CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 714

TheGIFER – Occhio, arrivano le GIF

CONTEMPORANEA / di Maria Cristina Strati

Avete mai pensato a quali e quante sperimentazioni si possono mettere in atto attraverso le nuove modalità espressive a cui la rete e il mondo del web 3.0 e 4.0 ci consentono di accedere?

strati-gifer2Il prossimo 2 novembre a Torino si inaugurerà un festival molto particolare. Si tratta del primo festival internazionale che si ripromette di raccontare la Gif art, cioé quella che gli stessi organizzatori definiscono come “l’avanguardia artistica degli anni dieci”.

Il festival si svolgerà a Torino dal 2 al 6 novembre, nel bel mezzo della settimana ormai tradizionalmente dedicata all’arte contemporanea, e si snoderà in differenti orari e location in giro per la città. Per ben cinque giorni, tra una fiera e l’altra e un giro in galleria, i visitatori potranno godere di mostre, convegni, feste e molto altro tutti incentrati sul tema delle gif intese come espressioni artistiche a tutto tondo.

L’iniziativa prende le mosse da un dato di fatto: la gif art è un vero e proprio fenomeno artistico di oggi. Nato tra le maglie della rete in tempi recentissimi, la gif art interessa artisti di ogni parte del mondo.

Anche se forse non tutti sanno che cosa esattamente significhi il termine GIF (che sta per Graphics Interchange Format), oggi le gif affollano abitualmente le timelines dei nostri social preferiti e sono venute a far parte della nostra normale e quotidiana percezione delle immagini.

Per intenderci, avete presente quando, nei primi anni del duemila, uscirono i film di Harry Potter? Ecco, e ricordate le immagini sulla Gazzetta del Profeta, che apparivano magicamente animate, perché si muovevano in loop? Ecco, anche senza bacchette e formule magiche, ora quel tipo di immagini, le GIF appunto, anche se non andiamo a Hogwarths, ce le abbiamo anche noi. Anzi, la loro circolazione e diffusione è stata fulminea a pervasiva al punto da farle diventare immediatamente un appetibile banco di prova per artisti e creativi di tutto il mondo.

In realtà, dal punto di vista informatico, le gif non sono esattamente una novità. Sono state inventate da almeno un trentennio e già da tempo circolavano su social come Tumblr. Tuttavia è solo di recente (forse da quando sono state implementate su Facebook?)che le gif sono entrate a far parte in modo massiccio della nostra quotidiana percezione delle immagini.strati-gifer

Da qui a fare della gif una possibile opera d’arte il passo è stato breve e la gif-art si è presto affermata come forma specifica di espressione creativa, in grado di fondere in sé due realtà del nostro vivere quotidiano: le immagini e la rete.

L’ambizione del festival torinese è quindi duplice. Da un lato si tratta da un lato di portare la gif art al di fuori della rete, dandole così la consistenza concreta del fenomeno non solo on ma anche off line. Ma poi la volontà è quella insieme di riflettere su quanto accade e, in senso buono, storicizzare il fenomeno gif art, riconoscendogli senza mezzi termini lo statuto di manifestazione artistica contemporanea a tutti gli effetti.

Il discorso è interessante, divertente, molto attuale. Ma soprattutto ha il merito di provocare nuove domande circa la sperimentazione artistica contemporanea, provando a delineare il panorama possibile di un mondo futuro che ci aspetta, e che in parte è già qui.

www.thegifer.org

 

http://www.thegifer.org/

 

 

 

Lucky Luke, il cowboy solitario dei fumetti

Un cowboy solitario , dall’aria ironica, scanzonata e dal ciuffo ribelle, cavalca su “Jolly Jumper”, il suo bianco cavallo dalla criniera bionda, su piste aride e polverose, a caccia di banditi e, soprattutto, dei fratelli Dalton. Con queste premesse, Lucky Luke è entrato di diritto tra i classici del fumetto western. Nato dalla penna del belga Maurice de Bévère – meglio conosciuto con lo pseudonimo di Morris – , apparve per la prima volta  settant’anni fa, nel 1946, in una storia intitolata “Arizona 1880” ma, dopo pochi episodi, ai testi  lo sostituì René Goscinny ( il “papà” di Asterix) che, come sceneggiatore, diede una spinta decisiva alla serie a partire dal 1955.

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Goscinny sviluppò in maniera brillante anche i comprimari delle storie di Lucky Luke: il suo cavallo “parlante”, Jolly Jumper; i fratelli Dalton (Joe, William, Jack ed Averell), quattro malviventi tanto determinati quanto inconcludenti; Rantanplan, il “cane più stupido del mondo“. Nei paesi della frontiera, tra deserti e fitte foreste, la fama di Lucky Luke diventò nota ad ogni angolo: veloce più di tutti con la pistola non rinunciava a risolvere le situazioni ricorrendo all’astuzia ed evitando fin quando possibile il ricorso alle armi. L’abbigliamento di Lucky Luke è quello dei cowboys dell’ovest degli Stati Uniti d’America, il cosiddetto vecchio West: camicia gialla e gilet nero, fazzoletto rosso al collo, jeans e un paio di stivali con speroni, cappello bianco e sigaretta pendente tra le labbra ( fino a quando,  negli anni ’80, Morris decise di farlo smettere di fumare, sostituendo il mozzicone con un filo d’erba). lucky2Una curiosità : per il nome Morris si ispirò a quello di Luciano Locarno, sceriffo di origine italiana che visse tra il 1860 e il 1940. Oltre al fumetto sono state realizzate diverse serie animate, una serie Tv e due film diretti e interpretati da Terence Hill e Jean Dujardin. Ma sono i fumetti a fare davvero la storia. Decine e decine di albi d’avventure dove, accanto a Lucky Luke, sono comparsi anche personaggi “storici” del vecchio west (da Billy the Kid a Calamity Jane, da Buffalo Bill a Jesse James). Dopo la morte di Goscinny, nel 1977, in molti si cimentarono ai testi che accompagnavano le striscelucky3 disegnate da Morris. Nel 2001 venne poi a mancare anche il creatore di Lucky Luke che, dall’inizio della sua lunga avventura, era stato il suo unico disegnatore. Prima di morire, il fumettista belga, espresse la volontà che la serie proseguisse anche dopo la sua scomparsa. Fu così che nacquero  “Le avventure di Lucky Luke dopo Morris”. Ai testi si sono misurati Laurent Gerra, Daniel Pennac e Tonino Benacquista, mentre , per i disegni, l’erede dell’autore belga è stato individuato in Achdé (pseudonimo di Hervé Darmenton). Grazie a loro, a settant’anni dalla sua prima apparizione – tra fuorilegge, indiani, deserti e malfamatisaloon – il cowboy solitario continua ancora oggi a cavalcare. E, come nel finale di ogni storia, lo vediamo allontanarsi al calar del sole cantando “I’m a poor lonesome cowboy… far away from home…”( “Sono un povero cowboy solitario…lontano da casa” ).

