CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 714

Quando l’arte incontra natura e musica

SABATO 9 DICEMBRE San Secondo di Pinerolo (Torino)

Nell’ambito del progetto “Pinerolo si racconta”, la Fondazione Cosso, in collaborazione con la pinerolese Galleria “Losano – Associazione Arte e Cultura”, propone, il prossimo sabato 9 dicembre, l’itinerario di visita “Quando l’arte incontra natura e musica”

Il programma prevede, alle ore 11, la visita del Parco storico del Castello di Miradolo, con la guida dell’audio racconto stagionale e della mappa del giardino, in una coinvolgente passeggiata fra alberi monumentali, boschetti e angoli naturali particolarmente suggestivi per colori, profumi e integrità dei luoghi. A seguire, visita al Mercatino di Natale, allestito nella Serra Neogotica del Castello che si colorerà, per l’occasione, di piante, addobbi natalizi, dolci e prodotti artigianali, dando spazio in primis ad artigiani e a organizzazioni operanti sul territorio senza scopo di lucro, con finalità assistenziali a vocazione sociale. Per chi lo desidera sarà possibile pranzare all’interno degli eleganti spazi della storica dimora. Alle ore 14,30, visita guidata alla mostra “Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura”, attualmente ospitata nelle sale del Castello. Artista poliedrico, insieme scultore, pittore, ceramista, scrittore nonché grande appassionato ed esperto di musica, Melotti è da considerarsi fra i principali protagonisti dell’arte del Novecento. Alle ore 16, l’itinerario prevede lo spostamento a Pinerolo per la visita della mostra “Il giardino fragile” di Tino Aime, ospitata presso la Galleria “Losano”: una retrospettiva che vuole ricordare il celebre artista (cuneese di origini, ma valsusino d’adozione), recentemente scomparso, con una selezione delle sue suggestive rappresentazioni floreali ispirate a rose canine, alchechengi, lunarie e ortensie.

Per info e prenotazioni: tel. 0121/502761prenotazione@fondazionecosso.it

 

g. m.

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Foto
– Castello di Miradolo
– Fausto Melotti:”Le sculture”
– Tino Aime: “Fiori stremati”, acquaforte, 2015

 

“A mia madre”

“A mia madre”  lirica di Chicca Morone

 

“Eri bellissima”

mi hai sussurrato

con gli occhi dolci

persi nei ricordi.

“Colore di una pesca,

le guance rosa”

e non contava più

dolore e pianto

di donna a donna

marchio tramandato.

Sei sola nel tuo mondo

fatto di nuvole

domande e sogni:

chi ti raggiunge

ride con te del nulla

che popola il tuo vuoto.

“Dove mi trovo?”

è un canto senza fine

ripetersi di ombre

sonnambule la notte

che è l’alba del nuovo giorno.

“Ho freddo”

lamenti dal tuo letto

avvolta nel piumone.

Riscaldo le tue mani,

incendi la mia vita

fatta di inutili bisogni.

Vorrei girarmi indietro

e correre sull’erba

trovarti ancora

al limitare del bosco

e tenderti le braccia

ridarti vita

portarti via

dal buio di quell’antro

da cui saluti inerme

la madre di tua figlia

guardandomi negli occhi.

Soprattutto i problemi chiudono il festival: qualcuno non ci crede più?

DAL NOSTRO INVIATO AL TFF

Elio Rabbione

È il regista israeliano Ram Nehari a stravincere con il suo Al Tishkechi Oti / Don’t forget me il premio per il miglior film del TFF 35 che si è chiuso ieri. La giuria, capitanata da Pablo Larrain, ha scelto questa storia dove ad un sottofondo di amarezza s’intrecciano messaggi e momenti d’amore, di disperata esistenza, di rappresentazione vera della instabile condizione psichica con cui convivono i due giovani protagonisti, una ragazza anoressica lei, un suonatore di tuba lui, entrambi nella speranza di una vita normale, eccezionali attori, lui, Nitai Gvirtz, si porta a casa il premio per la migliore interpretazione maschile, lei, Moon Shavit, lo condivide con Emily Beecham, sconquassata eroina di Daphne dell’inglese Peter Mackie Burns. Eccezionale ritratto di ragazza disinibita e dolorante, giri nei bar alla ricerca di alcol e sesso, qualche tiro di cocaina per tenersi a galla, l’aspirazione ad una promozione a secondo chef nel ristorante in cui lavora. Il film, pur con una bella scrittura, approfondita, capace di scavare in ogni piega, è tutto dell’attrice, capace di nascondersi e di mettersi sfacciatamente in gioco dietro quel visino cui tutti regalano i vent’anni, mentre ha già superato il decennio successivo.

Con il premio di 7000 euro della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo vivaddio la giuria si è ricordata di A fabbrica de nada del portoghese Pedro Pinho, il racconto della lotta di un gruppo di operai cui viene “rubato” il posto di lavoro, un caso singolo che drammaticamente, con grande incisività, ci rende il quadro della situazione del paese lusitano. Paiono al contrario a chi scrive sopravvalutati (forse) quel Kiss and cry delle francesi Chloè Mahieu e Lila Pinell, ad inseguire un gruppo di giovani pattinatrici, emblematiche nella loro instabilità di gesti e movimenti, tra bullismo e malate amicizie, l’amore per lo sport e le insicurezze, che si guadagnano il premio per la miglior sceneggiatura e la menzione speciale della giuria; e (decisamente) Lorello e Brunello di Jacopo Quadri (ancora qui una menzione della giuria), chiacchierate quotidiane su quanto è dura la campagna, la lotta contro l’industrializzazione, i commenti dei vecchi saggi, il ripetersi delle azioni, le solitudini, il lavoro. Dimenticando più alti esempi, come À voix haute del francese Stéphane De Freitas, intorno al concorso che ogni anno all’interno dell’Università di Saint-Denis, alle porte di Parigi, intende premiare il miglior oratore, un traguardo che arriva tra divertimento e ricordi dolorosi, tra tecniche precise ed emissioni di fiato perfette, tra gestualità mai gratuita, inneggiando alla bellezza e alla importanza della parola in un’epoca che ormai ne è priva. Un premio a questo titolo è arrivato dal pubblico, e questo dovrebbe dirla lunga: ma, al di là della nota di entusiasmo, ci pare davvero poco. O il clima di amori e sospetti soprattutto che è alla base di Beast di Machael Pearce o The death of Stalin di Armando Iannucci, scozzese di padre napoletano, dove si ride con rabbia davanti alle trame e ai comportamenti dei dirigenti sovietici all’indomani della morte del dittatore.

