CULTURA E SPETTACOLI Archivi - Pagina 651 di 880 - Il Torinese

CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 651

Il leone del deserto

Si intitola The Lion Of The Desert  ed è un film che non ha mai avuto libera circolazione nel nostro Paese. Uscito nell’aprile 1981 negli Usa, fu presentato al Festival di Cannes l’anno successivo e poi distribuito in Europa, ma non in Italia

 

 Il Ministero degli Esteri ne vietò ufficialmente la visione ritenendolo lesivo dell’onore militare (queste le parole dell’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti). Venne anche intentato un procedimento giudiziario per vilipendio delle Forze Armate che, però, non ebbe seguito. Mancando il nullaosta di censura la pellicola ha quindi avuto una diffusione quasi clandestina, in versione originale e senza sottotitoli. Le rare occasioni in cui è stata mostrata al pubblico hanno assunto il sapore dell’evento. Si ha notizia di una proiezione tenutasi a Rimini nel 1988, che suscitò più di qualche polemica, e di un’altra al Festival dei Popoli nel 2002. Girato nel deserto libico ed a Cinecittà sotto la regia di Moustapha Akkad, americano di origine siriana, The Lion Of The Desert  annovera nel cast attori di primo piano, quali Anthony Quinn, Rod Steiger, John Gielgud, Oliver Reed, Irene Papas. Classica produzione internazionale ad alto budget tipica degli anni Settanta, il film venne finanziato con capitali americani e, sia pure parzialmente, dal leader libico Gheddafi, che pretese anche l’inclusione di alcune sequenze. La vicenda (ecco spiegate le ragioni della censura) è ambientata nei primi anni Trenta durante l’occupazione italiana della Libia, la “quarta sponda”, il “posto al sole” che pretendeva Mussolini (impersonato da Rod Steiger). Il film racconta la strenua resistenza che le tribù beduine opposero al nostro esercito guidato dal generale Graziani (Oliver Reed).

 

***

Eroe e protagonista del film è Omar el-Mukhtār (Anthony Quinn), soprannominato il leone del deserto, un anziano maestro di scuola elementare che dimostrò doti inaspettate di strategia militare. L’esercito italiano incorse in più di una disfatta prima di sconfiggerlo grazie all’assoluta superiorità di uomini e mezzi. L’occupazione guidata dal generale Graziani fu spietata e sanguinosa, vennero compiute brutalità tenute nascoste per anni negli archivi militari. Per stroncare la resistenza le coltivazioni furono distrutte, i pozzi avvelenati e l’intera popolazione della regione del Jebel Akhdar deportata. Circa centomila persone (il dieci per cento degli abitanti della Cirenaica) finirono deportate nei campi di concentramento approntati nel deserto della Sirte, dove in migliaia morirono di stenti. Contro i combattenti vennero inoltre usate armi proibite dalle convenzioni internazionali, come le terribili bombe chimiche all’iprite. Il 13 settembre 1931 Omar el-Mukhtār e i suoi uomini furono circondati e catturati in Cirenaica. Condotto a Bengasi, egli subì un processo-farsa davanti a una corte militare con l’accusa di alto tradimento. La condanna venne eseguita per impiccagione nel campo di concentramento di Soluk all’alba del 16 settembre, davanti a ventimila compatrioti. La morte di Omar el-Mukhtār sancì la fine della resistenza libica e l’inizio della sua leggenda, tanto che è ritenuto ancora oggi l’eroe nazionale per eccellenza. Sia pure con qualche esagerazione narrativa, The Lion Of The Desert  propone una ricostruzione meticolosa degli avvenimenti che gli storici (anche italiani) hanno giudicato sostanzialmente corretta. In questo senso alcune sequenze sono estremamente significative. Ad esempio quella in cui le camicie nere, approfittando dell’assenza di Omar el-Mukhtār, invadono il suo villaggio e ne massacrano gli abitanti (una giovane donna, accusata di essere una ribelle, viene crudelmente impiccata). In un’altra si descrivono le condizioni umilianti che i diplomatici fascisti imposero al tavolo delle trattative. Per converso occupa un posto di rilievo la figura positiva del colonnello interpretato da Raf Vallone, il che evita una separazione manichea tra italiani cattivi e libici buoni.

