CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 655

In mostra a Verona la moderna classicità di Colonna

Dal 24 al 26 ottobre a Palazzo Camozzini di Verona, organizzata da A.L.E.R.A.M.O. Onlus. Presidente Maria Rita Mottola, Curatrice Giuliana Romano Bussola, allestimento di Gian Carlo Boglietti, si svolgerà la  mostra “Giorno Notte: oltre la luce” di Gianni Colonna.

Torinese, allievo di Felice Casorati con cui ha condiviso l’inclinazione all’arte figurativa ne è rimasto sempre fedele convinto che senza di essa si impoverirebbe la conoscenza del mondo e la formazione dell’uomo.

Egli è uno dei pochi artisti che, nel panorama contemporaneo, concretizza l’idea nella figurazione senza cedere a lusinghe dell’annullamento iconico.

Si tratta di un moderna classicità non sottoposta a mode del momento, una vocazione alla bellezza di immagini persistenti nel tempo, un ritorno all’ordine che recupera simboli, miti e alchimie dei contrari giorno notte, verità mistero, enigma certezza.

Si riappropria di una sedimentata memoria iconografica di amate risonanze rinnovata sovrapponendo i propri dipinti, attraverso costruzioni mentali, a capolavori di grandi del passato facendoli riaffiorare con sublimata purezza.

Fare arte è per lui non solo giungere a riuscita estetica ma anche recuperare valori esistenziali etici e religiosi.

Soprattutto, sono parole sue “Dipingo sul passato affinché non venga dimenticato, contemporaneamente creando una modernità con spirito libero e sincero.”

Giuliana Romano Bussola

 

Palazzo Camozzini – Verona

Dal 24 al 26 ottobre

Dalle ore 18 alle 23.

Al via la nuova stagione di Assemblea Teatro

Ai nastri di partenza la nuova stagione di “Insolito” di Assemblea Teatro. Con lo slogan “La musica intorno”, inizia così la nuova avventura con 18 appuntamenti in programma.

Musica e teatro si fondono, si contaminano, dialogando tra di loro. Debutto il 24 ottobre con Rudi Trudi in “L’America che amiamo”. Un viaggio profondo tra musica e teatro. Si guarda l’America attraverso le parole e le note di Dylan, Prince, Springsteen, Kerouac, Patty Smith. Anche l’Italia viene raccontata, nelle altre serate di “Insolito”, con De André, Mia Martini, Modugno. Il direttore artistico Renzo Sicco, con questo cartellone, si propone di descrivere passato, presente e futuro dei due linguaggi, teatrale e musicale, tipici e espressivi dell’essere umano. “Insolito” chiude il 26 marzo con Francesca Puglisi in “Ccà nisciuno è fisso – L’era della precarietà”. Gli spettacoli si svolgeranno al Teatro Agnelli alle 21, per informazioni 011-3042808, mail assteat@tin.it.

 

Pier Luigi Fuggetta

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

***

Elisabeth Day “Il party”   -Neri Pozza- euro 18,00

Questo bellissimo romanzo della scrittrice irlandese racconta la storia di un’amicizia al maschile in cui è totalmente assente la reciprocità bilanciata. Tutto ha inizio sui banchi del Burtonbury, ex collegio maschile per figli di diplomatici, dove si conoscono Ben Fitzmaurice e Martin Gilmour. Il primo è il viziato e privilegiato rampollo di una blasonata famiglia: bello, ricco, affascinante, ricercato da tutti. Il secondo invece è il figlio di una povera vedova che si arrabatta per sopravvivere: ha vinto una borsa di studio, è sensibile e leale oltre misura. Essere amico di Ben e introdotto nella sua famiglia snob, per Martin ha un valore aggiunto, perché significa avere almeno dei brandelli di quello che ha sempre desiderato ma il destino gli ha negato alla nascita. La loro è un’ amicizia a due corsie. Martin stravede per Ben al limite dell’inconfessabile confine tra amicizia e amore: ne è succube, sogna un rapporto esclusivo e soffre moltissimo quando l’altro lo snobba o rivolge le sue attenzioni ad altri compagni. Poi accade un fatto gravissimo, ci scappa il morto e Martin si assume la colpa di quello che invece ha fatto Ben. Tra loro, d’ora in poi, un segreto che la famiglia Fitzmaurice remunera generosamente, consentendo a Martin un’esistenza senza l’incombere dei problemi economici. Ma cosa accadrà negli anni a seguire? Ben sposa la bellissima e fasulla Serena, fanno 4 figli e imbastiscono una vita vuota, piena di apparenza e zero sostanza. La resa dei conti è al sontuoso party per i 40 anni di Ben, nell’edificio del XVII secolo acquistato e restaurato insieme alla moglie. Tra gli invitati, la creme della creme di personaggi famosi, ricchi, di successo, compreso l’ambito arrivo del Primo Ministro…E, quasi di straforo, anche Martin (diventato un critico d’arte) e sua moglie Lucy; donna pratica che sa benissimo di essere seconda nel cuore del marito, dopo Ben. Ma che fine farà l’ossessione lunga una vita di Martin?

