CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 658

L’eredità culturale e civile di Pannunzio

All’Auditorium “Vivaldi” della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino (p. Carlo Alberto 5A)

 

Il Centro “Pannunzio” organizza una tavola rotonda su: “MARIO PANNUNZIO, IL SIGNIFICATO DELLE SUE SCELTE LIBERALI, LA SUA EREDITA’ CULTURALE E CIVILE” a cui parteciperanno Dino Cofrancesco (Università di Genova),Gerardo Nicolosi (Università di Siena), Mirella Serri (Università di Roma). La tavola rotonda, moderata da Anna Ricotti, verrà conclusa dal Direttore del Centro Pier Franco Quaglieni che illustrerà il significato della Mostra “Dal ‘Mondo’ di Pannunzio al Centro ‘Pannunzio'” che viene inaugurata subito dopo alla Biblioteca Nazionale dal Presidente del Consiglio regionale Nino Boeti e dal Presidente del Centro “Pannunzio” Alan Friedman, insieme ai Sindaci presenti. La Mostra, curata dagli architetti Maria Grazia Imarisio e Diego Surace, ripercorre con immagini, documenti e testimonianze il lungo cammino, dal 1968 ad oggi, e la storia del Centro “Pannunzio” e del

Torino 22-05-2017 Foto Daniele Solavaggione CONCERTO DEL PIANISTA SANDRETTO PER I 50 ANNI DEL CENTRO PANNUNZIO NELL’AULA MAGNA DEL RETTORATO

giornalista a cui esso è intitolato. Verrà anche presentata la piastrella del Cinquantenario realizzata dall’artista ligure Anais Tiozzo. Agli intervenuti verrà data in omaggio la spilla del Cinquantenario del Centro. Il “Pannunzio”, in collaborazione con Poste Italiane, ha realizzato uno speciale annullo filatelico per il Cinquantenario che sarà possibile ottenere durante l’evento su una cartolina di Ugo Nespolo con il francobollo di Mario Pannunzio uscito nel 2010 per il centenario della nascita. 

Un persiano olandese al Salone del Libro

La Sala Blu ha ospitato la presentazione del libro dell’autore iraniano di lingua olandese Kader Abdollah 

 

È arduo credere che sotto gli occhialoni e i folti baffoni a spazzola, un viso un po’ da Groucho Marx, il carattere istrionico, il vocione che scandisce un inglese dove si mescolano accenti levantini e olandesi, si celi una storia difficile di esilio, fuga dall’Iran khomeinista, la morte dei fratelli a causa della repressione politica, la lontananza dall’anziana madre cui manda via Whatsapp le foto di tutti i posti in cui va come conferenziere, ma questo è il riassunto dell’esistenza dello scrittore Khader Abdollah, uno degli invitati al Salone del Libro 2018, di sicuro tra i più appropriati ad affrontare i temi e le famose “cinque domande” che hanno fatto da fil rouge all’edizione. Ora, giochiamo subito a carte scoperte: chi scrive non aveva la minima idea di chi costui fosse, tutto ciò che sa lo ha intuito dal candore e l’intensità con cui il personaggio ha parlato di sé alla conferenza e da una rapida scorribanda su Wikipedia, né aveva mai letto alcunché, come persevera a fare pur facendosi la blanda ed accidiosa promessa di colmare quella che all’improvviso gli è sembrata una, se non imperdonabile, certamente fastidiosa lacuna. Quello che si offre ai lettura è quindi semplicemente il resoconto di un’oretta di dialogo tra lo scrittore e i suoi intervistatori, seguito comodamente sprofondato in una delle poltrone della Sala Blu, tra i sonni tentatori del dopopranzo. Tutto è figlio del caso, o quasi: la scelta era tra questo intervento e quello sulla Transiberiana allo stand “Romania” e solo all’ultimo l’orientalismo giovanile di chi scrive ha preferito il più caldo e vicino Medio Oriente alle visioni dell’estremo est d’oltre Urali; ad ogni modo, non può dirsi pentito della decisione.