Fuori dal concorso, rimangono titoli che anche si sono amati, di cui speriamo poter riparlare ad una auspicabile uscita italiana. Quasi tutti di area angloamericana, da Darkest Hour di Joe Wright, con un eccezionale Gary Oldman nelle vesti di Churchill in un maggio del ’40 in cui dover decidere, ancora privi dell’appoggio statunitense, l’entrata in guerra contro un nemico nazista pronto a impadronirsi dell’intera Europa (in uscita a gennaio), a The disaster artist dove un altrettanto efficace, ed istrionico, James Franco, si cala nel personaggio di Tommy Wiseau, colpevole di essere entrato nella storia del cinema con quello che fu definito “il più brutto film che sia mai stato girato”; da L’uomo che inventò il Natale, ovvero l’occasione per Dickens a corto di quattrini e con una affollata famiglia da sfamare di trovare l’idea letterariamente giusta, a Final portrait, firmato da Stanley Tucci, dove Geoffrey Rush impersona Alberto Giacometti o Mary Shelley con Elle Fanning. Come per puro divertimento, nella sua semplice onestà, aspettiamo il film inaugurale, Ricomincio da me, non fosse altro per la recitazione di tre glorie britanniche, o il film che ha chiuso il festival, The Florida Project, già in odore di Oscar, o la riserva indiana che nasconde delitti in The wind river di Taylor Sheridan. O ancora Cargo di Gilles Coulier, che non avrebbe sfigurato in concorso, tre fratelli pescatori, differentemente coinvolti con la vendita del peschereccio di famiglia, al momento in cui il padre è in coma.

Restano i premi e i titoli che vedremo, restano assai più pressanti i tanti problemi del festival che all’indomani della sua chiusura lascia un conto negativo di sale a disposizione in meno (e la mancanza s’è sentita), di quattrini tagliati, di titoli eliminati. Certo, rimangono le file interminabili e compatte del pubblico (ma le cifre ufficiali non sono ancora comparse), le discussioni, la certezza che questo festival può e deve vivere senza tappeti rossi, senza il gossip del momento o senza le presenze di gente di cinema che hanno la faccia di essere riempitivi o pubblicità al lavoro fatto e presto in uscita; e poi la vivacità, la disponibilità dei tanti volontari e, uscendo dalle sale, i bar e i ristorantini dove fare un boccone veloce che negli otto giorni di festa e programmazione credo non se la siano poi tolta tanto male. Ma si è avvertito che la macchina non era ben oliata, che i sorrisi erano stretti, che l’inverno del nostro scontento aveva ormai bussato alle porte (per ripetere un film poco amato, quello di Roberta Torre). Emanuela Martini è giunta alla fine del suo mandato, vicedirettrice prima e piena responsabile negli ultimi quattro anni, continua a ripetere che ripartirebbe volentieri, che ha imparato ma che ha anche dato molto, che il pubblico torinese è impagabile: “Ma ogni decisione spetta al Museo”. Un Museo che, tra le tante e pericolose mareggiate, ha un direttore pro-tempore e ne attende uno stabile. Insomma, è necessario pensare già al futuro e il futuro, su cui stanno scritte per ora soltanto le date del 2018 (23 novembre – 1 dicembre), è troppo vicino. È necessario avere il tempo per lavorare, per mantenere la cifra di sempre e inventarsi cose nuove, per combattere contro i soldi che hanno tutta l’aria di voler scendere ancora, per svegliare una giunta che pare credere sempre meno nell’operazione (non soltanto culturale). Tutto per evitare che un grosso bagaglio torinese prenda altre strade, tutto per scongiurare che quello che si è costruito negli anni di scoperte, di piacere visivo, di intelligenza ci venga a mancare.

 

 

 

