CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 65

Trifole. Le radici dimenticate: Cinema nel Parco del Castello di Miradolo

“Occit’amo”. Cinque vallate in festa

Entra nel vivo il Festival che abbraccia le valli del Cuneese, dalla Valle Stura alla Pianura del Saluzzese, diretto da Sergio Berardo

Da venerdì 1° a martedì 12 agosto

Piasco (Cuneo)

In attesa dell’“Uvernada” (“Invernata” o “Inverno”, anticipata dai grandi eventi autunnali delle “genti occitane”, all’orizzonte le veglie e i focolari del “Nové occitano”, la vigilia del Natale), i mesi di luglio e agosto rappresentano il cuore pulsante “a mille” di “Occit’amo”, il Festival, nato nel 2015 all’interno del Progetto di “Monviso Terres” a cura di Sergio Berardo, leader dei “Lou Dalfin”, che “abbraccia” cinque Vallate del Cuneese con un ricco calendario di concerti e proposte culturali “volte ad affermare la tradizione locale e a rivelarla al mondo, grazie alla sinergia con realtà del panorama nazionale ed internazionale”.

Basti osservare l’agenda degli eventi in programma nella prima decina di giorni del prossimo mese di agosto. Da venerdì 1° a martedì 12 agosto, non c’è che l’imbarazzo della scelta. L’intero programma su www.occitamo.it

Spiega Sergio Berardo, direttore artistico del Festival: “Gli appuntamenti di inizio agosto del calendario di ‘Occit’amo’ danno spazio a diverse forme espressive e, ancora una volta, alla musica e alla tradizione di tanti territori, offrendo esperienze diverse ma ugualmente arricchenti. In primis, l’incontro della musica occitana con l’elettronica, una scommessa iniziata con Madaski (co-leader storico di ‘Africa Unite’) ed oggi arricchita dai ‘Lindal’ e dai giovani ‘Lou Pitakass’, in formazione ‘loop’, in una location speciale ed inedita per il nostro Festival. Poi l’incredibile catalano Sergi Llena che ci incanterà prima sulle sponde del piccolo ‘lago verde’ appartato fra le montagne della Val Vermenagna per poi farci ballare in piazza in Val Maira a Canosio, anticipato dalle danze tradizionali con Daniela Mandrile. Ci penserà poi il ‘Trio dell’appennino’ a ricordarci che la musica oltrepassa ogni frontiera, portando a Barge canti e brani provenienti dal grande territorio di crocevia che divide quattro regioni italiane. Infine, il tradizionale gran ‘ballo occitano’ guidato dalla maestra Daniela Mandrile ed il folk rock intimo ed accogliente dei ‘Bistrò Dalfin’ chiuderanno una nuova settimana di festival”.

Si parte, dunque venerdì 1° agostoalle 21, a Piasco, in piazza Biandrate, con la “Notte elettro folk” che vedrà esibirsi il “Gran Bal Dub” costituito, tra gli altri, da Sergio Berardo e Madaski, i “Lindal” e i “Lou Pop Pitakass”. Una serata, davvero unica, da non perdere per un pubblico giovane, ma non solo, che guarda all’innovazione della musica occitana.

La conclusione della prima settimana agostana sarà affidata alla cultura e alla memoria con la possibilità di visitare, da giovedì 7 a martedì 12 agosto, presso il “Santuario” di Castelmagno, la mostra “La montagna custode di legami” che, attraverso i dipinti di Ivan Pellizzari e le fotografie di Dario Gribaudo, vuole ricordare Samuele, il “piccolo camoscio” della Valle Grana, uno dei cinque giovanissimi “ragazzi delle stelle” vittime del tragico incidente provocato dalla caduta del “Land Rover”, su cui viaggiavano, nella scarpata del monte “Crocette” a Castelmagno, proprio mentre si recavano ad assistere al fenomeno delle “stelle cadenti”, nella notte del 12 agosto 2020.

Eventi studiati con la massima attenzione e con la ferma volontà di raccontare a voce e in musica storie e tradizioni in cui si rispecchiano vite che fanno corpo unico, che fanno “roccia” con un vasto territorio che va dalle Valli Varaita e Grana fino alla Pianura del Saluzzese.

Eventi cui altri s’aggiungono e che, ricordandoli in estrema sintesi, si alterneranno nel bel mezzo del calendario di “Occit’amo”.

Sabato 2 agostoalle 12, arriverà ad esempio al “lago Terrasole” di Limone Piemonte , lo spettacolo “folk catalano” delle cornamuse di Graus Sergi Llena Mur, accompagnato da fisarmonica-chitarra e contrabbasso, con replica nel pomeriggio di domenica 3 agosto a Canosio; giovedì 7 agosto , alle 21,30, all’ex stazione di Barge , il “Trio dell’appennino” presenterà mazurche, valzer, ballate e alessandrine dalle terre tra Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia; infine sabato 9 agosto , dalle 17, nella piazza del Municipio di Brondello , ci sarà il “Gran Ballo” con le “danze occitane” di Daniela Mandrile e, alla sera, per chiudere in bellezza, è in programma il concerto dei “Bistrò Dalfin”, formazione più intima del noto gruppo “Lou Dalfin” . Tutti gli eventi sono ad ingresso libero.

Per info più dettagliate sul programma: www.occitamo.it

g.m.

Nelle foto: Sergio Berardo e Madaski ne “Il Gran Bal Dub”; “Il Trio dell’appennino”; la maestra Daniela Mandrile

I legami tra Fénis, Buttigliera Alta e Avigliana

Domenica 27 luglio a Fénis l’Associazione Internazionale Regina Elena Odv ha ricordato il legame del Comune valdostano con Buttigliera Alta e Avigliana