 

***

Il lungo e incredibile ostracismo contro il film di Moustapha Akkad si inserisce in una più ampia campagna di mistificazione e disinformazione, che ha sempre teso a conservare una visione romantica della storia coloniale del nostro Paese, mitica quanto assolutamente falsa. La verità è che per molti decenni non siamo stati in grado di fare i conti con la nostra disastrosa politica espansiva, in Libia e altrove. Questa pagina oscura è stata a lungo relegata nell’oblio. Chi partecipò ha sempre negato i massacri, le nefandezze e, soprattutto, l’impiego dei gas urticanti. Soltanto nell’ultimo decennio alcuni libri e qualche programma televisivo hanno cominciato a parlare in termini critici degli eventi bellici senza rimasticare la propaganda fascista dell’epoca o citare le “opere di civilizzazione” compiute. Si è trattato di un silenzio scandaloso, mantenuto anche grazie al boicottaggio cui è stato sottoposto questo film, che sfata lo stereotipo degli “italiani brava gente” e punta il mirino contro le atrocità commesse dal nostro esercito. Il 10 giugno 2009, in occasione della sua prima visita ufficiale in Italia, Muammar Gheddafi si presentò accompagnato dall’anziano figlio di Omar el-Mukhtār con la fotografia che ne ritrae l’arresto appuntata al petto. Si trattò di una mossa provocatoria, beninteso, ma che coincise con la fine di questo caso di vera e propria censura politica durato trent’anni. Il giorno seguente Cinema Sky Classics metteva in onda Il leone del deserto e, in seguito, lo replicò più volte. Oggi possiamo comodamente reperirlo su YouTube. Varrebbe la pena dargli almeno uno sguardo, tenendo bene a mente la lezione storica che, al di là del valore puramente artistico, la pellicola può impartirci ancora.

Paolo Maria Iraldi

 

Il Requiem verdiano secondo Conlon

Sarà la Messa da Requiem di Verdi il nucleo centrale del secondo concerto della stagione sinfonica, da poco iniziata, dell’Orchestra Sinfonica della Rai, in programma giovedì 25 ottobre alle 20.30 all’Auditorium Rai di Torino Arturo Toscanini. Saranno protagoniste le voci di Anna Pirozzi, reduce dal successo come Lady Macbeth al Festival Verdi di Parma; Saimir Pirgu, noto per le sue interpretazioni in ruoli verdiani, quali quello del Duca di Mantova e di Alfredo Germont; il contralto Marianna Pizzolato, gia protagonista con Conlon dello “Stabat Mater” Rossini, e Riccardo Zanellato, in sostituzione dell’indisposto Dmitry Belosseskiy. Saranno affiancate dal Coro del Teatro Regio di Parma. Sul podio il direttore principale James Conlon.Il Requiem fu eseguito dallo stesso Verdi per la prima volta nella Basilica di San Marco a Milano, il 22 maggio 1873, dedicato all’amico Alessandro Manzoni, da poco scomparso e la cui perdita provocò nel compositore un dolore profondo. Il Requiem risulta impregnato di una forte carica drammatica, capace di riflettere la linea portante del teatro verdiano, accompagnandosi ad una grandiosa meditazione sul mistero della morte che, pur sotto il segno della ribellione contro la volontà divina, è in grado di restituire all’uomo consolazione e dignità. La Messa da Requiem verdiana risulta intensa, ricca di armonia e di frasi melodiche inusuali per un testo di musica sacra, capaci di suscitare nell’ascoltatore sentimenti intensi come la pietà, la trascendenza, il senso della vita e quello della morte. Il testo liturgico della Messa funebre ha offerto al compositore una traccia capace di toccare i vertici del drammaticità, dalla fine della vita alla solitudine dell’anima, dal rimorso per i peccati commessi all’avvicinamento al Signore nei cieli. La Messa ha voluto anche essere, secondo le intenzioni di Verdi, un omaggio a Rossini, scomparso nel novembre 1868.Nel compianto funebre emerge quello che è l’ultimo personaggio della tragedia, l’uomo verdiano, con la sua intransigente moralità, le sue aspirazioni tradite, vinto ma, al tempo stesso, superiore al mondo. In questa chiave interpretativa si comprende il carattere laico di una Messa priva del Credo, in cui si addensano, fino ai limiti estremi, i tipici motivi del melodramma, tra i confini opposti del Dies Irae e dell’Agnus Dei. D’altronde la morte, come ha ben scritto il musicologo e critico Massimo Mila, rappresenta un leitmotiv delle opere verdiane e, nella Messa da Requiem, tutto il genere umano si comporta come i suoi personaggi.