Marco Travaglini

Alpini dell’Ultima Guerra: reduci, figli, nipoti, e tante memorie

alpini-motellaSe scrivo questo articolo, posso farlo per due motivi: uno semplice e poco affascinante per il lettore, l’altro molto più coinvolgente. Il primo: lo stato di salute e la passione per la scrittura mi permettono ancora di farlo. Per il secondo, bisogna ripensare all’ultima guerra. Mio padre Renato (nella foto, il primo a sinistra, ad Aosta, con altri commilitoni, poco tempo prima della partenza per la Grecia), nei primi anni ’40, appartenne per molto tempo, suo malgrado, al glorioso Battaglione Intra che “…. all’epoca inquadrato nel 4° Reggimento Alpini della Divisione Taurinense, non venne più ricostituito, restando così nei ricordi di coloro che ne fecero parte, in pace e in guerra “ (“C’erano un tempo gli alpini del Battaglione “Intra” “, da Il Torinese, 31 luglio 2016). Dopo numerose vicissitudini, per narrare le quali ci vorrebbero (e ci sono voluti) interi volumi di storia, un numero impressionante di morti e di feriti, si arrivò all’armistizio dell’8 settembre 1943: le Penne Nere del Battaglione Intra subirono confusione e sbandamento, costretti a scontrarsi con i Tedeschi, fino a poco prima alleati. Dopo aver combattuto in Grecia e Albania, gli stessi Alpini si trovarono in Montenegro: molti di loro furono vittima dei tedeschi o deportati nei campi di concentramento, altri riuscirono a rientrare in Italia, alcuni direttamente a casa propria.  Altrimenti, a metà giugno ’45, io non avrei potuto nascere: giusto in tempo per “sentire l’eco” delle bombe atomiche sganciate, come tutti sanno, su Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto rispettivamente). Come ha scritto Franco Verna, tenente del Battaglione, decorato al Valor Militare “….. ad illustrare invece ai giovani che troppo poco sanno di storia patria, le vicende di quel battaglione che, nei suoi 35 anni di storia intensa e drammatica, fu formato dai figli del Verbano, del Cusio, dell’Ossola del Luinese e del Varesotto”. Ma, qualcuno di loro, c’è ancora: nella foto, il penultimo da sinistra, è Angelo Tonetti, ora novantaquattrenne: anche lui originario della Valle Intrasca, come l’amico Renato, scomparso invece per infarto, ormai da più di 20 anni, nel letto di casa.  In guerra, il Tonetti, è stato più sfortunato: oltre a subire una ferita non da poco, fu spedito in Germania a lavorare nelle miniere di carbone. Mi ricordo qualche traccia di aneddoto che mio padre mi raccontava, quando ero un giovincello, come quello della neve e del ghiaccio abbondante, contro i quali bisognava pure combattere o delle incursioni notturne di qualche drappello di nemici, accampati nelle vicinanze, per rubare i rubinetti delle pompe per l’acqua potabile: credevano, almeno così lui mi raccontava ridendo, che dal rubinetto potesse sgorgare direttamente l’acqua!

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Una digressione “geografica” per chiarire alcuni termini, specialmente per chi non è “delle nostre parti”: la città di Verbania, fu così denominata riunendo le due frazioni Intra e Pallanza (oltre ad altre più piccole) nel 1939, per Regio Decreto: divenne poi capoluogo di provincia (del Verbano Cusio Ossola) nel 1992. Molti “non autoctoni” fanno ancora confusione tra i vari nomi. Volete ridere: qualcuno (scripta manent) mette Verbania, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore: va bene che il tragitto Verbania – Laveno, col battello o col traghetto è breve ma…. noi siamo di qua! La Brigata Alpina “Taurinense” (chiarimento etimologico) è una delle Grandi Unità specializzate per il combattimento in montagna. Costituita come Raggruppamento Alpino nel 1923, assunse la denominazione attuale nel 1934. Fu impiegata nel corso della seconda guerra mondiale, prima al fronte occidentale e quindi in Montenegro, dopo l’armistizio concorse alla formazione della Divisione Italiana Partigiana “Garibaldi”. L’aggettivo “taurinense” non compare sui vocabolari. Eppure si è usato e si usa tuttora, la radice “taur” ha diverse interpretazioni; una definitiva fondazione di Augusta Taurinorum, avvenne grazie ad Augusto che, intorno al 28 a.C., ne fece una colonia, il cui impianto urbano (castrum= accampamento), divenne poi Torino.

Elio Motella

Foto 1: Gruppetto di Alpini per le strade di Aosta, prima di partire per il fronte.

Foto 2: Monumento “all’alpino mai tornato” posato recentemente in P.za Flaim a Intra.