Domenica 27 luglio 2025, nell’ambito del festival itinerante “Medioevo nella Terra degli Challant”, la rassegna culturale annuale volta alla valorizzazione della storia secolare della media e della bassa Valle d’Aosta, il Comitato per la tutela del patrimonio e delle tradizioni dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv ha celebrato a Fénis il 470° anniversario della Baronia: il 9 giugno 1555 Carlo di Challant-Fénis, che cinque anni prima era diventato Signore del paese succedendo al nipote Claudio, il quale aveva rinunciato al titolo, ottenne dal Duca di Savoia Emanuele Filiberto il titolo di Barone di Fénis, che passò poi a suo figlio Francesco, al nipote Giovanni Prospero e al bisnipote Claudio. Fu proprio il quarto Barone di Fénis a legare il destino del Comune a Buttigliera Alta, in Provincia di Torino: egli, il 4 ottobre 1631, sposò Caterina Carron di San Tommaso, figlia di Giovanni Carron, primo Conte di Buttigliera Alta e della seconda consorte Antonia Francesca du Marché dei Signori di Bozel. Il padre della sposa nel 1625 aveva ottenuto dal Duca di Savoia il titolo di Primo Segretario di Stato, che i suoi discendenti, caso quasi unico in Europa, si tramandarono per via ereditaria fino alle riforme volute dal primo Re di Sardegna Vittorio Amedeo II nel 1717.
Dall’unione tra Claudio di Challant-Fénis e Caterina Carron di San Tommaso nacque solo un figlio, Antonio che divenne il V Barone. Egli da Maria Anna Caterina Provana, figlia di Carlo Provana, III Conte di Collegno di questo casato e di Paola Orsini dei Conti di Rivalta, ebbe solo una figlia, la quale divenne Monaca Benedettina Cistercense nel Monastero dei Santi Maria e Michele di Ivrea. Alla morte di Antonio nel 1705 si estinse questo Ramo degli Challant, il cui capostipite era stato Aimone (1305 circa – 1387 circa), il quale fu anche Balivo della Val di Susa e Castellano di Avigliana, Ivrea, Lanzo e Susa.
Alla morte di Antonio il maniero di Fénis venne ereditato dal cugino Giorgio Francesco di Challant-Châtillon, XII Conte di Challant, il quale lo cedette nel 1716 al Conte Baldassare Saluzzo di Paesana. Il castello nel 1895 venne acquistato dal celebre architetto portoghese naturalizzato italiano Alfredo d’Andrade, che nel 1898 iniziò i lavori di restauro e nel 1906 lo donò allo Stato Italiano.
La commemorazione di domenica 27 luglio è iniziata alle ore 10 con una solenne cerimonia presso il Salone Tsanti de Bouva, durante la quale lo scrivente ha letto il messaggio di saluto inviato dal Sindaco di Avigliana Andrea Archinà e fatto scoprire ai numerosi presenti la storia degli Challant e un altro legame con Buttigliera Alta e Avigliana: il celebre pittore Giacomo Jaquerio, del quale quest’anno si ricorda il 650° anniversario dalla nascita. Egli a partire dal 1410 affrescò la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso e, tra il 1414 ed il 1420, su incarico di Bonifacio I di Challant-Fénis, realizzò i magnifici affreschi che decorano il cortile interno e la cappella del maniero di Fénis. Nel 1447 su incarico del Duca Ludovico di Savoia, avrebbe ridipinto l’affresco raffigurante la “Madonna del Latte” che orna il pilone attorno al quale tra il 1622 e il 1642 venne costruito il Santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana.
Il Comitato per la tutela del patrimonio e delle tradizioni dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv ha quindi conferito uno speciale attestato al Comune e al Gruppo Storico Le Cors dou Heralt di Fénis.
E’ seguita una Santa Messa celebrata nella Chiesa Parrocchiale di San Maurizio, durante la quale si è pregato anche per la Regina Elena e i primi Baroni di Fénis: Carlo di Challant e la consorte Francesca di Gruyère.
Dopo la funzione religiosa i gruppi storici hanno sfilato fino al Salone Tsanti de Bouva.
Hanno partecipato all’evento numerose compagnie di rievocatori della Valle d’Aosta, tra le quali Le Cors dou Heralt di Fénis; Groupe Historique Châtel Argent; Château d’Issogne e Gruppo Carnevale Storico di Verrés.
La commemorazione è stata impreziosita dalla presenza anche di tre gruppi storici piemontesi: “La Gente di Nichilinum del medioevo”, impersonata dal Gruppo Storico Conte Occelli; i “Marchesi Paleologi” di Chivasso e il “Filo della Memoria” de “Il Colibrì Aps” di Buttigliera Alta, i cui rievocatori hanno impersonato Giovanni Carron di San Tommaso, la seconda consorte Antonia Francesca du Marché, la figlia Caterina, Baronessa di Fénis e due sue damigelle.
Il Presidente nazionale dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv è stato rappresentato dal Vice Segretario Amministrativo Nazionale.

ANDREA CARNINO

Una riflessione storica sul colonialismo italiano. Contro le vulgate

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Credo che sia necessario avviare una riflessione storica sul colonialismo italiano in Africa che non sia succubo delle grossolane pagine di  Angelo del Boca. A 90 dall’inizio della guerra d’Etiopia (1935 ) Annamaria Guadagni sul “Foglio“ dedica un ampio articolo al colonialismo italiano in Africa iniziato nel 1882 con l’acquisizione della baia di Assab.  Nell’articolo vengono ripercorse le “nefandezze“ e le “atrocità  coloniali italiane”, rimettendo, in modo solo apparentemente sorprendente  in circolazione  le cose scritte con livore anti- italiano da un non storico come Angelo del Boca. Quindi viene evidenziato, come è giusto che sia, l’uso dei gas da parte del viceré di Etiopia Rodolfo Graziani e  viene persino esaltato il comunista Ilio Barontini, definito “leggendario  antifascista”, mandato da Mosca  ad addestrare partigiani in Etiopia  e organizzare un governo provvisorio riconosciuto dall’imperatore etiope in esilio. Viene invece  ignorato il massacro di soldati italiani ad Adua  del 1896 dopo la sfortunata ed improvvida campagna d’Africa, voluta da Crispi, che creò in Italia grande  scalpore e un ricordo destinato a restare nei decenni, sul quale fece leva 40 anni dopo Mussolini per giustificare a suo modo l’aggressione all’Etiopia come sostennero le maggiori potenze coloniali a Ginevra che condannò l’Italia alle “inique  sanzioni“, come venne detto allora.
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Non c’è parola in quasi due pagine di articolo della campagna di Libia del 1911, impresa iniziata  e conclusa durante l’età giolittiana che ebbe il favore degli Italiani, se si escludono Salvemini (che  definì la Libia “uno scatolone di sabbia”) e Mussolini che, allora socialista rivoluzionario, si sdraiava sui binari delle tradotte per impedire ai soldati di partire per la guerra. L’Italia giunse ultima a cercare un “posto al sole“, dovendosi accontentare di territori che non avevano attratto l’ingordigia coloniale inglese, francese e tedesca. Anche il Belgio e il Portogallo erano potenze coloniali e quindi la tesi in base alla quale l’Italia avrebbe dovuto astenersi, come sostiene Giorgio Rochat , uno degli storici più faziosi succeduto in cattedra al grande Piero Pieri, risulta essere viziata da un pregiudizio ideologico e da un anacronismo antistorico che giudica il passato con gli occhi del presente. Le imprese coloniali italiane furono la logica e inevitabile  conseguenza di una Nazione italiana nata con ritardo di secoli che seppe durante la Grande Guerra dare un apporto alla vittoria alleata  che la mise tra le grandi Nazioni europee. Non era più l’Italietta giolittiana il paese che aveva battuto l’impero austroungarico, provocandone la fine che segnò una svolta nella storia Europea carica di conseguenze per lo più non positive, come colse subito Croce già nel 1918.
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Si può discutere se nel 1935 avesse senso imbarcarsi in una nuova impresa coloniale fuori tempo massimo, ma non può essere dimenticato che l’impero africano dell’Italia fu anche quello volto a portare strade, scuole, ospedali in terre incolte e in paesi arretrati in cui vigeva addirittura la schiavitù. L’impero coincise con quelli che De Felice definì gli “anni del consenso”. Andrebbe anche evidenziato che forse l’Italia diede alle Colonie molto più di quanto ne  ricavò. E mi riferisco a Somalia, Libia, Etiopia in cui l’impronta italiana in parte rimane ancora oggi. L’Italia lasciò di sé un ottimo ricordo. Molti coloni italiani rimasero in Libia fino alla cacciata di Gheddafi  e in Etiopia il Negus, tornato al potere dopo la sconfitta dell’Italia in Africa, si circondò di Italiani in posti di responsabilità. L’azienda idroelettrica abissina rimase addirittura di proprietà di una famiglia italiana. Quindi un discorso storico non può fermarsi al livore ideologico di del Boca; anche le vicende dopo la fine del colonialismo italiano non rappresentarono maggiore civiltà e progresso, come dimostra la storia delle ex colonie italiane divenute preda di lotte tribali senza fine.
Ovviamente nell’articolo in questione  viene ignorato il sacrificio del domenicano padre Reginaldo Giuliani caduto nella compagna d’Etiopia ancora oggi venerato dai suoi confratelli  e viene, a maggior ragione,  ignorato il Vice Re di Etiopia e governatore dell’Africa orientale italiana Amedeo di Savoia duca d’Aosta che aveva una storia personale  di contatti e di vita in terra africana: in Somalia insieme allo zio Duca degli Abruzzi e nel Congo belga  come operaio sotto falso nome. Amedeo d’Aosta si era laureato in Giurisprudenza con una tesi  in diritto coloniale in cui si sosteneva che un dominio straniero sugli indigeni poteva trovare giustificazione solo  nel miglioramento delle condizioni  di vita delle popolazioni colonizzate.
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E come vice Re dal 1937 al 1941 il duca  fu promotore di grandi opere pubbliche destinate a durare nel tempo. Certo la dominazione fascista in Africa Orientale si fece sentire, come ebbe rilievo positivo in Libia la presenza  del  governatore Italo Balbo. Nella storia, come anche nella vita, non tutto è da gettar via. Come si dice volgarmente, va almeno distinto il bambino dall’acqua sporca . Come disse Carlo Delcroix che conobbe il principe sabaudo, Amedeo “visse da santo e morì da eroe“. Forse Delcroix esagerava, ma certo la sua figura studiata in modo esemplare da Gianni Oliva, non può essere ignorata. La sua resistenza sull’Amba Alagi  che ottenne l’onore delle armi inglesi e la sua morte in prigionia a Nairobi per restare con i suoi soldati sono una delle pagine più alte insieme alla strenua resistenza dei soldati italiani ad El Alamein a cui rese onore il presidente della Repubblica Ciampi che sentì la complessità della storia ,andando oltre la politica che “giudica e manda”, senza mai  tentare una sintesi storica, neppure a distanza di 90 anni. L’articolo del “Foglio “ non fa che riprendere le vulgate antistoriche del passato. Ed è un peccato che non deve sorprendere perché il giornale di Cerasa è in realtà molto conformista.

