaborazione di “Fondazione La Masa”di Venezia, “Recontemporary Torino” e “Firenze Jazz Festival”  – coinvolgerà ben sette Comuni della Provincia Cuneese del Basso Piemonte: da Cortemilia a Prunetto, da Paroldoa Castino, a Camerana, Serravalle Langhe e Niella Belbo.

“Il programma – sottolineano gli organizzatori – è un racconto a tappe, per costruire un percorso immersivo e itinerante”.

La prima tappa, sabato 5 luglio (alle ore 17), ci condurrà all’“Ecomuseo dei Terrazzamenti e della Vite” di Monteoliveto a Cortemilia , con l’inaugurazione dell’installazione “Fairy Ring”di  Stefano Caimi, lecchese di Merate, oggi residente a Montevecchia e docente alla “Naba Computer Art – Nuova Accademia di Belle Arti”.L’opera si presenta composta da una serie di “sfere di acciaio” disposte a forma di anello sul terreno, con l’intento di riportare alla memoria e alla luce il cosiddetto “cerchio delle streghe”, secondo antiche leggende popolari il tracciato delle loro danze rituali. In realtà, nulla più della manifestazione del “micelio”, l’apparato vegetativo, sotterraneo e invisibile, del fungo, mezzo principale di assorbimento e distribuzione dei nutrienti. “L’installazione intende rimarcare – secondo Caimi – la capacità dell’elemento naturale, maestoso o nascosto che sia, di incuriosire e stregare l’essere umano, rompendo le barriere tra razionale e soprannaturale”. E, in questo caso, c’è da dire che il “gioco” appare perfettamente riuscito.  Sempre sabato 5 luglio, l’“Oratorio di San Michele” a Serravalle Langhe, dipinto dall’artista britannico David Tremlett nel 2020, si trasformerà, fino a domenica 13 luglio, in uno “studio d’artista” dove sarà possibile vedere all’opera la videoartista Emma Scarafiotti e il musicistaPaolo Dellapiana .

Domenica 6 luglio, alle 15, gli Otto cieli” , le sculture volanti dell’artista “fanciullino” Oliviero Fiorenzi , voleranno sopra il “Castello di Prunetto”, invitando il pubblico a partecipare all’azione performativa dell’artista marchigiano con il proprio aquilone.

Sabato 12 luglio, la giornata di “Olimpia” si apre, alle 11, a Niella Belbo, con la presentazione di Fioritura” , la plastica essenziale scultura del giovane cremasco Edoardo Manzoni, in cui è ben chiaro l’influsso esercitato da un mondo contadino da sempre, particolarmente caro all’artista e che rimarrà in permanenza alla “Confraternita dei Battuti”.

Alle 15, la “Torre medievale” di Camerana accoglierà Come due gocce d’acqua” , opera site-specific di Dora Perini , realizzata in collaborazione con la “Fondazione Bevilacqua La Masa” di Venezia, mentre, alle 17, alla “Confraternita di San Sebastiano” a Paroldo, si presenterà, in collaborazione con la “Fondazione Recontemporary” di Torino, la mostra “Listen to me, why is everything so hazy?” della fotografa e videoartista milanese Mara Palena.

Ma “Olimpia” non sarà solo “arte visiva contemporanea”.

Domenica 13 luglio, alle 17, a “San Bovo di Castino”, andrà in scena una rilettura di 1984” di George Orwell , un reading sonoro tra letteratura e musica dal vivo a cura dello scrittore Giuseppe Culicchia e del musicistaGiorgio Li Calzi, in collaborazione con il“Firenze Jazz Festival”.

Tutte le opere (fatta eccezione per lo “studio d’artista” di Serravalle Langhe) rimarranno visibili durante i weekend (venerdì, sabato e domenica), fino al 31 agosto.

 

Info e programma completo: www.olimpiacontemporanea.com

g.m.