 

Mara Martellotta

“Non ci siamo mai dedicati le canzoni giuste”

“Da quando mi sono innamorata di te, ogni cosa si è trasformata ed è talmente piena di bellezza… L’amore è come un profumo, come una corrente, come la pioggia. Sai, cielo mio, tu sei come la pioggia ed io, come la terra, ti ricevo e accolgo” Una certa Frida Kahlo citava queste parole e Calcutta ci rimette in bocca una pioggia di emozioni attraverso la voce incantevole di una Elisa che pare poco caratteriale ma che, in realtà, quando canta incanta. Fresco di pubblicazione mi fa trascorrere 3 minuti e 20 secondi col sorriso stampato in bocca; sono giorni che la ascolto in macchina e mi affascina l’idea di poter riportare dentro di sé una persona, bevendone il nome che cade sotto forma di pioggia. Dice infatti tutto sulla potenza metaforica del testo che, Calcutta, volenti o nolenti, ha centrato in pieno. Il significato della canzone è incentrato sull’amore: si parla infatti di un rapporto finito ma che è comunque presente e si fa sentire. Il brano si apre con “Non ci siamo mai dedicati le canzoni giuste” e “Non ci siamo mai detti le parole giuste neanche per sbaglio”, come ad accorgersi che forse si poteva fare di più, si doveva fare di più. La prima parte della canzone continua su questa linea, passando poi ad una fase malinconica dove la cantante fa i conti con l’assenza di questa persona e si rende conto di sentirsi vuota senza di essa. Ma c’è una frase, che a me lascia veramente un segno: ”se devi andare pago io”. Mi da quel senso di chi, lascia andare un amore che “deve” per le sue ragioni, e ne paga il conto, più salato che mai. La protagonista del video è la stessa Elisa che si ritrova più volte sotto la pioggia, quasi come a poter dire di essere libera di piangere per la mancanza di questa persona senza essere vista. Il video è stato realizzato in bianco e nero, quasi a voler dire che, senza questa persona, mancano colori importanti, quei colori che rendono tutto piu’ bello, luminoso… Ma vi lascio questa frase: ”gli altri muoiono; ma io non sono un altro; dunque non morirò” Vladimir Nabokov

Vi allego link ma del backstage, buon ascolto…godetevela tutta

https://www.youtube.com/watch?v=CsKw85CoyGM

Chiara De Carlo

***

Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

“Michelangelo Pistoletto / Comunicazione. Le porte di Cittadellarte”

Fino al 26 gennaio 2019

.