EstOvest Festival in dirittura d’arrivo

E’ in dirittura d’arrivo la sedicesima edizione di “EstOvest Festival 2017”, la Rassegna Musicale (già insignita della “Effe Label”, l’etichetta mirante a selezionare le eccellenze festivaliere europee) organizzata dall’Associazione torinese “Xenia Ensemble”, con il sostegno della Compagnia di San Paolo e della Regione Piemonte. Un’edizione particolarmente importante, quella di quest’anno, che ha registrato una partecipazione di pubblico senza precedenti, premiando un fitto calendario di appuntamenti – 28 concerti con cinque prime nazionali e una prima esecuzione mondiale – che ha toccato le location più impensate (dalla Stazione “Porta Nuova” della Metro torinese, per fermarci a Torino, alla farmacia di Porta Palazzo via via fino al “Museo Egizio”) dislocate in ben dieci città differenti del Piemonte, con oltre 50 artisti internazionali coinvolti, fra cui la “Camerata RCO” (Royal Concertgebouw Orchestra) e l’“Orchestra da Camera Accademia” di Pinerolo. Coronamento ideale del Festival, sarà un concerto dedicato nello specifico al tema di quest’anno: gli “Spiriti Musicali”, ovvero “quelle sensibilità capaci di comprendere e creare la musica in una dimensione che va oltre la razionalità”Il doppio appuntamento, sabato 9 dicembre ore 17 al “Museo Ettore Fico” (in via Cigna 114, a Torino, ingresso gratuito con il biglietto del Museo), con replica domenica 10 dicembre ore 17 alla “Chiesa Battuti Bianchi” (in corso Cottolengo 6, a Bra, ingresso gratuito) in omaggio allo scrittore e giornalista Giovanni Arpino nell’anniversario dei trent’anni della scomparsa, vuole ripercorrere alcuni dei momenti musicali più interessanti della rassegna. Non senza qualche novità. A suonare saranno i “padroni di casa” del quartetto “NEXT – New Ensemble Xenia Turin”, già protagonisti, spesso in abbinamento con i numerosi ospiti, di vari appuntamenti in cartellone. Il massimo tributo al tema degli “Spiriti Musicali”, troverà la sua summa nel concerto conclusivo, dedicato a Mozart, genio irrequieto per eccellenza, e all’ironica rivisitazione della sua musica ad opera di Alfred Schnittke. Alla tematica del rapporto fra musica e potere è riconducibile il malinconico quartetto del compositore ebreo Mieczyslaw Weinberg, mentre al percorso sulla spiritualità si riferisce la composizione contemplativa dell’estone Erkki-Sven Tuur. All’impressionismo musicale di Ravel si ispira invece il giovane talento Martin Loridan, vincitore della “Call for Scores 2016” e, anche quest’anno, omaggiato da EstOvest Festival con una prima esecuzione italiana. Spiriti musicali diversi, ciascuno voce di una diversa nazione. Proprio come di differenti provenienze geografiche (a conferma del respiro sempre più internazionale assunto dal Festival dal 2001 ad oggi) sono i quattro esecutori: romeno Adrian Pinzaru, irlandese Ellis Cranitch, italiano Claudio Pasceri e giapponese Mizuho Ueyama.

Info: www.estovestfestival.it

g.m.

Deludono le due opere italiane, le stagioni dei fratelli di Quadri e i fratelli assassini di Tagliaferri

DAL NOSTRO INVIATO  Elio Rabbione

Possibile che, tra le opere prime e seconde predisposte sul versante italiano del TFF 35, per la quindicina di film da sistemare nel cartellone del concorso, Emanuela Martini e il suo staff non abbiano scovato null’altro che non fossero Jacopo Quadri e Andrea Tagliaferri? Il primo, attingendo ai quattrini di mamma Rai e a quell’Ubulibri di paterne radici, inventa un “soggetto”, scrive con una coppia di amici una “sceneggiatura” e ci sottopone Lorello e Brunello, ovvero le quattro stagioni in un anno recente della vita dei fratelli Biondi, tra le campagne del Grossetano. Vita grama e sempre eguale, a capitoli, le giornate che si aprono all’alba e si chiudono con fatica al tramonto, i compiti abituali dell’agricoltura, le chiacchiere di niente con i compari, la cucina e Trump in tivù, la vita dell’uomo che si confonde con quella degli animali, la mungitura delle pecore e il terrore dei lupi che creano carneficine, gli alberi e le semine, le macchine cui fare manutenzione, gli steccati e le reti a protezione, una vecchia parente cui accudire, un’altra filosofa pratica della vita e dei destini. 85’ con questo e altro ancora, camera fissa per la maggior parte del tempo, ricerca facile della bella immagine, azioni e parole che non producono sentimenti e non portano a nulla. Tagliaferri – con la paterna produzione di Matteo Garrone, di cui è stato assistente -, tra i pescherecci di Comacchio e certi freddi, solitari centri del Ravennate, considera invece in Blue kids il legame morboso che lega fratello (Fabrizio Falco) e sorella (Agnese Claisse), costruisce per la coppia la scomparsa della madre, fatta di lacrime finte, un’eredità completamente trasmessa al padre, l’uccisione di costui quasi fosse un gioco, un rituale che li lega e che deve essere compiuto con il sorriso sulle labbra. Una cronaca che certe vicende non solo di oggi ci hanno fatto conoscere, i nomi li abbiamo tutti nella memoria, il disaffetto, i quattrini, la noia, tutto può essere la molla che fa scattare quelle malvagità che non hanno tempo. Ricercare le tante cause ed esatte, entrare negli animi, scovare i meccanismi e il nulla che sta forse all’inizio di tutto: invece qui ogni cosa è freddamente raccontata, e la non partecipazione porta ad un vuoto di scrittura e di direzione che la bella fotografia di Sara Purgatorio cerca di colmare, serpeggiando tra dialoghi inesistenti, tra sguardi che vorrebbero accrescere i rapporti ma li svuotano, tra un fondo d’inerzia narrativa che azzera anche il marcio dei due ragazzi.

Batte bandiera francese uno dei film che più ci sono piaciuti del concorso, quel À voix haute di Stéphane De Freitas in cui, nell’epoca della letteratura spiccia, dei tanti surrogati colloquiali che vengono usati, dei termini abbreviati per fretta e per comodità, qualcuno vivaddio vuole resuscitare la parola. Quella pensata, costruita, tondeggiante, emessa con i fiati giusti, colorita, porta a dovere. Quella improvvisata, quella condivisa, quella aiutata dalla recitazione. Succede nella periferia parigina, all’interno dell’Università di Saint-Denis, dove ogni anno viene indetto il concorso “Eloquentia” per l’elezione del miglior oratore. Succede con una ventina di studenti provenienti da paesi anche lontani, che riconoscono nella parola, nella sua costruzione e nel suo uso, il passaggio obbligato verso la vera espressione, autentica, verso la sua libertà, verso un vivere che esprima crescita, scioltezza, fiducia in se stessi. Si improvvisa, si narra, si discute, si mettono in campo le proprie doti, il proprio carattere, le timidezze e la piccola cialtronaggine, il divertimento e i ricordi della propria terra. Anche qui un documentario, ma tu ci senti equilibrio e verità, piacere dell’ascolto, un susseguirsi vitale di giorni, un panorama di facce difficilmente dimenticabili.

