CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 64

I libri più commentati del mese

Ecco una piccola rassegna dei titoli più commentati dalla community de Un libro tira l’altro ovvero iL Passaparola Dei Libri nel mese di maggio:

I Giorni Di Vetro di Nicoletta Verna, molto dibattuto e apprezzato nel nostro gruppo, Redenta e Iris, due protagoniste che subito entrano nel cuore del lettore, le vediamo, si seggono a fianco a noi e non ci lasciano fino all’ultima frase; One Day, di David Nichols è tornato presente nelle discussioni grazie a una fortunata trasposizione televisiva e il suo autore è stato “riscoperto” e discusso anche nel nostro gruppo; Roberta Recchia è uno dei nomi più citati nelle nostre discussioni e Tutta La vita Che Resta un romanzo molto amato.

Incontri con gli autori

Questo mese abbiamo intervistato:

Marta Fanello è l’autrice di Modi Finiti  (Affiori, 2024) è il suo primo romanzo e racconta una storia di crescita, dagli inaspettati risvolti noir; Mirko Francesconi che torna con un romanzo autobiografico dal titolo  Quando Le Rondini Sfioravano La Strada (Tempo Al Libro, 2023)che  racconta una storia di crescita e rievoca l’Italia degli anni ’80 e ’90, tra ricordi e nostalgia; Vitaliano Fulciniti saggista che di recente si è cimentato con la narrativa, pubblicando Il Viaggio E La Mente (2024) una spy story dall’inconsueto taglio nostalgico.

 

Per questo mese è tutto. Vi invitiamo a seguire Il Passaparola dei libri sui nostri canali sociali e a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La frociaggine – Matteotti – Lettere

La frociaggine
L’espressione certo non raffinata ne ‘ rispettosa usata da Papa Francesco ha suscitato l’indignazione di molti tra cui quella del raffinato teologo fuori le righe Mancuso. Nel linguaggio popolare “froci” rappresenta il popolo gay da tempo immemorabile. Il punto non è il sostantivo, ma se sia inopportuno o meno che i  seminari già in crisi di vocazioni siano pieni zeppi di gay. Qual è l’insegnamento del magistero – dimenticato da tempo – e la realtà dei fatti ? Può essere un fatto marginale per un futuro sacerdote l’omosessualità? Bisognerebbe uscire dalle frasi di circostanza del politicamente corretto e vedere senza le deformazioni del politicamente corretto la realtà. Senza la rozzezza da caserma  del generale in cerca di voti, ma anche senza aver compreso davvero cosa sia un seminario per futuri sacerdoti cattolici  a cui è fatto obbligo il celibato, oggi considerato sempre più di  un ‘ipotesi di vita lontana dai nostri tempi libertini senza regole? La Chiesa ha conosciuto secoli bui da cui Concili e riforme hanno cercato di riscattare la navicella di Pietro governata dallo Spirito Santo. Oggi ridurre la fede all’ essenziale, guardando alla pace e alla guerra e all’ odiata ricchezza  è  sufficiente? Il sesso come elemento indifferente e  marginale e ‘ cosa non facile da accettare. Tutto è permesso a tutti porta lontano dalla Chiesa e dalla sua storia .
Invece di Mancuso vorrei sentire cosa ne pensava un pastore di vocazioni come don Bosco . La chiesa divorata da questo nuovo modernismo di costumi più che di idee,  lascia perplessi . Vorrei sapere cosa ne penserebbe il grande prete spretato don Ernesto Buonaiuti. Con il pifferaio  Mancuso siamo finiti nella “palude” protestante con che le chiese sempre più deserte. Essere laici cioè tolleranti è tutt’altra cosa. Una fede senza certezze è  un non senso.
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Matteotti
L’anniversario del rapimento di Giacomo Matteotti ha fatto compiere il miracolo: la presidente del Consiglio ha parlato di squadracce fasciste, anche se in effetti i sicari di Matteotti erano qualcosa di più di semplici squadristi; adesso la Meloni ha compiuto il gran passo, esprimendosi su un episodio- simbolo della storia del fascismo che proprio con l’ omicidio Matteotti diventò regime. Ha sgomberato il campo in una sede istituzionale come la Camera dove il discorso di Matteotti costò la vita al deputato socialista rapito il 10 giugno 1924. E dovrà coerentemente trarne le conseguenze in tutte le sedi storiche, condannando il fascismo, senza salvarne una parte buona rispetto a quella cattiva. Meloni non si è spinta a dichiarare il fascismo come “male assoluto” al pari di Fini  anche perché gli assoluti nella storia non esistono.  Rimarrà una nostalgia di fondo  da sfoderare solo in casa? Gli anniversari del regime cadranno a ripetizione nei prossimi decenni. Forse sarebbe ora che anche un più ampio riconoscimento di cosa fu il comunismo, anche quello italiano, sarebbe sarebbe opportuno che fosse evidenziato da chi continua ad esaltarlo. Anzi, forse basterebbe da parte di  tutti del pieno riconoscimento della democrazia sancita dalla Costituzione che seppe guardare non al passato che divide, ma al futuro che dovrebbe unire. Ma il cammino della storia dei popoli è un cammino spesso tormentato ed imperscrutabile e non bisogna mai dare nulla per scontato. La pianticella della libertà è sempre fragile e le tempeste economiche e le guerre possono farla  appassire e crollare in modo non prevedibile. E’ per questo che bisogna sempre vigilare contro i  nuovi pericoli in agguato. La storia non si ripete, ma può manifestarsi in nuove forme sempre più insidiose di malattia.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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Movida elettorale
Nei bar e nei locali del centro e della periferia sono esposte  in grande evidenza locandine di un candidato progressista di “Stati Uniti d’Europa “che propone di rilanciare la movida a Torino. Cosa ne pensa?     Giusy Ambro  San Salvario
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La fantasia dei candidati è smisurata. C’è’ da stupirsi che la candidata presidente Pentenero si faccia sostenere da candidati che vedono nella movida il futuro del Piemonte. Pentenero fino a pochi giorni fa era assessore alla Polizia urbana che stenta a controllare un fenomeno che non porta migliorie, ma chiasso e rumori fastidiosi fino alle ore piccole, creando disturbi al sonno e alla quiete dei cittadini.

Tutti alla ricerca di una chiave: o c’è dell’altro?

