Maddalena Crippa tra gli interpreti
Tratto da un bestseller dello scrittore e giornalista Paolo Rumiz, è nato un testo teatrale creato da Alberto Bassetti, testo di grande intensità e suggestione, magistralmente interpretato da Maddalena Crippa, Maximilian Nisi e Adriano Giraldi, sulle musiche di Mario Incudine. Lo spettacolo, coprodotto da La Contrada, Teatro Stabile di Trieste e Srca Azzurra, s’intitola “Sogno a Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna”, che rimarrà in scena al teatro Gobetti fino al prossimo 17 novembre.
‘Un sogno a Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna’ racconta di Max e Masa e del loro amore. Maximilian von Altenberg, ingegnere austriaco, viene mandato a Sarajevo per un sopralluogo nell’inverno del ’97. Un amico gli presenta la misteriosa Masa Dizdarevic, donna austera e selvaggia, splendida e inaccessibile, vedova e divorziata, con due figlie che vivono lontano da lei. Scatta qualcosa, un’attrazione potente che non ha la possibilità di concretizzarsi, perché Max torna in patria e prima di ritrovare Masa passano tre anni. Masa ora è malata, ma l’amore finalmente si accende. Da lì in poi smuove un vento che accende le anime e i sensi, che strappa lacrime e sogni. Comincia l’avventura che porta Max nei luoghi magici di Masa, in un viaggio che si fa rito, scoperta e risurrezione.
“Non trovo nelle quattro figure in scena – spiega il regista Alberto Pizzech – semplicemente il dipanarsi di un percorso emotivo, di una semplice storia d’amore. Quel racconto privato, nella scrittura di Rumiz, che Alberto Bassetti ha ben colto nel suo riadattamento, è la metafora degli sconfinamenti, del nostro lasciarsi invadere, della possibilità di incontrare, di costruire storie che ci spostino dal nostro punto. Su cosa si fonda l’Europa, se non su questi comuni destini, su questo sangue, su amori nati sulle ceneri di palazzi crollati, sulle schegge di bombe che hanno dilaniato architetture? L’Europa è figlia di queste storie, è la sua storia e noi siamo il risultato di quei processi storici che dialogano con la nostra storia personale”.
Teatro Gobetti, via Rossini 12
Orario spettacoli martedì giovedì sabato 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45, domenica ore 16.
MARA MARTELLOTTA
GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA
Lunedì. Al teatro Regio si esibisce Ligabue.
Martedì. Al Jazz Club è di scena Matteo Salvadori.
Mercoledì. Al teatro Colosseo arriva Malika Ayane. Al Jazz Club suonano i Dicks Fall. Al teatro
Concordia si esibisce Anna Pepe. All’Osteria Rabezzana sono di scena i The Last Coat of Pink. Al
Peocio di Trofarello suonano gli Atomic Rooster. Al Blah Blah si esibiscono i Dicks’Fall. Allo Ziggy
sono di scena i San Leo +Makepop.
Giovedì. Per Moncalieri Jazz alle Fonderie Limone, concerto dal titolo “Cine & Jazz” per un omaggio
ai centenari :Marcello Mastroianni, Marlon Brando, Henry Mancini, con l’Orchestra Magister
Harmoniae e la House Band. Al Blah Blah si esibisce Tony Mezzacarica & I Carusi. All’Hiroshima
Mon Amour arriva il rapper Frankie Hi-nrg Mc. Al teatro Colosseo è di scena Diodato. Al Cafè
Neruda suonano i Mashkatarìa. Al Jazz Club si esibiscono i Dionysian. Alla Divina Commedia
sono di scena gli Acoustik Brothers.
Venerdì. Allo Ziggy suonano i Distruzione + Putridity. Al Blah Blah si esibiscono i Temple Of
Deimos+ Palm In A Forest. Al Magazzino sul Po suonano gli Stormo. Per 3 giorni consecutivi
i Pink Floyd Legend Week, ripropongono gli album di maggior successo dei “mitici” Pink Floyd
al teatro Colosseo. Al Capolinea 8 suona il Cantabile Trio. Per Moncalieri Jazz alle Fonderie Limone,
concerto dal titolo “Il Cielo è pieno di stelle”, tributo a Pino Daniele eseguito dal duo Mazzariello-
Bosso. Al Jazz Club suona la Terry Blues Band.
Sabato. Allo Ziggy suonano i Fuori Controllo + Redmoon Heroes. Al Blah Blah sono di scena i
La Crisi+Pigro. Al Folk Club si esibisce il quintetto di Stefano Dall’Armellina. Al Capolinea 8
concerto tributo a Chet Baker con il quartetto di Felice Reggio. Per Moncalieri Jazz alle Fonderie
Limone, suona Albert Hera & Friends con la partecipazione di The Singers Choir. Al Jazz Club
si esibisce la Project Band.