 

Come difficilmente dimenticabile è Daphne dell’inglese Peter Mackie Burns con il faccino bello di Emily Beecham. Decisamente disinibita, riempie la solitudine con lettura di Slavoj Zizek e sesso senza troppi problemi, qualche incontro con l’amica per rinfacciarsi quale delle due sia più “stronza”, giri nei bar per qualche bicchierino di troppo e per qualche tiro di cocaina per tenersi a galla, il suo lavoro in un ristorante dove il proprietario è innamorato silenziosamente di lei e lei aspira ad una promozione a secondo chef. Poi una madre che sta morendo di cancro e si rifugia negli affetti recalcitranti di una figlia e nella fiducia in una religione che le insegni una nuova sopportazione; e una rapina che la sbalza dall’andamento sempre eguale delle sue giornate: forse sarà una nuova salvezza, uno sguardo mai considerato, un momento inaspettato per andare incontro agli altri e riscoprire se stessa. Un bellissimo ritratto di donna circondato da altre partecipazioni che non sono indifferenza, una storia triste e brillante al tempo stesso, gli angoli della vita con la drammaticità e le sfide espressi in modo narrativamente piacevole e forte, le annotazioni giuste, la concretezza dei vari passaggi più che apprezzabile. Non si chiede poi troppo!

 

Elio Rabbione

 

Quando l’uomo si connette all’universo

Al teatro Astra sabato 2 e domenica 3 dicembre Lucilla Giagnoni porta in scena   “Furiosa-mente”

 

 

“Furiosa-mente” è il titolo del nuovo spettacolo che Lucilla Giagnoni porta in scena il 1 e 2 dicembre prossimi al teatro Astra di Torino. Un ritorno molto atteso con una piece che concentra la sua attenzione sullo strumento più potente ed efficace che l’uomo abbia a disposizione, la mente, che ci mette in connessione con noi stessi e con il mondo circostante. “C’è un tempo per nascere e un tempo per morire; c’è un tempo per distruggere e un tempo per costruire. Ci sono tempi di crisi, momenti grigi della storia. E il nostro tempo? Forse – afferma Lucilla Giagnoni – è uno dei più straordinari che all’umanità sia dato da vivere: la mondializzazione. Cadute le grandi ideologie di riferimento noi non siamo affitto generazioni di passaggio”, di quelle che traghettano da un grande momento storico ad un altro, ma stiamo vivendo uno degli eventi più incredibili che siano mai accaduti sulla Terra, un’onda di grandi sogni dell’umanità, da sempre, scoprire ed essere in contatto con tutto il mondo, creare una grande rete di connessioni e di conoscenze”. È necessario possedere strumenti adatti a leggere questa complessità e, tra questi, quello più efficace che esista è   la mente umana, che può metterci in connessione prima di tutto con noi stessi, poi con gli altri e con la natura. Questo richiede una umanità straordinaria, capace di accrescere la propria coscienza e la propria condapevolezza. Esiste un tempo per capire e un tempo per prendere consapevolezza e coscienza e scegliere, anche se scegliere – ne è consapevole Lucilla Giagnoni – significa combattere una battaglia, che rappresenta la condizione dinamica della nostra stessa esistenza. La storia umana è piena di guerrieri come Antigone, Orlando, nell’ Orlando Furioso e gli eroi dell’Iliade. Nel libro più amato da Gandhi, il Baghvadgita, prima della battaglia il dio Krishna mostra al guerriero Arjuna come siano regolati il Cosmo e la sua mente.

 

Mara Martellotta

Sabato ore 21, Domenica  ore 18

Teatro Astra via Rosolino Pilo 6. Tel : 0115634352

Concerto per Casalegno 40 anni dopo

Sabato 2 dicembre alle ore 16 all’Auditorium “Vivaldi” della Biblioteca Nazionale Universitaria (Piazza Carlo Alberto, 3), il violinista Massimo COCO ed il pianista Andrea IVALDI, in occasione del 40° anniversario della morte, terranno un “CONCERTO IN MEMORIA DI CARLO CASALEGNO”, promosso dal Centro Pannunzio. Ecco il programma:

– Tomaso VITALI:

Ciaccona in sol minore

Ludwig Van BEETHOVEN:

Sonata in do minore Op.30 n.2

Allegro con brio-Adagio cantabile-Scherzo (Allegro)-Finale (Allegro)

——-intervallo——–

Wolfgang Amadeus MOZART:

Sonata in mi minore K304

Allegro-Tempo di Minuetto

– Gabriel FAURÉ:

Sonata in La maggiore Op.13

Allegro molto-Andante-Allegro vivo-Allegro quasi presto

– Nell’intervallo Pier Franco QUAGLIENI ricorderà Carlo Casalegno. Porterà il saluto del Consiglio Regionale il Vicepresidente Nino BOETI. Introdurrà il Gen. Franco CRAVAREZZA, Presidente ABNUT.

I Soci del “Pannunzio” sono invitati ad intervenire. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti.

Il violinista Massimo Coco e’ il figlio del Procuratore Generale di Genova Francesco Coco ucciso dalle Brigate rosse nel 1976. Il concerto si tiene per onorare il nostro Consocio Carlo Casalegno ammazzato selvaggiamente quarant’anni fa sotto casa in corso Re Umberto.