Nasce da un’idea-intuizione di oltre quarant’anni fa e dello stesso Michelangelo Pistoletto, la mostra dedicata al geniale artista biellese – fra i massimi esponenti dell’Arte Povera – e ospitata, fino al 26 gennaio del prossimo anno, negli spazi espositivi della Galleria “Giorgio Persano” e in quelli (facenti capo da alcuni anni alla stessa Galleria che ne dista un tiro di schioppo) dell’ex-Opificio “Pastiglie Leone”, in corso Regina Margherita 242 a Torino. Sempre quello il luogo, la Galleria di via Principessa Clotilde 45, e sempre lui il “complice” della bizzarra pensata, il gallerista – attento divulgatore sotto la Mole della meglio Pop Art internazionale – Giorgio Persano. Era la fine di settembre del ’76 – ricorda in una nota lo stesso Pistoletto – quando “invitato da Giorgio Persano a tenere una personale nella sua galleria, ho deciso di realizzare una mostra consistente in ‘100 mostre nel mese di ottobre’”. Come? “Pensandole e descrivendole tutte in quel mese, e numerandole da una a cento, per essere subito stampate in un libretto (giallo) di 9 x 9 x 1,5 cm. presentato in galleria come opera compiuta in se’, ma contemporaneamente estesa nel tempo a venire, cioè quando le mostre avrebbero potuto essere eseguite, sia da me stesso sia da altri”. Da allora sono trascorsi 42 anni. E un buon numero delle mostre illustrate in quel curioso “libretto giallo” sono state pur anche realizzate. Da Pistoletto, come da altri artisti che “ne hanno preso lo spunto come da un ricettario”. Una via l’altra. Dietro le piccole e grandi “novità” creative rotolate a precipizio nello scivolo degli anni. Fino alla centesima. Alla mostra numero 100. Che Pistoletto e Persano di buon accordo decidono, per le caratteristiche espresse -frutto di scelte concrete anche della vita professionale dei due – essere quella attuale, sviluppata in un duplice percorso: una grande installazione simbolico-concettuale posizionata sui settecento metri quadri della Galleria-madre di via Principessa Clotilde e un’esposizione di un buon numero di “quadri specchianti” (le celebri serigrafie su lastra d’acciaio inox lucidato a specchio) fondamento artistico e teorico della più nota produzione di Pistoletto, nel vicino ex-Opificio “Pastiglie Leone”. Fil rouge comune, il tema della “Comunicazione”. Centrale e palese nello scorrere e nel complesso intrecciarsi di quelle diciassette “stanze” aperte e interconnesse, ricavate attraverso l’ingegneristica architettura in legno grezzo posizionata in Galleria e rappresentanti il complesso organismo in cui s’ha da articolare, per l’artista, tutto il sistema che mette insieme arte e società. Evidente il richiamo alle porte della sua Cittadellarte, fondata nel ’98 a Biella nei locali dell’ex-manifattura Trombetta: un complesso di archeologia industriale tutelato dal Ministero dei Beni Culturali, diventato oggi un grande laboratorio creativo e fabbrica di idee, “un’istituzione – scrive Pistoletto – che pone l’arte in relazione diretta con i differenti settori che compongono la società”. Spazi aperti, che permettono salutari catartici travasi dall’architettura alla spiritualità, dal lavoro all’ecologia, fino a rendere comunicanti economia e scienza, arte e politica, matematica e filosofia non meno che agricoltura e design o moda e produzione: così all’infinito, mischiando partenze e traguardi per andare e tornare “in una fitta rete di interconnessioni e comunicazioni” in cui trova forma quel Terzo Paradiso teorizzato dall’artista come “il grande mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilità nella visione globale”. Quest’è, a comune giudizio, il “comunicare”. Apparentemente l’opposto o cosa assai diversa di quanto espresso nei diciotto “quadri specchianti” (tutti inediti meno uno ed ultimi eredi dei primi esemplari comprati in blocco nel ’63 dalla gallerista parigina Ileana Sonnabend) assemblati negli spazi dell’ex-Opificio “Pastiglie Leone”, luogo storico dell’industria torinese. Opere che raccontano di una comunicazione “altra”, di relazioni umane mediate o interrotte (?) dal “digitale” e dai “social”. Tempi e ritmi dell’oggi. Ed ecco il ragazzo, berretto   in testa borsone a terra e pelle super tatuata, con gli occhi affondati nel cellulare, la “coppia a colazione” che non si sfiora manco di striscio e l’ufficio dove i tablet dettano i ritmi del confronto interpersonale. Siamo nel regno degli smartphone e dei selfie, in cui s’inneggia al potere assoluto e alle incognite del gigabyte. Tutto in scala reale. Sorprendente e abbacinante. Unica opera con qualche annetto in più, un “girotondo” del 2007. Allora s’usava ancora toccarsi e manifestare in coro. Poco oltre, però, l’immagine del bastone di un selfie a tre. E l’incantesimo decade. Ma questi lavori, tiene ben bene a sottolineare l’artista,“non hanno funzione né apologetica né critica, semplicemente documentano lo stato delle cose”. Così oggi é. Pensiamoci sù.

Gianni Milani

***

“Michelangelo Pistoletto/Comunicazione. Le porte di Cittadellarte”

Galleria “Giorgio Persano”, via Principessa Clotilde 45, Torino; tel. 011/835527 o www.giorgiopersano.org

Orari: mart. – sab. 10/13 e 15,30/19

Ex-Opificio “Pastiglie Leone”, corso Regina Margherita 242, Torino

Orari: mart. – sab. 15,30/19

Fino al 26 gennaio 2019

***

Photo: Nicola Morittu

– “Le porte di Cittadellarte”, legno, 2018
– “Smartphone – Uomo seduto a terra”, serigrafia su acciaio inox supermirror, 2018
– “Smartphone – Coppia a colazione”, serigrafia su acciaio inox supermirror, 2018
– “Tavolo di lavoro”, serigrafia su acciaio inox supermirror, 2018
– “Solidarity”, serigrafia su acciaio inox supermirror, 2018
– “Selfie – Tre ragazze di schiena”, serigrafia su acciaio inox supermirror, 2018