Il programma di Attraverso Festival dal 28 luglio al 1 agosto

Attraverso Festival 2025 presenta lunedì 28 luglio alle ore 21,  a Rocca Grimalda, nell’Alessandrino, presso il Belvedere Marconi, lo spettacolo intitolato “Doppia coppia” di Neri Marcorè, con la partecipazione di Anaïs Drago, Domenico Mariorenzi e Chiara Di Benedetto.

La passione per la musica di Neri Marcorè ha fatto sì che alla sua attività di attore si affiancasse via via quella di cantante e chitarrista, dando vita negli anni a tantissimi concerti e spettacoli. Tra questi ricordiamo “Un certo signor G.” , basato sul repertorio di Gaber, ”Quello che non ho”, “Come una specie di sorriso” e “La buona novella”, tratto da De André,  “Di mare e di vento”, tratto da Testa, “Le mie canzoni altrui” e “Duo di tutto”, che spaziano nel cantaurato italiano e straniero.
In “Doppia Coppia” per Attraverso Festival, a Rocca Grimalda il 28 luglio, si propone un’inedita formazione composta dall’inseparabile amico Domenico Mariorenzi, polistrumentista, Anaïs Drago, violinista, e Chiara Di Benedetto, violoncellista, per reinterpretare una serie di canzoni note e meno note che andranno a formare una colonna sonora nella quale gli spettatori potranno riconoscersi.
Martedì 29 luglio a Serravalle Scrivia, ad Alessandria, alle 21, nella tenuta La Bollina, si esibirà  Manuel Agnelli, nello spettacolo “La scomparsa del mistero. Tra parole e musica”.
Mercoledì 30 luglio nell’area verde di Gamalero, alle 18, a ingresso gratuito, si esibirà Fabio Geda, proponendo un reportage sull’Angola, in collaborazione con Medici per l’Africa Cuamm. Sempre mercoledì 30 luglio, a Cassano Spinola, nell’Alessandrino, al Belvedere San Martino di Gavazzana, alle 21 Turbopaolo proporrà uno show dal titolo “Solo show”.
Mercoledì 30 luglio  ad Alba, nel Cuneese, al teatro Sociale Busca, Arena Guido Sacerdote, alle 21, si esibirà Andrea Pennacchi in “Una piccola Odissea”, con musiche dal vivo di Giorgio Gobbo, Gianluca Segato, Annamaria Moro. Lo spettacolo sarà  replicato venerdì 1 agosto alle 18 presso Bosio, nell’Alessandrino, all’ Ecomuseo Cascina Moglioni, nel parco Naturale Capanne di Mercarolo, con musiche dal vivo  di Giorgio Gobbo , Gianluca Segato e Annamaria Moro.

Attraverso Festival presenta questi appuntamenti fra il 28 luglio e il 1 agosto prima della pausa estiva del programma della decima edizione, che riprenderà  a partire dal 28 agosto. Da Rocca Grimalda a Serravalle Scrivia, passando per Gamalero, Alba e Cassano Spinola, le colline piemontesi diventano palcoscenici naturali per concerti, spettacoli e racconti. Un festival diffuso che non smette di sorprendere per un settimana estremamente ricca, che testimonia ancora una volta l’identità molteplice e coraggiosa di Attraverso Festival, un intreccio di suoni, pensieri e bellezza che attraversa i territori.

Mara Martellotta

L’isola del libro: Speciale 150 anni Thomas Mann

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Quest’anno ricorre l’anniversario dei 150 anni dalla nascita dello scrittore tedesco Thomas Mann, venuto al mondo a Lubecca il 6 giugno1875.  Inoltre, trascorsi 70 anni dalla sua morte -a Zurigo il 12 agosto 1955- oltre alle celebrazioni, segue la possibilità di pubblicare liberamente tutte le sue opere.

 

Quella di Thomas Mann è stata una vita molto intensa, lunga 80 anni, dei quali oltre 50 dedicati alla scrittura…e che scrittura!