Il panico” di Spregelburd, uno spettacolo difficile ma di gran successo

Il nome di Rafael Spregelburd – attore, drammaturgo e regista teatrale argentino, oggi 54enne, tradotto ormai in una ventina di lingue, autore residente in teatri inglesi e tedeschi, una trentina di opere proposte in Sud America, in Europa e negli Stati Uniti – circola con sempre maggiore curiosità e convinzione nelle sale teatrali di casa nostra, più o meno dal 2008, con il lavoro dell’abituale traduttrice Manuela Cherubini (un lavoro pressoché intimo, sempre più profondo, “il primo incontro è stato quello con le sue opere, e per conoscere e comprendere meglio sono stata a lungo a Buenos Aires, a guardare da vicino questo “Pinter tropicale”, a guardare dove vivesse, quale fosse l’ambiente teatrale in cui era possibile concepire opere così straordinariamente classiche e rivoluzionarie”; un affetto e una partecipazione presto contraccambiati, “quello che ha avuto tra le mani Manuela Cherubini, la più coraggiosa traduttrice italiana, caro spettatore, fu soltanto la mappa del labirinto, attraversarlo è un altra cosa, e traghettarlo verso un’altra cultura, tramite una traduzione, è un atto di fede e di empatico coraggio”), con la pubblicazione della sua intera “Eptalogia”, con le principali messe in scena di Ronconi (di cui non si disse particolarmente soddisfatto) e di Juri Ferrini, che dopo “Lucido” ha affrontato per la presente stagione dello Stabile torinese “Il panico”: con una regia tutta fuochi d’artificio, impetuosa, folgorante, intelligente, molto aiutato dall’ambiente fisso inventato da Anna Varaldo, nei colori rosso e giallo di esplicita memoria almodovariana (e penso che ad Almodovar imbattersi in Spregelbrud piacerebbe un sacco).

Il panico” è parte di un vasto disegno teatrale che nasce nel 1996, guardando alla tavola dei “Sette peccati capitali” dovuta al fiammingo Hieronymus Bosch, un accumularsi di infiniti e godibilissimi dettagli che impediscono la distinzione di un centro che ti venga in aiuto per la più soddisfacente disanima, la rappresentazione con linguaggio moderno della dissoluzione morale del nostro tempo come il pittore mostrava quella di un Medioevo prossimo ad un Umanesimo “non ancora definito”. Sette testi per sette peccati, che guardano alle colpe antiche per sviscerare le colpe moderne, sette opere che avrebbero dovuto essere brevi nella loro stesura, di facile e non costoso allestimento, magari date in contemporanea in sette teatri della città o una per ogni singolo giorno della settimana. Al contrario, in molti casi, le parole si sono moltiplicate alle parole, i personaggi ai personaggi, e se “L’inappetenza” ha una durata di “soli” venticinque minuti altri testi (“La stupidità”) possono arrivare alla durata delle quattro ore. Un arcipelago teatrale che può sconvolgere, spostare la mente e l’attenzione, dare delle certezze allo spettatore e rovesciarle dopo un attimo, legarsi a quella mancanza di punto focale e perdere (e far perdere) un intero percorso che logicamente debba avere un inizio e una sua conclusione.

Moduli, impressioni, sconcerti che rientrano perfettamente nel “Panico”: che tout court altro non è che il peccato dell’accidia, un ensemble di persone affannate a percorrere la propria vita, a tentare due o tre lavori, a correre senza requie nella ricerca di questo o di quello. Che -inoltre – a seguire ancora le parole della Cherubini – di perfetto aiuto nel dovere di districarsi in quello che è e rimane un rabbuiato labirinto – “è la parodia di un b-movie sulla trascendenza e sulla vita dopo la morte: la costruzione di una spiritualità attraverso banali strumenti retorici e grotteschi, con un riferimento alla contingenza della recessione argentina del 2001 (con la chiusura delle banche)… torna a emergere con chiarezza la messa in discussione del concetto di famiglia, che qui troviamo alle prese con la morte di un padre, fratello, amante, tra fantasmi incoscienti di esserlo ed esseri umani inconsapevoli di essere vivi”. Dove forse quel perno che cerchiamo (mentre in scena si catapultano ballerine tarantolate, un’agente immobiliare, una coreografa, un travestito e altri appartenenti ad una copiosa fauna umana) potrebbe essere la ricerca di una chiave che aprirebbe una cassetta di sicurezza, capace con il proprio contenuto di dare sicurezza ad una intera famiglia, lasciata ben nascosta in casa dallo scomparso Emilio qui ridotto a fantasma: ma siamo sicuri che sia quello il perno che stiamo cercando? Forse per un attimo (una delle scene più divertenti dello spettacolo visto al Gobetti in finale di stagione, capitanata in grande stile da una Arianna Scommegna in vero stato di grazie, certo non dimenticando i suoi compagni, Dalila Reas, Michele Puleio, Viola Marietti con una Roberta Calia d’eccezione come funzionaria di banca) ma non poi avanzando nello spettacolo (ma è lecito definire “Il panico” semplicemente “spettacolo”?); potrebbe essere il terapeuta (Ferrini) che visita la prigioniera in carcere (ancora la Calia, irriconoscibile, diversissima, ancora una bella prova) ma anche questo sbandamento non convince; perché non la sfacciata Susana (Elisabetta Mazzullo, un’altra pedina della serata che semina successo), con un linguaggio che corre a ruota libera, alle prese con il pupo di casa in fatto di grandi offerte erotiche.

Sta allo spettatore cercare, scegliere, muoversi (“non si tratta di opere semplici, ma sì, questo lo posso assicurare, in termini assoluti divertenti”, ancora la traduttrice) mentre non ha quel dizionario di riferimento che non solo una volta ci mettiamo a cercare come la chiave del testo. Divertimento certo, innegabile, scaturito a piene mani dalla risata e dalla satira e dal continuo stravolgimento delle leggi e delle abitudini e delle norme che coinvolgono la maggior parte del genere umano. Nei ghirigori, negli zigzag, negli andare e venire della vicenda (l’ho effettivamente rilevato al termine dei 130’) chi scrive ha la sensazione che lo spettatore un tantino squinternato si debba ritrovare, che si diverta alle frasi e alle situazioni e al linguaggio che non ha peli sulla lingua ma che allo stesso tempo non percepisca/possa percepire e districare appieno tutto il tessuto sottile con cui Spregelburd ha costruito questo suo “Panico”. Difficoltà certo, ci hanno avvisati, come ci hanno avvisati di non legarci più strettamente alle emozioni che sorgono dalla pancia come a quelle che sorgono dalla testa, “certe distinzioni fra testa e pancia ormai da tempo hanno provato la loro inconsistenza”. E a noi non rimane che decifrare che cosa esattamente “nasconda” quella cassetta di sicurezza, quali significati siano nascosti al suo interno, come seguire tutta l’illogicità, la spensieratezza, la sconfinata anarchia, i paradossi, le sgraffignature, i percorsi sconnessi di un autore che guardi con una certa titubanza ma anche con una gran dose di rispetto. Presente in sala ad una delle repliche a cui ho assistito, a prendersi tutto il mare d’applausi che un pubblico foltissimo gli tributava.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma

In scena al teatro Carignano “Hybris”

Con Antonio Rezza e Flavia Mastrella. In scena fino al 9 giugno

 

martedì 4 giugno alle 19.30.