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L’incontro presenta l’ultima fatica di uno scrittore molto celebre nei Paesi Bassi: esule da una trentina d’anni in Olanda, ha ormai da tempo deciso di scrivere in neerlandese “ Per ringraziare il paese che mi ha ospitato, perché ormai in persiano potrei scrivere un libro di settecento pagine, ma senza metterci l’anima come faccio con l’olandese. A parte il mio diario, che mi ostino a redigere nella mia lingua madre, l’unica cosa che forse i miei parenti potranno mai leggere”. E la sua anima si è così impastata della cultura olandese, anzi, come sottolinea Abdollah, europea, da aver ottenuto nella sua nuova patria diversi premi e il riconoscimento di aver scritto uno dei più bei libri di sempre nella lingua di Rembrandt, nonché il Premio Grinzane Cavour 2009. La sua ultima fatica si intitola “Uno scià alla corte d’Europa” (Iperborea, 488 pp. 19.50 euro) e narra in forma romanzata il viaggio dello scià di Persia alla fine dell’800 in Europa, un’Europa, nelle parole dell’autore, che era in via di formazione e stava cercando di darsi un’identità, quella della Belle Epoque, che ha dominato e influenzato il mondo, ci fa capire Abdollah, praticamente fino ad oggi, un oggi in cui l’Europa si trova nuovamente nella necessità di capire dove andare e che cosa fare. È un libro che nasce dall’invidia, l’invidia dell’autore – i cui antenati hanno incrociato davvero l’esistenza del sovrano – nei confronti di un uomo che non amava essere re, che ha lasciato un pessimo ricordo in patria ma affascinato dalla cultura europea dell’epoca, ribollente di invenzioni, scrittori e pensatori, che poté attraversare il continente in treno in lungo e in largo, incontrando i maggiorenti dell’epoca, la Regina Vittoria, Bismarck, la Russia, dove lo scià, appassionato lettore di Tolstoj, passa a dieci chilometri dalla dacia dell’autore di “Guerra e Pace” senza saperlo e tirando dritto fino a Mosca.

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Una disavventura, osserva l’autore, che dimostra come il sovrano, nonostante la sua buona volontà e il fascino di cui risentiva verso la nostra Europa, spesso guardasse senza vedere, senza capire fino in fondo, lasciandoci sfuggire le occasioni uniche: Abdollah pone rimedio alla vicenda immaginando che Tolstoj venga effettivamente chiamato ad incontrare il Re dei Re e, sfruttando il personaggio della principessa Banu, si infila nelle corti e nelle vicende dell’Europa dell’epoca con più libertà di quelle che l’aderenza alla storia ufficiale gli permettono.Un atto questo, scherza l’autore, che diventa catartico: “ora mi sento più potente del re, ora la mia invidia è sopita, perché lo scrittore può inventare il modo in cui i fatti sono andati”. Ma il romanzo non si inerpica soltanto per i mille sentieri della fantasia letteraria, o sulla libertà di fingere ed ingannare: torna, e altrettanto fanno intervistato ed intervistatori, all’attualità, all’incontro scontro tra oriente e occidente, all’integrazione di culture e di uomini.Il confronto tra la nobile e antica cultura persiana e l’occidente è una vicenda antica, il regno degli scià era già una metafora del relativismo e degli orizzonti diversi di genti lontane nei lavori di Montesquieu e di altri illuministi, e Kader Abdollah lo sfrutta sapientemente per parlare di culture che si mescolano, non solo nella dimensione “alta” dello scambio intellettuale, ma anche in quella quotidiano dei flussi migratori.

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Una delle ragioni principali per cui si è messo a scrivere il romanzo, racconta, è stata la terribile immagine del piccolo Aylan morto sulla battigia, ma a questo si mescola un punto di vista sicuramente originale, e molto intelligente, sulle questioni all’ordine del giorno sui nostri giornali. Tra il serio e il faceto, ricorda come l’anno scorso, durante una sommossa degli abitanti di un paesino olandese che non volevano sentirne di ospitare alcuni rifugiati, lui si sia recato per capire le ragioni di tanto odio, per ispirarsi a scrivere e prendere il polso della realtà: dopo aver sentito i cori, le ingiurie, i lanci di pietre, anche lui, a un certo punto, si è sentito trascinato nella folla, e ha provato il piacere indescrivibile di poter gridare anche lui con gli altri “ Refugees go home”, sentendosi “un vero maschio olandese bianco”; è questo quello che vogliamo, è questo quello che noi stiamo difendendo, il nostro privilegio di essere occidentali? “Siete liberi di amare e odiare gli altri, capisco le vostre paure, anche se non giustificate, ma fatelo a viso aperto, non lasciate che il vostro odio covi in silenzio” conclude “ perché dovete sempre ricordarvi che questo è il vostro tempo, tra venti o trent’anni chissà dove sarete, probabilmente sostituiti da una generazione che avrà idee completamente diverse dalle vostre. Anzi, fate la prova, invitate un immigrato, un rifugiato, un profugo siriano a casa vostra, offritegli pane e formaggio e sussurrategli sette volte nell’orecchio ‘ ti odio, ti odio, ti odio!’. È probabile che il giorno dopo vi sveglierete pensando ‘ehi, questi migranti non sono poi così male!’”.