 

Lorenza Pieri  “Il giardino dei mostri”   -edizioni e/o – euro 18,00

Sullo sfondo della Maremma toscana tra fine anni 1980 e albori dei 90, è raccontata la vicenda umana e artistica della franco-americana Niki de Saint Phalle, che nel cuore di quella campagna ha creato il suo famoso Giardino dei Tarocchi. Ma non c’è solo lei nel romanzo. La sua presenza è racchiusa nel perimetro di due famiglie diversissime che finiranno per mescolarsi in un giro di sesso e affari. Da un lato i Biagini, allevatori di cavalli, e dall’altro gli altolocati romani Sanfilippi. In mezzo a loro si incastona l’arrivo della geniale Niki. Ha il pesante bagaglio della degenza nelle cliniche psichiatriche dove ha ripetutamente cercato di lenire il dolore scatenato da un orribile trauma. Bisogna risalire all’estate del 1941, nel New England, nella sontuosa villa della coppia formata dall’attrice Jeanne Jacqueline Harper e dall’aristocratico e religiosissimo banchiere André Marie Fal de Saint Phalle. La futura artista, Catherine Marie-Agnès (Niki è il suo nome d’arte), è la seconda dei loro 5 figli: all’epoca ha solo 11 anni, e la sua vita sta per precipitare in un pozzo senza fondo. Il padre la porta nel capanno degli attrezzi, la violenta e distrugge per sempre la sua innocenza e fiducia negli esseri umani. L’uomo che avrebbe dovuto proteggerla, si è trasformato in mostro. Da allora la vita di Niki è una costante discesa agli inferi: sprofonda sotto il peso dell’incesto, il senso di vergogna, incubi ricorrenti, gesti ribelli, ossessioni e tracolli psichici, istinti suicidi e studi incostanti. Si sposa a soli 19 anni e avverte in pieno la sua incapacità di essere una brava madre. E’ bellissima e campeggia sulla copertina di “Vogue”; ma soprattutto ambisce a costruire le sculture più grandi mai realizzate da una donna, opere che sono anche creature deformi contro le quali infierisce sparandogli. “Il Giardino dei Tarocchi” nei pressi di Capalbio sarà il suo capolavoro: un luogo magico abitato da 22 statue giganti, fatte di vetri e ceramiche, ispirate alle figure degli arcani maggiori.

 

Helen Fields   “Resti perfetti” -Newton Compton-     euro 9,90

Ecco come leggere un bellissimo thriller spendendo poco, come solo la Newton Compton sa fare. E’ il libro di esordio dell’inglese Helen Fields che, dopo essersi specializzata in diritto penale e di famiglia e aver lavorato per anni in tribunale, ha deciso di voltare pagina e con il marito ha fondato una casa di produzione cinematografica. Oggi vive a Los Angeles, fa anche la sceneggiatrice e in “Resti perfetti” traspare tutta la sua bravura nel raccontare con piglio quasi da film. Ha creato il personaggio complesso dell’ex agente dell’Interpol Luc Callanach: uomo bellissimo ed ex modello, ma anche difficile e dal carattere spinoso. Più che un poliziotto sembra un adone e questo un po’ lo penalizza sul piano professionale. Sta faticosamente cercando di rimettere in carreggiata la sua carriera travolta da un’infamante accusa (che scoprirete leggendo). Siamo nelle splendide Highlands scozzesi e Luc, diventato ispettore nella città del padre, si trova subito catapultato in un’indagine complessa. In giro c’è un folle che rapisce donne single, di successo e tostissime, molto intelligenti e abili nel loro lavoro. Poi depista le indagini perché architetta un piano diabolico per farle credere morte. In realtà le tiene per sé, imprigionandole e torturandole. Apparentemente è un uomo tranquillo e insignificante, che stenta però a vedere riconosciuti quelli che ritiene i suoi meriti. In realtà il suo piano è geniale e intriso di sadismo allo stato puro.