Si tratta di uno spettacolo scritto e diretto da Antonio Rezza e Flavia Mastrella, già vincitori del Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 2018.

Antonio Rezza va in scena con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e Maria Grazia Sughi. L’habitat è di Flavia Mastrella, il disegno luci di Dario Crispino, le luci e la tecnica di Alice Mollica.

Lo spettacolo, coprodotto dalla Compagnia Rezza/Mastrella, la Fabbrica dell’attore Teatro Vascello, Sardegna Teatro e Spoleto Festival dei due Mondi resterà in scena per la stagione in abbonamento del Teatro Stabile fino a domenica 9 giugno.

Il nuovo lavoro di Rezza-Mastrella approda al teatro Carignano, portando con sé tutta la sua dirompente forza dissacratoria e innovativa. La loro folle ma, al tempo stesso, lucida scrittura scenica questa volta è incentrata su una porta, aperta e richiusa una decina di volte durante lo spettacolo, che diventa qui la cesura tra un ambiente e l’anticamera di un altro mondo o il filtro tra un dentro assoluto e un indefinibile fuori, tra l’essere, l’esserci e un eventuale sarei. Un pastiche teatrale e linguistico accuratamente studiato e calibrato per apparire disorientante quanto esilarante.

‘Come si possono riempire le cose vuole? È possibile che il vuoto sia solo un punto di vista? La porta… perché così ci si allontana. Ognuno perde l’orientamento, la certezza di essere in un luogo, perde il suo regno in terra. L’uomo fa il verso alla belva che lui stesso rappresenta. Senza rancore. La porta ha perso la stanza e il suo significato, apre e chiude sul nulla. Si ode quello che non c’è; intorno un ambiente asettico fatto di bagliori.

L’essere è prigioniero del corpo, fascinato dall’onnipotenza della sua immagine trasforma il suo aspetto per raggiungere la bellezza immobile e silente che tanto gli è cara. Le gabbie naturali imposte dal mondo legiferano della nascita, della crescita e della cultura, ma la morte di solito è insabbiata, al bambolotto queste cose sembrano inutili sofferenze, antiche volgarità. La porta attraversata dal corpo, che è di cervello e profondamente pigro, si trasforma in un portale nel vuoto. Al bordo del precipizio si può immaginare un mondo alternativo ma il bambolotto si lascia abitare da chiunque, di ognuno prende un pezzo, uno spunto, sicuro e consapevole di dare una direzione sua alle cose. La spina dorsale si allunga e si anima, finalmente si divide. Aprire la porta sulle altrui incertezze, sull’ambiguità, sull’insicurezza dell’essere e la meschinità dello stare. Chiunque sta in un punto. Detta legge in quel punto. Ci si conosce sotto i piedi, nulla può durare a lungo quando due persone si incontrano esattamente dove sono… I rapporti finiscono perché nascono sotto i calcagni, senza rispetto. Piccoli dittatori che fanno della posizione la loro roccaforte. Ma poi barcollano con una porta davanti gestita da un carnefice inesatto che stabilisce dove gli altri vivono. Non cambia molto essere un metro oltre o un metro prima, ma muta lo stato d’animo di chi sapeva dove era e adesso ignora dove andrà perché non sa da dove parte.

Chi bussa sta dentro, chi bussa cerca disperatamente che qualcuno da fuori gli chieda “Chi è“. Bussiamo troppo spesso da fuori per tutelare le poche persone che vivono all’interno , si tratta di famiglie di due o tre elementi , piccoli centri di potere chiusi a chiave. Dovremmo imparare a bussare ogni volta che usciamo perché fuori ci sono tutti, l’esterno è proprietà riservata, condominio esistenziale, casa aperta. L’educazione va sfoggiata in mezzo agli altri e non pretesa quando ci si spranga insieme al parentato. La famiglia la sera chiude fuori tutta l’umanità, che senso ha accogliere il diverso quando ogni notte ci barrichiamo dichiarando l’invalicabilità della nostra dimora? Infimi governanti delle pareti domestiche, come le bestie, L’uomo diventa circense, domatore della proprietà privata.

Teatro Carignano, piazza Carignano 6

Orario degli spettacoli martedì, giovedì e sabato ore 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45

 

Mara Martellotta

Torino, 1872: quando la statua di Balbo traslocò

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Alla scoperta dei monumenti di Torino / I lavori per il ricongiungimento della città storica con il Borgo Nuovo, stravolsero completamente l’area implicando la demolizione dello spalto al quale si appoggiava il giardino. Durante questa fase il monumento a Cesare Balbo subì uno spostamento provvisorio, per poi essere riposizionato, nei primi mesi del 1874, nella nuova Aiuola Balbo

Cari amici lettori e lettrici, eccoci nuovamente pronti per un’altra piacevole (si spera) ed interessante passeggiata per le vie della città alla scoperta delle sue affascinanti opere. Questa settimana vorrei parlarvi di un noto personaggio storico nato nel capoluogo piemontese e divenuto un personaggio di rilevante importanza per la città di Torino; sto parlando di Cesare Balbo e del monumento a lui dedicato. (Essepiesse)

La statua è situata in via Accademia Albertina sull’asse centrale dell’Aiuola Balbo, ai margini della vasca d’acqua centrale. Cesare Balbo è ritratto in posizione seduta, vestito in abiti borghesi con un ampio mantello sulle spalle; con la mano destra stringe gli occhiali, mentre sul ginocchio sinistro tiene aperto con la mano il libro “Le speranze d’Italia”, libro da lui scritto, pubblicato nel 1844 a Parigi e dedicato all’ideale politico dell’unificazione italiana.

 

Cesare Balbo nacque a Torino il 21 novembre del 1789 da Prospero Balbo già sindaco di Torino e ambasciatore di Parigi ed Enrichetta Taparelli D’Azeglio, fu un uomo politico, scrittore e Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna. Cesare Balbo maturò culturalmente in varie città europee a causa della continua peregrinazione che il padre dovette subire nei difficili anni del regno di Vittorio Amedeo III di Savoia; fu così che venne a contatto con le nuove teorie illuministiche che, in quegli anni, stavano prendendo sempre più piede nei maggiori centri culturali europei.