Erica Sunshine Lee live

Domenica 3 Dicembre 2017 ospite internazionale al Luppolo saloon di Roletto (To), con  il grandissimo live di ERICA SUNSHINE LEE ed il suo Burried Treasure European Tour! Originaria della Georgia e residente a Nashville, ha ormai al suo attivo ben 8 album registrati con i migliori musicisti della scena country americana. Erica Sunshine Lee sfodererà tutto il suo honky tonk in una prima parte acustica a cui seguirà una seconda parte elettrica ed energica insieme alla DIXIE PARTY Country Power Band di Fiorella Mondo. Alcuni suoi pezzi sono stati coreografati, Check please, Georgia for this, per dirne due, per cui si potrà sia ascoltare che ballare. Ingresso libero al concerto. Per cenare è gradita la prenotazione.
Luppolo Saloon
0121542822
Concerto dalle ore 21.30
CON IL GRUPPO DI JOE CHIES CHITARRISTA DI RAOFRECCIA E DI FIORELLA MONDO  

I libri del mese di “Un libro tira l’altro”

 
Ecco una piccola rassegna dedicata ai titoli che maggiormente hanno interessato i lettori iscritti al gruppo di Facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di novembre.

Com’era prevedibile, tocca alle uscite più recenti fare la parte del leone: La colonna di fuoco, di Ken Follett e Pulvis et Umbra di Antonio Manzini che  ottengono “mi piace” e commenti in ogni post anche se non nella stessa misura: entusiasmo senza riserve, infatti, viene riservato alla nuova indagine del Commissario Rocco Schiavone, qualche critica delusa invece per il capitolo finale della Trilogia iniziata anni fa con I Pilastri della Terra. Meno convinti i lettori di Origin, il più recente tra i libri di Dan Brown, giudicato da molti noioso e ripetitivo.


Ma i membri del gruppo non si limitano agli ultimi titoli usciti,  lo dimostra il successo ininterrotto di Shantaram, lungo romanzo di Gregory Roberts ambientato in India, uno dei romanzi più letti e commentati nella storia del gruppo, che continua a venir proposto anche in questo mese di Novembre 2017, insieme a un altro intramontabile successo: It, di Stephen King che è tornato tra i libri più commentati anche grazie al successo del film di Andrès Muschietti, invogliando molti a leggere o rileggere quello che i membri del gruppo considerano il capolavoro dello scrittore americano. Nel reparto classici questo mese è Agatha Christie a primeggiare, visto che in molti suggeriscono i suoi libri, mentre chi cerca testi più impegnati sembra preferire Saramago e il suo Le intermittenze della morte oppure il Pratolini di Cronache di poveri amanti, romanzo al quel è dedicata una bella recensione. Lettori più curiosi propongono invece la graphic novel di Jiro Taniguchi La vetta degli dei oppure l’interessante Perdido Street Station, interessante evoluzione del fantasy a opera di China Miéville, oggetto di un’accurata recensione. Tra le numerose discussioni a tema quella che ha maggiormente coinvolto la community era legata al problema di ricordare o meno i libri letti in passato; chi ammette, candidamente, di ricordare solo poche sensazioni si è confrontato con chi ha una memoria più allenata e con chi ha l’abitudine di annotare titoli e trame su quaderni o supporti tecnologici; tanti tipi di lettori per molti tipi di lettura, come spesso si percepisce dai nostri dibattiti.

Volete dire la vostra su questi titoli o proporne di nuovi ?   Vi aspettiamo nel gruppo ! 

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Il podio dei più letti : Pulvis et umbra, di Antonio Manzini (Sellerio) – La colonna di fuoco, di Ken Follett (Mondadori) – Origin di Dan Brown (Mondadori). 

Intramontabili: Shantaram, di Gregory Roberts (Neri Pozza) – It di Stpehen King (Sperling&Kupfer). 

Classici da (ri)scoprire: Agatha Christie, Vasco Pratolini, Jose Saramago. 

Proposte per lettori curiosi: Perdido Street Station, di China Mièville (Fanucci) – La vetta degli dei di Jiro Taniguchi (Rizzoli).

Rassegna curata da Valentina Leoni con l’aiuto di Claudio Cantini

Oggi al Cinema

LE TRAME DEI FILM

NELLE SALE DI TORINO

 

A cura di Elio Rabbione

 

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American Assassin – Azione. Regia di Michael Cuesta, con Michael Keaton, Shiva Negar e Dylan O’Brien. Tratto dal romanzo di Vincent Flynn, tratteggiato tra Istanbul e Roma, tra Londra e Tripoli, è la storia di Mitch Rapp, che poco più che ventenne, vuole vendicarsi della morte della fidanzata, vittima di un attentato. Verrà allenato da un veterano dei Navy Seals per entrare in un programma della Cia volto ad addestrare gli “assassini americani” implacabili pedine dell’antiterrorismo. Il suo primo obiettivo sarà colpire il misterioso Ghost, che è in possesso di una bomba di settanta chili di plutonio in grado di scatenare la Terza Guerra mondiale. Durata 112 minuti. (Massaua, The Space, Uci)

 

Amori che non sanno stare al mondo – Drammatico. Regia di Francesca Comencini, con Lucia Mascino, Thomas Trabacchi, Iaia Forte e Carlotta Natoli. Una vicenda con tanti bassi (di vita e di cinema) e qualche alto, un amore improvviso, sragionato e possessivo di lei per un uomo che dovrebbe fuggirne sin dal primo istante. Dopo anni di relazione si lasciano, lui finalmente trova un nuovo amore in una ragazza più giovane, lei prova tra le braccia di una sua lodatissima studentessa. Uno sguardo tutto al femminile, un’altalena continua di tempi e di sentimenti, una scrittura che fa tanto letteratura ma che non riesce a coinvolgere mai lo spettatore. Anzi lo irrita, per quell’aria da saputelle intransigenti e battagliere di interprete e di regista. Tratto dal romanzo omonimo della Comencini. Durata 92 minuti. (Eliseo Blu, Lux sala 3, Uci)

 

Assassinio sull’Oriente Express – Giallo. Regia di Kenneth Branagh, con Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Penelope Cruz e Branagh nelle vesti di Hercule Poirot. Altra rivisitazione cinematografica del romanzo della Christie dopo l’edizione firmata da Sidney Lumet nel ’74, un grande Albert Finney come investigatore dalle fiammeggiati cellule grigie. Un titolo troppo grande per non conoscerlo: ma – crediamo, non foss’altro per il nuovo elenco di all star – resta intatto il piacere di rivederlo. Per districarci ancora una volta tra gli ospiti dell’elegante treno, tutti possibili assassini, una partenza da Istanbul, una vittima straodiata, una grande nevicata che obbliga ad una fermata fuori programma e Poirot a ragionare e a dedurre, sino a raggiungere un amaro finale, quello in cui la giustizia per una volta non vorrà seguire il proprio corso. Durata 114 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Eliseo Grande, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche in V.O.)