Una metropolitana di cultura

A Torino si possono scegliere itinerari a tema attraverso virtuali linee di Metropolitana, quelli della Metropolitana culturale

 

Esiste una metropolitana reale nelle principali città del mondo, Torino sta aspettando la sua seconda linea, ma proprio nel capoluogo sabaudo esiste anche una metropolitana virtuale, culturale che, attraverso le sue diverse linee, consente a turista ed utente del web di scoprire itinerari a Torino di interesse nel campo dell’architettura, dell’arte moderna e contemporanea e del design. Si tratta sl sito “www.metropolitanaculturale.it”.”Volevamo dare degli strumenti che fossero facilmente fruibili anche da chi non conoscesse Torino – spiega l’ideatore di “Metropolitana culturale”, Filippo Zanoni, giornalista specializzato nel settore automotive – ed abbiamo ideato un sito capace, attraverso diverse linee virtuali di metropolitana, di condurre il fruitore lungo itinerari a tema. Nel campo del design, per esempio, il percorso che abbiamo costruito comprende diverse tappe, tra cui quella della Cittadella del Design e della Mobilità Sostenibile, presso il Politecnico di Torino, in via Settembrini, proseguendo poi allo IED, istituto Europeo del Design, allo IADD, Istituto d’arte applicata e Design, ed al Circolo del Design. Di ogni tappa è possibile trovare una descrizione accattivante ed approfondita. Si scoprirà   così che il Circolo del Design vuole diventare un polo culturale e di riferimento per i giovani talenti e per lo scambio delle esperienze più innovative, attraverso incontri, dibattiti, workshop, ma anche essere un luogo informale di incontro e di confronti, di mostre e manifestazioni basate sulla creatività e sull’innovazione. Torino, d’altronde, è stata nominata nel 2014 City of Design dell’Unesco e nell’ ottobre dello scorso anno proprio qui è stata organizzata l’assemblea della World Design Organization, ritornata in Italia dopo 34 anni”.”L’itinerario dell’arte moderna e contemporanea – prosegue Filippo Zanoni – non comprende soltanto importanti realtà museali cittadine, quali la Fondazione Merz e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo o la Gam, ma anche le manifestazioni correlate a questo campo artistico, come Artissima e The Others”. Le linee di Metropolitana Culturale sono quelle “moTore” (dedicata al Mauto, al Mirafiori Motor Village, al Centro Storico Fiat ed alla manifestazione di Automomotoretro’), Arte, quella della Architettura e la linea Design.

Mara Martellotta

 

www.metropolitanaculturale.it

 

“Variety for friends”, aiutarsi divertendosi

A Torino di scena il nuovo spettacolo del Maestro Giorgio Bolognese a favore della ‘Fondazione Crescere Insieme Sant’Anna’ realizzato con ‘Charity4all’ e ‘Rotary Club’

S’intitola’ Variety for Friends’, e andrà in scena al Teatro Carignano lunedì 29 ottobre alle ore 20,45. Questo è il nome dello spettacolo nato da un’idea di Giorgio Bolognese, stimato compositore, pianista e direttore d’orchestra.

Un’idea artistica nata da Riccardo Petrignani, Presidente del Rotary Club Torino Ovest, capace di coniugare musica e cabaret, regalando sollievo e momenti di importante riflessione, realizzata in collaborazione con il Rotary Club (Torino Ovest, Saluzzo, Torino Stupinigi, Torino Polaris, Torino Val Sangone, Torino Lagrange, Torino 45Parallelo, Torino La Marmora e Rivoli), con il patrocinio della Città di Torino insieme alla ‘Charity4all’, la Onlus unica nel suo genere fondata dallo stesso Bolognese , con cui dar vita ad attività di fundraising a favore di altri enti benefico-solidali.

Come la ‘Fondazione Crescere Insieme Sant’Anna’ cui verrà devoluto l’intero incasso della serata al netto delle spese. Una cornice importante per uno spettacolo altrettanto degno di nota in cui il Maestro Bolognese presenterà per la prima volta al grande pubblico alcune perle inedite del proprio raffinato repertorio, accompagnato da un’orchestra sinfonica di fiati di oltre 40 elementi: “Felice di condividere la scena con un gruppo affiatatissimo – consentitemi di dirlo, dato il contesto – con la magia della voce del mezzo soprano Laura Siccardi in ‘I Bambini Guardano’ e del Maestro Pietro Marchetti quale virtuoso solista al sax soprano sulle note di ‘Calle de Caracol’.

