Dal 5 all’8 settembre con un progetto di ITALICS a cura di Carlo Falciani, 62 gallerie esporranno in numerosi punti disseminati tra Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole Monferrato.
Si è tenuta ieri, presso il grattacielo della Regione Piemonte, la conferenza stampa di Panorama Monferrato, un evento che, giunto alla sua 4 edizione, arriva ora in Piemonte. Le scorse edizioni si sono infatti tenute a Procida (2021), Monopoli (2022) e L’Aquila (2023).
Panorama è un format voluto e condiviso dalle gallerie consorziate in un’ottica di collaborazione con i territori coinvolti, simbolo di un impegno che intende espandersi progressivamente in un programma e in alleanze tese a ribadire la centralità e il ruolo delle gallerie d’arte in un sistema culturale, locale e globale in continua evoluzione.
Italics è una rete associativa che partiva da 11 galleristi, e che ora vanta 74 associati ed è l’unico consorzio di gallerie di arte contemporanea, moderna e antica. Ogni anno si riuniscono in un forum dove si interrogano su come essere più aperti e inclusivi. Ecco dunque un evento dove è la galleria che esce sul territorio.
Anche per questa edizione, i nomi delle gallerie d’arte sono di altissimo livello, dall’internazionale Gagosian ai torinesi Mazzoleni e Franco Noero, così come di grande richiamo sono gli artisti scelti, tra cui Jodice, Pomodoro, Vezzoli, solo per citarne alcuni.
Panorama Monferrato è dunque una mostra diffusa a cura di Carlo Falciani che si snoderà tra Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole dal 4 all’8 settembre 2024.
Ispirata ai principi de La Civil conversazione, opera scritta da Stefano Guazzo e pubblicata nel 1574, la mostra si articola come un percorso a tappe nei quattro paesi del Monferrato da percorrere con lentezza come metafora del cammino di meditazione del visitatore contemporaneo. L’idea è quella di guidare il visitatore in un itinerario alla scoperta di un angolo straordinario d’Italia.
“Il Piemonte ha lunga tradizione di arte fuori dai musei, per esempio nelle vigne, nei paesi” ha dichiarato il Presidente dell’ente turistico Alexala Roberto Cava, “le atl di Alessandria e di Langhe e Roero hanno lavorato insieme per trovare punti di contatto per continuare un’azione che aumenti il numero di turisti dalle nostre parti. Sono turisti a cui interessano vino, cibo ma anche arte. Il turismo si nutre di cultura. E il fatto che la cultura si avvicini al turista, è il modo migliore per far si che il territorio aggiunga un asset fondamentale alla propria offerta”.
L’area è quella che si estende tra le province di Alessandria e Asti fino ai piedi dell’Appennino ligure, tra le Langhe e il Roero e la storica regione lombarda della Lomellina, un paesaggio di colline, dove la terra e la tradizione contadina compongono un patrimonio unico di cultura, storia e tradizioni riconosciuto anche dall’UNESCO. Un contesto da scoprire con lentezza con itinerari artistici che vanno dal Romanico ai percorsi contemporanei con installazioni site-specific e d’arte pubblica, che lo rendono un museo diffuso a cielo aperto.
Mariano Rabino, Presidente di Visit Langhe Monferrato Roero ha sottolineato come la regione Piemonte ha messo insieme due aree al di là dei confini amministrativi. Ed ha anche esortato la regione di fare un ulteriore passo avanti, dal momento che sulla base di questa esperienza si può favorire ulteriore aggregazione di differenti enti e territori, per esempio quello alessandrino, per promuovere insieme il territorio.
È possibile consultare qui il programma completo e darci appuntamento nel Monferrato.
Lori Barozzino
Oltre 40 mila a Collisioni
Oltre 40 mila persone a Collisioni Festival per la sua 16ª edizione che ha reso protagonisti decine di migliaia di giovani da tutto il Piemonte e da tutta Italia, nei due weekend di venerdì 5 luglio fino a domenica 7 e nella data di sabato 13 luglio. Migliaia le spettatrici e gli spettatori, in particolare giovani e giovanissimi, che hanno preso parte a un grande happening generazionale in piazza Medford, ad Alba, con un’edizione che ha dimostrato ancora una volta di essere in ascolto dei nuovi linguaggi, come è da sempre nello spirito di Collisioni.
A calcare il palco di Collisioni 2024, 12 grandi artisti con oltre 10 ore di musica, con alcuni dei nomi di punta del giovane pubblico, portavoci della generazione Z e non solo, a partire dal re dell’indie italiana Calcutta per la sua unica data estiva in Piemonte e Liguria di venerdì 5 luglio. Sabato 6 luglio a scaldare piazza Medford è stata la musica dei Club Dogo per la loro unica data in Piemonte fra vecchi e nuovi successi. A completare la line-up di domenica 7 luglio, per la prima Giornata Giovani, un fitto calendario di ospiti, da Nayt, raffinato rapper molisano cresciuto a Roma e apprezzato grazie al suo ultimo album anche dal pubblico americano, Silent Bob, il rapper di Pavia, e Mida, l’artista emerso nella nuova edizione di Amici. Fino all’attesissimo head-liner della giornata, Tedua, l’artista rivelazione di quest’anno. La seconda Giornata Giovani di sabato 13 luglio ha coinvolto il pubblico in una maratona di oltre 5 ore di concerti non stop con il rapper campione di ascolti Capo Plaza, la regina della Trap italiana Anna e Artie 5ive, rapper milanese classe 2000 di origini sierraleonesi. Infine Tony Boy, il rapper di Padova classe 1999 segnalato da Rockit come uno dei giovani artisti più interessanti d’Italia e Paky, rapper di Secondigliano trasferitosi a Rozzano all’età di dieci anni.