Fu propugnatore dell’indipendenza d’Italia dal dominio austriaco ed uno dei più importanti esponenti della cultura liberale piemontese. Nel 1848, dopo la concessione dello Statuto Albertino, divenne presidente del primo Ministero costituzionale piemontese e fu deputato del Parlamento Subalpino fino alla sua scomparsa. Immediatamente dopo la sua morte, avvenuta a Torino il 3 giugno 1853, alcuni cittadini torinesi decisero di erigergli una statua alla memoria. Venne istituito il “Comitato per l’erezione di un monumento a Cesare Balbo” presieduto da Cesare Alfieri di Sostegno e del quale facevano parte Giuseppe Arconati, Ottavio di Revel, Federico Scoplis e Luigi Torelli.

Apertasi una pubblica sottoscrizione, in pochi mesi la cifra raggiunta superò le 10.000 lire delle quali circa la metà fu costituita da oblazioni private, mentre la restante parte venne donata da enti pubblici. Per ciò che riguardava invece il concorso del Municipio di Torino, si fu inizialmente orientati su due ipotesi diverse: rendere disponibile un’area all’interno del Camposanto generale oppure, nel caso il Comitato avesse voluto erigerlo in sito pubblico, concorrere economicamente alla sua realizzazione. Essendo scelta la seconda opzione, il Municipio decise di stanziare la somma di 3.000 lire, alla quale si aggiunsero i contributi dei Municipi di Pinerolo, Susa e della Provincia di Torino (1.000 lire), raggiungendo così la cifra di 10.554 lire.

Della realizzazione dell’opera venne incaricato Vincenzo Vela (lo stesso autore dell’opera già vista da noi “Alfiere dell’ Esercito Sardo”), da pochi mesi professore di scultura dell’Accademia Albertina di Torino. Vela scelse di rappresentare Cesare Balbo in una posa “naturale”, in un atteggiamento anche posturale, che ricordasse la sua vita, il suo lavoro ed anche il suo impegno di letterato e di scrittore. Per la realizzazione del monumento vennero versate a Vela circa £ 10.000, mentre le rimanenti 554 lire furono spese per la realizzazione di una cancellata di protezione.

Nei primi mesi del 1856, Cesare Alfieri propose al Sindaco Notta di posizionare l’opera nel Giardino dei Ripari, tra il nascente Borgo Nuovo e la città storica; il 5 giugno 1856 il Consiglio Comunale, venendo incontro a questa richiesta, diede il suo consenso alla collocazione della statua in cima al declivio che dalla via della Madonna degli Angeli conduce al Giardino. Il monumento a Cesare Balbo venne inaugurato l’8 luglio del 1856 ed in questa occasione venne donato al Municipio che lo accettò ufficialmente nella seduta del Consiglio Comunale del 15 novembre 1856.

In seguito però, nel 1872 delle nuove politiche condussero alla riconfigurazione dell’area occupata dal Giardino dei Ripari; i pesanti lavori per il ricongiungimento della città storica con il Borgo Nuovo, stravolsero completamente l’area implicando la demolizione dello spalto al quale si appoggiava il giardino. Durante questa fase il monumento a Cesare Balbo subì uno spostamento provvisorio, per poi essere riposizionato, nei primi mesi del 1874, nella nuova Aiuola Balbo dove ancora oggi si può ammirare. Purtroppo, durante la seconda guerra mondiale l’opera venne danneggiata durante i bombardamenti.

 

Visto che abbiamo accennato alla realizzazione della “nuova” Aiuola Balbo, ricordiamo che essa è un giardino d’origine tardo ottocentesca; è caratterizzata dall’essere realizzata su terrapieno e quindi delimitata da un perimetro murario che la isola, sollevandola, dalle strade che la circondano. Di forma rettangolare, ha come fulcro una importante fontana centrale ed è piantumata con alberi disposti in modo naturale lungo tutto il perimetro.

Il disegno definitivo dell’Aiuola Balbo venne realizzato nel 1873 dall’ingegnere capo Pecco, che progettò un giardino totalmente verde, sollevato di circa un metro e mezzo al di sopra del piano stradale. I monumenti a Cesare Balbo, Eusebio Bava e Daniele Manin vennero ricollocati in modo simmetrico e armonico nell’Aiuola Balbo, nel centro del giardino sul suo asse longitudinale; l’ inserimento dell’ importante fontana centrale vennedeciso solo più tardi, nel febbraio 1874. L’Aiuola Balbo, inaugurata il 19 settembre 1874, oggi ospita complessivamente sei monumenti che la caratterizzano come un giardino dedicato ai patrioti attivi nei moti per l’indipendenza degli stati europei.

Simona Pili Stella

Foto  G i a n n i  C a n e d d u

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

A cura di Elio Rabbione

L’arte della gioia – Parte 1 – Drammatico. Regia di Valeria Golino, con Tecla Insolia, Jasmine Trinca, Valeria Bruni Tedeschi e Guido Caprino.

Dal Romanzo di Goliarda Sapienza. Nella campagna attorno a Catania, ai primi del Novecento. Modesta, a seguito della morte del padre (che di lei aveva abusato), viene accolta in un convento dove ha modo di approfondire la propria istruzione, sotto la protezione della Badessa. Alla morte di costei, Modesta si trasferisce nella nuova e aristocratica famiglia a cui la sua educatrice l’ha guidata, dove si mette al completo servizio della principessa madre e dove s’insinua in maniera amorosa e di seduzione e di spericolato piacere tra gli altri componenti della famiglia. Durata 90 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana e Ombrerosse, Fratelli Marx sala Harpo e Groucho, Ideal, Nazionale sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Il caso Goldman – Drammatico. Regia di Cédric Kahn, con Arieh Worthalter e Arturo Harari. La storia vera del secondo progetto a cui fu soggetto Pierre Goldman, militante della sinistra estrema francese nel 1975. Accusato di reali multipli, Goldman ammette tutti i capi d’accusa con la veemente eccezione di quelli per omicidio (durante una rapina all’interno di una farmacia erano state uccise due persone), per i quali non soltanto si proclama innocente ma si scaglia polemicamente contro tutto e tutti nell’aula di tribunale, rifiutando qualunque caratterizzazione moralistica della sua difficile vita. Durata 115 minuti. (Greenwich Village sala 1)

Cattiverie a domicilio – Commedia. Regia di Thea Sharrock, con Olivia Colman, Jessie Buckley e Timothy Spall. 1922. Una cittadina affacciata sulla costa meridionale dell’Inghilterra è teatro di un farsesco e a tratti sinistro scandalo. Basato su una bizzarra storia realmente accaduta, il film segue le vicende di due vicine di casa: Edith, originaria del posto e profondamente conservatrice, e Rose, turbolenta immigrata irlandese. Quando Edith e altri suoi concittadini iniziano a ricevere lettere oscene piene di scabrosità, i sospetti ricadono immediatamente su Rose. Le lettere anonime scatenano una protesta a livello nazionale che scaturisce in un processo. Saranno le donne – guidate dalla poliziotta Gladys – a indagare sul crimine, sospettando che le cose potrebbero non essere come sembrano. Durata 90 minuti. (Eliseo)