Un gigante della letteratura mondiale, premio Nobel nel 29. Il primo capolavoro l’ha scritto a soli 26 anni, “I Buddenbrook”, ambientato nella sua città natale Lubecca, ispirato alle vicissitudini della sua famiglia.

(E.. aggiungo io… uno dei libri più belli mai scritti, che suggerisco di leggere a chi non l’avesse ancora fatto)

Figlio di una ricca casata di commercianti anseatici, Thomas -come il fratello Heinrich- delude le aspettative paterne dal momento che rifiuta di portare avanti l’attività di famiglia, che tra l’altro sdrucciolerà verso il disastro.

Quando il padre muore, lascia un testamento velenoso ed umiliante per moglie e figli; la madre abbandona l’austera Lubecca e si trasferisce nella più frivola Monaco, dove vive anche Thomas fino al 1933.

Con l’avvento di Hitler, cambia tutto, e la storia travolge anche i Mann; a Thomas viene revocata la cittadinanza tedesca.

La sua esistenza muta per sempre e si trasforma in quella di esiliato; anche se lui sarà solito affermare: «Dove sono io, là è la cultura tedesca».

In occasione dell’anniversario, si torna a parlare anche dei luoghi in cui lo scrittore è transitato ed ha abitato, per periodi più o meno lunghi, che hanno comunque scandito e segnato il suo tempo e le sue opere.

La casa natale di Lubecca, non completamente restaurata.

La villa californiana a Pacific Palisades, con una spettacolare vista e circondata da palme; disgraziatamente è andata letteralmente in fumo nei recenti roghi che hanno devastato Los Angeles. Pare che si sia salvato solo l’archivio.

Ed ora una carrellata di libri, più o meno recenti, che aiutano ad entrare più a fondo nella vita e nella personalità del genio creativo e dell’uomo.

Intanto occorre risalire alla sua numerosa e complessa famiglia, ed i titoli che seguono sono un ottima traccia da seguire.

 

Tilmann Lahme “I Mann. Storia di una famiglia” -EDT- euro 26,00

Tilmann Lahme -giornalista, docente e uno dei massimi esperti di letteratura tedesca- con questa biografia romanzata ci conduce dritti all’interno del nucleo della famiglia tedesca per eccellenza, l’ʺAmazing Familyʺ come gli americani amavano definire i Mann.

Andiamo dietro le quinte di una saga straordinaria, folle ed impetuosa; contraddistinta da talento, passioni, dolore e tragicamente intersecata dagli accadimenti storici.

Innanzitutto puntiamo l’attenzione sulle vicende di Thomas e della moglie Kathia Pringsheim, (figlia di un importante matematico e prima donna a conseguire il diploma di maturità a Monaco) che si sposano l’11 febbraio 1905.

E’ lei -donna elegante, forte, totalmente dedita alla famiglia e al marito- che gestisce con polso fermo il complicato ménage familiare, al fine di proteggere prima di tutto il lavoro del genio. Ancora lei fa da argine alla sottesa tendenza omosessuale dello scrittore.

Hanno 6 figli ed ognuno cercherà di affermarsi a modo suo; tra turbamenti, derive emotive, amori turbolenti, spesso sconcertanti e rovinosi.

Erika: scrittrice, attrice, fondatrice di un cabaret politico, corrispondente di guerra. In Inghilterra sposa -solo formalmente e per salvarsi dalla persecuzione nazista- il poeta omosessuale W.H.Auden. E’ legatissima al fratello Klaus da un rapporto che alcuni considerano morboso.

Klaus comprende presto di essere omosessuale, come Erika, la sua “Twin” dalla quale dipende emotivamente. E’ il più dotato e tormentato. Sfida il padre sul suo stesso terreno, senza però mai riuscire a eguagliarlo e ne patisce l’ombra da gigante. Fragile e tormentato si uccide nel 1949.

Golo, anch’esso omosessuale, ma in modo meno provocatorio del fratello. Trova affermazione come storico di rilievo e cerca la salvezza allontanandosi dalla famiglia.

Elizabeth, è la cocca del padre e sposa Giuseppe Antonio Borgese. Finisce per dedicare l’ultima tranche della sua vita alla difesa degli oceani; con successo e ottenendo la sua realizzazione.

Michael, sostenuto sempre dalla madre, anche economicamente, diventa musicista; ma rimane per sempre preda di instabilità e crisi emotive, finendo anche lui suicida.

Monika è il brutto anatroccolo che i genitori considerano svogliata ed incapace, la meno amata dei sei.

Le vicende della famiglia sono scandite dai fatti storici. L’ascesa di Hitler comporta l’esilio dei Mann: dapprima in Svizzera, poi in America dove Thomas continua a scrivere e viaggiare tenendo prestigiose conferenze.

Thomas Mann è un personaggio famoso e rispettato anche oltreoceano dove è accolto a braccia aperte. Una celebrità che parla alla radio in tedesco, pranza due volte con il Presidente Roosevelt e costruisce la grande villa californiana di Pacific Palisades (a spese di una ricca mecenate, Agnes Meyer).

Poi negli anni della guerra, Golo e Klaus si arruolano nell’esercito americano.

Alla fine i Mann tornano in Europa nel 1952 e si stabiliscono in Svizzera dove Thomas continua a scrivere fino all’ultimo.

La morte, per arteriosclerosi, lo coglie il 12 agosto 1955, a Kilchberg, sul lago di Zurigo.

All’epoca, Thomas Mann è considerato e celebrato come una delle personalità di maggior spicco e tra le più rispettabili al mondo.

 

 

Colm Tóibín “Il Mago” -Einaudi- euro 24,00

Questo splendido ritratto -che immagina anche la vita e la voce interiore di Thomas Mann- è valso a Tóibín (saggista, drammaturgo e docente universitario) il Premio Gregor von Rezzori 2023.

Il Mago” è un racconto dalla struttura circolare; inizia e finisce a Lubecca, la città dove Thomas nasce e intraprende faticosamente la carriera letteraria.

La stessa in cui tornerà da anziano, dopo tanto peregrinare, in uno stato d’animo oscillante tra ricordi e rimpianti.

Nel mezzo c’è tutta la sua lunga, perigliosa, vita e il genio che irrora le sue opere immortali.

Il romanzo di Tóibín inizia con il fermo immagine di una casa alto borghese di Lubecca nel primo Novecento, dove due bambini sono in adorazione della bellissima madre, moglie del ricco senatore loro padre.

Sono i fratelli Thomas ed Heinrich Mann, i cui destini finiranno per invertirsi. E’ Thomas (non il fratello, come invece pensava il padre) a coltivare ambizioni letterarie e a tutti nasconde, con cautela, le sue pulsioni omosessuali.

Il matrimonio con Katia Pringsheim, rampolla di una ricca famiglia ebrea di Monaco, il cui salotto è crocevia dell’élite culturale del paese, sembra fare da argine alle sue energie emotive disciplinandole; soprattutto lo salva dallo stigma dell’omosessualità.