Nelle foto: Oliviero Fiorenzi “Giant Kite”, 2024 (ph. credit Matteo Natalucci); Stefano Caimi “Fairy Ring”, 2023; Edoardo Manzoni “ Fioritura”, 2023; Giuseppe Culicchia

L’isola del libro: Speciale DAPHNE DU MAURIER

RUBRICA SETTIMANAEL A CURA DI LAURA GORIA

Daphne Du Maurier è stata una famosa scrittrice inglese molto seguita nel Novecento, oggi ingiustamente dimenticata. Vediamo allora di tracciare le linee essenziali della sua vita e della sua imponente mole di opere.

Fondamentale per conoscerla più a fondo è la biografia pubblicata nel 2016 da Tatiana De Rosnay, scrittrice di origine francese, inglese, russa.

 

Tatiana De Rosnay “Daphne” -Neri Pozza- euro 18,00

In queste oltre 400 incantevoli pagine ci si ritrova piacevolmente catapultati dentro la vita della Du Maurier; immersi in una biografia dove è tutto vero, da leggere con la stessa scorrevolezza di un accattivante romanzo.

Il racconto è minuzioso, riporta le circostanze in cui è nata l’idea di ogni opera della scrittrice, le reazioni suscitate nei lettori e tra i critici. Soprattutto si coglie l’essenza della Du Maurier quando scandisce i capitoli secondo le abitazioni e i luoghi in cui è vissuta, perché per lei sono stati importantissimi. De Rosnay li cerca e li visita di persona, li descrive e così facendo ci porta nel meraviglioso mondo dell’autrice di “Rebecca”.

Inoltre il libro è arricchito da un interessante apparato iconografico che ritrae la scrittrice colta nelle diverse età, nonostante detestasse farsi fotografare.

 

 

 

 

Daphne Du Maurier nasce a Londra il 13 maggio 1907 a Westminster Mayfair, il prestigioso quartiere della regina, e cresce con le sorelle Angela e Jeanne.

I genitori, Gerald e Muriel, sono attori teatrali; ma dopo il matrimonio solo il padre prosegue nella carriera, diventando sempre più famoso. Muriel, invece, si dedica alla famiglia; lo fa organizzando ogni cosa alla perfezione.

Nel 1916 la famiglia trasloca a Cannon Hall, nella lussuosa villa di stile georgiano ad Hampstead; quartiere londinese abitato da intellettuali, musicisti, scrittori e artisti vari. Le sorelle Du Maurier, dopo l’iniziale educazione domestica, tra nanny e governanti, frequentano la scuola per ragazze St. Margaret’s School.

Gli inizi sembrano dunque sotto una buona stella: famiglia benestante, genitori artisti, un ambiente brillante in cui crescere. Ma qualche ombra aleggia; la complessa personalità paterna, il cui smisurato amore per le figlie può declinare verso l’opprimente “rigidità vittoriana”, ha enorme influenza sulle ragazze, in particolare sulla pupilla di Gerald, Daphne.

La scrittura sarà la sua via di fuga dall’opprimente atmosfera familiare.

Nel 1925, a 17 anni, lascia Londra e frequenta la scuola di perfezionamento per ragazze in Francia, a Meudom. Lì si innamora dell’insegnante/preside Fernande Yvon, di 12 anni più grande, che la incoraggia a continuare a scrivere. Le due col tempo restano buone amiche; e Daphne, dopo il matrimonio avrà altre relazioni con donne.

Importante è quella con la moglie del suo editore americano, Ellen Doubleday, donna affascinante, sposata con Nelson Doubleday, che ospita Daphne quando deve affrontare in America il processo per l’accusa di plagio per il romanzo “Rebecca”. Ellen rifiuta un rapporto che travalichi l’amicizia, ma nel corso del soggiorno negli States la Du Maurier vive un’ altra attrazione, poi declinata in amicizia, per l’attrice Gertrude Lawrence, che tra l’altro, aveva anche recitato con il padre.