C’era una volta in Bhutan – Commedia drammatica. Regia di Pawo Choyning Dorji. Un americano si reca in Bhutan alla ricerca di un prezioso fucile antico e incrocia un giovane monaco che vaga tra le serene montagne, istruito dal suo maestro a rimettere le cose a posto. Durata 107 minuti. (Nazionale sala 1)

Challengers – Drammatico. Regia di Luca Guadagnino, con Zendaya, Josh O’Connor e Mike Faist. Il film che avrebbe dovuto inaugurare l’ultima Mostra di Venezia. Con la sceneggiatura dell’esordiente Justin Kuritzkes – che sarà pure lo sceneggiatore del prossimo film di Guadagnino, “Queer”, dal romanzo di William Borroughs, interprete Daniel Craig -, è la storia di Tashi, ex tennista prodigio, che ritiratasi dalle gare prende ad allenare il marito Art, il quale si ritroverà a gareggiare in un concorso con l’ex fiamma della moglie, Patrick, nonché suo vecchio e migliore amico. Quando il gioco diventa metafora del potere e della vita, quando attraverso il ritmo delle gare e lo specchio che si viene a creare tra passato e presente, accade la rappresentazione di un rapporto a tre. Durata 132 minuti. (Reposi, Uci Lingotto)

Civil War – Drammatico. Regia di Alex Garland, con Kirsten Dunst, Wagner Moura, Cailee Spaeny e Nick Offerman. In un’America raccontata in un futuro più o meno prossimo a noi, si assiste ad una seconda guerra civile, dove Texas e California si sono staccati dagli altri stati, eleggersi a indipendenti e marciare contro l’autorità di Washington, Quattro giornalisti, tra cui la Lee della Dunst ritagliata sulla figura della reporter di guerra Lee Miller (dalle copertine di Vogue raccontò i bombardamenti di Londra e le imagini atroci dei campi di concentramento), hanno un unico, immediato scopo, quello di intervistare il presidente degli Stati Uniti. Il loro viaggio è in un clima di guerra, dove sparatorie e attacchi si susseguono, dove militari e persone comuni sono ormai dedite alla violenza. Durata 109 minuti. (Greenwich Village sala 3 V.O.)

Confidenza – Drammatico. Regia di Daniele Luchetti, con Elio Germano, Federica Rosellini, Vittoria Puccini, Pilar Fogliati e Isabella Ferrari. Pietro vive con Teresa un amore tempestoso. Dopo l’ennesimo litigio, a lei viene un’idea: raccontami qualcosa che non hai mai detto a nessuno – gli propone -, raccontami la cosa di cui ti vergogni di più, e io farò altrettanto. Così rimarremo uniti per sempre. Si lasceranno, naturalmente, poso dopo. Ma una relazione finita è spesso la miccia per quella successiva, soprattutto per chi ha bisogno di conferme. Così, quando Pietro incontra Nadia, s’innamora all’istante della sua ritrosia, della sua morbidezza dopo tanti spigoli. Pochi giorni prima delle nozze, però, Teresa magicamente ricompare. E con lei l’ombra di quello che si sono confessati a vicenda, quasi un avvertimento, “attento a te!”. Da quel momento in poi la confidenza che si sono scambiati lo seguirà minacciosa: la buona volontà poggia sulla cattiva coscienza, e Pietro non potrà mai più dimenticarlo. Anche perché Teresa si riaffaccia sempre, puntualmente, davanti a ogni bivio esistenziale. E è lui che continua a cercarla? Durata 136 minuti. (Eliseo, Romano sala 3)

Il coraggio di Blanche – Drammatico. Regia di Valérie Donzelli, con Virginie Efira e Melvil Poupaud. Blanche Renard vive a un passo dal mare dove attende l’amore, che arriva e ha lo charme di Grégoire Lamoureux, un perfetto sconosciuto che sembra avere tutto quello che cerca. Cresciuta tra una madre affettuosa e una sorella gemella più intraprendente, Blanche sposa Grégoire e la lascia la famiglia per la sua niova casa. Lontana dalla Bretagna e dagli affetti più cari, la sua idea romantica dell’amore si scontra presto con la realtà e un uomo possessivo, che mente e tesse una rete di menzogne e ricatti. Tra cucina e soggiorno, ufficio e camera da letto, la tragedia domestica si consuma. Vessata dal marito, manipolatore nocivo e inquisitore feroce, Blanche precipita in una disperazione profonda. Non resta che decidere se restare o partire, tacere o denunciare. Durata 109 minuti. (Classico)

I dannati – Drammatico. Regia di Roberto Minervini, con René W. Salomon, Cuyler Ballanger e Timothy Carlson. Presentato in concorso nella sezione Un certain regard al 77mo festival di Cannes, il film, ambientato nel 1862, narra l’avventura tragica di un gruppo di volontari nordisti inviati a presidiare i territori dell’Ovest non ancora esplorati. Con continui rimandi storici e politici all’attualità che circonda noi a distanza di centosessant’anni, c’è la guerra e il nemico in agguato, a tratti invisibile, ci sono i ragazzi che ripensano alla casa e alla famiglia, che giocano a carte o esprimono pensieri religiosi, che guardano a una guerra civile che sta distruggendo il loro paese, che montano le tende e la guardia. E poi il tempo dell’attesa: un tempo sospeso, tra Buzzati e Malick. A leggere le cronache dalla Croisette, accoglienza con grande disaccordo, chi glorifica e chi butta nella polvere. Il film è oggi sui nostri schermi, non resta che verificare. Durata 89 minuti. (Nazionale sala 3 anche V.O.)