 

Andrea Rubiola

 

Sfumature di giallo

Se l’acqua è fonte di vita, di morte e di forti emozioni, il Po è anche il fiume sui cui si ambientano gialli, noir e thriller, perché è fonte di ispirazione così come Torino e la sua magia. Il sequel della “Saga di Lola” di Massimo Tallone e Biagio Fabrizio Carillo (Edizioni il Capricorno) è nuovamente ambientato a Torino, per le vie della città con un dettaglio da “Via Michelin”. Leggere le avventure di Lola può essere d’aiuto per conoscere meglio la città, le sue bellezze e le vie più nascoste della capitale subalpina di cui quasi nessuno ha sentito parlare prima, come, ad esempio “La curva delle cento lire”. Biagio Fabrizio Carillo torna per la seconda volta alle tavole rotonde organizzate da Solstizio d’Estate, (creatrice del Concorso Il Bosco Stregato). Stavolta, al Lingotto, l’occasione è stata “Sfumature di Giallo” che l’Associazione, nella Sala Argento, ha dedicato al noir e al thriller. Riportiamo un breve stralcio dell’intervista a Carillo sul romanzo che uscirà a fine giugno. “Siamo di fronte ad una serie di omicidi seriali di cui l’omicida non lascia tracce. L’unico indizio è che l’assassino compie i delitti protetto da una maschera che si usa per la raccolta del miele”. Con Solstizio d’Estate al Salone del libro c’erano anche lo psicologo forense Alessandro Meluzzi e la figlia Maria Araceli Meluzzi, coautrice con il padre del libro “Dei delitti e delle pene 2.0“. Una rivisitazione del celebre illuminista Cesare Beccaria che lo scrisse assieme a Pietro Gioberti nel lontano 1764 e reinterpretato in chiave moderna. Una sintesi, un compromesso tra la certezza della pena per il reato commesso e la sua equità anche citando Beccaria: ” Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi siano chiare, semplici e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle”. A distanza di secoli quanto la civiltà e la giustizia sono progredite?La risposta è amara… Durante le proiezioni delle incisioni de Il Bosco Stregato c’è stato anche un intervento estemporaneo di Meluzzi che ha dato una chiave di lettura di un ex libris di Josef Werner con un calice con le corna una versione (quasi) esoterica e simbolica di cui nessuno si era accorto. Se il Mosè di Michelangelo ha le corna che stigmatizzano raggi di luce anche l’incisione dell’artista tedesco sopra il calice di vino le ha messe in un messaggio altrettanto simbolico.Chiudiamo con Alessandro Meluzzi che ha raccontato un fatto realmente accaduto e, come in un giallo di Ellery Queen, ha lasciato ai lettori il compito di scoprire il finale. Agli studenti del Liceo di Bra GB Gandino, presenti in sala, il compito di crearne la soluzione più logica. Aspettiamo la consegna dei compiti.

Tommaso Lo Russo

Donne e maestre d’Italia

Il 24 maggio, alle ore 21, si terrà la presentazione del  libro di Bruna Bertolo

Bruna Bertolo si avvicina alle “maestre d’Italia” con lo sguardo di chi vuole capire, di chi vuole entrare, quasi in punta di piedi, nella realtà individuale di ognuna di loro, permettendoci di cogliere aspetti poco conosciuti del mondo delle “maestrine”. Nel libro ce ne sono tante, simbolo di un impegno che si è riversato non soltanto nel mondo della scuola. Maestre d’Italia, dunque, capaci di cambiare profondamente le abitudini di un popolo che, nel 1861, appare ancora schiacciato dall’ignoranza e dall’analfabetismo. Maestre d’Italia, non soltanto di calligrafia e dei primi rudimenti di calcolo, ma anche conduttrici di lotte lungo il cammino dell’acquisizione dei diritti delle donne, dopo l’oscurantismo dei secoli precedenti. Donne, capaci di soffrire e di trovare nella loro sofferenza i semi di un riscatto che ha attraversato e accompagnato la storia delle donne nella nostra Società: da Italia Donati alla “maestrina dalla penna rossa”, dalle “maestre di Senigallia” a Rita Majerotti, dalle maestre scrittrici a quelle che diedero la vita durante la Resistenza; sui banchi di scuola, ma con il pensiero e il cuore rivolti al sogno di una società migliore.