Tantissimi i ragazzi e le ragazze della fascia 15-23 anni che hanno partecipato alle due Giornate Giovani del festival, diventate ormai un appuntamento da non perdere per le decine di migliaia di ragazzi e ragazze provenienti da ogni angolo d’Italia che, anche quest’anno, hanno generato lunghe code e riempito le strade, per raggiungere i concerti in piazza Medford. Ancora una volta Collisioni ha dato quindi voce alle nuove generazioni, grazie anche alle attività nate nell’ambito del Progetto Giovani, l’iniziativa realizzata grazie alla collaborazione di Collisioni e Banca D’Alba con i suoi giovani soci.
Non solo una rassegna di concerti, quindi, ma un vero e proprio laboratorio permanente che a partire dal mese di novembre – grazie al nuovo spazio del Circo di Collisioni nell’area riqualificata del Parco Tanaro di Alba – ha visto protagonisti nell’ambito di riunioni e laboratori a cadenza settimanale, centinaia di ragazzi delle scuole superiori del territorio. Un momento formativo e creativo a cui ‘la vecchia guardia’ di Collisioni si è limitata a fornire supporto, nelle community social e nelle chat di WhatsApp, come nelle riunioni in presenza al Circo, per permettere ai giovani di costruire in piena libertà una line-up di artisti per la maggior parte sconosciuti a chi ha più di 25 anni.
I ragazzi e le ragazze del Progetto Giovani si sono anche resi protagonisti di un intenso reportage dietro le quinte sui social di Collisioni, intervistando le diverse professionalità che rendono possibile un festival: dai direttori di produzione, agli Stage Manager, ai Rigger, le Camerine e i responsabili della sicurezza, per raccontare al pubblico di Instagram un festival dentro al festival, per dare voce all’impegno di quei lavoratori, essenziali alla riuscita di un evento, che normalmente restano nell’ombra.
Grande ricaduta anche per il territorio di Alba e di tutto il Piemonte, grazie a un’edizione sostenuta da una base ormai consolidata di partner che condividono il progetto. Non soltanto quelli istituzionali, quali Ministero dei Beni Culturali, Regione Piemonte e Città di Alba, e come Fondazione CRC, Fondazione CRT e Banca d’Alba, ma anche le tante aziende del territorio che negli anni hanno sempre sostenuto il Festival. In quest’orizzonte, Collisioni si riconferma sempre più una leva strategica per l’attrazione turistica estiva, e non solo, del suo territorio.
Collisioni ha collaborato inoltre con il Comune di Alba, anche attraverso alcuni biglietti messi a disposizione del Consorzio Socio-Assistenziale.
Oltre ai partner e agli sponsor del festival, Collisioni vuole ringraziare lo staff che ha collaborato all’evento, i volontari e i professionisti che hanno permesso la realizzazione di questa edizione 2024, dando appuntamento al prossimo anno per una nuova grande edizione.
«A partire dallo spartiacque generazionale che è stato il biennio pandemico per i linguaggi della musica e della socialitá, Collisioni ha concentrato i suoi sforzi per creare, con le Giornate Giovani, un momento di chiamata in piazza con ‘la prima volta sotto a un palco’ di una fascia di pubblico che resta spesso invisibile e che sui media più tradizionali non trova voce. – racconta Filippo Taricco, Direttore artistico di Collisioni – Portare migliaia di ragazzi di 12/16 anni in piazza serve a ricordarsi della loro esistenza da un punto di vista culturale, e ad ascoltare i loro sogni, e i loro bisogni. Sabato è stato per molti di loro il primo evento di musica a cui hanno assistito, per ascoltare artisti che parlano un linguaggio completamente alieno al nostro, ma che dobbiamo ascoltare, se non vogliamo che la macchina culturale invecchi e cominci a girare a vuoto. Con i suoi sedici anni Collisioni dimostra di non invecchiare, ma di essere piuttosto “un teenager”, che cresce con il suo pubblico. Questa edizione è stata un’esperienza umana di grande ricchezza, che ci ha permesso di riflettere su due mondi in profonda Collisione. Il prossimo anno manterremo quindi l’impegno di trasformarci ed evolvere insieme al nostro pubblico, con grande coraggio. Non sveliamo nulla, ma seguiremo le nuove generazioni, e soprattutto la ricerca della nuova musica».