A impreziosire una scaletta ricca di ritmo e pathos, per la regia di Tatjana Callegari, anche la comicità dei valenti Max Pisu, Enrico Balsamo e Marco Carena, oltre alle coreografie dedicate frutto dell’estro creativo della coreografa Alessandra Porselli. Conclude Giorgio Bolognese: “Quando il Prof. Daniele Farina mi ha contattato, è stato subito un ‘sì’: ho raccolto con entusiasmo crescente l’invito a fare di uno spettacolo uno strumento di aiuto alla lodevole fondazione da lui diretta. Uno show nato per aiutarsi divertendosi, leggero come un buon bicchiere di vino a fine pasto”. Il trucco e parrucco è affidato a Claudia Franceschi, la direzione di scena è curata invece da Davide Allena. Tra i professionisti coinvolti nell’iniziativa anche la Performer Aerea Arianna Cimma. Giorgio Bolognese, fra l’altro, ha pubblicato il suo primo brano-capolavoro dal titolo ‘2 Luglio 1944’ per la ‘Vivo per Lei Edizioni’, del grande cantautore e hitmaker Gatto Panceri, pubblicando tale singolo per l’etichetta discografica indipendente torinese ‘Capogiro Records/BelieveDigital’ (con cui hanno collaborato anche negli anni Gerardina Trovato, Mario Lavezzi, Rita Pavone, Piero Chiambretti e molti altri): sue sono anche le musiche della commedia di Valerio Di Piramo e Cristian Messina con protagonista Margherita Fumero dal titolo ‘Leonardo e la magia del tempo’ che ha debuttato con successo al Teatro Toselli di Cuneo, in cartellone anche al Teatro Alfieri di Torino dal 18 al 21 ottobre.

Per informazioni e prenotazioni, è possibile telefonare al numero 324 7978628 tutti i giorni dalle 14,30 alle 18,00.

 

“World Press Photo”, proseguono gli incontri

Fino all’11 novembre nel salone dell’ ex-Borsa Valori di via San Francesco da Paola GIOVEDI’ 25 OTTOBRE L’OSPITE E’ DOMENICO QUIRICO, VENERDI’ 26 INCONTRO CON EDDY OTTOZ

Continua il cartellone di incontri legato alla mostra “World Press Photo”, la più importante del fotogiornalismo mondiale, allestita fino all’11 novembre nel salone dell’ ex-Borsa Valori di via San Francesco da Paola 22, a Torino. Il merito va all’Associazione C.I.ME Culture e Identità Mediterranee, che per il secondo anno consecutivo l’ha portata sotto la Mole stringendo numerose collaborazioni con enti e associazioni del territorio. Ed è insieme a Lettera 23 che vengono organizzate le serate di giovedì 25 ottobre (ore 18,30) e venerdì 26 (ore 20,30), entrambe ad ingresso libero, entrambe nella sala eventi della mostra.

Giovedì 25 ottobre alle 18,30 si parla di “Raccontare l’accoglienza. In fuga dall’inferno e verso l’ignoto: storie di persone venute da lontano”.  Relatori Domenico Quirico,  giornalista de “La Stampa” e inviato di guerra, Ugo Lucio Borga, fotografo, scrittore e inviato di guerra, e Maria Teresa Martinengo, cronista de “La Stampa”. Obiettivo della conferenza è ripercorrere il viaggio disperato di tanti migranti, dalle condizioni nelle terre d’origine alle traversate che spesso conducono alla morte. Sarà un’occasione per parlare anche del sistema dell’accoglienza, dell’integrazione, a Torino e non solo. Tema di grande attualità, visto il recente caso di Riace.