Domenica. Chiusura di Moncalieri Jazz all’auditorium Toscanini, di Torino con lo spettacolo dal titolo
“100 anni della radio” con l’Orchestra Rai diretta da Steven Mercurio, con la partecipazione
straordinaria di Tosca. Al Blah Blah suonano gli Spiritual Deception+ Chasing People. Allo Ziggy
sono di scena gli Hibaku Jumoku. Al Jazz Club si esibiscono i Plastic Fingers.
Pier Luigi Fuggetta
Cento anni fa nasceva Ugo Buzzolan
Cento anni fa nasceva Ugo Buzzolan, il più autorevole critico televisivo italiano. Generazioni di torinesi, e non solo, lo ricorderanno di certo, firmava la sua rubrica su “La Stampa” con una sigla divenuta celebre: ” u.bz.”. Inventore di un genere nuovo, destinato ad avere grande fortuna, viveva la sua funzione di critico quasi come una missione: puntuale, attento, acuto, nemico di ogni eccesso, si impose come il più onesto ed il più temuto dei cronisti televisivi.
Buzzolan portò avanti numerose battaglie, denunciando già allora le straripanti interruzioni pubblicitarie, l’emarginazione del teatro in tv, la scomparsa degli spazi per le proposte culturali, dalla musica ai libri, e si faceva sovente portavoce di tutti i suoi lettori che per per anni non riuscirono a vedere la terza rete della Rai perché il segnale era irrangiungibile. Sapeva essere pungente ma sempre con garbo: su “La Stampa”, nel 1980, Ugo Buzzolan parlando dello sceneggiato televisivo italiano, osservava che ” abbiamo il primato assoluto delle riduzioni dei romanzi dell’Ottocento. I magazzini della Tv traboccano di tube, crinoline, cuffie e mustacchi, di lumi a petrolio, di occhialini e carrozze”.
Proprio lui che era stato il più innovativo già ai tempi della televisione sperimentale con i primi “originali televisivi”, opere scritte appositamente per il piccolo schermo, trasmesse dalla Rai ancora prima dell’annuncio ufficiale del gennaio 1954. Per il Centenario della sua nascita, mercoledì 13 novembre, alla Mediateca Rai di Torino, al Palazzo della Radio di via Verdi, verrà ricordato dai figli Arturo, Angelica e Dario con la visione di “Eravamo giovani”, un originale televisivo del 1955, dove tra l’altro, oltre a Antonella Lualdi e Franco Interlenghi, recita anche una giovane attrice, Cecilia Ciaffi, la moglie di Buzzolan.
Igino Macagno
Dopo il successo di Flashback Habitat torna la rassegna musicale in corso Giovanni Lanza 75
Dopo il successo di Flashback Art Fair, gli spazi di corso Giovanni Lanza 75 non restano inanimati e l’avventura di Flashback Habitat prosegue con la sua programmazione. Dal giovedì alla domenica si potranno vedere le mostre allestite e partecipare agli incontri culturali organizzati a Il Circolino, lo spazio ricreativo di Flashback.
Tutti i venerdì alle ore 21 torna la rassegna “Sta cosa del jazz”.
Dopo l’inaugurazione venerdì 8 novembre con gli Only Pleasure, venerdì 15 novembre sarà la volta del gipsy jazz e delle sonorità manouche dei 20 strings con Alberto Palazzi e Mauri Mazzeo alle chitarre, Andrea Garombo al contrabbasso e Roberto Cannillo alla fisarmonica
Nuovi orari Flashback Habitat
Parco il Circolino
Giov. 18.00-00.00
Ven, sab, dom: 11.00, 00.00
Analogo orario per le mostre.
Mara Martellotta
SOMMARIO: L’Italia Paese sicuro? – La “lupa” Bonino e Francesco – Lettere





Lunedì 11 novembre alle ore 15 al Collegio San Giuseppe (via San Francesco da Paola, 23) il Centro “Pannunzio” organizza un Convegno dal titolo “Giovanni Gentile: delitto politico o giustizia partigiana?” a 80 anni dall’assassinio del filosofo, a cui parteciperanno gli studiosi Hervé A. Cavallera, Carla Sodini, Valter Vecellio, Gianni Oliva, Pier Giuseppe Monateri, Nino Boeti, Luciano Boccalatte, Maria Grazia Imarisio e Giuseppe Parlato. Con il patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Piemonte, del Consiglio regionale del Piemonte, della Città metropolitana di Torino, del Comune di Torino. Ingresso libero.