“Amore, conoscenza, distacco”

alessia-2Da questa settimana il Torinese inizia a pubblicare alcune  poesie di Alessia Savoini. Nasce nel 1994, a Borgomanero. Trascorre la sua adolescenza fluendo negli sguardi di artisti e nel respiro di antichi poeti, soffocando nei polmoni l’umido sudore degli alberi, in quella zona tra i due laghi, in cui permarrà fino a poco dopo il diploma, conseguito nel 2012 presso il liceo Scientifico.Vive un anno a Biella, per poi trasferirsi definitivamente a Torino, dove frequenta il corso di laurea in Educazione Professionale. E’ autrice di una raccolta di poesie, che prese forma nel 2009, ed è affascinata da tutto ciò che è arte, espressione e segue lo stile di vita dello yoga.È uno spirito libero in continuo fluire, ama venire a contatto con più realtà possibili e rimodellarsi ogni qualvolta una nuova dimensione individuale si incontra con la sua, senza perdere i valori di base. Promotrice del lasciarsi emozionare, con le sue poesie, avverse alla rigidità della metrica, si reinventa nel mestiere di emozionatrice.

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“Amore, conoscenza, distacco

alessiaC’era una volta, in un definito punto del respiro cosmico, l’intima illusione di rimanere. Solo l’audace nel suo ammirare il blu cielo si chiede quanto lontano stia guardando e il suo fluire scorre nelle vene dell’universo. Pulsa nell’esplosione delle stelle e scalpita nei piedini del feto, che si fa largo nel grembo della madre terra, a germogliar sulle più alte vette un seme, a cui prima o poi verrà voglia di svegliarsi.

Sul monte un’altalena. Andare forte era ragion per cui, toccare con la punta dei piedi quell’astrazione che crea un vuoto nostalgico, il confine tra un posto sentito come sicuro e ciò che non ci è concesso vedere. In quel background di allucinazioni, tornare indietro è violento, ma stare vicino è logorante e fa male. Quanto tempo ancora si può godere di questo altalenarsi?

Che importa se distanti il mondo non accorcia le sue misure. Potrei innamorarmi di chiunque nello sguardo rifletta il panorama del mondo, di cui è bello far parte senza sentirsi appartenere. E quello sguardo sul mondo, quello stesso panorama che scrutano i miei occhi, in una vastità di realtà quante sono le entità a crearla, lo osservo nei tuoi, buchi neri in cui scivola il colore d’iride, portali d’accesso al tuo microcosmo e sentirmici a casa. Ti guardo e scorgo tutte le possibili esistenze in cui avrei scelto quell’illusorio punto dello spazio – tempo in cui saremmo esistiti insieme. E sapere che in ogni altrove ti potrei solo amare.

Alessia Savoini

IL TORINESE – RIPRODUZIONE RISERVATA

Terre d’Acaia, visioni e strategie

piemonte italiaSi chiama “Terre d’Acaia, visioni e strategie per il vero Piemonte”. E’ un volume che raccoglie le linee guida dell’omonimo progetto che vuole promuovere, attraverso un brand, l’identità del Pinerolese, in particolare del territorio tra Pinerolo e Fossano. Il volume viene presentato giovedì 27 ottobre, a mezzogiorno, nella sala stampa della Regione Piemonte, in piazza Castello 165. Il testo è curato da Giancarlo Chiapello e prima di vedere la luce è stato preceduto da tre anni di lavoro, moltissimi incntri e decine di volontari coinvolti, dopo che l’idea era stata lanciata dal centro studi Silvio Pellico di Cercenasco. Interverranno, oltre a Chiapello, l’assessore regionale Alberto Valmaggia, i rappresentanti dei comuni e delle associazioni del territorio, il critico enogastronomico Jacopo Fontaneto ed il designer Mario Fina.

Massimo Iaretti

 

Massimo d’Azeglio. Un artista in politica

dazeglio-1Per iniziativa del Centro Studi Piemontesi e della Fondazione Luigi Einaudi, lunedì 24 ottobre 2016, genetliaco di Massimo d’Azeglio, in Palazzo d’Azeglio, Via Principe Amedeo 34,  Torino,alle ore 17:  Introduzione alla storia di Palazzo d’Azeglio, sede della Fondazione Luigi Einaudi, di Guido Mones e alle 17.30, presentazione del volume di Maria Teresa Pichetto e Giorgio Martellini, Massimo d’Azeglio. Un artista in politica. Prefazione di Georges Virlogeux Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2016. Intervengono: Maria Teresa Pichetto, Bruno Quaranta, Rosanna Roccia. Coordina Albina Malerba. A distanza di quasi trent’anni, nell’anno del 150° della scomparsa di Massimo d’Azeglio, il Centro Studi Piemontesi (editore del monumentale Epistolario azegliano, curato da Georges Virlogeux, giunto al nono volume dei dodici previsti) propone la ristampa aggiornata dell’opera: il racconto del percorso (1798-1866) di un uomo di successo, anticonformista e amabilmente autoironico, di affascinante versatilità. Pitor ëd mësté, come amava autodefinirsi, autore di fortunati romanzi come l’Ettore Fieramosca, politico lungimirante e onesto, D’Azeglio visse romanzeschi amori; ebbe duraturi sodalizi di amicizia e stima con Cesare Balbo, Tommaso Grossi e Carlo Alberto; fu protagonista di conflitti e contestazioni con Pio IX, Gioberti, Guerrazzi e Giusti; e si trovò ad essere attore spregiudicato e spettatore disincantato di più di cinquant’anni di vita delle città italiane che furono l’epicentro dei grandi cambiamenti politici e sociali dell’Ottocento.

Info: tel. 011/537486; info@studipiemontesi.it; www.studipiemontesi.it

 

Toulouse Lautrec e le meraviglie parigine fine secolo

toulouse-lautrec-torinoApre la mostra ‘La Belle Epoque’, con 170 opere di Toulouse Lautrec provenienti dall’Herakleidon Museum di Atene: dal 22 ottobre al 5 marzo a Palazzo Chiablese di Torino. L’esposizione è promossa dai Musei Reali di Torino e Arthemisia Group, ed è organizzata per temi proprio per offrire una panoramica della vita di Lautrec e dell’atmosfera bohemienne  della Parigi di fine secolo. Nell’allestimento anche alcuni tavolini da bistrot per rendere il clima. Le prime 4 sezioni sono dedicate alle Notti parigine, poi le stanze dedicate ai Cavalli, animali amati e dipinti da Lautrec, I disegni, Le collaborazioni editoriali, Gli amici intellettuali.