Da precisare che Daphne Du Maurier ha sempre respinto sia la parola lesbica che bisessuale. La sua ambiguità (percepibile anche in alcuni suoi personaggi) la spiega così: il cuore di un ragazzo che alberga nel corpo di una donna. In sintesi: “the boy in the box”.

I genitori comprano una casa in Cornovaglia, l’affascinante Ferryside, nella baia di Fowey.

Proprio a Fowey, durante una passeggiata, Daphne, scopre una casa elisabettiana avvolta e nascosta dalla vegetazione. E’ l’imponente Menabilly, di proprietà dei nobili Rasleigh. La dimora l’attrae come una calamita e scatena la sua fantasia; diventa l’ispirazione (insieme a Milton Hall, nel Cambridgeshire) di Manderley, la casa dei coniugi de Winter nel romanzo “Rebecca” del 1938.

Sempre a Fowey, nel 1931, conosce il maggiore Friederick Browning, detto Tommy, militare di Eton, campione olimpionico e croce di guerra francese a 19 anni. L’anno dopo si sposano e avranno tre figli: Tessa, Flavia, Cristian (detto Kits, prediletto della madre).

Matrimonio non facilissimo, perché come moglie di un ufficiale di alto livello, Daphne dovrebbe vivere a Londra e partecipare agli eventi pubblici richiesti dal ruolo. Invece lei è concentrata nella scrittura e pretende solitudine.

A fatica la coppia trova il suo equilibrio; la scrittrice ottiene di vivere per lo più nell’amata Cornovaglia, fonte di ispirazione e scenario dei suoi romanzi.

Nel 1943, mentre Tommy è in guerra, Daphne convince i Rasleigh ad affittarle per 20 anni Menabilly, il maniero del XVI sec. disabitato e di cui è perdutamente innamorata. Con i guadagni di “Rebecca” ristruttura la proprietà che diventa la sua oasi di pace e creatività fino al 1969.

Nel 1965 muore il marito fulminato da un attacco cardiaco. Nel 1969 Daphne è nominata Dame Commander dell’Impero Britannico e lo stesso anno si trasferisce nella grande dependance di Menabilly, a Kilmarth, di fronte al mare.

Lì vive gli anni della vecchiaia continuando a scrivere, in voluta reclusione, pubblicando fino alla fine, che la coglie il 19 aprile 1989. Tre giorni prima di arrendersi alla broncopolmonite che la stronca, a 81 anni, sferzata da vento e pioggia della sua amata Cornovaglia, visita per l’ultima volta Menabilly…e poi si lascia andare.

I figli esaudiscono le sue volontà e ne spargono le ceneri nei campi intorno all’ ultima dimora. “Cornovaglia magica” -che aveva finito di scrivere poco prima di morire- sarà pubblicato postumo.

La Cornovaglia e le vicende di famiglia furono le principali fonti di ispirazioni a cui attinse per la voluminosa produzione letteraria che le diede successo e indipendenza economica. Dietro le opere di ambientazione storica c’è sempre stata un’accurata ricerca.

Nel corso della lunga e prolifica carriera di scrittrice ha pubblicato 16 romanzi, una biografia del padre, una selezione delle sue lettere, la biografia di famiglia, 3 pièce teatrali, numerosi racconti in svariate edizioni, un libro sull’amata Cornovaglia illustrato dal figlio Kit, una biografia di Branwell Bronte.

 

 

Hilary Macaskill “Daphne Du Maurier at home” -Frances Lincoln Limited Publishers- US $ 40

Questo splendido libro pubblicato nel 2013 in lingua inglese e corredato da un ricco apparato fotografico è pieno di informazioni sulla vita e il lavoro di Daphne Du Maurier .

Inizia raccontando -con testi e immagini- gli anni dell’infanzia londinesi e segue poi i passaggi più significativi della lunga esistenza della scrittrice, soprattutto in relazione alle dimore e ai luoghi che più hanno significato per lei.