Venerdì 26 ottobre alle 20,30, invece, spazio allo sport con “Messico ’68, uno scatto per cambiare il mondo. Cinquant’anni fa i Giochi Olimpici delle Pantere Nere, del sangue e dei record”. Un focus sulle Olimpiadi che ebbero una grande risonanza mediatica, sia per gli scontri e i feriti prima delle gare, sia per i record raggiunti. Con quello scatto, autentica icona del Novecento, realizzato da John Dominis e che ritrae Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 metri, con i pugni alzati, i guanti neri (simbolo del black power), la testa bassa e una collanina di piccole pietre al collo a continuare a loro modo e ne pagheranno tutte le conseguenze la decennale protesta portata avanti in nome dei diritti civili dei neri. A parlarne saranno Eddy Ottoz, medaglia di bronzo olimpica proprio in Messico e due volte campione europeo dei 110 ostacoli, e Nicola Roggero, giornalista e telecronista di Sky. Modera entrambi gli incontri il giornalista Salvo Anzaldi.

g. m.

Al cinese Yu Hua il Bottari Lattes Grinzane

È lo scrittore cinese Yu Hua, con “Il settimo giorno” (Feltrinelli), il vincitore del Premio Bottari Lattes Grinzane 2018 per la sezione ”Il Germoglio”, dedicata ai migliori libri di narrativa italiana o straniera pubblicati nell’ultimo anno. Gli altri finalisti al Premio erano: Andreï Makine (Francia) con “L’arcipelago della nuova vita” (La nave di Teseo), Michele Mari (Italia) con “Leggenda privata” (Einaudi), Viet Thanh Nguyen (Vietnam) con “I rifugiati”(Neri Pozza) e Madeleine Thien (Canada) con “Non dite che non abbiamo niente” (66thand2nd).

La cerimonia di premiazione si è svolta sabato scorso 20 ottobre, presso il Castello di Grinzane Cavour (Cuneo), ed è stata condotta dalla scrittrice e giurata del Premio Sandra Petrignani.Protagonisti della giornata sono stati gli studenti rappresentanti delle 25 Giurie Scolastiche i cui 400 voti hanno determinato il vincitore.Lo scrittore portoghese António Lobo Antunes è stato invece premiato per la sezione “La Quercia” dedicata a Mario Lattes e riservata a un autore internazionale che abbia saputo raccogliere nel corso del tempo condivisi apprezzamenti di critica e di pubblico. La maggior parte dei suoi libri sono pubblicati in Italia da Feltrinelli.“Il settimo giorno” è un viaggio nell’Aldilà di un uomo vissuto nella Cina del capitalismo socialista e delle sue contraddizioni, un’avventura di sette giorni, in cui conoscenti e sconosciuti incontrati da Yu Hua raccontano la propria storia nell’inferno dell’Aldiqua, tra demolizioni forzate, corruzione, tangenti, feti abbandonati, poveri che vivono in bunker sotterranei, traffico di organi, consumismo sfrenato. Il 18 ottobre è, fra l’altro, uscito in Italia il nuovo saggio di Yu Hua “Mao Zedong è arrabbiato”(Feltrinelli).I romanzi finalisti del Premio, organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes, erano stati designati e annunciati ad aprile a Cuneo, alla sede della Fondazione CRC(che collabora e sostiene il Premio), dalla Giuria Tecnica presieduta da Gian Luigi Beccaria.Tra aprile e settembre 2018, i libri finalisti sono stati letti e discussi dai 400 studenti delle 25 Giurie Scolastiche. Ventiquattro scelte in modo da coprire tutto il territorio della Penisola: quattro in Piemonte e una per ciascuna delle altre regioni d’Italia, alle quali si è aggiunta la giuria di Atene, presso la Scuola Italiana Statale. 

Info al pubblico: 0173.789282 - organizzazione@fondazionebottarilattes.it

WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes

g. m.

 

Nuova sede per il Centro Studi Piemontesi

Tra le iniziative di «Officina 50», il cantiere di studi per le iniziative del cinquantenario di fondazione del Centro Studi Piemontesi nel 2019, è stata individuata come prima tappa fondamentale l’intervento di Schedatura, riordino e inventariazione dell’Archivio dell’Associazione. Il lavoro avrà la durata di due anni. Per la sistemazione dell’Archivio sono stati necessari alcuni lavori di adeguamento della Sede che sono stati effettuati nel quadro di un complessivo intervento di ammodernamento dei locali che sarà completato nel 2019.