Callanach non lavora solo sul fronte di questa indagine, ma aiuta anche la collega (empatica, gentile e bravissima) Ava Turner, che sta lavorando al caso di neonati abbandonati alla nascita e destinati alla morte. Due indagini che vi terranno incollati alle pagine fino all’epilogo.

Gli incontri di Aspettando il Salone

Proseguono gli incontri di Aspettando il Salone, ricco calendario di appuntamenti con il meglio della letteratura internazionale, pensato come percorso ideale fino al più grande evento editoriale italiano, il Salone Internazionale del Libro di Torino, dal 14 al 18 maggio 2020

Bret Easton Ellis, un vero scrittore di culto, porta al Circolo dei lettori (via Bogino, 9) lunedì 21 ottobre alle 21, la sua prima opera di non fiction. È Bianco, in uscita per Einaudi: indagine senza sconti nel rimosso dello spirito del tempo. Ellis dialogherà con Marco Rossari.

Martedì 22 ottobre si prosegue, poi, con il grande autore israeliano Eshkol Nevo, che sarà a Torino per presentare L’ultima intervista in uscita per Neri Pozza, racconto autobiografico di uno scrittore sull’orlo dell’abisso, pronto a lasciarsi andare alle più intime confidenze. L’incontro sarà alle ore 18 al Circolo dei lettori con Alessandro Martini e Maurizio Francesconi.

E ancora. Paragonata a Shirley Jackson, David Lynch e alla serie Black Mirror, Samanta Schweblin in Kentuki (Edizioni SUR) esplora il lato più inquietante della modernità. Per lei, doppio incontro, mercoledì 23 ottobre, sia in una scuola cittadina in mattinata, sia alle ore 18 per il pubblico, alla Biblioteca civica Natalia Ginzburg (via Lombroso, 16) con Fabio Geda.

Un trono tra le nuvole

 Mostra-viaggio nel Tibet del XIV Dalai Lama

Quando: 27 settembre 2019 – 19 gennaio 2020

Dove: Mostre Marotta, Strada Carpice 22, Moncalieri (TO)

Orari: Mar-Sab 9-13/15-19. Dom: 15-19. Lun: Chiuso.

Telefono per info e visite guidate: 0116467427

Sitowww.untronotralenuvole.it

Ingresso: Gratuito

***

Per chi ama la cultura orientale, è affascinato dalla figura del Dalai Lama e sogna di fare un viaggio alla scoperta del Tibet è un’occasione da non perdere.

Dal 27 settembre 2019 al 19 gennaio 2020, presso la galleria “Mostre Marotta”, si terrà la mostra dal titolo: “Un trono tra le nuvole: la storia moderna del Tibet attraverso gli occhi del XIV Dalai Lama”.

Dopo il successo della prima parte di questa mostra, che trattava il periodo del Tibet dal 1876 al 1933,  si presenta ora la seconda parte della storia moderna de Tibet. Questa nuova mostra, curata sempre da Giovanni Carlo Rocca, tratta quindi la storia moderna del Tibet dal 1933 al 1959, ovvero il primo periodo sotto la guida dell’attuale Dalai Lama fino al suo esilio. Il viaggio si svolgerà attraverso l’esposizione e la presentazione di libri, giornali e riviste d’epoca, fotografie, manufatti, mobili ed arte originale tibetana: 30 anni di cammino attraverso l’arte e gli avvenimenti del Tibet.