Il loro non è un matrimonio di facciata, bensì fondato su un forte legame in cui si intrecciano: affetto, stima reciproca, solidarietà; anche se non mancano momenti di tensione.

Katia accetta la bisessualità del marito ed impara a conviverci; anche perché la loro unione in parte è saldata dall’amore. Ma entrambi vivono relazioni extraconiugali, non sempre facili da gestire in modo armonioso e in parallelo al loro patto nuziale che resta inscalfibile fino alla fine.

Nel libro è accuratamente narrato il ménage quotidiano, scandito dalla nascita di 6 creaturine.

Emerge che l’organizzazione familiare è stabilita con rigore da Katia, la quale cresce e gestisce le delicate e complesse personalità della numerosa e variegata prole, così da rendere la vita domestica più armoniosa possibile.

Il suo scopo principale è garantire la pax necessaria per consentire al marito di dedicare tutte le sue energie creative ed emotive alla composizione dei suoi capolavori, senza interruzioni o inopportune distrazioni.

Mago” è l’appellativo affettuoso con cui si divertono a chiamarlo i figli, e lui si vanta di avere poteri straordinari. Katia comunque li ha addestrati a rispettare rigorosamente il tempo che il padre consacra alla sua metodica ed eremitica routine lavorativa.

Infinita è l’ispirazione che Thomas Mann trae dal suo quotidiano e traspone nei romanzi. A partire da “I Buddenbrook”, che rimanda alla rovina della sua stessa famiglia.

O quando, durante una vacanza italiana, è attratto da un ragazzo, intravisto sulla spiaggia e, da quell’infatuazione, nasce “Morte a Venezia”.

Ancora, dalla visita alla moglie, ricoverata in sanatorio, sviluppa l’idea de “La montagna incantata”.

Ed emerge un Thomas Mann uomo complesso, non sempre limpido, padre per lo più distante e distaccato; oppure attratto eccessivamente dal figlio maggiore.

Nel romanzo non sono mai espressi giudizi morali; piuttosto si esplora il modo in cui una persona tende a presentarsi al mondo e la distanza che, invece, può intercorrere rispetto al suo io interiore più profondo.

E nel caso di un grande scrittore la cosa diventa più affascinante che mai, perché apre il varco ad interessanti analisi correlate alle sue opere, da leggere sotto lenti con diottrie diverse.

In questo libro emerge anche la statura di un Thomas Mann grande patriarca, sorta di capostipite che si cura del numeroso parentado; dalla moglie e i figli ai fratelli e i nipoti. Inoltre la sua capacità di allacciare rapporti con altri grandissimi personaggi del Novecento; da Mahler a Werfel, passando, tra gli altri, da Einstein e Truman….

 

 

Marianne Krüll “Nella rete dei maghi” -Bollati Boringhieri-

Se riuscite a procurarvi questo testo del 1993 potete scoprire un livello ancora più profondo della vita di alcuni personaggi della famiglia Mann, a partire ovviamente da Thomas.

L’autrice, sociologa tedesca particolarmente interessata ai temi della famiglia e alle tematiche femminili, in queste pagine si concentra su alcuni punti.

Sull’invisibile rete di relazioni che, soprattutto Thomas, suo fratello Heinrich, e suo figlio Klaus, hanno tessuto, e dalla quale si sono lasciati trasportare; per poi cadere, finendo per trascinare anche altre persone nello scivolone.

Le vicende dei tre presentano somiglianze: un continuo oscillare tra allontanamenti e riavvicinamenti, intrecci di affetto, amore, ma anche odio, frustrazione, rispetto ed altri sentimenti rimasti sottesi e mai espressi con chiarezza.

Un caleidoscopio di sentire interiore che si è trascinato attraverso tre generazioni, diventando spesso trappola letale.

La Krüll segue un filo rosso a partire dal suicidio di Klaus, a soli 42 anni, a Cannes, il 21 maggio 1949.

C’è come una catena che collega questo ad un impressionante numero di altri suicidi avvenuti nella stessa famiglia, nelle generazioni precedenti. Di qui una rete di modelli di rapporti intrisi di sensi di colpa, odio, recriminazioni, relazioni difficili.

Una famiglia segnata da suicidi, conflitti tra fratelli, latenti pulsioni omosessuali (Thomas) o dichiarate (Klaus ed Erika), ambiguità di rapporti (tra Thomas e il figlio Klaus).

Le famiglie in causa sono tre, e spiccano figure femminili degne di attenzione.

La madre brasiliana di Thomas, Julia da Silva Bruhns, le sorelle dello scrittore Clara e Julia, la moglie Katia e la figlia Erika.

Tutto corredato da un’affascinante documentazione fotografica che immortala i vari protagonisti.

Da segnalare che, al fondo del volume in una tasca della copertina, c’è una preziosa bussola per orientarsi meglio: sono tre mappe con gli alberi genealogici delle famiglie Mann, Bruhns (ramo materno di Thomas) e Pringshein (famiglia di Katia).

 

 

Klaus Mann “Figlio di questo tempo” -Castelvecchi- euro 18,50

Questo libro è stato pubblicato nel 1932 dal secondogenito di Thomas Mann, Klaus, nato a Monaco di Baviera nel 1906 e suicidatosi a Cannes nel 1949.

Il libro è uno scrigno prezioso, ricco di aneddoti sulla sua infanzia e adolescenza, di conseguenza anche di curiosità inedite sulla sua famiglia. Il testo ebbe subito enorme successo, ma fu bandito l’anno dopo quando Hitler salì al potere.

In realtà Klaus fin da giovanissimo legge voracemente e scrive ininterrottamente, sensibilissimo, alla ricerca di una sua voce e identità. Stila drammi, poesie, racconti…quasi a voler rivaleggiare con l’immenso padre.

Il primo romanzo lo pubblica nel 1926, a 20 anni, è “La pia danza”; protagonista un giovane omosessuale nel primo dopoguerra, tra Berlino e Parigi, ovviamente in gran parte ispirato a se stesso.

E’ brillante, legatissimo e dipendente dalla sorella che più gli corrisponde, Erika; compagna di mille avventure e continue scoperte, compreso l’orientamento sessuale.

Si cimenta come attore, ballerino, cerca una sua forma espressiva artistica.

Ama Proust e come lui ha il culto dei ricordi, tanto più che i suoi hanno il pregio di ruotare intorno al mostro sacro del padre Thomas Mann, il suo ambiente di altissimo livello e cultura.

C’è anche la ricca e colta famiglia di Katia, donna fuori dal comune e madre amorevole, sempre disponibile a sopperire e colmare quei vuoti e silenzi lasciati invece dal padre blindato nel suo studio, non disturbabile e inaccessibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pittura incontra l’arte dei fiori viventi

DOMENICA 10 AGOSTO 2025  ORE 21 Atelier ArtDabò, Via Arduino 37 – Ivrea (TO)

Una performance dal vivo in cui l’ikebana (l’arte dei fiori viventi)  dialoga con la pittura di Daniela Borla Dabò 

Dopo una breve introduzione all’ikebana,  verranno realizzate da Neicla Natsumei Campi  delle composizioni dal vivo che dialogheranno con i dipinti di DaBò. Questo consente ai partecipanti di seguire la realizzazione dell’opera che si evolve davanti ai loro occhi, partecipando al processo creativo dell’artista.

