Il Museo MIIT di Torino presenta la mostra antologica dedicata allo scultore Fernando Delìa, dal titolo “Artistico guazzabuglio”, in programma da sabato 25 maggio a domenica 2 giugno prossimi. L’inaugurazione sarà sabato 25 maggio alle ore 18.
Saranno in mostra una cinquantina di sue opere, tra sculture in terracotta, bronzo, altorilievi e pannelli.
Fernando Delìa era non solo a Torino, ma per tutti “l’avvocato scultore”. Il ricordo del museo MIIT e di Italia Arte, unitamente alla famiglia dell’artista e alla Fondazione Faro, a cui è dedicata la raccolta fondi organizzata in occasione dell’esposizione, intende omaggiare la figura di uomo e di creatore di sogni, di quegli “artistici guazzabugli”, come recita il titolo dell’esposizione, che lui amava comporre dapprima nella sua immaginazione e poi plasmando e modellando le crete con fare rapido e istintivo, come se si corresse il rischio che quei personaggi e quelle forme immaginate potessero svanire del tutto all’improvviso.
La genesi dell’opera, il suo essere concepita, pensata e poi realizzata descrive al meglio l’attività del maestro e la sua attenzione meditata al messaggio artistico, attraverso un procedimento che si sviluppa in seguito ad un fare immediato, istintivo, gestuale, nel modellare la materia e nel plasmare forme, volumi e idee.
L’arte di Fernando Delìa è un’arte quotidiana e intimista, caratterizzata fortemente da uno sguardo interiore e profondo sull’uomo, sulla sua storia e sul suo destino.
Nato a Trieste, fin da piccolo ha manifestato una spiccata attitudine per il disegno e la scultura, tanto da frequentare a Bologna privatamente anatomia artistica e tecnica del modellato. A Torino ha conseguito la laurea in Giurisprudenza e vi ha esercitato la professione forense. La prima mostra personale risale al 1975, presso la galleria della Conchiglia e, da allora, ha partecipato a diverse importanti mostre collettive a Roma, Milano e Torino. Ha organizzato mostre personali a Finalborgo e Saint Vincent e a Torino, tra le altre, presso la Società Promotrice di Belle Arti, il Piemonte Artistico, la Fondazione Fulvio Croce presso palazzo Capris, Villa Gualino e la Galleria Fogliato.
I personaggi immortalati da Delìa potrebbero essere i nostri vicini di casa o chi la casa non ce l’ha più, come “Gli sfrattati”, tristemente in cammino sulla scala di un’esistenza tra alti e bassi, lo sconosciuto osservato nel parco, seduto su una panchina a meditare sulla sua vita, il collega di lavoro frustrato e sommerso da scartoffie, il perenne insoddisfatto, l’annoiato.
Delìa osserva il mondo, le persone che incontra sul suo cammino, ne scandaglia pregi e difetti, caratteri, ne coglie l’essenza e la trasforma in maschere universali. La sua è una commedia dell’arte contemporanea, specchio di una società spesso confusa e disorientata, mascherata e ipocrita, che l’artista è capace a cogliere nelle espressioni, nelle pose, nei gesti, nella verità del momento, nell’anima dell’Essere.
La sua tecnica è volutamente quella del non finito, dell’abbozzato e sembra volerci comunicare che tutto è effimero e passeggero, che la vita può mutare all’improvviso, senza guardare in faccia nessuno, in uno scorrere degli anni vorticoso e affannato.
Il tempo nell’Opera di Delìa assume una valenza concettuale profonda e la realtà diventa istante vissuto, ma anche immagine dello spirito, in un moto interiore subitaneo, che passa rapidamente per lasciare spazio ad altri affanni o ad altre gioie.
Sarebbe errato definire l’arte di Delìa malinconica o solitaria, a volte abitata da incubi, come alcune sculture indubbiamente ci inducono a pensare.
“Verso il baratro”, “Davanti un’intera giornata da affrontare”, “L’attesa”, “La deposizione” narrano lo stato d’animo universale e condiviso in una società sospesa e ineluttabilmente condannata. Nelle sue creazioni non mancano, però, sfumature ironiche, divertenti, sarcastiche e argute, quasi una sorta di vignette storiche da gustare con gli amici, riconoscendo in un personaggio o in un altro qualche parente o conoscente.
La terracotta modellata da Delìa, come i bellissimi bronzi a cera persa, fanno rinascere ogni volta l’Uomo, plasmato da un Dio benevolmente, come noi, di carne e di spirito, consapevole di tutti i difetti e di tutta la piccolezza della nostra specie, ma anche capace di gesti e di atti eroici, sacrali, quotidiani e immortali.
Basti considerare le opere celebrative di Delìa, quali i busti dedicati a Bruno Caccia e a Fulvio Croce nell’atrio d’ingresso e nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Torino, o quello che ricorda il papa Emerito Benedetto XVI presso la casina Pio IV.
A volte in Delìa si accende anche la scintilla divina che riaccende la speranza in un futuro migliore come nelle opere “L’importante è non arrendersi’” e “Sogni di adolescente”, o nei ritratti affettuosi e palpitanti dei nipotini, mentre in altri lavori non manca mai il sorriso dolceamaro dell’artista, una firma che sancisce il destino di ognuno.
“Trovo difficile spiegare – affermava Fernando Delìa – come sia nato in me il desiderio di modellare e per quale motivo. È una necessità che ho sempre avuto e che non riesco a definire razionalmente. Posso cercare di spiegarlo guardando quello che più spesso è l’oggetto delle mie opere, cioè la figura umana, di preferenza il volto e le mani, nella quale non è il bello che mi attira, ma la caratterizzazione, forse la deformazione, mai la deformità.
Se questo è il mio motivo ricorrente posso ipotizzare che la mia “ricerca” sia quella di rappresentare, attraverso l’esasperazione dei lineamenti, il modo di essere, il vissuto, l’originalità di ciascuno di noi. Non penso che nella rappresentazione dei miei personaggi ci sia la cattiveria necessaria perché li si possa definire grotteschi. Forse c’è la semplice ironia, il divertimento triste di ridere di noi stessi. E ai miei personaggi mi affeziono, forse perché in fondo non fanno altro che rappresentarmi. Mi dicono che, secondo la psicoanalisi, sognare la casa significhi rappresentare la propria interiorità. Penso che la sensazione che provo quando riesco a chiudermi nel mio luogo dove mi fermo a modellare, il mio studio, sia la stessa. È il luogo dove ( a differenza di Machiavelli che, prima di prendere la penna in mano, si paludava da antico romano) riesco a spogliarmi di tutti i personaggi, le convenzioni, dietro le quali mi nascondo nella vita quotidiana. È come se quello spazio costituisse una prosecuzione immaginaria della mia persona. Uno spazio che, oltre che delle mie opere, ho riempito di vecchi ricordi e oggetti di affezione. Confesso che, forse, proprio per questo, aprire il mio studio a estranei un poco mi spaventa come farmi sorprendere scoperto nella mia intimità”.
MARA MARTELLOTTA
Italia Arte. Museo MIIT Corso Cairoli 4
Tel. 0118129776
Apertura da martedì a sabato 15.30-19.30, domenica 26 maggio e domenica 2 giugno orario 15.30-19.30.
Lettura di pensieri di Fernando Delìa con Cristiana Voglino giovedì 30 maggio alle ore 18.