Associazione Amici della Scuola Leumann

Tel. 333 3923444

info@villaggioleumann.it

www.villaggioleumann.it

Il tempo del perdono di Fernando Aramburu

Domenica 13 maggio, poche ore prima di essere insignito del prestigioso Premio Strega Europeo per il suo romanzo “Patria”, uscito in Spagna nel 2016, Fernando Aramburu ha presentato i suoi libri in un incontro partecipato, tenutosi presso il Salone Internazionale del Libro di Torino

Aramburu, nato a San Sebastian nel 1959, ha affrontato con coraggio la questione dell’Eta (Euskadi ta Askatasuna), organizzazione armata terroristica il cui scopo era l’indipendenza del popolo basco, dandone una visione unica che tiene conto di tutti i punti di vista della società.In “Patria” e in “Anni lenti”, in fondo due pezzi della stessa storia, le vicende e i drammi umani di vittime e carnefici si intrecciano e si annodano, regalandoci l’immagine di un mondo in cui i semplici rapporti tra vicini di casa che si stimano, che si apprezzano e si ammirano, che si frequentano, in un attimo, vengono lacerati dal terrorismo che li costringe quasi a scegliere da che parte stare, attraendo molti con false dottrine e false lotte.Nel 2012 l’ETA depone le armi e al tempo della violenza dovrebbe seguire quello della pacificazione e del perdono, tuttavia il tempo del perdono di presenta disagevole, difficile, complesso, dilatato e sembra non chiudersi mai perché nessuno crede in un perdono pubblico, davanti alle telecamere. La riconciliazione deve avvenire in modo più intimo, il cambiamento deve partire dall’anima di coloro che hanno vissuto questa storia, una storia che si è intrecciata alle singole vite.

Nella folla di personaggi che animano le vicende di “Patria” emergono prepotentemente le figure di due donne, di due madri, di due mogli. Da un lato Miren, la madre di un ragazzo che si è unito all’Eta e che è diventato un terrorista, pronta a giustificare e a difendere sempre e a qualunque costo il figlio, quasi accecata da una sorta di fanatismo, e dall’altra Bittori che parla con il marito, Txato, che non c’è più, un imprenditore vittima di un attentato. Bittori, dopo tanti anni, vuole provare ad abitare il tempo del perdono e lo fa tornando nei luoghi in cui è vissuta con il marito, riaprendo la casa, facendosi rivedere per le strade alla ricerca di una riconciliazione necessaria a lei, ma anche a tutti coloro che sono stati protagonisti di quei fatti. Aramburu ha spiegato che uno scrittore deve sforzarsi di entrare nella testa dei suoi personaggi e deve raccontarne la storia senza giustificare, ma nemmeno giudicare perché questo non gli compete. Spesso si arriva a giustificare tutto in nome di un’idea e ci si lascia indottrinare senza rendersene conto. La propaganda, in quegli anni, era molto forte e il fascino eroico dei detenuti dell’Eta che, nelle fotografie, apparivano sempre giovani e belli affascinava e attraeva. Purtroppo è accaduto spesso, nel corso della storia, che tutto venga giustificato e accettato in nome di un’idea. L’identità che ci lega alla nostra terra, alla lingua, alle usanze, che ci riporta alla mente ricordi dell’infanzia e del passato può essere deformata dall’indottrinamento che finisce per imporre una visione deviata ed estremista delle cose, creando i nazionalismi che possono sfociare in azioni violente. Lo scrittore basco ha confessato di non aver aderito all’Eta perché, pur non essendo credente, l’educazione cristiana, ricevuta dalla famiglia, l’aveva formato a criteri morali che gli impedivano di credere che si potesse costruire una società migliore togliendo la vita a qualcuno. Inoltre, vivere in una grande città, anziché in un piccolo paese, come quello che ospita i personaggi di “Patria”, gli ha consentito una maggiore libertà di scelta.Fernando Aramburu ha confessato di non sapere perché il suo romanzo abbia avuto tanto successo e ha ammesso che forse, semplicemente, era necessaria una storia così. In un capitolo del libro la vedova Bittori dice: “Perché credi che sono ancora viva? Ho bisogno di quel perdono. Lo voglio e lo pretendo, e fino a quando non lo avrò non penso di morire.” “Non è orgoglio. Non appena metterete la lapide sulla tomba e sarò col Txato, gli dirò: quell’idiota si è scusato, adesso possiamo riposare in pace.” Occorre costruire una memoria, fare i conti con il passato e tentare di andare avanti, è neccessario farlo per i superstiti e per le generazioni che verranno.