 

Auguri per la tua morte – Horror. Regia di Christopher Landon, con Israel Broussard, Ruby Modine e Jessica Roth. Tree, giovane studentessa, si sveglia dopo una notte di bevute nella camera dell’altrettanto giovane Carter. La sera è vittima di un assassino: per risvegliarsi il giorno successivo nelle medesime modalità e per vedere continuamente ripetute vita e morte. Dovrà scoprire il proprio assassino se vorrà interrompere gli eventi. Durata 96 minuti. (The Space)

 

Borg McEnroe – Drammatico/biografico. Regia di Janus Metz Pedersen, con Shia LaBeouf, Sverrir Gudnason e Stellan Skarsgård. Due campioni, due storie e due personalità diversissime, gli stili che catturano opposte folle di fan, i movimenti freddi e calibrati dell’uno contro quelli nervosi e impetuosi dell’altro, la calma contro il nervosismo, la loro rivalità che li vide a confronto per 14 volte tra il ’78 e il 1981, fino alla finale di Wimbledon, che qualcuno ancora oggi considera una delle più belle partite della storia del tennis. Fino alla loro amicizia, fuori dai campi. Durata 100 minuti. (F.lli Marx sala Chico, Reposi, Uci)

 

Caccia al tesoro – Commedia. Regia di Carlo Vanzina, con Vincenzo Salemme, Serena Rossi, Cristiano Filangieri e Carlo Buccirosso. Siamo dalle parti di “Operazione San Gennaro”, con un impareggiabile Nino Manfredi e la bonomia della Senta Berger, anno di grazia 1966, regia perfetta di Dino Risi. Anche oggi il fine, nobilissimo, è quello di rubare il tesoro del santo partenopeo, mentre la causa è il figlio malato della vedova Rossi, operabile negli States con la complicità del cognato Salemme. Durata 90 minuti. (Ideal, The Space, Uci)

 

Detroit – Drammatico. Regia di Kathryn Bigelow, con Hanna Murray, John Boyega, Will Poulter e Anthony Mackie. Premio Oscar, l’autrice di “The hurt rocker” e di “Zero Dark Thirty” guarda oggi a quei fatti sanguinosi scoppiati nel luglio del 1967 in un locale privato – privo di licenza – dove un gruppo di persone di colore festeggiavano due ragazzi, anch’essi di colore, ritornati a casa dalla guerra del Vietnam. Lo sguardo sulla repressione seguita, le violenze della reazione, l’invio da parte del governatore Romney della Guardia Nazionale e da parte del presidente Johnson dell’esercito: contro chi vorrebbe seguire ogni regola della legalità c’è chi con violenza la oltrepassa, facendosi forte dell’omertà che nelle forze di comando si fa ben visibile. Lo sguardo sui fatti dell’hotel Algiers, dove tre ragazzi, tra i 17 e i 20, sono barbaramente trucidati. I responsabili, al processo, non subiranno nessuna condanna. Durata 143 minuti. (Greenwich sala 2, Uci)

 

Il domani tra di noi – Drammatico. Regia di Hans Abu-Assad, con Kate Winslet e Idris Elba. Un aereo privato con a bordo una giornalista e un medico, incidente sulle montagne innevate dello Utah, mancanza di soccorsi, sopravvivenza ad ogni costo, lacrime disperazione ferite vedrai che ce la faremo non ce la potremo mai fare, primi sentimenti, amore. Catastrofe finale o salvezza? Durata 112 minuti. (Ideal)

 

Flatliners – Linea mortale – Drammatico. Regia di Niels Arden Oplev, con Diego Luna, Nina Dobrev, Ellen Page e James Norton. Una studentessa di medicina, ossessionata dalla morte della sorella, spinge i suoi compagni di corso ad un esperimento: dovranno fermarle il cuore con un defibrillatore per sessanta secondi e registrare i ricordi del suo cervello prima di riportarla in vita. Se non ci fosse modo di interrompere le allucinazioni che scoppiano in quel breve tempo? Remake di un film del ’90 di Joel Schumaker, con una giovanissima Julia Roberts. Durata 110 minuti. (The Space, Uci)

 

Happy End – Drammatico. Regia di Michael Haneke, con Isabelle Huppert e Jean Louis Trintignant. Una famiglia dell’alta borghesia a Calais. Il padre è il fondatore di un’azienda, ora guidata dalla figlia e dal nipote ribelle. Si devono risolvere i problemi che stanno dentro la fabbrica (qui è successo un incidente che ha provocato la morte di una persona) e la famiglia (qui il fratello della donna si risposa e inizia ad avere problemi con la figlia di primo letto, che gli è stata affidata dopo che la madre è stata ricoverata): tutto questo mentre i migranti stazionano sulle spiagge e creano tendopoli. Durata110 minuti. (F.lli Marx sala HarpoRomano sala 1)

 