La location scelta è Mostre Marotta, galleria d’arte specializzata in tappeti, mobili e sculture orientali. Il progetto dell’esposizione è nato dalla collaborazione tra l’associazione Purple Middle Way e la galleria Mostre Marotta. La mostra conterrà materiale librario, cartaceo e fotografico d’epoca della Purple Middle Way, oggetti antichi e mobili di cultura tibetana provenienti dalla collezioni privata Marotta, un ampio patrimonio librario e fotografico, inediti documenti sul Tibet… il tutto per raccontare la meravigliosa storia moderna del Tibet attraverso gli occhi del XIV Dalai Lama. Durante l’esposizione sarà presentato un video-documentario sulla vita del XIV Dalai Lama. La mostra sarà un’occasione per approfondire numerosi temi, quali:

• la vita del XIV Dalai Lama

• la cultura, la storia e l’arte tibetana

• le spedizioni antropologiche e scientifiche internazionali in Tibet

• le spedizioni italiane in Tibet

• usi e costumi del popolo tibetano

• l’informazione e la sensibilizzazione in merito alle difficoltà nel preservare una cultura di un popolo occupato e in parte esule.

Una mostra che è un vero e proprio gioiello, nel cuore di Moncalieri. L’ingresso è libero. In vendita il libro della mostra, il cui ricavato sarà destinato alla realizzazione di un orfanotrofio in Nepal. L’esposizione è rivolta a tutti coloro che nutrono curiosità verso qualunque forma d’arte e sono desiderosi di conoscere nuove culture, in particolare:

• coloro i quali vogliono migliorare la loro conoscenza sul tema del Tibet e del popolo tibetano;

• gli appassionati di fotografia, storia e letteratura;

• membri di associazioni di volontariato;

• chi è particolarmente sensibile al tema della solidarietà;

• le scuole (per la parte didattica, ma non solo);

• la comunità tibetana internazionale.

Viaggio nel Giappone che cambia alla Pinacoteca Agnelli

La Pinacoteca Agnelli di Torino presenta, da sabato 19 ottobre 2019 sino a domenica 16 febbraio 2020, la grande esposizione “Hokusai, Hiroshige, Hasui. Viaggio nel Giappone che cambia”.

In mostra le opere di due grandi Maestri del “Mondo Fluttuante” dell’Ottocento, Katsushika Hokusai (1760 – 1849) e Utagawa Hiroshige (1797 – 1858), insieme alle stampe moderne di Kawase Hasui (1883-1957), pittore esponente del movimento shin hanga (“nuove stampe”), che portò avanti i temi e le tecniche delle silografie policrome anche nelle epoche Meiji (1868-1912), Taishō (1912-1926) e parte della Shōwa, fino a metà degli anni Cinquanta del Novecento quando venne nominato “Tesoro nazionale vivente” nel 1956.

L’esposizione è curata da Rossella Menegazzo, docente di storia dell’Arte dell’Asia Orientale dell’Università di Milano, e Sarah E. Thompson curatrice del Boston Museum of Fine Arts, ed è organizzata dalla Pinacoteca Agnelli in collaborazione con il Museum of Fine Arts, Boston insieme a MondoMostreMain partner del progetto è FIAT.

Il percorso espositivo, diviso in 4 sezioni tematiche, propone attraverso una selezione di 100 straordinarie silografie dei tre maestri, Katsushika HokusaiUtagawa Hiroshige e Kawase Hasui, un viaggio nei luoghi più suggestivi del Giappone, reali e immaginari, raccontando il mondo artistico di un paese che tra fine Ottocento e inizio Novecento subisce un’enorme trasformazione sotto l’influenza dell’Occidente. Ecco come il mondo fluttuante, reso noto dai primi due maestri, scivola dentro una società che aspira ai canoni artistici europei, e non solo, di cui Hasui è testimone.

I visitatori potranno vivere una esperienza completa, prima sperimentando su di sé la meraviglia e l’emozione che all’epoca dovettero provare artisti come Monet, Van Gogh, Degas, Toulouse-Lautrec di fronte alla freschezza, alla semplicità e al forte impatto delle opere di Hokusai e Hiroshige, i due straordinari paesaggisti che contribuirono a rivoluzionare il linguaggio pittorico della Parigi di fine Ottocento; e poi, vedendo l’evoluzione di quelle immagini del Mondo Fluttuante traslate in epoca moderna, attraverso l’abilità, la nostalgia e la tecnica innovativa di Hasui, per la prima volta in un confronto diretto con le opere più importanti dei pittori classici della tradizione giapponese.