Eillen – Drammatico. Regia di William Oldroyd, con Thomasin McKenzie e Anne Hathaway. Nella Boston degli anni Sessanta, Eillen lavora in qualità di segretaria in un riformatorio minorile mentre si prende cura del padre alcolista. All’arrivo di Rebecca, la nuova psicologa, le cose sembrano cambiare. La donna esercita un grande fascino su Eillen, tra le due si va approfondendo una grande amicizia: che però viene ad assumere dei contorni strani allorché Rebecca mette Eillen a conoscenza di un suo segreto. Durata 97 minuti. (Massaua, Massimo, The Space Beinasco)

Furiosa – A Mad Max Saga – Azione, Fantascienza. Regia di George Miller, con Anya Taylor-Joy e Chris Hemsworth. C’è una bambina con i capelli rossi nel giardino dell’Eden, una terra verde da qualche parte nel deserto australiano dove la gente vive in pace e coglie le mele senza peccato. Ma l’irruzione di barbari mascherati strappa la bambina a sua madre e al suo paradiso per andare incontro a un destino di dominazione, non senza lottare. Perché Little D, così la battezza il sanguinario Dementus, non si arrende e si fa spazio in un mondo di uomini, crescendo in mezzo a loro ma diversa da loro. LO sguardo all’orizzonte e un chiodo fisso nella testa. Il piano è venticare la morte della madre e ritornare a casa. Dementus non sente ragione e le mette di nuovo il bastone tra le ruote. Ceduta per una manciata di benzina e un misero privilegio all’Immortan Joe, sovrano mostruoso della Cittadella, Furiosa farà fruttare l’esilio sviluppando competenza e bellezza, la bellezza dei giusti. Durata 148 minuti. (Centrale V.O., Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Fratelli Marx sala Chico, Greenwich Village sala 3 anche V.O., Ideal anche V.O., Lux sala 2, Reposi sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Il gusto delle cose – Drammatico. Regia di Tran Anh Hung, con Juliette Binoche e Benoît Magimel. 1885. L’impeccabile cuoca Eugénie lavora da oltre vent’anni per il famoso gastronomo Dodin. Il loro sodalizio dà vita a piatti, uno più delizioso dell’altro, che stupiscono anche gli chef più illustri del mondo. Con il passare del tempo, la pratica della cultura gastronomica e l’ammirazione reciproca si sono trasformate in una relazione sentimentale. Eugénie è però affezionata alla propria libertà e non ha mai voluto sposare Dodin. Così lui decide di fare qualcosa che non ha mai fatto prima: cucinerà per lei. Durata 136 minuti. (Eliseo, Romano sala 1)

Io e il Secco – Drammatico. Regia di Gianluca Santoni, con Andrea Lattanzi, Francesco Lombardo e Barbara Ronchi. Denni ha dieci anni, un padre violento e una madre che ne incassa le botte. Il bambino coltiva il desiderio di mettere la madre in salvo, e quando la sua amica Eva gli racconta di avere un cugino killer a pagamento pensa di avere trovato la soluzione ideale. Denni avvicina dunque il cugino di Eva, soprannominato il Secco, e lo incarica di fare fuori papà, promettendogli un compenso che il bambino preleva dalla cassaforte del padre. Ma il Secco è soltanto un piccolo delinquente che ha causato l’incarcerazione del fratello maggiore a causa della sua imbranataggine e vigliaccheria, e dunque non sembra il tipo più adatto a portare a termine l’incarico. Però i soldi gli farebbero comodo, per cui promette il suo aiuto al ragazzino e intanto lo mette al riparo dai balletti del quartiere che gli hanno rubato la bicicletta. Fra i due non può che nascere un sodalizio, che arriverà a soluzioni inaspettate. Durata 100 minuti. (Greenwich Village sala 2)

Marcello mio – Commedia. Regia di Christophe Honoré, con Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve, Fabrice Luchini, Nicole Garcia, Benjamin Biolay e Melvil Poupaud. La sceneggiatura è incentrata sulla figlia del grande Marcello, circondata dalla madre e dagli uomini e dagli amici della sua vita, una vita dove la figura di un padre ha avuto e continua ad avere un peso predominante. Chiara se ne vuole impossessare, non soltanto attraverso il camuffamento degli abiti, non soltanto attraverso i ricordi cinematografici ma anche attraverso il nuovo nome che adotta (“chiamami Marcello”), i gesti, il modo di comportarsi, il trucco del viso che a poco a poco diviene pressoché eguale a quello del grande attore scomparso. Tutti intorno a lei pensano che si tratti di uno scherzo temporaneo, ma Chiara è decisa a non rinunciare alla sua nuova identità. Presentato in concorso a Cannes. Versione originale. Durata 120 minuti. (Eliseo Grande, Nazionale sala

 

 


Ritratto di un amore –
Biografico. Regia di Martin Provost, con Cecile de France e Vincent Macaigne. Una storia a cavallo di due secoli, l’amore per l’arte e il mondo degli Impressionisti, la vita di Pierre Bonnard che a quel mondo si avvicinò con l’intento sempre di superarlo, il trionfo della luce e del colore, l’unione tra un artista e una donna che da semplice fioraia divenne la donna più ritratta di Francia, pure lei esempio di un eccezionale talento. Vita bohémienne e paesaggi agresti, arte e sregolatezza, sentimenti e litigi e passioni, non soltanto artistiche. Durata 122 minuti. (Centrale anche V.O.)

The Fall Guy – Commedia. Regia di David Leitch, con Ryan Gosling. Emily Blunt e Aaron Taylor-Johnson. Leitch è un ex stunt e ci parla di un mondo che ha conosciuto benissimo. Ispirato alla seie TV degli anni Ottanta “Professione pericolo”, “The fall guy” narra le avventure dello stunt Colt Seavers costretto a ritirarsi dal mondo del cinema per un grave infortunio capitatogli nel girare una scena. Lascia il cinema e la ragazza di cui è innamorato, Jody, un’assistente alla regia. Ma dopo alcuni mesi viene contattato dall’agente dell’attore Tom Ryder, di cui lui è sempre stato la controfigura, che lo rivuole con sé come Jody, passata alla regia con la sua opera prima “Metalstorm” avrebbe ancora il desiderio di averlo al suo fianco. Nulla di vero: la ex innamorata non ne sa nulla e il divo del nuovo film, incappato in un gruppo di delinquenti, è letteralmente sparito. Spetterà a Colt correre a salvarlo tra mille insidie, con la capacità di Gosling di non prendersi troppo sul serio, anzi spremendo risate a favore di un pubblico che lo vedrà di nuovo in pace con la sua ragazza Jody. Durata 126 minuti. (Massaua, Ideal, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

The Penitent – Drammatico. Regia di Luca Barbareschi (con sceneggiatura di David Mamet), con Luca Barbareschi e Catherine McCormack. Uno psichiatra veda deragliare la propria carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudsizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva. Durata 120 minuti. (Romano sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Vangelo secondo Maria – Drammatico. Regia di Paolo Zucca, con Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann. Tratto dal romanzo di Barbara Alberti. Sogna l’Egitto Maria e la grande biblioteca d’Alessandria, sogna di andarsene lontano verso freschi giardini dove i frutti si possono mangiare ma il mondo intero la vuole maritare, scambiandola con pecore e miseria. Selvaggia e ribelle, Maria rifiuta un ricco pretendente e poi è promessa a Giuseppe, un “vecchio gigante” che la rispetta e di cui diventa l’allieva prediletta, perché questa giovane donna vuole conoscere la lingua greca e la meridiana. Almeno fino a quando un angelo appare, batte le ali e l’annuncia madre del figlio di Dio. Durata 105 minuti. (Ideal, Romano sala 3)