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Torino tra architettura e pittura
1 Guarino Guarini (1624-1683)
2 Filippo Juvarra (1678-1736)
3 Alessandro Antonelli (1798-1888)
4 Pietro Fenoglio (1865-1927)
5 Giacomo Balla (1871-1958)
6 Felice Casorati (1883-1963)
7 I Sei di Torino
8 Alighiero Boetti (1940-1994)
9 Giuseppe Penone (1947-)
10 Mario Merz (1925-2003)
6) Felice Casorati (1883-1963)
Lungi da me sostenere che esistono periodi artistici di facile e immediata comprensione, ogni filone, ogni movimento e ogni tipologia d’arte necessita di un’analisi approfondita per penetrarne il senso, tuttavia mi sento di affermare che da una certa fase storica in poi le cose sembrano complicarsi.
Mi spiego meglio: siamo abituati a considerare “belle opere” le architetture classiche, così come le imponenti cattedrali gotiche o ancora i capolavori rinascimentali e gli spettacolari chiaroscuri barocchi; il comune approccio alla materia rimane positivo ancora per tutto il Settecento, ma poi, piano piano, con l’Ottocento le questioni si fanno difficili e lo studio della storia dell’arte inizia a divenire ostico. I messaggi di cui gli artisti sono portavoce diventano maggiormente complessi, entrano in gioco le rappresentazioni degli stati d’animo dell’uomo, del suo inconscio, si parla del rapporto con la natura e d’improvviso l’arte non è più quel “locus amoenus” rassicurante a cui ci eravamo abituati. La sensazione di spiazzante spaesamento raggiunge il suo apice con le opere novecentesche, le due guerre dilaniano l’animo degli individui e la violenza del secolo breve si concretizza in dipinti paurosi che di “bello” non hanno granché. I miei studenti, giunti a questo punto del programma, sono soliti lamentarsi e addirittura dichiarano che “potevano farli anche loro quei quadri” o che “sono lavori veramente brutti” e ci vuole sempre un lungo preambolo esplicativo prima di convincerli a seguire la lezione senza eccessivo scetticismo.
Nel presente articolo vorrei soffermarmi su di un autore che si inserisce nel difficile contesto del Novecento, un autore le cui opere sono cariche di inquietudine e rappresentano per lo più immote figure silenziose, come imprigionate in atemporali visioni oniriche. Sto parlando di Felice Casorati, uno dei protagonisti indiscussi della scena novecentesca italiana, attivo a Torino, dove si circonda di ferventi artisti volenterosi di proseguire i suoi insegnamenti.
Ma andiamo per ordine e, come mi piace sempre ribadire in classe, “contestualizziamo” l’artista, ossia inseriamo l’artista in un “contesto” storico-culturale ben determinato per meglio definire il senso e il portato dell’opera.
Nei primi anni Venti del Novecento, grazie all’iniziativa della critica d’arte Margherita Sarfatti, si costituisce il cosiddetto gruppo del “Novecento”, di cui fanno parte sette artisti in realtà molto differenti tra loro: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi. Le differenze stilistiche sono più che evidenti poiché alcuni sono esponenti vicini al Futurismo, altri invece si dimostrano orientati verso un ritorno all’ordine, altri ancora hanno contatti con la cultura mitteleuropea. La definizione di “Novecento”, con cui tali pittori sono soliti presentarsi, allude all’ambizione di farsi protagonisti di un’epoca, di esserne l’espressione significativa. Il gruppo si presenta alla Biennale di Venezia del 1924 come “Sei pittori del Novecento”(Oppi presenzia all’avvenimento con una personale). L’esposizione viene felicemente acclamata dalla critica, tanto che, sulla scia del successo ottenuto a Venezia, la Sarfatti si impegna ad organizzare in maniera più incisiva il movimento, quasi con l’intento di trasformarlo in una “scuola”. I risultati si manifestano chiaramente: nel 1926 al Palazzo della Permanente di Milano viene organizzata un’esposizione con ben centodieci partecipanti. Il movimento “Novecento” si è ormai allargato tanto da comprendere gran parte della pittura italiana: fanno parte della cerchia quasi tutti gli artisti del momento, da Carrà a De Chirico, da Morandi a Depero, da Russolo allo stesso Casorati. Tra i soggetti prediletti rientrano la figura umana, la natura morta e il paesaggio. Presupposti comuni sono il totale rifiuto del modernismo e un continuo riferimento alla tradizione nazionale, soprattutto a modelli trecenteschi e rinascimentali.