La dama in rosso:il delitto che ha smosso il perbenismo sabaudo

CRIMINI & MISFATTI ALL’OMBRA DELLA MOLE

A tutti affascina l’oscuro. C’è chi lo insegue, lo rincorre e chi, invece, ne ha paura e lo guarda da lontano, ma come un magnete si sente attratto e combatte con tutte le sue forze per non caderci dentro.

L’oscuro è l’altra parte di noi, quella che ci spinge verso il basso, verso la distruzione. Qualsiasi sia la nostra posizione a riguardo, quella parte di noi esiste. Ed proprio quella parte che aveva preso il sopravvento nella quotidianità di Franca Demichela. Quarantotto anni, il portafogli pieno di carte di credito, un cognome tanto altisonante quanto ingombrante. Una vita di eccessi, intervallati da una routine grigia e poco soddisfacente. Il suo corpo senza vita fu ritrovato in una discarica, sulla strada che porta a Moncalieri, una domenica pomeriggio di fine estate. Il medico legale dirà che la causa della morte è “un’asfissia polmonare dovuta a strangolamento”. Torino la ricorda come “la dama in rosso”, per quell’abito di seta a balze che indossava quando, pallida e ormai senza vita, fu ritrovata da un barbone. Non è mai stato trovato un colpevole per quest’omicidio e, stranamente, anche sfogliando le pagine dei giornali, non si riesce a trovare molto su questa vicenda, se non qualche riga sulle insolite abitudini della bella signora della collina. Eh già, perché Franca Demichela conosceva i piani alti della società torinese, ma altrettanto bene conosceva quelli bassi. Amava stupire e creare scompiglio. Amava alimentare il chiacchiericcio, ma soprattutto amava sapere che, fin quando quel chiacchiericcio esisteva, voleva significare che la sua piccola e personale lotta al perbenismo si stava compiendo. Girava per i bar, per i locali notturni, per le boutique con accompagnatori insoliti, nomadi, slavi. Era spesso in compagnia di prostitute. Niente che ci si aspetti dalla figlia di uno dei più grandi dirigenti della Fiat. Il bipolarismo della sua vita si è andato via via scontrando con la sua irrequietezza d’animo, e quelle due facce di sé, prima energicamente tenute distanti, ora si stavano confondendo e fondendo. Probabilmente questi eccessi non si limitavano a qualche passeggiata sotto i portici della città con persone poco raccomandabili; probabilmente la trasgressione della notte aveva preso il sopravvento. Lei stessa diceva di sé “sono magica e immortale, la reincarnazione di Nefertiti, la dea Egizia”. Si definiva quindi la regina della notte, ma quella notte l’ha pian piano inghiottita. Dalle poche informazioni che si hanno su quest’evento tanto tragico, quanto misterioso di sicuro si possono dedurre i conflitti, prima di tutto interiori, vissuti dalla donna. L’eccesso, in tutte le sue forme, nasconde l’instabilità. Alcune volte nella sua forma sana, quella necessaria all’uomo per darsi una scossa e promuovere un cambiamento personale, altre volte nella sua forma malata, patologica, quella che lo porta ad essere sempre “di più”, sempre più beffardo della vita, sempre più oltre il limite. E così la droga, l’alcol, il sesso con uno sconosciuto e a pagamento divengono un modo per sentirsi liberi. Nefertiti si sentiva oppressa in un ruolo non suo, la sua mente, ormai, sembrava vagasse nella fantasia di una vita senza catene. Da donna e nel rispetto di una donna non credo sia questa la sede dove potersi dilungare in diagnosi psicologiche fittizie e post mortem, mi sento, però, di riconoscere che quella “vita” così ostentata probabilmente nascondeva un vuoto abissale in cui non era difficile perdersi. E probabilmente di fronte a questo vuoto così magicamente camuffato si sentiva inerme anche Giorgio Capra, marito sulla carta, estraneo nella quotidianità. Dal 1977 i due erano legati da questo sacramento che di sacro aveva ben poco. La donna lo maltrattava di continuo, incurante della gente che poteva ascoltare, lo sbeffeggiava e derideva. Lui, uomo mite, contabile della stessa azienda di cui il suocero gestiva i piani superiori, quegli stessi piani di cui la moglie conosceva ogni segreto e chiave d’accesso e che lui guardava da lontano. Succube di un amore che lo ha travolto. Succube di una donna che lo ha travolto anche morendo. Lui il giorno, piovoso, grigio e freddo, lei la notte magica, misteriosa, passionale. Passione, che non li ha mai visti complici. Probabilmente una coppia con istinti capaci di intrecciarsi in un modo tutto loro, dove il vittimismo e la sudditanza da un lato e il sadismo e la violenza dall’altro, diventano l’unica forma di piacere.