Un evento davvero UNICO per la sua realizzazione.  Neicla Natsumei Campi è una maestra di ikebana della scuola  Sogetsu di Tokyo  Natsumei (sorriso dell’estate)  in giapponese 夏明 è il suo nome da maestra. Era bambina quando ha scoperto questa forma d’arte, ma praticarla è rimasto un sogno nel cassetto fino a quando, 10 anni fa,  ha incominciato a frequentare le lezioni della scuola Sogetsu a Roma, dove ha conseguito il suo primo diploma di maestra.

Tiene regolarmente corsi nella sua città, Ivrea, preparando i suoi allievi a diventare a loro volta maestri, se lo desiderano, e condividendo con loro momenti di bellezza e serenità. Organizza seminari di introduzione all’ikebana. Ha tenuto conferenze sull’ikebana, dimostrazioni dal vivo e realizzato mostre in diverse località del Piemonte.

Ha realizzato anche installazioni di ikebana all’aperto col bambù sia ad Ivrea che sul lago d’Orta. Le piace continuare ad imparare e sperimentare e per questo frequenta ad Anversa, in Belgio, la scuola di Ilse Beunen, una delle più grandi maestre di ikebana al mondo. Con lei ha conseguito il secondo livello di diploma. In questo mio percorso ha al suo fianco il marito, un bravissimo vasaio che realizza i vasi per l’ikebana.

È anche il suo aiutante nelle installazioni di bambù, nella raccolta del materiale e in molte altre attività in cui una maestra di ikebana arriva dicendo “secondo te come potrei fare a …” Daniela Borla, conosciuta nel mondo dell’arte come Dabò, è una pittrice, scrittrice e scultrice che vive e opera ad Ivrea dove gestisce il suo Atelier (ArtDabò) insieme al suo compagno di vita e manager Luca, grafico digitale.

La sua carriera artistica è il risultato di una profonda passione e ricerca che ha coltivato fin da giovane, parallelamente agli  studi e all’attività professionale di psicopedagogista e maestra. Ha perfezionato le sue tecniche pittoriche con corsi alla Pinacoteca Albertina di Torino.  Ha fatto parte di diverse associazioni artistiche, le sue opere sono state esposte in numerose mostre collettive e personali sia in Italia che all’estero, tra cui il Carrousel du Louvre e il Festival d’Hiver a Parigi, il World Art Dubai a Dubai, l’Art Expo a New York.

Ha inoltre esposto a Pechino, Nizza, Barcellona, Montecarlo, Roma, Milano, Torino, Genova, Parma, Faenza, etc.

La sua ricerca pittorica si concentra principalmente sull’arte informale, con una particolare predilezione per la rappresentazione dell’opera dell’Uomo attraverso paesaggi urbani. Le città, con i loro cantieri, porti, periferie e edifici fatiscenti, sono la fonte principale della sua ispirazione. Nelle sue opere, l’essere umano è raramente rappresentato direttamente, ma la sua essenza, il suo lavoro, le sue emozioni e le tracce del suo passaggio sono fortemente percepibili.

Le opere di Dabò si distinguono per l’uso audace di colori e linee frazionate, che creano un senso di incompiutezza e di realtà in continua trasformazione. Le prospettive sono spesso inusuali e i colori non sempre corrispondono alla realtà, riflettendo la complessità e la dinamicità del mondo urbano. L’artista invita il fruitore a un’interpretazione libera, suggerendo che le luci, le ombre e il punto di osservazione possano modificare la percezione della realtà.

Oltre alla pittura, Daniela Borla è anche una scrittrice e scultrice.

 

( Nella foto, da sinistra, Daniela Borla Dabò – Neicla Natsumei Campi – Luca Stratta )

La generazione Z dell’arte a Magnano nel Biellese

Una mostra diffusa in otto sedi dal titolo “Stile libero”

Dall’invito rivolto a 25 studenti dell’Accademia di Brera di Milano appartenenti alla generazione Z prende forma “Stile libero”, la mostra diffusa in otto sedi del Comune di Magnano, ideata, organizzata e curata dell’Associazione Fuoriprogramma aps, visitabile da sabato 26 luglio a domenica 28 settembre prossimo. Con questa mostra l’associazione Fuoriprogramma, nata da un’idea di Michela Pomaro e Giovanni Frangi, prosegue il proprio impegno a sostegno dell’arte contemporanea in dialogo con il territorio di Magnano.
Magnano, appunto, è  parte viva del progetto, è  la materia con cui i giovani artisti interagiscono per dare forma a opere inedite, diverse per formato, ricerca e media, distribuite in un percorso che spazia dalla pittura alla scultura, fino al disegno e alla fotografia.
I 25 artisti coinvolti, ancora in una fase germinale della loro ricerca, sono nati tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila e con le loro opere definiscono visioni ancora inesplorate, che si nutrono del confronto con il presente, per immaginare nuove soluzioni per il futuro.

“Stile libero” inizia al Monastero di Bose, per la prima volta utilizzato per una mostra di Fuoriprogramma. Sotto un grande portico ad angolo di fronte a un prato, immediatamente dietro la chiesa di Bose, sono esposti una serie di grandi quadri ad acrilico con dei fiori di gusto pop, realizzati da Camilla Trumellini in un rapporto attivo con l’ambiente circostante.

Il percorso procede a tappe, prima verso la chiesa di Santa Marta, dove sono raccolti gli interventi di diversi artisti, tra cui i collage astratti di Elia Di Nola, interpretazione libera della storia e degli spazi, e i dipinti di Beatrice Pachera, attratta dalle vivaci e vibranti montagne del Marocco. Verso la casa parrocchiale,  in via Castello, trovano posto i disegni naturalistici di Silvia Rocchi, realizzati con una precisione da miniaturista, e i lavori a matita dedicati al cielo e all’acqua di Samuele Brambilla.
“Stile libero” conduce verso la parte più antica del paese, dove si incontra la Cantina del Ricetto, con la serie “Ragazzi che dormono” di Filippo Colombani, che racconta di giovani che si radunano, fanno gruppo, parlano, si riposano come in un “Déjeuner sur l’herbe” del nostro tempo. A seguire, nella piazza Comunale, si incontra la Locanda Borgo Antico, scelta per esporre una serie di lavori di Matteo Bianchi, riflesso del suo sguardo puntato agli orizzonti delle montagne della Val Camonica, parte della sua biografia.
La mostra raggiunge poi la sede della Pro Loco, in via Roma, i cui spazi sono occupati da una serie di incisioni che hanno come soggetto la natura, e il Mulino Ottino, all’inizio di via Campi, che ospita, tra gli altri, i personaggi punk di Tommaso Frattini, dipinti su materiali di recupero. E si conclude al Centro Culturale Sosio, sede della biblioteca locale, dove trovano posto le fotografie in bianco e nero di Lucrezia Mora ispirate ad Helmut Newton, che ritraggono donne dalla bellezza spiccata in tutta la loro femminilità e intimità, e sulle quali interviene scrivendo con un filo di seta rosso.