Justice League – Fantasy. Regia di Joss Whedon e Zack Snyder, con Ben Affleck, Amy Adams, Henry Cavill e Jeremy Irons. A Gotham City, Batman nutre la speranza di riunire un valoroso gruppo di eroi per fronteggiare l’ultima terribile pericolo. Chiaro che per la salute del film tutti aderiscano, da Wonder Woman a Flash più veloce della luce, da Aquaman ipertecnologici signore degli oceani a Cyborg. Manca soltanto Superman ma prima o poi anche lui sarà della partita. Durata 121 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Mistero a Crooked House – Drammatico. Regia di Gilles Paquet-Brenner, con Glenn Close, Christina Hendricks, Max Irons, Julian Sands e Gillian Anderson. Basato sul romanzo di Agata Christie pubblicato in Italia con il titolo “È un problema”, il film è un giallo corale, quelli che tanto piacevano all’autrice: un confronto incrociato tra i componenti di una ricca famiglia inglese. Per ottenere finalmente la mano della ricca Sophia, il giovane investigatore privato Charles Hayword deve risolvere il mistero che avvolge la morte del nonno della ragazza. Mentre tutti puntano il dito contro la giovane seconda morte dello scomparso, spetterà a Charles scoprire nuovi moventi e indizi e la verità. Per chi già non conosce il romanzo di partenza, una inaspettata risoluzione finale, magari anche troppo fuori da quella umanità corrotta su cui la Christie ha per anni indagato. Un buon prodotto, con le carte in regola, di sceneggiatura e interpretative soprattutto, con il piacere da parte dello spettatore di inseguire sviluppi e finali. Durata 105 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Ogni tuo respiro – Drammatico. Regia di Andy Serkis, con Andrew Garfield e Claire Foy. È la storia vera dei genitori del film, Jonathan Cavendish. L’avventuroso e carismatico Robin Cavendish ha tutta una vita di successi quando si ritrova paralizzato a causa della poliomielite che contrae nel continente africano. Contro il parere di tutti, sua moglie lo fa dimettere dall’ospedale e lo porta a casa, dedicandosi completamente a lui e usando intelligentemente tutta la determinazione di cui è capace. Non vogliono diventare prigionieri della malattia di lui, appassionano e incantano gli altri con il loro umorismo, il coraggio, l’intera sete di vita. Durata 117 minuti. (Centrale V.O.)

 

Paddington 2 – Commedia. Regia di Paul King, con Brendan Gleeson, Hugh Grant, Sally Hawkins e Ben Whishaw. L’orsetto inventato dalla fantasia dello scrittore inglese Michael Bond è in cerca di un regalo per la centenaria zia Lucy. Scova nel negozio di antiquariato del signor Gruber un antico libro, prezioso, che verrà rubato e del cui furto verrà sospettato un fascinoso attore. Durata 95 minuti. (The Space, Uci)

 

Gli sdraiati – Commedia. Regia di Francesca Archibugi, con Claudio Bisio e Gaddo Bacchini. Giorgio e Tito sono padre e figlio. Due mondi opposti che si scontrano all’interno di un appartamento a Milano. Giorgio è un giornalista di successo, apprezzato dai colleghi e dal pubblico, famoso volto televisivo, separato dalla moglie, discorsi con il figlio a livello pressoché zero. Il quale ultimo è un adolescente indolente, chiuso, refrattario a tutto e a tutti, incapace o senza la minima voglia di trasmettere le proprie emozioni agli altri, che si sente soffocato dalle attenzioni altrui, il suo (ristretto, piccolo) mondo sono gli amici per parlare di niente e i videogiochi Nemmeno l’invito del padre ad andare a fare insieme la vendemmia lo smuove: o forse sì, e allora potrebbe essere il modo per tentare di costruire insieme un minimo di comunicazione. Dal romanzo di Michele Serra. Durata 103 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Groucho, Romano sala 2, The Space, Uci)

 

Seven Sisters – Fantascienza. Regia di Tommy Wirkola, con Noomi Rapace, Glenn Close e Willem Dafoe. Un’attrice sola per sette diversi ruoli, un futuro più o meno lontano in cui la sovrapposizione terrestre ha portato all’applicazione di una rigidissima politica del figlio unico su scala globale. Ma da anni, sette sorelle, che hanno il nome dei giorni della settimana, vivono in segreto in un appartamento, uscendone una per ogni giorno della settimana, con la stessa identità. Poi, un lunedì, Monday non torna a casa. Durata 123 minuti. (The Space, Uci)

 

Smetto quando voglio – Ad honorem – Commedia. Regia di Sydney Sibilia, con Edoardo Leo, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti, Neri Marcorè e Luigi Lo Lascio.Terzo e ultimo capitolo della fortunata saga sulla banda di ricercatori, vittime della crisi e di un precariato che va sempre più stretto a chi può mettere in campo lauree con ottimi voti, che abbiamo conosciuto come inventori di una droga sintetica legale e in seguito come collaboratori in incognito della polizia: oggi sono in procinto di evadere tutti quanti insieme di prigione per ritrovarsi dove tutto è cominciato, alla Sapienza di Roma, per contrastare l’ultimo nemico, il crudele e pericolosissimo Mercurio. Durata 96 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, The Space, Uci)

 

The Place – Drammatico. Regia di Paolo Genovese, con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Giulia Lazzarini, Silvio Muccini, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Alessandro Borghi. Un film corale, un’ambientazione unica, una bella carrellata di attori italiani per altrettanti personaggi che Paolo Genovese – l’autore di quel piccolo capolavoro che è “Perfetti sconosciuti” – ha basato su una serie americana, ripensata e adattata, “The Booth at the Edge”, creta dall’autore e produttore Christopher Kubasik nel 2010. Un uomo misterioso, giorno e notte ospite abituale di un bar, con il suo tavolo sul fondo del locale, e personaggi e storie che a lui convogliano, di uomini e donne, lui pronto a esaudire desideri e a risolvere problemi in cambio di alcuni “compiti” da svolgere. Tutti saranno pronti ad accettare quelle richieste? Durata 105 minuti. (Ambrosio sala 3, Greenwich sala 2, Uci)

 