Quando ci si trova dinnanzi ad una personalità così tanto variegata è facile immaginare i moventi plausibili che possano aver condotto all’omicidio. Ma perché il colpevole non è mai stato trovato? Era il 1991, la polizia non possedeva ancora gli strumenti tecnologici adatti per analizzare le prove e probabilmente è stata anche un po’ sfortunata. Perché in un’indagine non bastano i sospetti e quando le poche prove che si hanno si dirigono tutte in un’unica direzione è facile perdere di vista le altre mille esistenti. Cerchiamo ora di ricostruire insieme gli ultimi momenti di vita della donna. Era sabato sera, un altro sabato sera di divertimento. Una volante della polizia sostiene di aver visto, intorno alle 23.30, la donna in macchina accompagnata da tre slavi. Questi tre uomini (uno dei quali allora minorenne) hanno riferito, poi, di aver lasciato la donna in piazza San Carlo intorno all’una perché lei aveva un appuntamento con una persona di cui non conoscevano l’identità. La versione è stata confermata dal cameriere del bar della piazza il quale ha riferito che intorno allo stesso orario la donna avrebbe salutato gli amici e sarebbe salita sulla sua auto, una 126. Intorno alle due di notte una vicina di casa della donna riferirà poi di aver sentito le urla provenire dal portone di casa. Era un litigio. La voce della donna gridava:“Bastardo, ti faccio vedere io!” e una voce maschile replicava: “Ma io ti faccio interdire!”. Furono, nei giorni a seguire, immediatamente fermati i tre slavi rilasciati poi per insufficienza di prove. Il marito per quella sera aveva un alibi: dormiva dai suoi genitori. Quest’alibi verrà poi scardinato e messo in discussione, ma anche il ritrovamento dei gioielli della donna all’interno della macchina del marito non fu ritenuta una prova valida per convalidare il fermo. Era, infatti, plausibilmente vera la versione data dall’uomo, e cioè quella di tutelare la famiglia ed evitare che la moglie spendesse e continuasse a vendere, per il suo divertimento, tutti beni da loro posseduti.

Nessun colpevole, ma una donna strangolata. La testimonianza della vicina di casa, probabilmente l’indizio più importante, venne ritenuta attendibile ed è su quest’attendibilità che si dovrebbe far convergere l’attenzione. Il linguaggio usato nella lite era un linguaggio confidenziale, entrambi erano nel portone di casa della vittima quindi si presume che la donna conoscesse l’assassino. Si potrebbe a questo punto controbattere che la Signora era solita far salire anche sconosciuti a casa sua per pagarsi le sue ore di piacere, ma le parole usate dall’uomo indicano un legame. Quale sconosciuto userebbe la parola “interdire”? L’interdizione implica anche un tornaconto. Se una persona è pazza, posso chiedere l’interdizione per evitare che faccia qualche danno, a se stessa, agli altri e a me. Ad esempio se la vittima, con i suoi comportamenti, a tratti psicotici e deliranti, stava sperperando un patrimonio, qualcuno che l’amava magari voleva evitare che cadesse in rovina. La parola “interdizione”, inoltre, implica, una buona conoscenza della lingua, di conseguenza risulta difficile attribuirla a persone extracomunitarie. Lo strangolamento, come scelta per uccidere, nasconde sentimenti irrisolti di rabbia e rancore. È un omicidio non premeditato, impulsivo, fatto sulla scia di uno stato di coscienza presumibilmente alterato. Cosa poteva aver fatto la vittima per generare una reazione così tanto violenta? Di sicuro tale violenza non è legata ad una singola azione o gesto; con molta probabilità l’assassino covava questo sentimento già da tempo. Del resto anche gli inquirenti sospettavano che i vari soprusi subiti dal marito fossero il motivo per cui, esasperato, poteva esser giunto alla messa in atto di un reato. Non si vuole qui accusare nessuno né ipotizzarne il coinvolgimento in questa vicenda, ma credo che un possibile motivo per cui non è mai stato trovato un colpevole, sia riconducibile al fatto che le indagini non sono mai state, “allargate” al resto delle persone con cui la donna aveva un legame. Un legame di sangue, o di affetto o di lavoro. Ma un vero legame. Un legame così forte da giustificare tanta rabbia. Non per niente si definisce l’omicidio“il reato più intimo”. Erano così tanti gli intrecci possibili, i contatti e le conoscenze che la donna aveva, che i poliziotti si sono trovati di fronte ad un mare di sospetti che si dissolsero tragicamente nel nulla,perché erano così tanti quanto confusi e vaghi. Nefertiti vagava per le strade di notte, faceva nascere sorrisi, dispensava sogni. Di giorno, invece, erano tutti un po’ più adirati con lei.

Teresa De Magistris

Oggi al cinema

Le trame dei film nei cinema di Torino 

A cura di Elio Rabbione

 

Alla ricerca di Dory – Animazione. Regia di Andrew Stanton e Angus MacLean. Una festa per i piccoli, e non soltanto. A tredici anni dal successo planetario di “Alla ricerca di Nemo”, ecco che oggi è la pesciolina Dory a prendere il sopravvento sulla terna dei protagonisti di un tempo, mentre nuovi caratteri marini s’aggiungono. In una lunga traversata tra Australia e California, Dory cercherà di accettare quella smemoratezza che la perseguita, anche con l’aiuto di vecchie conoscenze, dallo squalo balena Destiny che causa la miopia va a sbattere da ogni parte al polpo Hank, nervoso quanto basta, a Bailey, beluga migliore di tutti. Durata 97 minuti. (Massaua, The Space, Uci)

 

america-pastor-filmAmerican Pastoral – Drammatico. Regia di Ewan McGregor, con Ewan McGregor, Jennifer Connelly e Dakota Fenning. Tratto dal romanzo di Philip Roth, è la storia di Seymour Levov, detto “lo svedese”, un uomo cui la vita ha regalato tutto, il successo non soltanto sportivo, una fortunata carriera come imprenditore, una moglie ex reginetta di bellezza, una famiglia di cui andare fieri. Il classico americano self-made man. Fino al giorno in cui questo mondo perfetto – siamo nel 1968 – scoppia e va in frantumi, allorché la figlia sedicenne, che appartiene ad un gruppo terroristico, fa esplodere un ufficio governativo procurando la morte di un uomo. Durata 108 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Massimo sala 1, The Space, Uci)

 

I babysitter – Commedia. Regia di Giovanni Bognetti, con Diego Abatantuono, Francesco Mandelli e Paolo Ruffini. L’ex sceneggiatore di “Belli di papà” si cimenta adesso con la notte brava del giovane Andrea, cui un padre dai troppi impegni affida il proprio ragazzino piuttosto vivace. Ma che succede se la villa di famiglia si può prestare benissimo a fare da sfondo alla festa di compleanno di Andrea? Durata 90 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