Dalla spensierata giovnezza a Ferryside al matrimonio, poi la vita e la scrittura a Menabilly, per arrivare agli anni del tramonto a Kilmarth. Un libro che tocca il cuore ed emoziona profondamente chi ha amato i libri della Du Maurier e porta dritti nelle sue stanze.

 

 

 

Daphne Du Maurier “I Du Maurier” – Mondadori-

Questa è la ricostruzione accurata della storia di un secolo delle vicende della famiglia Du Maurier che Daphne ripercorre al limite tra cronaca e romanzo, storie e avventure realmente vissute dai suoi antenati trasposte dalla fantasia della scrittrice.

Inizia con le peripezie della frivola e bellissima trisavola Mary Anne Clarke, amica intima del Duca di York, a Londra, nei primi anni dell’800.

La narrazione ricostruisce le alterne fortune dei vari antenati nell’avvicendarsi delle generazioni. E le tipologie, le traiettorie di vita e i destini, alla fine delineano una mappa decisamente variopinta e interessante. Una genealogia quella dei Du Maurier che presenta una campionatura parecchio variegata.

 

 

 

 

Rebecca la prima moglie” -Il Saggiatore- euro 15,00

E’ un romanzo che ti afferra alla prima riga e non ti lascia andare neanche dopo l’ultima, perché racchiude magia, misteri, fascino a dismisura e ti resta nei pensieri anche dopo avere finito di leggerlo.

E’ il libro forse più famoso della scrittrice, uno dei più venduti negli Stati Uniti tra il 1938/39; ed ha ispirato l’omonimo film di Alfred Hitchcock con Laurence Olivier e Joan Fontaine.

Raffinato thriller psicologico ambientato in un luogo misterioso e inquietante. Romanzo che scandaglia l’animo umano, in particolare le delicate pieghe della gelosia, dei segreti irrivelabili e di molto altro.

Nelle sontuose stanze e nei saloni di Manderley, sulla costa della Cornovaglia, aleggia ancora l’ombra della prima signora de Winter, l’inarrivabile Rebecca. Simbolo di perfezione e bellezza: «figura alta e snella, dal viso bellissimo». A custodirne gelosamente, in modo inquietante ed ossessivo, le stanze è la governante, signora Danvers, morbosamente avvinghiata alla sua memoria.

Il romanzo entra nei tormenti della nuova signora de Winter costantemente messa a dura prova dal confronto impari con una bellezza morta e diventa mito, il costante senso di inadeguatezza, il senso di solitudine e i tormenti dell’anima dell’uomo che ha sposato e che cela un terribile segreto.

 

 

Mia cugina Rachele” -Beat- euro 13,50

Il dubbio e l’ambiguità serpeggiano lungo le pagine del romanzo e fanno da sfondo a questo sottile noir che la Du Maurier ambientò in Cornovaglia a metà Ottocento.

Il piccolo Philip Ashley orfano di entrambi i genitori a soli 18 mesi viene cresciuto dal cugino Ambrose, scapolo irriducibile.

Notevole dunque è lo stupore di Philip quando, anni dopo, il cugino, che si trova a Firenze per motivi di salute, gli comunica di avere sposato la cugina Rachele, una lontana parente. Vedova di un nobile italiano che l’ha lasciata in un mare di guai.

Dopo di che la trama si infittisce e il mistero avvolge l’indecifrabile Rachele.

 

 

 

 

Cornovaglia magica” -Mursia- euro 17,00

In queste splendide pagine c’è il cuore del legame tra la Du Maurier e la Cornovaglia, terra che lei amò incondizionatamente e comprese a fondo, riuscendo a raccontarla in modo coinvolgente.

Ma il libro è anche l’autobiografia e il testamento spirituale di una vita incredibile e talentuosa. La scrittrice rilegge e racconta i suoi viaggi, gli incontri, le ispirazioni dei romanzi, l’amore profondissimo e indissolubile per la sua Cornovaglia.