Il Sindaco Alberto Gatto: «Collisioni è stata una bella occasione di intrattenimento in città. I numeri di presenze nella fascia under 25 testimoniano l’interesse dei giovani verso le iniziative di Alba e del territorio. Dal momento dell’insediamento ci siamo messi subito al lavoro, trovando un’ottima collaborazione, per gestire al meglio il Festival. Con un bel lavoro di squadra, insieme a Collisioni, Forze dell’ordine e l’assessore Davide Tibaldi, siamo riusciti a migliorare la gestione della viabilità rispetto agli anni passati, un risultato evidente soprattutto nel concerto di venerdì 5 luglio, giorno lavorativo, in cui piazza Medford ha accolto circa 15000 persone, ma i disagi a cittadini e lavoratori sono stati ridotti al minimo chiudendo al traffico Corso Torino soltanto dopo le 18».
«40 volontari per l’80% di differenziata, così la Città di Alba in collaborazione con Collisioni Festival ha voluto dare un segnale concreto di attenzione all’ambiente attraverso le nuove generazioni. Carta, plastica, vetro, metalli, umido alla fine dell’ultimo concerto del festival erano pronti ad essere raccolti da Egea Ambiente che la mattina aveva predisposto le isole ecologiche. Possiamo migliorare, soprattutto nell’area concerto, ma il giusto equilibrio tra organizzazione, comune, gestore e volontari ha dimostrato, ancora una volta, che si possono ottenere ottimi risultati e creare una grande occasione di educazione ambientale», sottolinea Roberto Cavallo, assessore alla Transizione ecologica, Agricoltura, Commercio e Attività produttive del Comune di Alba.
Alla scoperta del santuario di Vicoforte
A cura di piemonteitalia.eu
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https://www.piemonteitalia.eu/it/cultura/abbazie-e-chiese/santuario-di-vicoforte
Visite guidate, approfondimenti e attività per famiglie nel “Museo di Arti Decorative” di via Po, a Torino
Appuntamenti nei mesi di luglio e di agosto
“Visite guidate speciali” condotte dal direttore Luca Mana, visite “ a tema”, tour artistici in centro città fino a particolari meditate “visite con letture” e a “laboratori” ad hoc per bimbi e famiglie: la stagione estiva non fermerà le attività, rivolte ai torinesi e ai turisti, del Museo di Arti Decorative “Accorsi – Ometto” di via Po, a Torino. Per “Visite guidate speciali” si intendono, sottolineano dal Museo, “da una parte quelle alla collezione permanente, per far riscoprire le collezioni museali, attraverso racconti inediti e storie d’altri tempi; dall’altra, quelle alla mostra ‘Torino anni ’50. La grande stagione dell’Informale’ in corso fino al prossimo 1° settembre per spiegare, in modo coinvolgente, la stagione dell’‘Informale’ che ha interessato lo sviluppo della scena artistica torinese dal secondo dopoguerra agli inizi degli anni’60”. Ma non solo.
Di grande interesse sarà anche la Visita – Incontro (mart. 16 luglio e mart. 27 agosto, ore 18) “Storie di Famiglie/Accorsi e la nobiltà italiana” che vedrà protagonisti Pietro Accorsi, “re degli antiquari” o “mercante di meraviglie”, e le prestigiose famiglie che hanno acquistato oggetti o hanno fatto arredare le proprie abitazioni dal famoso antiquario torinese (Torino, 1891 – 1982) che, nell’arco della sua lunga e incredibile vita, ha sempre avuto un rapporto privilegiato con la nobiltà non solo piemontese, ma anche italiana, a partire da Umberto II di Savoia, collezionista raffinato, costantemente alla ricerca del pezzo raro che raccontasse la storia di famiglia.
Martedì 23 e martedì 30 luglio (ore 17) si parlerà de “La Chiesa di Sant’Antonio Abate/La sua storia nei secoli”, a partire dal Seicento quando la Chiesa si trovava proprio al posto del “Museo”, in via Po 55: dalle origini, intorno al 1616, del Convento retto dagli “Antoniani”, ai lavori di abbellimento e di riqualificazione della Chiesa a opera di Bernardo Vittone, fino al suo trasferimento all’“Ordine Mauriziano” e al successivo acquisto, nel 1956, da parte dell’antiquario Pietro Accorsi.
Vera chicca, per quanto riguarda, le “Visita a tema”, quella di sabato 13 e 27 luglio, 10 e 24 agosto (ore 16) dedicata a “L’arte della Ceramica a Torino” durante il “Regno Sabaudo”: in occasione del nuovo allestimento della tavola nella “Sala da pranzo” del Museo, si andrà alla scoperta delle maioliche dei Fratelli Rossetti, delle porcellane di Vinovo e delle terraglie di “manifattura Dortu”, attraverso la loro storia, i loro artisti e i loro segreti.
Sarà invece tempo di “Estate a colori” giov. 11, 18 e 25 luglio e ancora giov. 1, 8, 22 e 29 agosto (ore 18,30): in programma visite a tema sul significato pittorico-emozionale del “NERO”, del “ROSSO”, del “GIALLO” e del “VERDE”, analizzando come questi colori siano stati interpretati e trasformati dagli artisti “informali”, da Alberto Burri a Pierre Soulages (il “nero”), da Antoni Tàpies a Emilio Vedova (il “rosso”), dal “giallo” simbolo di luce, energia e spiritualità di Lucio Fontana, Piero Ruggeri e Mattia Moreni fino al “verde”, senso di rinascita e vitalità, di Hans Hartung e Jean Fautrier.