Bad Moms – Mamme molto cattive – Commedia. Regia di Jon Lucas e Scott Moore, con Kristen Bell e Mila Kunis. Moglie e madre, stressata dai doveri della casa e dell’ufficio, intercetta inaspettatamente due nuove amiche con cui condividere in allegria ogni loro responsabilità. Un’evasione tutta al femminile diretta dalla coppia tutta maschile che già aveva inventato l’irriverente “Notte da leoni”. Durata 101 minuti. (Massaua, The Space, Uci)

 

bridegt-filmBridget Jones’s baby – Commedia. Regia di Sharon Maguire, con Renée Zellweger, Colin Firth e Patrick Dempsey. Nuova avventura, tra i soliti problemi di peso e il sonno perso per qualche ritocchino di troppo, per l’imbranatissima single ultraquarantenne, portabandiera di una buona parte dell’universo femminile. Scomparso il bel tenebroso Hugh Grant, Bridget si ritrova ancora una volta a fare i conti con l’aristocratico Colin e, nuovo acquisto e rimpiazzo, con il facoltoso Patrick (tirato fuori da “Grey’s Anatomy”), nella speranza di affibbiare un padre al pargolo che è in arrivo. Sembra che si torni al divertimento della prima puntata della serie, quella “del diario” e che si siano abbandonati “i pasticci” davvero enormi del seguito. A tutti i fan, provare per credere. Durata 122 minuti. (Reposi)

 

Café Society – Commedia. Regia di Woody Allen, con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carrell e Blake Lively. Bobby, trentenne neyworkese e rampollo di una squinternata famiglia ebraica, dove circolano pure componenti malavitosi, corre a Hollywood per entrare a servizio dello zio, apprezzato agente di divi e divette. Si innamorerà della giovane segretaria di studio. Ma c’è già un altro nel suo cuore e le cose inevitabilmente si ingarbuglieranno. Uno sguardo al vecchio cinema, gli amori, le battute che piovono come se piovesse, tutto secondo i canoni di Woody, giunto bulimicamente al suo 47° film. Durata 97 minuti. (Ambrosio sala 2, Centrale V.O., Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Reposi, Romano sala 1)

 

cicogne-filmCicogne in missione – Animazione. Regia di Nichola Stoller e Doug Sweetland. Se una volta le cicogne portavano i bambini alle famiglie, oggi tutto è affidato ad una azienda specializzata e il motore è un sito di vendite on line. Junior con la voce del nuovo divo Federico Russo), il miglior impiegato dell’azienda, sta per ricevere una produzione quando per sbaglio attiva la Macchina Fabbrica-Bambini dando vita a una bimba non autorizzata. Prima che qualcuno se ne accorga, Junior con l’aiuto dell’amica Tulip (ha la voce di Alessia Marcuzzi) dovrà consegnare il prezioso fagotto. Durata 90 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2, Ideal, The Space, Uci)

 

Escobar – Drammatico. Regia di Andrea Di Stefano, con Benicio del Toro e Josh Hutcherson. Niente di meglio che una vacanza in Colombia per il giovane surfista canadese Rick, in mezzo a onde mozzafiato e lagune da favola. Ancor meglio se arriva l’amore con gli occhi della splendida Maria: finché un giorno la ragazza presenta il suo ragazzo allo zio, che di nome fa Pablo Escobar. Narcotrafficante, capace di far girare politica e economia del suo paese a proprio piacimento, ma anche padre premuroso nel raccontare favole ai figli, marito romantico verso una moglie cui dedica canzoni, cattolico oltre ogni dubbio che prega prima di una strage. La vita di Nick diverrà un incubo. Durata 120 minuti. (Greenwich sala 1)

 

Frantz – Drammatico. Regia di François Ozon, con Pierre Niney e Paula Beer. All’origine un testo teatrale, cui seguì nel ’32 un film di Lubitsch; oggi l’autore di “8 donne e un mistero” e di “Potiche” riprende il tema sottolineando le pagine del pacifismo. In un piccolo villaggio della Germania appena uscita dalla Grande Guerra, il giovane Adrien si reca in visita alla famiglia del ragazzo del titolo per chiedere a tutti il perdono per la morte che lui stesso ha causato in guerra. Non ne ha il coraggio, ma la presenza della fidanzata del defunto (la Beer è stata premiata a Venezia con il “Mastroianni” per questa interpretazione) lo spingerà verso una confessione: spetterà ad Anna accettare o no un nuovo futuro. Anche un omaggio all’antico bianco e nero. Eccellente la prova degli attori, ma sono soprattutto la delicatezza e l’esattezza che Ozon mette in ogni momento della storia a incantare. Durata 113 minuti. (Nazionale sala 2)

daniel-filmIo, Daniel Blake – Drammatico. Regia di Ken Loach, con Dave Johnson, Hayley Squires, Natalie Ann Jamieson. Un falegname di Newcastle, ormai sessantenne, è costretto un giorno a chiedere un sussidio statale per una grave crisi cardiaca. Il medico gli ha proibito di lavorare e Daniel si ritrova a rivolgersi all’assistenza pubblica, ormai privatizzata, per un riconoscimento di invalidità. La macchina burocratica inglese lo costringerà a cercare lavoro, per aprirgli una lunga strada di umiliazioni e di ricorsi. Ancora un esempio del cinema politico e della rabbia di Loach. Premiato a Cannes con la Palma d’oro. Durata 100 minuti. (Ambrosio sala 1, Centrale V.O., Eliseo, F.lli Marx sala Groucho, Romano, da venerdì 21 ottobre)