 

Barbara Castellaro

 

 

 

Il successo del Salone tra problemi di logistica e tardivi digitali

Il primo giorno accedere al Salone del Libro di Torino è stato uno strazio così come trovarne la porta per uscire. Questione di logistica e di informazioni che non circolavano fra gli addetti, ma anche di personale insufficiente per gestirne il flusso

A parte questo, il Salone è stato un successo (meritato) e prevedibile, ma anche superiore alle aspettative e questo ha creato la ressa. Se non si finisce mai di imparare, vuol dire che si resta sempre giovani. Per dirla con altre parole, un novello Peter Pan e per me la sindrome di Peter non è un dispregiativo, ma un desiderio di voler essere parte del mondo, avere tanti interessi e mettersi in gioco continuamente. Chi al Salone ci è andato con questo spirito ha certamente avuto ragione delle aspettative. Per me che non sono un nativo digitale, ma un “tardivo”, data l’età, il Salone (questo più che mai) è sempre stata un’occasione per imparare…ancora. Forse, per questo, mi ha incuriosito, particolarmente, la presentazione, nello stand Hoepli, della Netlife di Francesca Anzalone, PR Manager e Digital PR per le nuove figure professionali nell’era della trasformazione digitale. L’Anzalone, fra le tantissime attività che cura (in modo eccellente), c’è pure quella dei mediatori di segni. La PR, nel web dal 1997, ha fatto del “villaggio globale” la sua casa e con questo straordinario mezzo di comunicazione che permette formazione permanente, condivisione della conoscenza e diffusione delle informazioni in tempo reale ha stretto con la Community un patto indissolubile. Non basta: alla fine degli anni Novanta ha creato “Ciberino”, un robottino che attraverso le fiabe racconta il digitale ai piccoli. Chissà perché, per assonanza, mi viene in mente il concorso il Bosco Stregato, le sue fiabe e gli ex libris. Saranno affinità elettive o più semplicemente voglia di rimanere sempre giovani?

 

International Book Forum, un successo

Oltre 500 iscrizioni già prima dell’inizio del Salone e almeno altri 100 operatori che si sono aggiunti a lavori iniziati. Seimila richieste di appuntamento che hanno generato 3 mila incontri one to one, attraverso la piattaforma di matching appositamente messa a punto dalla società torinese Risolviamo

Sono questi i numeri del successo dell’edizione 2018 di Ibf – International Book Forum, l’area business del Salone in cui il mondo dell’editoria internazionale, del cinema e della televisione ha avuto l’opportunità di incontrare tutti gli editori italiani e i loro libri per trattarne e acquistarne i diritti di traduzione, di adattamento, di serializzazione.

In tutto, sono stati 36 i paesi rappresentati a questa diciassettesima edizione: Albania, Argentina, Austria, Bangladesh, Canada, Cina, Danimarca, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Federazione Russa, Francia, Georgia, Germania, Grecia, India, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lussemburgo, Macedonia, Messico, Monaco, Norvegia, Paesi Bassi, Palestina, Polonia, Regno Unito, San Marino, Siria, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia.

L’intero progetto Ibf è realizzato grazie al sostegno della Regione Piemonte e di Ita–Ice – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. La Fellowship per l’editoria è sostenuta da Ita-Ice, quella per i media è sostenuta dal Mibact e patrocinata dal prestigioso programma Eurimages (il fondo del Consiglio d’Europa per la co-produzione, la distribuzione, l’esposizione e la digitalizzazione delle opere cinematografiche europee).

La regina del giallo scrive (anche) di cucina

di Laura Goria

Leggendo i gialli di Viveca Sten viene voglia di andare alla scoperta di Sandhamn, la piccola isola affacciata sul Mar Baltico, nell’arcipelago di Stoccolma, dove lei ambienta trame omicide.

La scrittrice in questi giorni è al Salone del libro di Torino per presentare “Estate senza ritorno” (Marsilio), suo 5° libro tradotto in Italia, mentre oggi in Svezia è stato pubblicato il 9°. Arriva con i suoi abbaglianti occhi che virano al color fiordaliso, simpatia a mille e una disponibilità -rara nell’Olimpo degli autori- che conquista. E’ una delle autrici scandinave di “crime” di maggior successo: pubblicata in 24 paesi, 4 milioni di copie vendute nel mondo ed ha ispirato la serie televisiva “Omicidi a Sandhamn” seguita da 30 milioni di spettatori, andata in onda anche in Italia. Ci si appassiona parecchio alle sue storie ambientate a Sandhamn; protagonisti fissi il detective Thomas Andreasson -uomo disilluso e provato dalla morte in culla della figlioletta- e la sua amica avvocato Nora Linde, alle prese dapprima con la difficile gestione di matrimonio e carriera, poi con il divorzio e due figli da crescere. Nei suoi libri sembra alto il tasso di mortalità del luogo; ma dalle pagine emerge anche il fascino di un’atmosfera fuori dal mondo, tra colorate case del villaggio, mare e cielo sconfinati.In “Estate senza ritorno” sempre di delitto si parla e sempre a Sandhman scorre il sangue durante il weekend di solstizio, festa tradizionale di mezza estate, che attira turisti a frotte. Tra villeggianti e gruppi di giovani, nessuno ode il grido di aiuto di una ragazza che si accascia priva di sensi. Anche Nora si prepara a far festa insieme al suo nuovo compagno Jonas, quando ecco che scompare la figlia di lui, la 14enne Wilma, e sulla spiaggia viene trovato il cadavere di un suo amico.