La produzione di immagini del Mondo Fluttuante (ukiyoe), un genere artistico che si sviluppò a partire dal XVII secolo, ha riguardato moltissimi artisti che attraverso pitture su rotoli, paraventi e soprattutto stampe, accompagnarono queste immagini souvenir alla massima fioritura nei primi decenni dell’Ottocento. Hokusai è certamente uno dei più raffinati rappresentanti della visione estetica dell’ukiyoe. Seppe rappresentare con forza, drammaticità e sinteticità i luoghi e i volti, oltre che il carattere e le credenze della società del suo tempo. Nei suoi dipinti su rotolo, ma soprattutto nelle sue silografie policrome, l’artista ha saputo interpretare in modo nuovo il mondo in cui viveva, con linee libere e veloci, un uso sapiente del colore e in particolare del blu di Prussia, da poco importato in Giappone, traendo spunto sia dalla pittura tradizionale autoctona sia dalle tecniche dell’arte occidentale.

I soggetti delle sue stampe coprono ogni ambito dello scibile di cui la mostra dà ampio conto, presentando stampe di bellezze paesaggistiche e naturalistiche dell’arcipelago che comprendono anche i luoghi appartenenti alla tradizione letteraria e poetica e i grandi poeti che li resero famosi.

Tra le serie di maggior successo degli anni Trenta vanno ricordate senz’altro quelle dedicate alle cascate e ai ponti famosi del Giappone, anche se fu con le Trentasei vedute del monte Fuji che Hokusai si affermò sul mercato delle immagini di paesaggio come grande maestro. Da allora in avanti nessun artista del Mondo Fluttuante poté esimersi dal far riferimento alla sua opera e, in particolare, alla stampa appartenente a questa serie divenuta icona dell’arte giapponese: La Grande Onda presso la costa di Kanagawa, conosciuta come la “Grande Onda”.

Più giovane di circa vent’anni rispetto a Hokusai, Hiroshige divenne un nome celebre della pittura ukiyoe poco dopo l’uscita delle Trentasei vedute del monte Fuji del maestro grazie a una serie, nello stesso formato orizzontale, che illustrava la grande via che collegava Edo (l’antico nome di Tokyo) a Kyoto. Si tratta delle Cinquantatré stazioni di posta del Tōkaidō, conosciute come “Hōeidō Tōkaidō” dal nome dell’editore che lanciò verso il successo Hiroshige. Da allora l’artista lavorò ripetutamente su questo stesso soggetto, producendo decine di serie diverse fino agli anni Cinquanta.
La qualità delle illustrazioni di paesaggio e vedute del Giappone, la ricchezza degli elementi stagionali e atmosferici – nevi, piogge, nebbie, chiarori di luna – che Hiroshige seppe descrivere facendoli percepire in modo quasi sensoriale, gli valsero il titolo di “maestro della pioggia e della neve”.

“Vitamine Jazz” per la Fondazione “Medicina a Misura di Donna”

Martedì 22 ottobre
Ospedale Sant’Anna – sala 3° Paradiso via Ventimiglia 3
134° concerto – terza stagione

“Nuit Française Eclettic Duo”

Cecile Delzant e Emanuele Francesconi

Cécile Delzant, violinista, ed Emanuele Francesconi, pianista, compongono il Nuit Française Eclettic Duo. Entrambi amano profondamente sia la musica classica che il jazz e da quest’amore nasce la coraggiosa scelta di far incontrare due stili così diversi fra loro. Negli arrangiamenti di Francesconi le regole della musica classica si fondono con la libertà del jazz, la struttura si scioglie nell’irrequietudine dell’improvvisazione. Fra gli autori saranno proposti Mozart, Gershwin, Ravel, ognuno inizialmente in versione originale per poi scivolare in quella jazz.“