Da non perdere, domenica 7 luglio e 11 agosto(ore 10) il Tour in centro-città “Torino Informale. Artisti e suggestioni”, volto alla scoperta degli artisti che hanno lavorato sotto la Mole tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento e dei luoghi simbolo della grande stagione dell’“Informale”: la “Bottega d’Erasmo” in via Gaudenzio Ferrari, la libreria “La Bussola” di via Po, le cancellate del “Teatro Regio” (“Odissea Musicale”, di Umberto Mastroianni,) e della “RAI”(“Sinfonia” di Franco Garelli), la “Galleria Notizie” di Luciano Pistoi (alle Porte Palatine), saranno solo alcune delle suggestioni della Torino degli anni ’50 che permetteranno di immergersi nell’atmosfera vitale di quel periodo.
“Niente di nuovo sotto il sole” (giovedì 18 luglio e 22 agosto, ore 18) sarà invece una “visita con letture”, dove artisti come Pinot Gallizio, Carol Rama, Piero Ruggeri, Francesco Casorati, Alberto Burri e Lucio Fontana “racconteranno”, attraverso una moltitudine di voci e di testimonianze, il ruolo fondamentale di Torino nel glorioso momento di innovazione e di apertura all’arte internazionale dei favolosi anni ‘50.
Domenica 14 luglio e 25 agosto (ore 15,30), il “Museo” si apre, con il laboratorio “Arte fuori forma”, ai bambini, invitandoli, sulla base delle sensazioni loro suscitate dalle opere esposte, a scoprire un diverso modo di fare arte, in maniera “non convenzionale”: quadri senza soggetto, realizzati senza colori né pennelli, ma con sacchi, plastica e stoffe. Anche così, in fondo, i piccoli artisti crescono. O hanno modo di iniziare a crescere.
Per info: “Fondazione Accorsi – Ometto”, via Po 55, Torino; tel. 011/837688 owww.fondazioneaccorsiometto.it
g.m.
Nelle foto: “Museo Accorsi – Ometto, Salone Piffetti”, Pietro Accorsi, Luca Mana
Oltre 27 mila visitatori hanno visitato l’esposizione in corso al Mastio della Cittadella dedicato all’artista più iconico della Belle Époque. Da settembre la mostra sarà a Parma.
Torino – Un successo notevole quello registrato al Museo Storico Nazionale D’Artiglieria – Mastio della Cittadella a Torino, per la mostra dal titolo: Henri de Toulouse Lautrec – Il mondo del circo e di Montmartre. L’esposizione, prodotta da Navigare srl e patrocinata da Regione Piemonte e da Città di Torino, sarà ancora visitabile sino a domenica 21 luglio. Il gradimento del pubblico, non solo piemontese, ha indotto gli organizzatori a prevedere la realizzazione della rassegna a Parma a partire dal 7 settembre.
Il curatore della mostra, lo spagnolo Joan Abelló, che ha immaginato un percorso espositivo suddiviso in 5 sezioni: I manifesti e le illustrazioni; Le Donne ed Elles; Il circo; I ritratti; L’esperienza multimediale, ha consentito ai visitatori di ripercorrere la breve vita e l’attività artistica del giovane aristocratico Henri de Toulouse-Lautrec, riconosciuto come uno degli artisti bohémien più rappresentativi dell’epoca.
Oltre 100 le opere, tra manifesti, illustrazioni e litografie, provenienti da collezioni private spagnole, dedicate al pittore della Ville Lumière di tardo Ottocento. Per favorire l’avvicinamento dei visitatori al contesto storico in cui visse Lautrec, realizzata anche una suggestiva sala ispirata ai camerini dei locali notturni della Belle Époque, realizzata dalla società specializzata Blurred, con una parte multimediale, e con arredi ispirati agli ambienti dipinti nell’opera Al Salon di rue des Moulin.
Dunque, ultimi sette giorni per ammirare, di particolare interesse, le 12 stampe della serie Elles, datate 1952, con ritratti di prostitute del quartiere Montmartre con le quali Toulouse-Lautrec condivideva una particolare quotidianità, avendo scelto di abitare nelle maisons closes parigine per diverso tempo.
Domenica 21 luglio calerà il sipario su questa rassegna che ha registrato un grande interesse per gli amanti della Belle Époque, ma l’esposizione riprenderà vita, a partire dal 7 settembre, a Palazzo Dalla Rosa Prati di Parma. A Torino la mostra sarà aperta tutti i giorni, con orario continuato (lun-ven 9:30-19:30; sabato, domenica e festivi 9:30-20:30). Prevendita on-line: www.ticketone.it. Info: www.navigaresrl.com.