Come nasce l’ispirazione per le sue trame? E’ vero che a volte per i nomi s’ispira alle tombe del piccolo cimitero dell’isola?

«Si perché mi piace l’idea di riciclare e utilizzando i nomi di queste persone, in un certo senso, le faccio rivivere. Nei miei gialli ci sono sempre l’isola di Sandhman, Thomas e Nora, ma poi ho bisogno anche di altri personaggi».

Com’è nata l’idea di questa storia?

«Quando l’ho scritta i miei figli avevano 13,16 e 19 anni: ero la madre di adolescenti e quindi potevo capire benissimo l’ansia, la preoccupazione e la paura. Ogni volta che uscivano non dicevano con chi, né dove andavano, non rispondevano al telefono e non rientravano all’ora stabilita. Così ho pensato a una storia in cui potessero riconoscersi i genitori di figli nel pieno dell’età più difficile».

Dai suoi gialli è stata tratta una fiction di successo…lei ha partecipato in qualche modo?

«Si, leggo la sceneggiatura ma non la scrivo, perché i copioni richiedono una tecnica diversa.Di solito appaio in ogni stagione almeno per 5 secondi, anche se magari si vedono solo i miei capelli castani. Sono stata una cameriera, l’ospite a un cocktail party, una mamma con bambini….in qualche modo ci sono sempre».

La sua famiglia da generazioni ha una casa a Sandhamn, qual è il suo rapporto con l’isola e come la descriverebbe?

«Per me è un po’ come una seconda casa, dove vorrei sempre essere. E’ anche il 3° personaggio protagonista delle mie storie, oltre a Thomas e Nora. Ho pensato che fosse perfetta per il romanzo poliziesco perché è un luogo bellissimo, un vero e proprio paradiso estivo; però è giusto che in questo tipo di romanzi ci sia contrasto con la presenza di un assassino che aspetta nell’ombra».

C’è qualcosa di lei in Nora?

«Nonostante lei sia un avvocato come me, non volevo darle la mia personalità e ci tenevo che fossimo differenti. Io mi sento molto più simile a Pernilla, la moglie di Thomas. Nora è ansiosa, sempre lì che si chiede se ha fatto la cosa giusta o sbagliata; io invece decido in modo molto veloce e penso all’azione».

In quest’ultima avventura, Nora dopo il divorzio ha una storia con Jonas: lei sta per compiere 41 anni , lui ne ha 7 di meno. Lei come vede le unioni in cui la donna è più grande?

«Dico finalmente!».

Si prospetta anche l’idea di una famiglia allargata con i figli di Nora e Jonas…cosa ne pensa?

«Oggi è una cosa abbastanza comune ovunque, perché il concetto di famiglia sta cambiando, ci sono anche bambini che hanno 2 papà o 2 mamme. Sicuramente non è semplice. Ho voluto raccontare quanto sia già difficile riuscire a gestire dei bambini quando si è sposati; se poi ci sono coppie diverse ed ex coniugi che devono sincronizzarsi è ancora più complicato. Nella loro relazione Nora e Jonas hanno standard diversi e qualche tensione: lei pensa che lui sia troppo indulgente con Wilma…ed è un esempio dei problemi che possono sorgere».

E per il detective Thomas Andreasson a chi si è ispirata?

«Volevo creare un poliziotto che fosse una persona reale e non un cliché; mi ero un po’ stancata di quelli americani che bevono troppo, non hanno bisogno di dormire o mangiare, non costruiscono relazioni, oppure le hanno pessime, specie quelle coi figli. Thomas è più vero e apprezzabile, tanto che a volte i lettori mi chiedono il suo numero di telefono: lo amano e seguono le sue vicende private ancor più della trama gialla… questo mi piace molto».

Perché ha deciso di rendergli la vita particolarmente tragica?

«Quando ho iniziato a scrivere questi gialli Thomas aveva 39 anni ed ho pensato che nessuno arriva a quell’età senza essere stato toccato da qualcosa nella vita, sicuramente ci sono stati eventi tragici e altri felici. L’ho creato compassionevole verso gli altri, ma anche con un profondo dolore dentro ed ho deciso che il motivo fosse la morte della figlia».

Lei vive a nord di Stoccolma con suo marito e i vostri tre figli, come descrive la sua famiglia e la sua vita?