Cecile Delzant e Emanuele Francesconi

Sul palco, entrambi i musicisti catturano l’attenzione con la forza e l’energia delle loro esecuzioni, ma soprattutto con la loro enorme e travolgente passione. Cécile Delzant ed Emanuele Francesconi hanno una formazione sia classica che jazz, così da riuscire a spaziare facilmente tra i due generi. Emanuele Francesconi che, solo nel 2015, ha ricevuto quattro riconoscimenti a livello nazionale per le sue composizioni. Stiamo parlando del primo premio al Barolo Jazz Contest, del premio del pubblico al Chicco Bettinardi, del terzo premio al Ravel International Composition Contest e al Narni Black Soul.

Il duo nasce nel 2011 e si esibisce in numerosi jazz club e circoli culturali. Nel 2014 vincono il premio giovani jazzisti di Barolo.

I vincitori del premio Lagrange

Sono stati annunciati giovedì 17 ottobre, presso la sede della Fondazione Crt, dal presidente Giovanni Quaglia  (nella foto) e dal segretario generale, Massimo Lapucci i vincitori del Premio Lagrange.

 

Il massimo riconoscimento internazionale per la scienza dei sistemi complessi, istituito dalla Fondazione CRT – Cassa di Risparmio di Torino e coordinato dalla Fondazione ISI –Istituto per l’Interscambio Scientifico di Torino, quest’anno vanno al biologo ed ecologo britannico Iain D. Couzine e al biologo marino ed esploratore statunitense David Gruber.

 

Il Premio Lagrange – ha detto il presidente Quaglia – è un modo per riconoscere i meriti di un grande matematico nato a Torino, ma di origini francesi. Un Progetto Lagrange avviato dalla Crt nel 2003 ed un Premio Lagrange istituito nel 2008.

 

David Gruber è, tra l’altro, professore di Biologia e Scienze Ambientali presso il Baruch College della City University of New York ed esploratore del National Geographic.

 

Iain D. Couzin, già ricercatore alla University of Oxford e professore alla Princeton University, oggi è direttore del Max Planck Institute of Animal Behavior di Costanza in Germania .

 

Studiare la straordinaria complessità del mondo animale per comprendere meglio i meccanismi che regolano la vita sul pianeta, compresa la nostra. È il terreno su cui si muovono i due vincitori dell’edizione 2019 del Premio Lagrange –Fondazione CRT.

 

Il Premio Lagrange –Fondazione CRT2019 è assegnato al Prof. Iain D. Couzinper il suo rilevante e pionieristico lavoro sull’emergenza di comportamenti collettivi in gruppi di animali e in gruppi sociali, nonché per lo sviluppo della tecnologia per lo studio sperimentale di tali sistemi così complessi.

 

Il Premio Lagrange –Fondazione CRT2019 è assegnato al Prof. David Gruber per il suo pionieristico contributo allo sforzo di acquisire una conoscenza più approfondita del sistema di comunicazione dei capodogli (Physeter macrocephalus).

 

Queste balene, che vivono in grandi nuclei familiari, hanno un linguaggio vocale complesso che usano in una complessa rete di comunicazione.

 

Il Prof. Gruber ha architettato le basi concettuali di un vasto e ambizioso progetto di ricerca, basato su tecniche di intelligenza artificiale e di decodifica di algoritmi, finalizzato ad aiutarci ad imparare il complicato linguaggio delle balene.

 

Se si andrà su Marte e potremo parlare con gli alieni sarà anche per via di queste ricerche.

 

Peccato che nell’Albo doro dei vincitori risulti, per l’Italia , solo il fisico Giorgio Parisi nel 2009.

 

Tommaso Lo Russo

In viaggio sul van rosso

Caleidoscopio rock USA anni 60

Tra 1967 e 1969 lo si poteva vedere slittare persino sulla neve o sul ghiaccio di Youngstown in Ohio… quel van Ford Econoline “adattato”, color rosso mattone, con copricerchioni lisci, pittoreschi specchietti oblunghi e fiancata con caratteri giganteschi in bianco e azzurro.