***

L’inaugurazione della sede rinnovata si terrà lunedì 22 ottobre

                                        dalle 16,30 apertura sede per vista locali ristrutturati

seguirà alle ore 18  la conferenza di

Lodovico Passerin d’Entrèves

Presidente Fondazione “Specchio dei Tempi” – Consigliere del Centro Studi Piemontesi

con

Angelo Conti

giornalista de “La Stampa”

Specchio dei Tempi”

la voce e la generosità dei torinesi

Info: tel. 011/537486; info@studipiemontesi.itwww.studipiemontesi.it

Via Ottavio Revel 15 – 10121 Torino. Tel. 011/537486

info@studipiemontesi.it – www.studipiemontesi.it

Cereseto, l’antico luogo dei ciliegi

Cereseto, a una decina di chilometri da Casale Monferrato e ad una distanza ancora minore da Moncalvo, pur non appartenendo propriamente alla Valcerrina, tuttavia ne è quasi un’appendice. Oltre tutto, sotto l’aspetto amministrativo il suo Comune è parte dell’Unione dei Comuni della Valcerrina

Il suo toponimo è in realtà un fitonimo: Ceresa è una della varianti di Cerasa, termine in vernacolo con cui viene indicato l’albero del ciliegio ed il suo frutto. Etum, invece, ha il valore di un semplice suffisso. Cereseto potrebbe quindi indicare un luogo ricco di ciliegi. Nel 1020 compare per la prima volta la forma Cerexetus, nel 1224 Ceresetus. Il paese appare tra le verdi colline del Monferrato come una gemma, dominato dall’imponente castello. E a due passi c’è il Santuario di Crea con il Sacro Monte, patrimonio dell’Umanità proclamato dall’Unesco nel 2004. Il borgo, sorto in vicinanza dell’antica abbazia di San Cassiano, viene infeudato dai seguaci di Arduino d’Ivrea, poi confiscato al cavaliere sassone Granseverto suo sostenitore. In seguito divenne un possedimento dei monasteri della Novalesa e di Breme, del marchesi del Monferrato, Aleramici e Paleologo. Alla fine del 1500 venne concesso da Vincenzo I Gonzaga a Germanico Savorgnan costruttore della Cittadella di Casale Monferrato, che verrà ricordata nei Promessi Sposi come “Quel maledetto Casale”.

***

Dopo le devastazioni del 1600 il castello ridotto e restaurato dai conti De-Maistre Lovera di Maria, sino al 1910 quando venne fatto ricostruire sulle fondamenta secondo lo stile eclettico che scaturisce dagli studi di Viollet Le Duc e dagli architetti italiani D’Andrade e Nigra. Lo volle costruire il celebre finanziere Riccardo Gulaino che, in quel momento della vita condivideva questa ideologia e commissionò l’opera all’ingegnere casalese Vittorio Tornielli. Il complesso ha una dimensione monumentale: impegnò per un decennio un numero grandissimo di maestranze che portarono vita e sviluppo nel paese di Cereseto. Riccardo Gualino, scrivendo la sua autobiografia alcuni anni dopo, rinnegò il valore dell’opera che lui stesso aveva realizzato, profondendo vastissime risorse economiche. Il Castello, che non è accessibile al pubblico, in epoche più recenti è stato anche al centro di vicende di cronaca: nel maggio del 1980 un blitz della Guardia di finanza, dopo lunghe indagini, scoprì al suo interno una vera e propria raffineria di droga con tanto di chimici provenienti dalla Francia, che lavoravano alla raffinazione dell’eroina. Poi una serie infinita di aste per arrivare alla vendita dell’immobile che, comunque, domina il paese e la cui vista merita in ogni caso.  Ma non è questo l’unico elemento di interesse per il paese. Nella parte più alta di Cereseto, presso il Castello, c’è la chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo. L’abitato, in origine antica, doveva trovarsi più a Nord presso il luogo di culto, già elencato elevato nella pieve di San Cassiano dal 1299 al 1440 e divenuta parrocchiale forse successivamente a San Cassiano. Nel sedicesimo secolo il paese si era già spostato sul colle e, nel 1590, l’antica parrocchiale era diventata una chiesa campestre, distante e non comoda per il popolo. La chiesa attuale venne edificata dal 1719 al 1723, inaugurata il 19 luglio 1721 e consacrata il 24 giugno 1724 dal vescovo di Casale, monsignor Radicati. In paese ci sono anche le chiese di San Filippo e Giacomo, San Rocco Sn Defendente e da alcuni anni un Tempio Buddista Renkooji che accoglie fedeli da tutte le parti del mondo. Si ringrazia il sindaco Enzo Lavagno per la collaborazione e la documentazione prestata nella realizzazione di questo articolo

Massimo Iaretti