The Big Sick – Commedia drammatica. Regia di Michael Showalter, con Zoe Kazan, Kumail Nanjiani e Holly Hunter. È l’autobiografia del protagonista maschile del film, un giovane comico che di giorno a Chicago guida il suo taxi per conto di Uber e che la sera si fa conoscere nei piccoli club della città. La famiglia crede molto in lui, ritenendolo uno studente di successo e un ragazzo destinato al miglior partito pakistano che si possa immaginare. Sino al precipitare delle cose, l’amore che unisce Kumail e Emily, bianca e ancor più sposata, la malattia di lei, le due diverse famiglie che si ritrovano allo stesso capezzale. Durata 120 minuti. (Ambrosio sala 2, Centrale V.O., Due Giardini sala Ombrerosse)

 

The broken Key – Fantascienza. Regia di Louis Nero, con Andrea Cocco, Geraldine Chaplin, Rutger Hauer, Franco Nero, Christopher Lambert e Michael Madsen. Nel futuro descritto dal film la carta è diventata un bene prezioso, quindi è proibito stampare e le biblioteche sono luoghi cui pochi studiosi possono accedere. L’arrivo in Italia di un celebre accademico è l’occasione per indagare su una serie di delitti, con strane testimonianze e indizi che scomodano Dante e Hieronymus Bosch. Girato in parte a Torino e in località facilmente riconoscibili dal pubblico piemontese. Solita compagnia di celeberrimi attori che da sempre (ri)vivono nel cinema di Nero. Durata 120 minuti. (Ideal)

 

The Square – Drammatico. Regia di Ruben Östlund, con Elisabeth Moss, Dominic West, Claes Bang, Terry Notary e Linda Anborg. Palma d’oro all’ultimo Cannes. Protagonista del film è Christian, curatore di un importante museo di Stoccolma, divorziato e amorevole padre di due bambine, sempre all’inseguimento delle buone cause. Nel museo c’è grande fermento per il debutto di un’installazione, “The Square”, che invita all’altruismo e alla condivisione (“il quadrato è un santuario di fiducia e altruismo”): ma quando gli vengono rubati il cellulare e il portafoglio per strada, Christian reagisce in modo scomposto. Nel frattempo, l’agenzia che cura le pubbliche relazioni del museo crea un’inaspettata campagna pubblicitaria a promuovere l’installazione, ottenendo una risposta da parte del pubblico che manda in crisi sia Christian che il museo stesso. Strano e brillante, pieno di interrogativi, simpatico (si ride! si ride!), certo meno “chiarito” rispetto a quel “Forza maggiore” che ci aveva fatto conoscere il regista svedese all’interno del TFF, da guardare (e da ammirare) con occhio decisamente interessato non nella sua complessità ma nei grumi di scene che via via si susseguono e si solidificano, tra il filosofico e il divertito (eccezionale la scena della performance dell’uomo scimmia, costellata dalla curiosità e dallo scetticismo e dalla allegria attenta del pubblico, pronti a farsi terrore), nello sguardo ironico buttato sulla pochezza e sulle turlupinatura di certa arte contemporanea (i vari mucchietti di sabbia che danno vita ad una installazione recuperati in un sacco della spazzatura da un addetto alle pulizie). Durata 142 minuti. (Massimo sala 1 anche in V.O., Nazionale sala 1)

 

Una questione privata – Drammatico. Regia di Paolo e Vittorio Taviani, con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy e Valentina Bellè. Dal romanzo di Beppe Fenoglio. “Over the rainbow” è il disco più amato da tre ragazzi nell’estate del ’43. Si incontrano nella villa estiva di Fulvia, che gioca con i sentimenti di entrambi: con quelli di Milton, pensoso e riservato, con quelli di Giorgio, bello ed estroverso. Un anno dopo Milton, partigiano, si ritrova davanti alla villa di Fulvia ormai chiusa, il custode lo riconosce e insinua un dubbio, che Fulvia, forse, abbia avuto una storia con Giorgio. Ogni cosa pare fermarsi per il ragazzo, la vita, le amicizie, la lotta partigiana, è ossessionato dalla gelosia e vuole scoprire la verità. Deve ritrovare Giorgio ma l’amico di un tempo è stato fatto prigioniero dai fascisti. Atmosfere tavianiane, le colline delle Langhe scambiate con montagne della val Maira, tutto pare molto teatrale ma come privo di anima, sognano l’età dell’oro della “Notte di San Lorenzo” che non arriva, la Bellè e Richelmy sono due belle quanto insignificanti statuine, Marinelli unico cerca di costruire veri sentimenti. Meglio tornare alla scrittura di Fenoglio. Durata 84 minuti. (Romano sala 1)

 

Vittoria e Abdul – Drammatico (ma piuttosto commedia). Regia di Stephen Frears, con Judy Dench, Ali Fazal, Michael Gambon e Olivia Williams. Nel 1887 Abdul lascia l’India per Londra, per poter donare alla regina settantenne, sul trono da oltre cinquant’anni, una medaglia, proprio in occasione del suo Giubileo d’Oro. La sovrana è attratta dalla cultura che l’uomo porta con sé, dalla sua giovinezza e dalla prestanza, contro lo scandalo che il suo nuovo amico semina in tutta la corte, che non esita a bollarla come pazza. Più “storiucola” che Storia, a tratti imbarazzante per quell’aria di operetta senza pensieri che circola all’interno: naturalmente per il regista di “Philomena” (da ricordare) e di “Florence” (da dimenticare) il ventiquattrenne Abdul è senza macchia, la vecchia e inamidata corte inglese da mettere alla berlina e allo sberleffo, il piccolo entourage regale che grida “sommossa” se ne ritorna tranquillo a servire la vecchia sovrana. Ma ci voleva ben altro polso e visuale, e qui Frears ha tutta l’aria di voler andare in pensione. Durata 112 minuti.           (Romano sala 3)