Con il passare degli anni il gruppo si fa sempre più numeroso e l’organizzazione del movimento si trasforma, la direzione delle iniziative artistiche ricade anche nelle mani di artisti di prima formazione quali Funi, Marussing e Sironi, insieme a personalità conosciute come lo scultore Arnolfo Wildt e i pittori Arturo Tosi e Alberto Salietti. Diventano via via numerosi i contatti con centri espositivi internazionali; alcuni artisti italiani trasferitisi all’estero si fanno appassionati organizzatori di “mostre novecentesche”, come dimostra ad esempio l’iniziativa di Alberto Sartoris, architetto torinese residente in Svizzera, il quale si occupa di organizzare nel paese di residenza un’ampia esposizione artistica del gruppo. Nel 1930, addirittura, il “Novecento” espone a Buenos Aires, avvenimento doppiamente importante, poiché grazie a tale iniziativa la critica Sarfatti riesce a ricapitolare nel catalogo della mostra le molteplici tappe del movimento. Espongono in Argentina ben quarantasei artisti, tra cui Casorati, De Chirico e Morandi.
Come è evidente, l’eterogeneità del gruppo manca di direttive e connotati chiari e univoci. Il tedesco Franz Roth conia appositamente per gli artisti di “Novecento” l’espressione “realismo magico”, che indica una rappresentazione realistica –domestica, familiare- ma al tempo stesso sospesa, estatica, come allucinata. Esemplificativo per esplicitare tale concetto è il dipinto di Antonio Donghi, “Figura di donna”, opera in cui domina una straniante immobilità incantata, la scena è immobile e l’osservatore percepisce che nulla sta per accadere e nulla è accaduto precedentemente.
Ed ecco che di “realismo magico” si può parlare anche per Felice Casorati (1883-1963), artista attivo nella prima metà del Novecento e docente di Pittura presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.
Egli nasce a Novara, il 4 dicembre del 1883; il lavoro del padre, che è un militare, comporta che la famiglia si sposti spesso. Felice trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra Milano, Reggio Emilia e Sassari, infine la famiglia si stabilisce a Padova, dove il ragazzo porta avanti la sua formazione liceale. A diciotto anni inizia a soffrire di nevrosi, ed è costretto a ritirarsi per un po’ sui Colli Euganei; proprio in questo periodo, Felice inizia a dedicarsi alla pittura. A ventiquattro anni -siamo nel 1907- si laurea in Giurisprudenza, ma decide di non proseguire su quel percorso, per dedicarsi all’arte, nello stesso anno parte per Napoli per studiare le opere di Pieter Brueghel il Vecchio, esposte presso il Museo Nazionale di Capodimonte.
Nel 1915, si arruola volontario nella Prima Guerra Mondiale, lo stesso fanno molti suoi contemporanei come Mario Sironi, Achille Funi Filippo Tommaso Marinetti, Carlo Carrà, Gino Severini, Luigi Russolo e Umberto Boccioni.
Nel 1917, dopo la morte del padre, Felice si trasferisce a Torino, dove attorno a lui si riuniscono artisti e intellettuali della città. Tra questi vi è Daphne Maugham, che diventerà sua moglie nel 1930 e dalla quale avrà il figlio Francesco, anche lui futuro pittore.
Casorati a Torino ha molti allievi nella sua scuola e presso il corso di Pittura dell’Accademia Albertina. Gli artisti più noti legati al suo insegnamento sono riuniti nel gruppo “I sei di Torino”, tra questi Francesco Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa e Jessie Boswell.
La sua ascesa artistica è sostenuta da diverse amicizie, tra cui il critico d’arte Lionello Venturi, la critica milanese Margherita Sarfatti, gli artisti di Ca’ Pesaro, il mecenate Riccardo Gualino e l’artista di Torinese Gigi Chessa insieme al quale partecipa al recupero del Teatro di Torino.
L’artista non lascerà più il capoluogo piemontese, e qui morirà il 1 marzo del 1963 in seguito ad un’embolia.
L’autore è da considerarsi “isolato”, con un proprio personalissimo percorso, pur tuttavia incrociando talvolta le proprie idee con altre ricerche artistiche di gruppi o movimenti a lui contemporanei.