 

inferno-filmInferno – Azione. Regia di Ron Howard, con Tom Hanks, Felicity Jones e Omar Sy. Arrivati alla terza puntata, ormai gli intrighi di Dan Brown, la spettacolarizzazione di Howard e il faccione di Hanks/Robert Langdon, prezioso professore di simbologia ad Harvard che invecchia con saggezza sono una vera garanzia. A tutto questo s’aggiungano le cornici di Firenze Venezia Istanbul, gli enigmi che hanno inizio con la Sala dei Cinquecento e con l’affresco del Vasari, il capolavoro del Poeta, gli amici e i nemici che indossano differenti maschere, un virus letale di cui vorrebbe servirsi un pazzo per dare un taglio netto alla sovrappopolazione: molto, moltissimo materiale perché il pubblico, già prodigo verso il “Codice da Vinci” e “Angeli e demoni”, corra al cinema. Durata 121 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Chico, Greenwich sala 1 V.O., Ideal, Lux sala 2, Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

reacher-filmJack Reacher – Punto di non ritorno – Regia di Edward Zieck, con Tom Cruise e Robert Duvall. Personaggio inventato dallo scrittore Lee Child (il cinema aveva già considerato quattro anni fa “La prova decisiva”), Reacher è un ex maggiore della polizia militare, fuori di ogni inquadramento. Una nuova vicenda, questa volta tra Afghanistan e le gerarchie militari di Washington che hanno affibiato una accusa di spionaggio alla collega Susan Turner, colpevole d’aver messo il naso in certe questioni poco pulite. Durata 118 minuti. (Ideal, Lux sala 3, Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

Lettere da Berlino – Drammatico. Regia di Vincent Perez, con Emma Thomson, Daniel Bruhl e Brendan Gleeson. Tratto dal romanzo “Ognuno muore solo” di Hans Fallada, viene narrata la vicenda vera di Anna e Otto Hampel e della loro rivolta, silenziosa e pressoché anonima, al regime hitleriano, della loro esecuzione nel 1943. Hanno perso il loro unico figlio sul fronte francese e da quel giorno disseminano per le strade di Berlino cartoline che chiedono ai concittadini di ribellarsi. L’interpretazione di un massiccio Gleason vale da sola il prezzo del biglietto, per il resto una trasposizione diligentemente corretta e poco più. Durata 97 minuti. (Romano sala 2)

 

Mine – Azione. Regia di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, con Harrie Hammer, Tom Cullen e Clint Dyer. Al centro del deserto afghano, il militare Mike Stevens è bloccato, ad un soffio dalla morte: il suo piede sinistro poggia su una mina antiuomo, nessuna possibilità di movimento. Dovrà cercare di sopravvivere, nel fisico e nella mente, in attesa degli artificieri. Durata 106 minuti. (Lux sala 1, The Space, Uci)

 

Il missionario – La preghiera come unica arma – Regia di Marcelo Torcida, con Carlos Cabra e Carlos Echevarria. Juan è un adolescente pieno di rabbia, che mal sopporta i legami con la famiglia. Per la sua voglia di libertà non esita a mettersi nelle mani di spietati narcotrafficanti, precipitando sempre più in una vita dove gli incubi e la dura realtà della droga lo porteranno all’autodistruzione. Durata 90 minuti. (Uci)

 

neruda-filmNeruda – Drammatico. Regia di Pablo Larraìn, con Luis Gnocco, Alfredo Castro e Gael Garcìa Bernal. Il governo di Videla, nel Cile del 1948, incarica un poliziotto di inseguire e catturare lo scrittore Pablo Neruda, in fuga con la moglie. Tra realtà e poesia, un’opera che pone ancora una volta l’attenzione sul talento dell’autore di “Tony Manero”, del “Club” e del prossimo “Jackie”, presentato e premiato a Venezia. Durata 107 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Pay the ghost – Drammatico. Regia di Uli Edel, con Nicholas Cage. La storia di un professore il cui giovane figlio, durante una parata newyorkese di Halloween, scompare. Ad un anno di distanza inizia ad avvertire la presenza del figlio come pure scopre che ogni anno, coincidendo con la ricorrenza, un fantasma assetato di vendetta ricompare per rapire i bambini. Durata 90 minuti. (Uci)

 

Pets – Vita da animali – Animazione. Regia di Chris Renaud e Yarrow Cheney. Dai realizzatori di “Cattivissimo me”, per dare una risposta a quel dubbio più che possibile che può colpire i proprietari di animali: che cosa fanno gli animali domestici quando i padroni sono fuori casa? E inoltre. la tranquillità di un terrier sconvolta dall’arrivo di un enorme cagnone dal pelo arruffato, la vita e le insidie per le stravedi New York, un coniglio feroce che guida un drappello di animali in rivolta, un amore pronto a guidare tutti verso la salvezza. Durata 87 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Harpo, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Piuma – Regia di Roan Johnson, con Luigi Fedele e Blu Yoshimi. Nella vita di Cate e Ferro, alla vigilia della maturità, arriva inattesa una gravidanza che non coinvolge soltanto i diretti interessati ma anche le loro famiglie (quella “normale” del ragazzo, quella decisamente più squinternata di lei), la scuola, il gruppo di amici che hanno già programmato il sacrosanto viaggio dopo gli esami, il lavoro che sarà l’ultimo ad arrivare. In un modo o nell’altro, tra un sentimento di ribellione e uno di responsabilità, i due ragazzi dovranno trascorrere i fatidici nove mesi. Durata 98 minuti. (Eliseo blu, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

qualcosa-nuovo-filmQualcosa di nuovo – Commedia. Regia di Cristina Comencini, con Paola Cortellesi, Micaela Ramazzati e Edoardo Valdarnini. Lucia e Maria, due amiche da sempre reduci da relazioni con il sesso forte un po’ squinternate e infelici: poi una notte Maria, la più disinvolta, si porta a letto il liceale Luca, appena lasciato dalla fidanzatina, con l’aggiunta che il ragazzo ha alzato troppo il gomito e il mattino successivo scambia Lucia per Maria, costruendo con quest’ultima un rapporto dove davvero l’eros non trova posto. Malintesi, equivoci amatori senza fine. Comencini ha tratto il film dalla sua commedia “La scena”, le interpreti teatrali erano Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti. Durata 93 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Massimo sala 2, The Space, Uci)