I nove danzatori di Pendleton in uno spettacolo fatto di pura magia

All’Alfieri, sino a domenica 2 giugno, “Back to Momix”

Che cosa dire ancora dei Momix? Che cosa dire al di là di quanto s’è detto in questi loro 45 anni di vita, gruppo fondato da un Moses Pendleton arrivato oggi ormai ai settantacinque, passato dai successi dell’iniziale sci di fondo ai palcoscenici di Broadway, con una laurea in letteratura inglese al Dartmounth College e la creazione del Pilobolus Dance Theatre come tappe di passaggio? Forse non c’è più spazio per ripetere della professionalità, della genialità in alcuni tratti, che nello spettatore porterebbe facilmente all’incredulità, della gravità continuamente sfidata, del trasformismo ininterrotto, dei mille movimenti costruiti e studiati e riproposti nella frazione esatta della loro esistenza e della loro necessità d’essere, dei corpi che esprimono tutto il potere che portano in sé e allo stesso tempo la leggerezza che li fa divenire impercettibili, aerei, leggerissimi, della luce che li circonda e ne ricrea ulteriormente le forme, la potenza dei corpi maschili e l’avvenente presenza di quelli femminili, la sensualità emanata e la delicatezza. Dell’amalgama di costumi e colori a cui fanno da sfondo scenografie stupendamente immaginifiche, di una colonna musicale che s’apre al moderno ma che è anche capace di viaggiare attraverso i secoli, che diventa attimo dopo attimo una festa per gli occhi. Oppure è guardare da parte dello spettatore ad un ricreare continuo, la battaglia di nove ballerini (tre) e ballerine (sei) anche intorno ad un passato interrotto da una pandemia che ha allontanato per qualche anno il gruppo dal pubblico italiano (torinese, per quanto ci riguarda: è sino a domenica 2 giugno sul palcoscenico dell’Alfieri, e sin d’ora dico a tutti non perdeteveli), il disinteresse nel fornire percorsi e suggestioni già proposti in passato senza ricorrere a invenzione del tutto nuove. “Back to Momix” è il titolo dello spettacolo, due tempi da tre quarti d’ora ciascuno, sedici brani a cui dà vita un gruppo dentro il quale alcuni per il primo anno danno il loro fantastico apporto, un gioco di parole che richiama un classico della cinematografia degli anni Ottanta, ma anche – “con il desiderio di leggerezza e spensieratezza”, recita il comunicato stampa – il desiderio di guardare al futuro, con ritrovata serenità, prendendo magari per mano il pubblico di domani.

Si catturano momenti degli storici “MomixClassics”, “Passion”, “Baseball”, “Opus Cactus”, SunFlower Moon” fino a “Bothanica” e “Alchemy”, setacciando ancora una volta sul palcoscenico e da parte nostra allo stesso tempo ricordi e frequentazioni, sensazioni, quelle emozioni forti che hanno occupato gli appuntamenti precedenti. Forse come un tempo, si continua a coltivare preferenze, magari un paio di numeri appaiono più statici e in ombra se paragonati a quelli srotolati prima o che verranno dopo: ma il successo non può cambiare. A fare da focus, anche impercettibile, dell’intero spettacolo, è l’amore di Pendleton (con l’apporto insostituibile della moglie Cynthia Quinn) per la natura, per la sua vita trascorsa tra il verde della campagna, per il mondo naturale che ci circonda e che troppo spesso avviliamo, che si fa intimità e forse sogno, impercettibile sino a fondersi in un panteismo che coinvolge tutti quanti: attimi che sfociano in quell’atmosfera di magia che percorre tutto quanto lo spettacolo. La Natura è bellezza nelle sue forme e nei suoi colori, a volte anche nelle proprie asprezze: e su quel palcoscenico ogni ballerino riconduce la propria bravura e la propria bellezza alla Natura, come in un cerchio magico.

La Natura che si esprime attraverso un fiore color corallo che si snoda sino a diventare una lunga gonna sui corpi delle cinque ballerine, attraverso il volo di un’ape, attraverso uno stormo d’uccelli, attraverso i corpi che si riflettono in uno specchio e si rifrangono con la bellezza dei loro movimenti in mille immagini. Una Natura che per un attimo può lasciare spazio all’Eros, al ricercarsi continuo di un uomo e di una donna, come all’ironia che spunta all’improvviso forse inaspettata. I fasci luminosi che attraversano velocissimi, in un alternarsi di linearità e di gibbosità, quasi uno spot televisivo di antica memoria, i rotoli di carta che giocano con avvolgimenti e srotolature, i tanti pupazzi con cui ballerine e ballerini fanno coppia per poi spedirli nel finale verso l’alto, felicemente, i tre cowboy spettacolari nella loro bravura: senza i cavalli, chiaramente, che tuttavia s’intuiscono nei loro immaginabili movimenti, i tre – credetemi – che li cavalcano e che agiscono in bellezza su quell’unico trampolo legato a una delle gambe, dritti, “in piedi”, obliqui, equilibristi perfetti. Una perfezione che ti lascia senza fiato. Non può non suonare perfetto al termine “Back to Momix”, nella risposta di un pubblico che non si stanca di applaudire e di ammirare.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Charles Azzopardi, di Renato Mangolin e di Quinn Pendleton

Le Nina’s Drag Queens e Dragpennyopera

Sabato sera al teatro Colosseo conclusione della stagione del Baretti

La prima stagione del teatro Baretti , intitolata “Regine” e capitanata dal direttore Sax Nicosia, ha preso avvio con le Nina’sDrag Queens e con loro terminerà stasera e sabato sera al teatro Colosseo alle 21 con “Dragpennyopera”.

Per la regia di Sax Nicosia, siamo di fronte ad una  storia di amore, morte, sesso e soldi  sullo sfondo di una città corrotta en travesti. Sono donne che tradiscono, che lottano, donne che si usano a vicenda. Cuori neri dalla nascita e anneriti dalla vita,  che pulsano vitali in uno scenario desolato. Si tratta di uno degli spettacoli più iconici di una compagnia iconica, rappresentato per la prima volta a Torino.

“Volevo dare la possibilità  a tutti i fan del Baretti di vedere uno show a un prezzo più basso rispetto ai circuiti teatrali – spiega Sax Nicosia – e siamo stati sostenuti dalle persone di San Salvario in questa stagione, che ha visto il pubblico aumentare del 30 per cento. Dragpennyopera è  uno spettacolo sontuoso che non poteva essere rappresentato al Baretti, così ci ha ospitati il Colosseo”.