Secondo alcuni critici, le opere di Casorati sono intrise di intimità religiosa. Lo stile pittorico dell’autore si modifica nel tempo, i primi lavori sono infatti decisamente realistici e visibilmente ispirati alle opere della Secessione Viennese; negli stessi anni si può notare l’influenza di Gustav Klimt, che porta Felice ad abbracciare per un breve periodo l’estetica simbolista. L’influsso klimtiano è particolarmente evidente in un’opera del 1912, “Il sogno del melograno”, in cui una donna giace dormiente su un prato fiorito. Il prato intorno alla fanciulla è cosparso di una moltitudine di fiori di specie differenti, mentre dall’alto pendono dei grossi grappoli di uva nera. I riferimenti all’artista viennese sono concentrati nella figura della ragazza, con chiari rimandi ai decorativismi delle “donne-gioiello” protagoniste di raffigurazioni quali “Giuditta” (1901), “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”(1907) o il celeberrimo “ll bacio” (1907-08).
La figura del soggetto ricorda inoltre le opere preraffaellite, nello specifico l’ “Ofelia” di Sir John Everett Millais.
Negli elaborati degli inizi del Novecento, invece, sono evidenti i riferimenti a capolavori italiani del Trecento e del Quattrocento; nello stesso periodo l’autore si concentra su una generale semplificazione del linguaggio e sullo studio di figure sintetiche. Intorno agli anni Venti del secolo scorso impronta il suo stile a una grande concisione lineare, anche se è nel primo dopo-guerra che egli definisce il suo stile peculiare, caratterizzato da figure immobili, assorte, rigorosamente geometriche, quasi sempre illuminate da una luce fredda e intensa. Appartengono a questi anni alcuni dei suoi capolavori, come “Conversazione platonica” o “Ritratto di Silvana Cenni”. Per quest’ultima opera Casorati si rifà al celebre capolavoro rinascimentale “Sacra Conversazione” di Piero della Francesca, di cui riprende l’atmosfera sospesa, quasi metafisica, ottenuta grazie alla rigidità con cui Felice ritrae la donna –seduta, assorta e immobile- alla resa scenografica del paesaggio e alla fittizia disposizione degli oggetti all’interno della stanza. Le figure di Casorati sono volumetriche, solide e immote, come pietrificate, l’artista ne esalta i valori plastici grazie al sapiente uso del colore tonale. Nelle ultime tele, le fanciulle ritratte risulteranno quasi geometrizzate, esito di una notevole sintesi formale.
L’illuminazione risulta artificiale e per nulla realistica, effetto sottolineato dal fatto che Casorati non mostra quasi mai il punto di provenienza della luce; il risultato finale è quello di un mondo sospeso, raggelato e senza tempo.
Negli anni Trenta Casorati si dedica a dipingere nature morte con scodelle o uova, soggetti che ben si prestano ad interpretare il suo linguaggio plastico semplificato; egli esegue inoltri diversi nudi femminili in ambienti spogli e alcune tele che presentano disturbanti maschere, tema a lui già caro, come testimonia l’opera “Maschere” del 1921.
Davanti ai lavori di Felice Casorati non possiamo che rimanere attoniti e pensosi, intrappolati nel suo mondo metafisico.
L’arte è così, lo vedo con i miei studenti, non finisce mai di metterci alla prova, continua a incentivare pensieri e confronti e per quanto possa essere “lontano da noi” essa è capace di stimolare discussioni su tematiche sempre inesorabilmente e meravigliosamente attuali.
Alessia Cagnotto
Pio Carlo Barola, percorso di un artista
La rassegna antologica, nel castello di Casale Monferrato, è uno splendido omaggio all’intero percorso artistico di Pio Carlo Barola, pittore e incisore con all’attivo prestigiose esposizioni accompagnate da entusiastiche recensioni di importanti critici tra cui Albino Galvano, Raffaele de Grada, Angelo Dragone oltre a incisori famosi quali Remo Wolf, Andrea Disertori e Francesco Tabusso.
Con originalità e stile personale Barola è riuscito, affidandosi ad una tecnica sperimentata di linea e colore, a conciliare molteplici suggestioni dell’arte del passato con le avanguardie storiche e le provocazioni dell’arte contemporanea. Avvolte in un sottile divertimento, che a sua volta Albino Galvano definì “scanzonato”, si armonizzano tra loro linee liberty avvolgenti e decorative accanto allo svettante dinamismo futurista, colori fauves accanto a chiaroscuri luministici come nella trasposizione del “S.Girolamo” di Caravaggio trasferito ai giorni nostri con un pacchetto di sigarette e un orologio al polso a simbolo di memento mori. Interessante anche il dipinto “omaggio a Zurbaran”, a cui toglie sacralità e misticismo secentesco risolvendolo nel clima novecentesco del realismo magico.
Da rilevare il suo grande impegno come organizzatore, insieme ad Antonio Barbato e a Gianpaolo Cavalli, riguardo la Biennale di grafica ed ex libris che da tempo si svolge con successo nella sala Chagall del castello Paleologo di Casale Monferrato.