 

quando-hai-17-filmQuando hai 17 anni – Commedia drammatica. Regia di André Techiné, con Kacey Mottet Klein, Alexis Loret e Sandrine Kiberlein. Ambientata in Francia, la storia di due ragazzi, l’uno vive con la madre medico (il padre è in missione in Afghanistan, skype è di grande aiuto), l’altro è un magrebino, adottato da una famiglia di agricoltori. Il loro rapporto, all’inizio fatto di ostilità, via via lascerà il posto a sentimenti decisamente diversi. Durata 116 minuti. (Classico)

 

The assassin – Drammatico. Regia di Hou Hsiao-Hsien, con Shu Qi e Chang Chen. Apprezzato esempio di un genere, il wuxia, ovvero il film di cappa e spada, tra tradizione orientale e spirito moderno. Nella Cina del IX secolo, un’epoca di prosperità è minacciata dai governatori della provincia corrotti e ambiziosi. Spetta all’”ordine degli assassini” eliminarli. La giovane Nie Yinniang, abilissima con la spada, dovrà uccidere Tian Ji’an, di cui da sempre è innamorata. Dovrà decidere se far prevalere le ragioni del cuore o quelle della lotta. Al film è stato assegnato il premio per miglior regia a Cannes nel 2015. Durata 120 minuti. (Classico)

 

Le ultime cose – Drammatico. Regia di Irene Dionisio, con Fabrizio Falco e Roberto De Francesco. Una società in epoca di crisi, il Monte di Pietà (a Torino) come crocevia delle debolezze e delle indigenze di uomini e donne, piccoli delinquenti che di quella povertà vogliono profittare. Presentato a Venezia, successo per una documentarista passata qui per la prima volta nella finzione. Durata 85 minuti. (Centrale)

 

La vita possibile – Drammatico. Regia di Ivano De Matteo, con Margherita Buy e Valeria Golino. Una donna fugge con figlio da Roma, vittima della violenza del marito, e raggiunge un’amica single e attrice a Torino. La ricerca di un lavoro, forse una nuova vita, i nuovi incontri cercati o inaspettati, l’accettazione degli altri, gli equilibri ristabiliti. Dall’autore del riuscito “I nostri figli”. Durata 107 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

La verità sta in cielo – Drammatico. Regia di Roberto Faenza, con Riccardo Scamarcio, Maya Sansa e Greta Scarano. Il caso di Emanuela Orlandi, figlia di un funzionario della Città del Vaticano, nato con il rapimento della ragazzine giugno del 1983, le piste e i depistaggi, la Banda della Magliana, la sepoltura di Renatino De Pedis nella chiesa di Sant’Apollinare a Roma, il personaggio reale della sua fidanzata che cinquantenne decide di collaborare con la magistratura, l’indagine cinematografica di una giornalista anglo-italiana sulle tracce di Mafia Capitale. Durata 94 minuti. (Eliseo rosso, Reposi, Romano sala 3)

 

Le “alpi ribelli” di Enrico Camanni

camanni1Enrico Camanni – scrittore, romanziere, alpinista – con il suo ultimo libro,“Alpi ribelli – Storie di montagna, resistenza e utopia”,edito da Laterza, propone un  percorso a ritroso nella storia secolare delle Alpi che, da sempre,  sono state rifugio e megafono delle anime libere, contrarie e resistenti. Dai montanari eretici che si sacrificarono con Fra’ Dolcino ai piedi del Monte Rosa, ai partigiani che fermarono i nazifascisti sulle montagne, dal Piemonte al Nordest,  fino ai movimenti contemporanei contro il treno ad alta velocità in Valle di Susa, il libro  di Camanni raccoglie le storie dei montanari e degli alpinisti che seppero disubbidire agli ordini. Disubbidenti che seppero costruire sulle montagne rifugi di resistenza, avamposti di autonomia e laboratori di innovazione sociale. Alpeggi, valli, boschi  come luoghi di rifugio e di “formazione” per generazioni di ribelli che scelsero le “terre alte” come teatro della loro lotta  contro il potere, le sue lusinghe e i suoi inganni, crescendo a quote alte quegli aneliti d’autogoverno che le popolazioni alpine hanno sempre manifestato. Dalla leggendaria lotta di Guglielmo Tell in poi c’è come un filo sottile che lega le terre alpine alla tentazione della ribellione. In oltre settecento anni di storia, le “Alpi libere” hanno avuto seguaci autorevoli e interpreti esemplari. Dai ribelli valdesi della Val Pellice a Tita Piaz, “l’unico socialista della Val di Fassa”, dalla comunità dei minatori di  Cogne agli estensori della “Carta di Chivasso” del 1943, dalla tutela delle minoranze linguistiche alla costruzione di ponti per andare oltre confini e frontiere, come faceva Alexander Langer, il “mite combattente”.  E poi Guidocamanni2 Rossa, sindacalista e scalatore, la giornalista Tina Merlin e la sua inchiesta sul disastro del Vajont, Nuto Revelli, Giovanna Zangrandi e tanti altri e altre. Questo libro racconta le loro storie. Sono voci fuori del coro, animate da idee forse utopistiche, testardamente impegnate a non cedere al consumismo delle “terre basse”. Voci che, di tanto in tanto, riprendono vigore e si manifestano in movimenti dalle forme nuove e dirompenti, rivendicando la loro diversità geografica e culturale. E così le montagne, come un tempo, diventano il rifugio ospitale  di diversi, ribelli, eretici e resistenti. “Cinquant’anni fa qualcuno sognava l’Europa unita e nel sogno immaginava di aprire la frontiera alpina alle merci e alle persone; adesso c’è chi vorrebbe richiuderla con recinti e muri, per impedire il passaggio di chi ha bisogno e viene da molto lontano”, dice Camanni. E fa intendere che, in fondo, non è vana la speranza di una nuova e potente eresia che metta in movimento resistenze contro le intolleranze e solidarietà nei confronti di chi richiede asilo, senza confini tra le montagne.

Marco Travaglini