Incuneata nel cuore della Alpi, fino al centro delle “Alpi Somme” da cui partono le acque nelle quattro direzioni dei venti, la valle Formazza ha una storia singolare e affascinante, irripetibile in qualsiasi altra valle dell’arco alpino
La prima e più importante delle colonie walser, il “nido d’aquila” di questo grande popolo di montanari che disseminò di comunità i due versanti dell’arco alpino. Lo storico Enrico Rizzi, scrivendo per l’editore Grossi la “Storia della Valle Formazza” , ha consegnato ai lettori un lavoro monumentale, frutto di anni di certosine ricerche, raccogliendo documenti e testimonianze. Un’opera davvero completa che illustra la storia ricca e spesso imprevedibile della Valle Formazza. “ La nostra posizione strategica, quasi fosse un cuneo nel cuore delle alpi centrali – afferma la vulcanica sindaca di Formazza, Bruna Papa – ha consentito al nostro territorio di essere per secoli un’arteria di traffici mercantili, scambi e contatti con il nord delle Alpi più di qualsiasi altra vallata dell’eco alpino”. Una valle “sospesa tra sud e nord” a far da cerniera e punto d’incontro anche per motivi artistici, religiosi e civili. Il nodo dei passi attraversati nei secoli dai someggiatori lungo le vie europee del sale, del vino, dei formaggi, la sua eccezionale posizione strategica, hanno fatto della più antica colonia fondata dai Walser nel medioevo, una “piccola repubblica” sospesa tra la Lombardia e la Svizzera . Territorio conteso con agli Svizzeri che cercavano un altro sbocco verso il Mezzogiorno, allargando e rettificando il confine meridionale della Val Leventina, venne aggregato al ducato di Milano, e seguì le vicende di tutto il restante della Val d’Ossola rimanendo sotto la dominazione spagnola fino al 1714, e passando poi sotto le dominazioni austriaca (1714-48), sabauda (1748-97), francese (1797-1814) e italiana.Retta per secoli autonomamente, con il proprio tribunale valligiano e rustiche magistrature democratiche, Formazza ha sempre coltivato la sua fiera indipendenza, la sua lingua, lo stile delle sue case di legno, le sue antiche tradizioni, un ricchissimo paesaggio naturale che ha nella superba Cascata della Toce il suo monumento più suggestivo, ammirato nei loro viaggi alpini da naturalisti e scienziati, poeti e artisti come Saussure, Dolomieu, Coolidge, Ermanno Olmi,Carlo Rubbia. Un luogo che Mario Rigoni Stern raccontò nel suo libro “L’ultima partita a carte”, descrivendo il suo “corso sciatori” in alta Val Formazza nel gennaio del 1939 : “Mi ricordo ancora bene che vicino alla diga di Morasco avevamo fatto una gara sci-alpinistica partendo dalla Cascata del Toce. Nella neve si viveva e si moriva. Un aspirante che era con noi era rimasto sotto una valanga durante un allenamento. Noi sciavamo, bevevamo il vin brulé, vincevamo la coppa, ma poi, nel gennaio del 1943 eravamo andati a morire per il freddo, nella neve, in guerra”. Tornando al libro di Rizzi va detto che lo storico delle Alpi e autore di molti libri sui Walser nelle 480 pagine di quest’opera straordinaria, corredata di foto e documenti, non tralascia nulla nel ricostruire la storia di questa bellissima valle.
Marco Travaglini
La Torino di Napoleone
Breve storia di Torino
1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi
7 La Torino di Napoleone
L’evento che più di ogni altro segna il XVIII secolo è senz’altro la Rivoluzione Francese.
Il movimento parigino che si batte per i diritti dell’uomo riecheggia in tutta Europa e anche la nostra bella Torino non ne rimane indifferente, e non solo per ciò che riguarda gli alti ideali proposti ma soprattutto per via dell’occupazione militare francese che, nel 1798, porta l’impeto rivoluzionario all’interno delle stesse mura cittadine.
Nello stesso anno Carlo Emanuele IV di Savoia abdica e si ritira con la sua corte in Sardegna, lasciando la cittadinanza ad affrontare un periodo di forti trasformazioni politiche e sociali: Torino è pronta ad un ulteriore mutamento che presto la porterà ad assumere la forma di una moderna città borghese ottocentesca.
Il nuovo governo repubblicano prende il posto della monarchia, abolisce molti privilegi aristocratici e ridimensiona non di poco l’influenza della Chiesa.
Tale situazione tuttavia non ha vita lunga, la parentesi repubblicana termina appena un anno dopo, nel 1799, quando le armate austro-russe invadono il Piemonte, sconfiggono i Francesi e occupano la città.
Sarà necessario attendere l’arrivo di Napoleone, nel giugno 1800, per assistere ad una nuova riorganizzazione politica della penisola italica, assetto che vede il Piemonte riannesso al Primo impero francese e costringe i Torinesi a sottoporsi al Codice napoleonico, accettando di conseguenza di sottostare al sistema giuridico e amministrativo francese.
Torino non è più la città-fortezza dei Savoia, e per sottolineare tale circostanza il generale di origini corse, protagonista indiscusso della prima fase della storia contemporanea, ordina lo smantellamento delle fortificazioni cittadine, rendendo l’urbe una “città aperta”, dall’impianto più similare a quello urbanistico francese, giocato su un’impostazione ad ampio raggio. Il regime governante impone ai costruttori l’edificazione di nuove piazze, strade e ponti, come ad esempio quello realizzato tra il 1810 e il 1813 sul Po, viene poi abolita l’antica divisione in isolati della città a favore di un’amministrazione basata su quattro distretti denominati Po, Dora, Moncenisio e Monviso, corrispondenti alla circolazione dell’andirivieni da e verso il centro abitato.