All’interno ci trovavi i “Pifferai Magici” di quell’area di Rust Belt dalla vita sofferta, la Youngstown che tra anni Cinquanta e Sessanta era purtroppo nota anche come “Murdertown” o “Bomb City”, spesso pesantemente infiltrata ad ogni livello nelle amministrazioni dall’onda lunga dell’Italian Mob [“The Mob” secondo lo slang].

Sulla fiancata del van campeggiava la scritta “The Pied Pipers”, ma erano cosa ben diversa dall’omonimo gruppo vocale sorto a fine anni Trenta…

L’avventura della band era iniziata nel 1966, con l’entusiasmo di alcuni studenti della Cardinal Mooney High School: Les Moro (chit), Pete Pompura (b), Lenny Krispinsky (batt), guidati dal carisma magnetico e selvaggio di Dennis Sesonsky (V); quest’ultimo vantava una presenza scenica di grande impatto, in un connubio che prendeva ispirazione da Mick Jagger e James Brown, generando uno stile “Stones/R&B” insolito ed accattivante.

I gigs di certo non mancavano e l’area di azione sconfinava finanche in Pennsylvania, essendo Youngstown prossima alla Ohio Turnpike, corridoio preferenziale tra Chicago e Pittsburgh. Tuttavia i luoghi preferiti erano le ben note piste di pattinaggio su rotelle (i diffusi “roller rinks”, tra cui la Champion Rollarena), il mitico Idora Park (col celebre e storico ottovolante) e Willows Lake; comunque l’area battuta si estendeva soprattutto tra Youngstown, Warren, Middlefield, Columbiana in Ohio e tra Hermitage, New Castle e Mercer in Pennsylvania.

L’esordio in sala di registrazione non si fece attendere e nella seconda metà del 1966 uscì il primo 45 giri, composto da covers: “Hey Joe” (WAM 5948; side B: “Hold On I’m Coming” [Sam & David]), con etichetta WAM records di Youngstown; sulla radio locale WHOT fu un buon successo.

Nel 1967 alla band si aggiunse il chitarrista Rich Gula e si passò ad un altro step, un secondo 45 giri ma con brano originale: “Stay In My Life” [Moro – Sesonsky] (6710-HT-01; side B: “You Don’t Know Like I Know” [Sam & David]), su etichetta autoprodotta Hamlin Town; anche in questo caso girò parecchio su WHOT, con risultati migliori del precedente.

Trascorsa la fase delle incisioni, The Pied Pipers subirono una trasformazione significativa; i nuovi membri furono Brad Naples alla batteria (per Krispinsky) e Todd Stevenson alla chitarra (per Moro). Il raggio delle esibizioni si estese (anche grazie al van Ford rosso…) a sud Ohio fino ad Athens, oltre confine fino a Pittsburgh e cintura e ad ovest fino a Decatur e Fort Wayne (Indiana) in un periodo intenso durante il quale la band tornò a quattro elementi (uscì Pete Pompura, sostituito al basso da Stevenson).

Nel 1969 il sound subì le influenze psichedeliche allora molto frequenti e subentrò il chitarrista Dick [Richard] Belley proveniente dai The Human Bein[g]z; Richard Gula lasciò e la band cambiò il nome in The Pipers, esibendosi poi nell’aprile 1970 con gli emergenti concittadini Blue Ash e The Sound Barrier di Salem. Dopo tale evento si perdono le tracce del gruppo; dunque si presume che The Pipers entro la fine del 1970 si fossero ormai già sciolti.

 

Gian Marchisio

 

Ecco la triade vincente del “Premio Cesare Pavese 2019”

Per l’Editoria, la Traduzione e la Saggistica

Incontri e premiazione: sabato 26 e domenica 27 ottobre

Santo Stefano Belbo (Cuneo)