“Le Nina’s si caratterizzano per interpretare e rivisitare i grandi classici della letteratura e del teatro, da Checov a Shakespeare “  – prosegue Sax Nicosia. Macheath è  l’unico uomo, il bandito, l’eterno assente, e suscita in questi cuori sentimenti neri assoluti. Amato, odiato e agognato.

La composizione di questo spettacolo si ispira a The Beggar’sOpera di John Gay, commedia musicale scritta nel 1728, in cui l’autore miscelava la musica colta alla canzone da osteria, la presa in giro del “gran teatro”, la satira più  nera e adatta a canzoni già note al pubblico, fossero ballate o arie d’opera. Il linguaggio teatrale delle Nina ‘s Drag Queens è  un pastone di citazioni, parodie affettuose, brani cantati in playback, attinti dal panorama della musica contemporanea e reinventati in un gioco scenico.

La Compagnia di Nina’s Drag Queens è formata da attori e danzatori che hanno scelto di coniugare teatro e arti performative intorno alla figura eclettica e irriverente della Drag Queen, vera e propria maschera post moderna, in un  percorso di ricerca legato alla rilettura e riscoperta dei classici teatrali. La compagnia propone una riflessione sul ruolo del teatro nella società,  sulle forme in cui una storia può essere esemplare e etica.

“È un’assemblea di attori che chiedono il permesso di parlare. Nel nostro caso siamo di fronte ad un rovesciamento dei ruoli, il travestimento dei personaggi, maschili e femminili,  è un’arma espressiva spiazzante in una società come la nostra ancora profondamente maschilista. È una piccola rivoluzione e le Ninassono portatrici di tutte le istanze, i problemi e le necessità della comunità Lgbtq+”.

Nonostante Sax Nicosia sia in futuro impegnato come coprotagonista in una serie di Netfix e nel primo film da regista di Davide Livermore accanto a Fanny Ardant e Vincent Cassell, la sua priorità rimane il teatro Baretti, dove le Nina’s torneranno con la performance Botanica Queer, una camminata artistica guidata da un biologo, Ulisse Romanò, per mostrare, per esempio al parco del Valentino, il lato queer della natura.

MARA MARTELLOTTA

Burattinarte annuncia la trentesima edizione

Due anteprime a Corneliano e a Novello

 

Nel primo fine settimana di giugno Burattinarte accende i riflettori sulla sua trentesima edizione con due anteprime sabato primo giugno a Corneliano e domenica 2 giugno a Novello.

Le due anteprime che Burattinarte offre al pubblico di Langhe e Roero nel primo fine settimana di giugno anticipano lo spirito della trentesima edizione, che si aprirà il 27 giugno, con 4 giorni ricchi di sorprese e ben 27 appuntamenti molto coinvolgenti ad Alba.

Claudio Giri e Consuelo Conterno, direttori artistici di Burattinarte, hanno scelto di aprire virtualmente il calendario del trentennale in due luoghi simbolo della rassegna, il Circolo Arci Cinema Vekkio di Corneliano, con cui da anni esiste una solida e generosa collaborazione e Novello, il Paese di Langa in cui, per tradizione, si chiude la rassegna estiva.

Sabato 1 giugno appuntamento con il Laborincolo e lo spettacolo Cracrà Punk, a Corneliano, alle 21, e domenica 2 giugno con Giorgio Gabrielli e un classico della tradizione emiliana “A spasso con Sandrone”.

“Il Laborincolo – spiegano i direttori di Burattinarte – è un progetto teatrale fondato da Marco Lucci in Umbria nel 2005 con l’intenzione di approfondire i linguaggi e le forme di questo spettacolo, ad esempio le diverse tecniche di figura e i molteplici piani della scenografia, gli scenari che si aprono e sorprendono, gli oblò che aprono nuovi orizzonti. I suoi spettacoli sono pensati per un pubblico misto di adulti e di bambini e riescono a raccontare con passione e poesia storie significative, in cui viene valorizzata la dimensione artigiana del teatro di figura.”

“Cracrà Punk è una storia curiosa e gentile che tratta di genitorialità, crescita, ricerca delle proprie origini. “Caduto dal cielo per una svista della cicogna, un neonato si trova davanti alla porta di Ada, la signora Morte, che non resiste di fronte a tanta tenerezza e si trasforma in una dolce mamma, impegnata in giochi sulla neve, indovinelli e ninne nanna. Fino a quando il bimbo non diventa un ragazzo e chiede chi sia suo padre. Mamma Ada non ha una risposta pronta e per tenerlo con sé inventa una storia impossibile. Al ragazzo non rimane che partire in cerca dei genitori, attraversare il mare, fare tornare il sorriso sulle labbra della regina e in mezzo alla burrasca incontrare la cicogna Tiresia, l’unica in grado di rivelare la verità e indicargli la strada”.

II weekend sarà completato da un’incursione in Langa, a Novello, di Giorgio Gabrielli, uno dei più apprezzati burattinai d’Italia, che porterà in scena un cavallo di battaglia della tradizione emiliana “A casa con Sandrone”.

Come nella prima edizione i riflettori saranno puntati su Alba, con 27 appuntamenti tra spettacoli, giochi di piazza e laboratori. “Invaderemo la città – spiega Consuelo Conterno – con burattini, teatro in miniatura, marionette, muppet, laboratori, giochi catalani e una buffissima battaglia con i cuscini. Vi saranno spettacoli inediti. Il centro di Alba si trasformerà in un teatro diffuso e sorprendente con spettacoli all’improvviso e altri programmati”.

In trenta anni di attività Burattinarte si è evoluto mantenendo due costanti, di cui la prima è perseguire un obiettivo sociale, portando il teatro ovunque, anche nel più piccolo paesino, renderlo comprensibile a tutti, dal bambino all’anziano e accessibile, con un’offerta libera, di modo che tutti possano godere dello spettacolo.

La seconda è la vocazione internazionale; per merito delle connessioni virtuose con altri festival italiani e internazionali sono intervenute produzioni artistiche di rilievo da tutta Italia, dalla Sicilia a Friuli, al Sud America, dall’India alla Russia e all’Europa.

‘Volevamo portare il teatro nei piccoli centri – spiegano I direttori artistici – dove di solito non arrivano artisti di esperienze internazionali. All’inizio degli anni Duemila il festival si è ampliato al Monferrato, coprendo una decina di giorni a giugno e, in certe serate, c’erano almeno tre spettacoli diversi in altrettanti Paesi, uno astigiano, uno ad Alba, uno nelle Langhe, diffusi in un raggio amplissimo”.

 

Mara Martellotta