Ancora una volta, anche il potere ecclesiastico viene colpito duramente, nelle stessa Torino ben ventinove tra monasteri e conventi vengono chiusi, con conseguente confisca delle terre di cui disponevano gli stabilimenti.
La città pedemontana risponde ormai alle nuove procedure in voga nella Francia napoleonica: si introduce il concetto di uguaglianza tra cittadini, si esalta il valore dell’autorità imperiale, del progresso razionale e del servizio pubblico.
La nuova legislatura torinese si basa sul Codice napoleonico, che riconferma l’abolizione dei privilegi della nobiltà, estende i diritti civili, amplia la tolleranza religiosa, specie nei confronti della comunità ebraica presente sul territorio piemontese e – fatto che mi piace rimarcare in questi periodi “così moderni”– considera il matrimonio più come un contratto civile di competenza statale che un sacramento religioso, logica che porta anche alla legalizzazione del divorzio.
Le nuove norme investono anche il campo amministrativo-commerciale. Napoleone ordina l’eliminazione delle corporazioni, cancella i dazi doganali e tutte le difficoltà che possono recare danno alle vendite, inoltre istituisce nuovi organi quali la Camera del commercio, la Borsa e il Tribunale commerciale, tutti enti appositamente pensati per promuovere rapporti di mercato tra i Torinesi e gli imprenditori francesi.
Questa generale spinta modernizzatrice investe le autorità di nuovi poteri, ad esempio il ruolo del sindaco acquisisce un maggior valore, si ampliano le mansioni dell’amministrazione municipale, che ora si occupa anche del mantenimento dell’ordine pubblico, della sanità, dell’assistenza ai bisognosi nonché della gestione degli ospedali.
Altro aspetto determinante del dominio napoleonico riguarda proprio l’ambito della cura alla persona, l’assistenza medica rispecchia ora dei canoni moderni, in più gli stretti contatti tra Torino e Parigi fanno sìche si crei una sorta di infrastruttura amministrativa interna che rende più veloci le mansioni burocratiche, snellendo il carico di lavoro che prima ricadeva su medici e infermieri, che ora possono dedicarsi quasi esclusivamente allo studio delle terapie. Il punto di riferimento per la sanità, nello specifico per le malattie non infettive e curabili, diviene l’ospedale San Giovanni, a cui è riconosciuto lo status di “ospedale nazionale” ed è posto sotto il diretto controllo del ministero degli interni di Parigi; si affiancano a tale struttura specifiche istituzioni con compiti precisi, ognuna appositamente dedicata ad una categoria di persone con criticità, quali orfani, poveri o donne che dovevano affrontare gravidanze indesiderate.
L’estrema attenzione alla questione sanitaria porta a due grandi vittorie: la prima riguarda l’impedimento di consumare cibo avariato, attraverso controlli meticolosi e l’imposizione di rigide norme su mercati e macelli, la seconda invece concerne la (momentanea) sconfitta del vaiolo, una delle malattie più temute dell’epoca, grazie ad una sorta di vaccinazione di massa attuata nei primi anni dell’Ottocento.
Lo Stato si impegna inoltre anche in campo sociale: vengono tutelati gli orfani, gli anziani e gli indigenti e anche le persone con disabilità.
Nondimeno Napoleone ha a cuore la diffusione della cultura all’interno della capitale piemontese. Diversi circoli letterari privati ricevono ingenti fondi monetari, come ad esempio accade all’Accademia dei Concordi o ai Pastori della Dora. Anche alcuni personaggi ricevono l’onore di essere sostenuti dal generale francese, come Prospero Balbo, diplomatico e intellettuale, nonché giovane rampollo di nobili origini, che, nel 1801, è nominato Rettore dell’Università di Torino. Balbo, grazie a legami politici e a un innato atteggiamento avveduto, riesce a gestire non solo il polo universitario, ma anche l’Accademia delle Scienze, l’Accademia di Agricoltura, l’Osservatorio astronomico e diversi Musei. Inoltre, il vero merito di Balbo – e dei suoi collaboratori- sta nell’essere riuscito a realizzare un primo effettivo progetto di collaborazione tra ricerca e istruzione a livello territoriale piemontese.
Tuttavia non è tutto ora ciò che luccica, infatti se da una parte il nuovo governo pare dare vita ad una città idilliaca, all’interno della quale vigono giustizia ed uguaglianza, dall’altra, l’imperatore teme di poter perdere il consenso nobiliare, motivo per il quale diverse famiglie illustri vengono favorite, attraverso l’assegnazione di cariche pubbliche o ricoprendo ruoli di prima importanza all’interno delle diverse corti, come ad esempio quella assai ambita di Camillo Borghese, governatore francese di Piemonte, Parma, Liguria.
Si assiste dunque ad una lenta ma continua fusione tra aristocrazia e borghesia: si forma una nuova classe dirigente che occupa i piani alti del consiglio municipale e degli altri organi che reggono la città di Torino.