«Mi definirei un po’ il motore della mia famiglia, il centro. Ma siamo tutti molto uniti. Quando viaggiamo, nonostante i figli abbiano 19, 22 e 25 anni, condividono ancora la stanza e amano stare vicini; cosa che mi rende molto felice perché volevo proprio che diventassero un team. Fin da quando erano piccoli ho voluto trasmettere l’idea che io e mio marito, felicemente sposati da 28 anni, avevamo stessi principi, valori e una parola univoca».

Perché ha smesso di fare l’avvocato per dedicarsi alla scrittura di crime story?

«I primi 4 libri li ho scritti mentre ancora lavoravo, poi è arrivato il successo internazionale, la serie tv ed era praticamente impossibile gestire entrambe le cose. Così ho preso la decisione di abbandonare l’avvocatura e non mi sono mai pentita».

Cosa l’affascina delle trame con delitto?

«In realtà ho un ventaglio di interessi più ampio. Oltre a 9 polizieschi ho scritto anche 1 libro di cucina; insieme a mia figlia 3 libri fantasy per adolescenti tra i 10-15 anni, ambientati sempre nell’arcipelago; e 3 libri di natura giuridico – legale».

In Svezia il tasso di violenza è piuttosto basso, come si spiega il grande successo della letteratura noir?

«Se si vive in un ambiente sicuro ci si può permettere di leggere di crimini o catastrofi apprezzandone la tensione, perché alla fine della giornata si dorme nel proprio letto in un ambiente pacifico e calmo. Mentre penso che se si vive, per esempio, in zona di guerra non si ha voglia di leggere altra violenza».

La sua giornata tipo?

«Dipende, se sono in tour promozionale, come la scorsa settimana in Canada, le cose sono diverse. Ma normalmente quando sono a casa mi sveglio e faccio esercizi per 45 minuti perché ho avuto problemi con la schiena; poi se la giornata è dedicata alla scrittura mi ci dedico fino alle 18 con qualche intervallo per caffè, incombenze domestiche, esigenze dei figli e un po’ di stretching. Se invece sono sola a Sandhman posso scrivere fino a tarda sera».

Le sue grandi passioni? Quando non scrive cosa ama fare?

«Lo sci d’inverno nel nord della Svezia; poi mi piace molto cucinare…fare pane, biscotti…».

 

 “Estate senza ritorno” (Marsilio)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando il fumetto racconta il museo

Chi l’avrebbe detto che fumetti e musei potessero andare perfettamente d’accordo? Eppure è così: Fumetti nei musei ne è la prova lampante.  I due mondi, solo apparentemente distanti, dialogano perfettamente e dal loro incontro è nata una serie di ventidue albi che raccontano altrettanti musei


L’iniziativa nasce dalla volontà di far conoscere ai ragazzi le collezioni dei musei italiani attraverso un linguaggio inedito, quello delle graphic novel, con l’obiettivo di rendere la visita un’esperienza formativa e allo stesso tempo divertente. Ma non solo: la straordinaria forza narrativa del fumetto permette di raccontare la contemporaneità dei musei italiani come luoghi vivi dove accadono storie incredibili. Il progetto sarà presentato al Salone del Libro di Torino domenica 13 maggio alle ore 11,30 nello Spazio Stock del Bookstock Village e, in questa occasione, verrà svelato l’albo realizzato da Lorena Canottiere per i Musei Reali di Torino, intitolato Io più fanciullo non sono: Eugenio di Savoia-Soissons era un bambino gracile, malaticcio, sempre deriso dai bulli, che però non smise mai di crederci e, a dispetto di tutti, sarebbe diventato un grande condottiero. Oggi la sua statua equestre parla a Giovanni, un ragazzo introverso in gita con la scuola ai Musei Reali…  Il fumetto trae ispirazione dalle collezioni conservate nel museo che custodiscono quadri provenienti dalla raccolta del principe, giunta in Piemonte tra 1737 e 1741, finimenti, armi e armature a lui appartenute, nonché dalle molte raffigurazioni presenti lungo il percorso di visita, primo tra tutti il grande ritratto equestre dipinto da Jacob van Schuppen, esposto in Galleria Sabauda. L’autrice, artista e illustratrice che ha pubblicato le sue tavole su riviste italiane come InternazionaleFocus Junior e La Lettura del Corriere della Sera, sarà inoltre protagonista del workshop gratuito Fumetti, ogni storia è REALE che si svolgerà in Galleria Sabauda sabato 19 maggio alle 16,30, in occasione della Festa dei Musei (età consigliata dai 12 ai 16 anni, prenotazione obbligatoria all’indirizzo: mr-to.edu@beniculturali.it). Fumetti nei musei è un progetto ideato e curato dall’Ufficio Stampa e Comunicazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, realizzato in collaborazione con Coconino Press – Fandango e con il supporto di Ales Spa, del Sed – Centro per i Servizi educativi e della Direzione Generale Musei MiBACT. La collana di graphic novel, ideata per la didattica museale, inaugura un nuovo dialogo tra ragazzi e musei con l’obiettivo di rendere la visita un’esperienza formativa e allo stesso tempo divertente. Il progetto prende vita dall’incontro tra i direttori dei musei italiani e alcuni tra i fumettisti più celebri del panorama nazionale che, prendendo spunto da elementi storici e artistici veri, hanno raccontato il patrimonio museale italiano attraverso storie di fantasia. In occasione di visite e laboratori didattici, i servizi educativi dei musei partecipanti potranno distribuire gratuitamente il proprio fumetto a bambini e a ragazzi.