“Stile libero” raccoglie le esperienze creative di artisti ancora in fase germinale di esplorazione e definizione del proprio linguaggio e del proprio stile, liberi di sperimentare e di sbagliare.  La diversità delle soluzioni espressive proposte rivela le potenzialità di ognuna di esse.
Costituita in un percorso a tappe, l’esposizione include il paese di Magnano, nel Biellese,  come parte viva del progetto con cui gli artisti si sono relazionati in un dialogo aperto e inedito.

26 luglio- 28 settembre 2025

Stile libero. Progetto diffuso nel Comune di Magnano, nel Biellese

Mara  Martellotta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La lapide di Matteotti  sfregiata – Tocqueville a Cannes – Ricordi di scuola che pesano ancora – La Russa – Lettere

La lapide di Matteotti  sfregiata
Ricordo che tanti anni fa andai anch’io ad inginocchiarmi davanti alle lapide di Giacomo Matteotti sul lungotevere romano dove nel 1924 venne rapito. Avevo anche la fotografia- andata perduta in un trasloco maldestro della mia biblioteca – con a fianco l’ex presidente Saragat e il mio amico Orsello ed alcuni amici del Movimento Europeo di cui ero vicepresidente. I socialdemocratici erano praticamente assenti perché gente come Nicolazzi non era certo  in grado di capire chi fosse stato Matteotti , fortemente avversato dai comunisti e dai fascisti. Pochi giorni fa ignoti teppisti hanno danneggiato quella lapide che era stata distrutta nel 2017 e nuovamente sfregiata nel 2024, l’anno del centenario della morte di Matteotti per mano violenta di sicari fascisti. Il Ministro della cultura Giuli è andato sul lungotevere e ha baciato la lapide, condannando l’accaduto, definito “un atto di viltà che non deve restare impunito“.
Mi auguro che si proceda celermente alla identificazione dei vandali politici o non politici che siano. A Torino la lapide di Mario Soldati (che  nel  1924 andò a scrivere con il gessetto sui muri di Torino viva Matteotti !) è stata ripetutamente ricoperta di scritte tali da renderla illeggibile. Nulla al confronto dello sfregio e all’offesa al martire della libertà per definizione , l’uomo politico che coniugò l’antifascismo e l’anti comunismo con lucida coerenza. Oggi ci sono vandali drogati e/o ubriachi o magari anche lucidi ( si fa per dire ) che si accaniscono con violenza belluina  contro monumenti che ricordano la storia da loro, ovviamente, non conosciuta. Ma ci sono anche vandali politici che vanno denunciati con assoluta fermezza  perché appartengono all’ala violenta di chi vorrebbe riscrivere la storia.
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Tocqueville a Cannes
Un mese fa a Cannes (dove morì nel 1859) e’ stata intitolata una piazza al visconte Alexis de Tocqueville. Un riconoscimento importante, ma un po’ in ritardo. Tocqueville, oltre ad essere stato un importante politico (fu ministro degli Esteri di Francia e deputato ) , è stato un pensatore  di primo piano che ha studiato la democrazia americana e l‘ antico regime e la Rivoluzione francese. Le sue  opere sono sempre vive, è stato il primo a denunciare i guasti provocati dal giacobinismo sanguinario, come evidenzio’ il grande Nicola Matteucci. Egli  pose dei limiti entro i quali l’eguaglianza non può straripare perché finirebbe di uccidere la libertà che per  Tocqueville e per i liberali è la parola più importante, la ”pense’e me’re“  della democrazia liberale di cui Tocqueville fu uno dei sostenitori più acuti. Fu lui a coniare l’espressione “dittatura della maggioranza“.
Tocqueville

 

La Francia di oggi con Macron, modestissimo presidente egocentrico che si ritiene leader internazionale, una estrema destra ancorata al passato e una sinistra barricadera, sono quanto di più lontano da Tocqueville. Assume un valore speciale che a Cannes si siano ricordati di lui. Sono grato alla mia amica Luisa Millari di avermi segnalato l’evento. Se l’avessi saputo, sarei andato molto volentieri alla inaugurazione anche come – per due volte negli anni- insignito del “premio Tocqueville“.
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Ricordi di scuola che pesano ancora
All’ improvviso oggi mi è tornato alla mente un mio professore della scuola media . Si chiamava don Giovanni Mano che non vidi più dopo la licenza media. Fu mio professore di matematica per un solo anno e ricordo i problemi ostici che ci assegnava. Un professore amico di mio padre, il matematico Guelfo Campanini (che aveva combattuto nell’Areonautica nell’ ultima guerra, come si diceva allora) era in grossa difficoltà ad aiutarmi. A volte attraversavo la strada e andavo a casa sua, ma alcune volte dovetti tornare a mani vuote perchè i quesiti posti si rivelavano senza soluzione. In qualche occasione  entrava in gioco anche il figlio del professore che era ingegnere, ma proprio non c’era nulla da fare. Don Mano il giorno dopo risolveva il busillis molto in fretta ,come se tutto fosse del tutto evidente. Sembrava che si divertisse a creare problemi ai suoi studenti.Oggi lo contesterebbero in primis i genitori, rendendogli la vita impossibile. Mio padre invece sarebbe stato dalla parte del professore comunque, perché ai docenti si doveva portare rispetto. L’anno dopo ebbi il prof. Carmelo Bonanno, figura di ben altro spessore intellettuale ed umano. Lo ritrovai dopo tanti anni nel 1997 ai funerali solenni di mio padre  e diventammo amici. Mi disse, appagando la mia vanità, che erano anni che mi seguiva e mi leggeva  e che si ricordava dell’ambasciatore che veniva a parlargli e al cui funerale non volle mancare. Con mia somma sorpresa Don Mano passo’  l’anno dopo all’ insegnamento delle materie letterarie dimostrando un enciclopedismo eccezionale.
Seppi tempo dopo che, in realtà,  era un semplice maestro elementare e che non era laureato. Una volta, già allora ero appassionato di storia, ebbi una discussione con il don, come si direbbe oggi. Alla fine sostenne una tesi che  mi apparve già in quegli anni molto bislacca e poi del tutto inaccettabile. Don Mano mi disse di affidarmi al manuale del suo confratello Franco Amerio, che usava per i libri di storia firmarsi Moroni, che era il cognome della mamma. Mi disse di affidarmi a lui perché era “super partes“ in quanto la Chiesa non sta con nessuno se non con la verità.
Era  un discorso peggiore dei problemi di matematica insolubili perché fondato o su una candida ingenuità o sulla più totale malafede. Timidamente gli replicai che proprio il Risorgimento dimostrava che la Chiesa era invece parte molto attiva e vivace di un conflitto con lo Stato volto ad impedire l’ unificazione italiana. Non aggiunsi altro e non ebbi repliche. Qualche anno dopo ,studiando Machiavelli, capii le ragioni per cui la Chiesa impedì per secoli quel processo unitario che si ebbe  invece in Francia e in Spagna . Ma sicuramente ,se avessi riincontrato don  Mano, mi avrebbe obiettato che Machiavelli era immorale e quindi inattendibile. In quel caso sarei stato io a fargli una lezioncina su politica e morale che sono distinte e spesso distanti,come scriveva Croce . Don Mano, sapendo qualcosa della mia famiglia, a volte mi chiamava il “piccolo lord “con tono leggermente canzonatorio. In effetti in quella classe di scuola media non c’era proprio la crema di Torino e io potevo sembrargli diverso dai miei compagni: solo in tre o quattro andammo infatti al Ginnasio -Liceo classico. Non era però una questione solo sociale perché io avevo dalla mia gli insegnamenti privati del prof. Salvatore Foa che mio padre mi aveva messo alle costole come precettore. Dopo un solo anno di Ginnasio, Foa morì lasciandomi parte della sua biblioteca che ancora oggi conservo con cura e ho integrato nella mia. Forse anche per il magistero di Foa, che periodicamente andava in Israele, sono sempre stato dalla parte del piccolo Stato aggredito dagli arabi e dal terrorismo. Tra don Mano e il prof. Foa non ho mai avuto dubbi da che parte stare.
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La Russa
Riconosco a  Ignazio La Russa delle qualità personali che ebbi modo di apprezzare quand’era ministro della Difesa nel centenario della Grande Guerra. Ebbe il coraggio di replicare al giornalista Sansonetti  che celebrava i disertori di guerra a cui volevano dedicare una targa nel luogo più improprio: il Vittoriano dove riposa il Milite ignoto. Da quando è presidente del Senato però  non ha  ancora appreso l’arte di rappresentare  la seconda carica dello Stato con quella formale imparzialità che oggettivamente  è estranea ad un uomo di partito di lungo corso e di poca cultura istituzionale.
Ma nella storia italiana ci sono stati presidenti del Senato, da Merzagora a Spadolini, che hanno saputo estraniarsi dalla mischia politica . Per una sola intervista considerata di parte Merzagora  fu costretto a dimettersi. La Russa in questi giorni polemizza addirittura sulla politica della sua città di adozione, dicendo cosa debbono fare Sala e la sua Giunta .
In questo caso non è più il fatto privato del  busto del Duce in casa, ma uno schierarsi polemicamente   in  un conflitto  incandescente,  incompatibile con il suo ruolo di presidente del Senato . Persino Luigi Federzoni , presidente del Senato del Regno sotto il fascismo, era in  un certo modo più istituzionale. La stessa Premier, nel caso di Milano, si è astenuta dall’intervenire come donna di parte e come presidente del Consiglio.

LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

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Ricordando Soleri
Ho ascoltato su YouTube la sua video- conferenza su Marcello Soleri del 23 luglio , ad ottant’anni dalla  sua morte. Mentre Lei nei diversi articoli su Soleri  ha dimostrato di essere uno storico distaccato come sempre dimostra di essere, nel ricordo su YouTube  ha detto di sentirsi coinvolto emotivamente per ragioni famigliari ed ha anche raccontato i legami con Soleri della sua famiglia. Cosa le è accaduto? In effetti però  non ha mai smarrito la lucidità storica di sempre. Gino Bessone
Non credo sia stata una performance riuscita il mio ricordo su YouTube. Io sono ancora un principiante perché ho iniziato su YouTube solo durante il covid. Per parlare io ho bisogno di un  pubblico davanti a cui ispirarmi: appartengo alla vecchia scuola ed appartengo alla schiera dei professori abituati a parlare nelle aule affollate. Il contatto con le persone mi ispira. Infatti i  video che faccio non li riascolto mai, per non entrare in crisi. A volte li faccio cancellare dopo poco perché non voglio lasciare ricordi di algide lezioncine a distanza. Certo però parlando di Soleri mi sono sentito molto coinvolto: io ricordo che  mio nonno  già  da quando ero bambino mi parlava di Soleri come di un mito con il quale ebbe una frequentazione di cui c’è traccia anche nei suoi diari. In estrema sintesi nel video ho definito Soleri “ministro della buona vita“ , capovolgendo l’ingiusto ed errato giudizio di Salvemini su Giolitti considerato il “ministro della mala vita“. Il giolittiano Soleri fu l’esempio della più alta moralità politica. Ho letto oggi uno sconclusionato articolo dell’ottuagenario ex preside di Saluzzo pieno di divagazioni fuori tema. Un vero peccato . Lo storico saluzzese,  grande esperto di massoneria, ha ritenuto di specificare che – al di là delle voci – Soleri non fu massone. Io non ho mai dubitato del contrario. Croce scrisse sulla Massoneria giudizi severissimi di cui Soleri fu  certamente a conoscenza. Massone fu invece Giovanni Amendola, un liberale meridionale molto diverso dal cuneese Soleri.
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Eutanasia
Il  75 per cento degli Italiani  è favorevole all’eutanasia. Visto che la classe politica è latitante e non decide perché non fare un referendum che ponga fine alla sudditanza alla Chiesa cattolica in materia di fine vita? Giuseppina Orsi
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Sono decine di anni che sento parlare di eutanasia che dal greco significa “buona morte“. Io personalmente non ritengo  mai buona, la morte, anche se capisco che il dolore puo’ portare le persone a desiderare di porre fine alla loro esistenza tribolata. Ma il termine “suicidio assistito“ suscita in me forti perplessità. Ho letto i giudizi frettolosi e superficiali di Vittorio Feltri sul tema e dissento dalle sue semplificazioni che sicuramente avranno il consenso di tanti. Per me il valore della vita nello stadio nascente e in quello terminale è cosa molto importante. E ‘ innanzi tutto un  affare di coscienza che in una società inaridita, più profana che laica, come quella attuale appare qualcosa di insensato . La coscienza oggi risulta essere parola ignota ai più. Arrigo Benedetti definì Pannunzio un “laico direttore di coscienze“, una dizione oggi incomprensibile ai più.
Bobbio
Io resto con i miei dubbi di coscienza senza pretendere di essere ascoltato nei miei dubbi  che poi sono gli stessi, laicissimi, di Norberto Bobbio, non di don Giussani. Certi radicalismi mi sono  da sempre estranei. Non per ragioni di coscienza ma per ben più concrete ragioni  anche giuridiche sarei assolutamente contrario ad un referendum in materia di fine vita . Problemi così complessi ed eticamente sensibili  non si possono ridurre ad un plebiscito tra un sì e un no. In ogni caso in Italia esiste il referendum abrogativo e quello confermativo. La Costituzione non prevede referendum propositivi. E questo è un bene perché nella confusione attuale bastano ed avanzano i referendum abrogativi di Landini & soci.