È poi opportuno sottolineare come agli immediati successi subentrino non poche difficoltà, legate a problemi economici, al brusco impatto dei repentini cambiamenti imposti dal regime francese alla cittadinanza e all’applicazione concreta delle riforme amministrative. Torino poi è certamente parte del generale rinnovamento, ma rimane in una posizione subordinata rispetto al resto dell’impero francese, fatto che implica diverse problematiche legate alla circolazione delle merci e all’economia, anche l’andamento demografico riporta alcune criticità: nei primi vent’anni dell’Ottocento la popolazione pare diminuire di un terzo rispetto al secolo precedente.
Torino si scopre dunque ad eseguire le nuove indicazioni in modo decisamente passivo e ben presto il malcontento si diffonde non solo tra la popolazione ma anche all’interno della classe nobiliare; chi partecipa alla vita pubblica lo fa senza esporsi eccessivamente, chi invece risente del taglio dei legami con la famiglia Savoia non puòche rimanere ostile al nuovo governo straniero. A livello lavorativo la modernizzazione non porta solo dati favorevoli, al contrario aumenta la disoccupazione e i nuovi ritmi di produzione si fanno ancora piùestenuanti senza la protezione delle corporazioni e dell’atteggiamento paternalistico dell’aristocrazia.
Quando l’ 8 maggio 1814 le truppe austriache entrano a Torino sotto la guida del del generale Ferdinand von Bubna-Littiz, la popolazione non si dimostra ostile nei confronti dei nuovi arrivati.
Non ci sono né giubili né azioni violente, solo un generale e livellato malcontento, perché il potere e il benessere sono di pochi, per i più la fame e la miseria rimangono sempre tali, indipendentemente dalle insegne che le ricoprono.
“Nihil sub sole novum”.
ALESSIA CAGNOTTO
L’isola del libro
RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA
Scilla Bonfiglioli “La sposa del vento” -Fazi Editore- euro 18,00
E’ poliedrica la formazione di Scilla Bonfiglioli: nata a Bologna nel 1983, laureata in discipline teatrali, autrice, regista ed attrice di teatro. Inoltre ha maturato una profonda conoscenza della storia dell’arte e delle vite degli artisti, iniziata quando, ancora ragazzina, seguiva la madre che lavorava come guida turistica.
Questo suo romanzo d’esordio è dedicato alla storia d’amore tra il pittore e drammaturgo austriaco Oskar Kokoschka e la compositrice e scrittrice Alma Mahler.
Il titolo riprende quello della famosa tela che Kokoschka dipinse nel 1914, nota anche come “La tempesta” che immortala i due amanti in un letto scomposto di nubi, circondati dalla tempesta della passione vissuta come totalizzante e devastante.
L’autrice ci porta nella Vienna di inizio Novecento dove il giovane Oskar (nato a Pöchlarn nel 1886, morto a Montreux nel 1980) aspira a diventare un grande artista e si apre la strada a piccoli passi, facendosi notare nei circoli intellettuali che contano per l’eccezionalità delle sue opere.
Nel 1912 il destino gli fa incontrare la bellissima e affascinante Alma Mahler (nata a Vienna nel 1879, morta a New York nel 1964) all’epoca poco più che 30enne, da poco rimasta vedova del celebre compositore boemo Gustav Mahler.
Lei è una delle donne più in vista e desiderate di Vienna; figlia del pittore Emil Schindler, amica di Gustav Klimt, musa ispiratrice di importanti artisti del Novecento. Tra loro Walter Gropius e Franz Werfel dei quali fu anche moglie.
Oskar è immediatamente stregato dal suo fascino, inizia a ritrarla, e tra i due divampa una passione bruciante e dirompente. Lui è timido, impacciato, pieno di turbamenti e riesce a coinvolgere in modo quasi totalizzante la giovane indipendente e fiera, che rifiuterà sempre di sposarlo.
La loro storia dura circa due anni, in un vortice di eros e arte; poi, scivola in scontri litigiosi, soprattutto a causa della gelosia e dell’attaccamento morboso di Oskar, che finisce per soffocare Alma e metterla in fuga.
Una fine straziante che Kokoschka ritrae perfettamente nella tela che racconta il travagliato abbandono. Lui finirà per arruolarsi e cercare costantemente la morte in battaglia.
Michele Mari “Locus desperatus” – Einaudi
“Dimmi le cose che hai e ti dirò la cosa che sei”.
Azzardando l’estrema sintesi, si potrebbe anche riassumere così l’idea portante di questo libro di Michele Mari; grande intellettuale solitario, schivo autore 69enne, che si distingue dai colleghi per l’encomiabile rifuggire dal presenzialismo oggi imperante.
Il protagonista (senza nome) di questo breve romanzo scopre una croce tracciata col gesso sulla porta di casa; è l’avvio di una vicenda che, tra svolte improvvise e suspense, si rivela un discorso di taglio filosofico sui concetti di possesso e identità.
All’inizio l’uomo pensa a uno stupido scherzo e cancella la scritta a colpi di spugna, poi si vendica distribuendo sulle porte dei vicini croci e altre amenità. Peccato che il giorno seguente la croce ricompaia sulla sua porta, mentre sulle altre non c’è traccia di sfregi.