La traduttrice Susanna Basso, il linguista Giuseppe Patota e l’editrice Elisabetta Sgarbi sono i vincitori del Premio Cesare Pavese 2019, nato trentasei anni fa a Santo Stefano Belbo. Organizzato a partire da quest’anno dalla Fondazione Cesare Pavese, il riconoscimento si é rinnovato nella giuria, nelle sezioni in cui è suddiviso e negli appuntamenti proposti, per meglio rendere omaggio alla complessa figura di Pavese, che non fu solo grande scrittore, ma anche poetatraduttore, direttore editoriale e ideatore di una storica collana di saggi. “Il Premio Cesare Pavese è oggi un premio globale – spiega Gian Arturo Ferrari, che insieme a Claudio Marazzini, Giulia Boringhieri, Alberto Sinigaglia e Pierluigi Vaccaneo fa parte della giuria rinnovata – perché comprende tutte le ‘arti del libro’, fatta eccezione per quelle materiali, arti che hanno avuto in Cesare Pavese un rappresentante di statura altissima e soprattutto capace di praticarle e fonderle tutte insieme». Le nuove sezioni del Premio sono infatti, da quest’anno, dedicate all’Editoria e alla Traduzione, che vanno ad arricchire quelle dedicate alla Saggistica e alla Narrativa (in questa fase di transizione il premio per la Narrativa sarà assegnato dall’edizione 2020).

I tre vincitori incontreranno il pubblico e riceveranno il Premio domenica 27 ottobre, alle ore 10, a Santo Stefano Belbo, nell’Auditorium della Fondazione che ha sede nella Chiesa sconsacrata dei Santi Giacomo e Cristoforo (piazza Confraternita 1), in cui fu battezzato Cesare Pavese. A moderare l’incontro sarà la giornalista Chiara Buratti. Il Premio per la nuova sezione Editoria sarà consegnato a Elisabetta Sgarbi, editrice, direttrice artistica del Festival La Milanesiana, da lei stessa ideato, e regista cinematografica. Per venticinque anni in Bompiani, dove è stata direttore editoriale, nel 2015 fonda la casa editrice La Nave di Teseo, di cui è direttore generale e direttore editoriale, “rendendosi protagonista del più interessante fenomeno editoriale degli ultimi anni”. La sezione dedicata alla Traduzione vede, invece, vincitrice la torinese Susanna Basso, firma italiana di autori acclamati a livello mondiale come Ian McEwan, Alice Munro, Paul Auster, Julian Barnes, Elizabeth Strout, Martin Amis, Kazuo Ishiguro e Jane Austen, di cui sta traducendo l’opera completa. Dal 1987 collabora con la casa editrice Einaudi. A chiudere la triade, Premio per la Saggistica al napoletano Giuseppe Patota (professore ordinario di Linguistica Italiana presso l’Ateneo di Siena e Accademico della Crusca) per il saggio “La grande bellezza dell’italiano: il Rinascimento” (Laterza, 2019), una guida che esplora il fascino della lingua italiana attraverso tre grandi protagonisti del nostro Rinascimento: Pietro Bembo, Ludovico Ariosto e Niccolò Macchiavelli.

Il giorno precedente la cerimonia di premiazione, sabato 26 ottobre 2019, i vincitori visiteranno la Casa Natale di Cesare Pavese (via Cesare Pavese 20), per poi assistere, alle ore 17, all’incontro, aperto al pubblico, su Scienza e umanesimo: la nuova frontiera delle due culture”, presso l’Auditorium della Fondazione Cesare Pavese, condotto da Alberto Sinigaglia (presidente della Giuria nonché dell’Ordine dei Giornalisti di Piemonte e Valle d’Aosta), cui seguirà, alle ore 21,30, il concerto “Passeggiata musicale attraverso i secoli” con il Quintetto dell’Opera di Milano.

Il Premio renderà inoltre omaggio al suo fondatore, il professor Luigi Gatti, storico animatore del Cepam-Centro Pavesiano Museo Casa Natale, scomparso lo scorso gennaio e che per trentacinque anni ha organizzato il Premio, dirigendone la giuria. Sarà commemorato sempre nella giornata di sabato 26 ottobre alle ore 16 con un convegno dal titolo Cesare Pavese. La storia di un Premio”.

 

Info: Fondazione Cesare Pavese, piazza Confraternita 1, Santo Stefano Belbo (Cn), tel. 0141/840894 o www.fondazionecesarepavese.it

 

g.m.

 

Nelle foto
– Busto di Cesare Pavese nella casa natale di Santo Stefano Belbo
– Susanna Basso
– Giuseppe Patota
– Elisabetta Sgarbi