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I protagonisti
I 22 volumi della prima edizione del 2018 hanno visto l’incontro tra: la Galleria Borghese e Martoz, la Galleria dell’Accademia di Firenze e Tuono Pettinato, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea e LRNZ, la Galleria Nazionale dell’Umbria e Andrea Settimo, la Galleria Nazionale delle Marche e Maicol&Mirco, le Gallerie degli Uffizi e Alessandro Tota, le Gallerie dell’Accademia di Venezia e Alice Socal, le Gallerie Nazionali d’Arte Antica in Palazzo Barberini e Paolo Parisi, i Musei Reali di Torino e Lorena Canottiere, il Museo e Real Bosco di Capodimonte e Lorenzo Ghetti, i Musei del Bargello e Otto Gabos, il Palazzo Reale di Genova e Fabio Ramiro Rossin, il Parco Archeologico di Paestum e Dr. Pira, la Pinacoteca di Brera e Paolo Bacilieri, la Reggia di Caserta e Maicol&Mirco, le Gallerie Estensi e Marino Neri, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e Zuzu, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e Vincenzo Filosa, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto e Squaz, il Palazzo Ducale di Mantova e Sara Colaone, il Parco Archeologico di Pompei e Bianca Bagnarelli, il Parco Archeologico del Colosseo e Roberto Grossi.

Con Markaris vanno in scena il delitto e le denunce sociali

Petros Markaris affascina e diverte presentando al 31° Salone Internazionale del Libro di Torino il suo nuovo romanzo “L’università del crimine”, un’occasione per parlare anche dei problemi della Grecia, della crisi che non ha colpito soltanto la popolazione, ma anche l’istruzione, l’università e delle ambizioni di tanti intellettuali.

Definito da molti critici il Camilleri greco, da altri accostato a Georges Simenon, Markaris, classe 1937, è nato ad Istanbul, terra della quale ha confessato di avere portato per tutta la vita le stimmate, ed è stato legato da una lunga collaborazione al regista Theo Angelopoulos con il quale ha lavorato a numerose sceneggiature, tra le quali “L’eternità e un giorno” (Palma d’oro a Cannes nel 1998). Nel 1995 Markaris ha pubblicato il suo primo libro giallo, creando la figura del commissario Kostas Charitos, figura metodica, tranquilla, abitudinaria, e della sua famiglia, la moglie Adriana, intransigente e testarda, la figlia Caterina, avvocato idealista, e delineando, romanzo dopo romanzo, la situazione della società greca alle prese con i diversi problemi e con una crisi – ha spiegato lo scrittore – che è stata oscurata da false verità da parte della politica.

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Con “L’università del crimine” gli omicidi di tre docenti universitari, diventati ministri, sono lo spunto per affrontare il problema più importante dei professori che non considerano l’insegnamento come una vocazione, ma come un lavoro al quale tornare una volta terminate o fallite le ambizioni politiche. I posti all’università restano scoperti anche per colpa di coloro che scelgono la carriera politica, ma conservano la cattedra, impedendo così le sostituzioni e impoverendo il mondo accademico. L’università in Grecia incontra, giorno dopo giorno, sempre maggiori difficoltà, non ci sono fondi, eppure i professori che lasciano la cattedra per entrare in politica sono moltissimi e i giovani ricercatori non possono essere assunti perché la cattedra è congelata. Si tratta di una situazione assurda, ma alla quale nessuno pone rimedio. Markaris ha spiegato che i suoi libri nascono innanzitutto dai temi che lo indignano, che lo fanno letteralmente “impazzire” e contro i quali decide di prendere posizione e ha criticato il pressapochismo di una società dove esprimere un’opinione è diventato troppo facile e possibile a tutti, grazie ai social network che consentono a chiunque di dire qualsiasi cosa. Sferzante, persino duro, sempre lucido, Petros Markaris ha annunciato il titolo del suo prossimo romanzo “L’età dell’ipocrisia”, tema quanto mai attuale e non soltanto in Grecia.

 

Barbara Castellaro