Il rito per un po’ si ripete fino a quando due loschi personaggi gli notificano l’avviso di sfratto, con l’obbligo di lasciare l’appartamento e tutto quello che contiene ad un altro inquilino che gli subentrerà. Ed ecco che il protagonista ingaggia una strenua lotta nel disperato tentativo di non separarsi dai suoi amati oggetti. Ognuno ha una sua storia e significati che solo lui può sapere, dal momento che la sua esistenza è strettamente collegata alle suppellettili che abitano la sua vita.
Preparatevi a colpi di scena, abilissimi depistaggi, e soprattutto ad una splendida apologia dei rapporti che ci legano agli oggetti contribuendo a definirci meglio.
Cercare, accumulare, conservare, collezionare e amare le cose di cui ci circondiamo vuol anche dire che, poco a poco, abbiamo ammantato la loro esistenza trasferendogli parte della nostra personalità.
Claudia Durastanti “Missitalia” -La nave di Teseo- euro 20,00
E’ sospeso tra terra e luna il romanzo dell’autrice e traduttrice italiana nata a Brooklyn nel 1984.
In “Missitalia” narra di avventure, eroine, viaggiatrici che, con indomita audacia, spiccano il volo dalla Lucania verso la Luna e ritorno, tutto distribuito nell’arco di 200 anni di storia.
Durastanti ripercorre 3 fasi del Sud Italia attraverso le vicende di altrettante donne, Amalia, Ada e A. Vivono in epoche diverse corrispondenti a tre momenti storici importanti: seconda rivoluzione industriale, boom economico ed infine astro capitalismo.
La Val d’Agri è un sud magico, terra di sortilegi in cui subito dopo l’Unità d’Italia Amalia Spada è l’avventuriera irrequieta e temeraria che accoglie nella sua casa una comunità di giovani abbandonate, ribelli e ostracizzate. Una compagnia di Lupe che relegano gli uomini clandestini nel sottosuolo.
A scompaginare le carte sarà l’avvio della Fabbrica e dell’industrializzazione che genera reazioni contrastanti negli abitanti del luogo.
Molti anni dopo, nel dopoguerra, troviamo Ada, giovane antropologa che esplora la Basilicata per studiarne la realtà, i cambiamenti, alle prese col petrolio e i rapporti di potere; ma anche le antiche e profonde radici ancestrali.
Infine con un balzo temporale in un futuro prossimo, la Lucania è la base da cui partono le navicelle alla volta della colonizzazione dello spazio, e la terra è speculare rispetto alla sua gemella lunare. A. è una donna alpha solitaria che ama recuperare cose perdute e ridare vita ad oggetti dei tempi andati.
La terra, ridotta dalla desertificazione, ormai una landa aspra e dura, diventa anche la meta promessa pronta a riaccogliere la vita e nuova zona di approdo….
Sean A. Pritchard “Outside in. A year of growing displaying” -Mitchell Beazley- UK £ 30
Più che da raccontare questo bellissimo volume fotografico è da sfogliare per trarre ispirazione e catturare idee geniali che trasportano i fiori dei vostri giardini o terrazzi all’interno delle stanze che amate.
Il libro è opera del designer di giardini Sean A. Pritchard, che vi insegna e dimostra come la natura colorata e profumata che vive outside possa trovare un prolungamento di vita nei tanti vasi che avete in casa.
Esplosioni di bellezza, colori, luci e natura che, a seconda dell’avvicendarsi delle stagioni, con un po’ di fantasia e buon gusto, portano gioia e buon umore dislocati in vari angoli del vostro salotto, studio , camera da letto…..e ovunque vogliate. In piccoli o grandi vasi appoggiati su pile di libri, tavoli o sedie.
Traete spunto da queste pagine e sguinzagliate la fantasia.
La sentinella di pietra sul lago d’Orta
Grigia e serissima, la Torre di Buccione – che non ha, evidentemente, un’anima – non può sapere che la sua citazione più conosciuta è contenuta in uno dei libri più belli e più ironici di Gianni Rodari, quel “C’era due volte il barone Lamberto”, ambientato lì attorno
C’è chi, nel lento trascorrere del tempo, vigila. Infatti, d’inverno , quando il lago è velato, a pelo d’acqua, dalla nebbia, sembra che stia lì, sentinella di pietra sul colle, a difesa del silenzio e della pace di questa terra cusiana, sulla sponda orientale del lago d’Orta.Grigia e serissima, la Torre di Buccione – che non ha, evidentemente, un’anima – non può sapere che la sua citazione più conosciuta è contenuta in uno dei libri più belli e più ironici di Gianni Rodari, quel “C’era due volte il barone Lamberto”, ambientato lì attorno. Nel racconto del grande scrittore omegnese, dopo l’invasione dell’isola di S.Giulio da parte dei banditi che sequestrarono il barone, i giornalisti di mezzo mondo si disputarono gli “osservatori “migliori per seguire le varie fasi della vicenda. E se i giapponesi ( i più sistematici.. ) occuparono i punti più alti, cioè l’Alpe Quaggione e la vetta del Mottarone, scrutando il lago da nord a sud, da Omegna a Gozzano, l’unico punto altrettanto alto e panoramico per guardare il lago da sud a nord era proprio la Torre di Buccione, “occupata in forze dalla Tv messicana”.
Non male come “utilizzo” nel XX secolo. Ma , riposta la fantasia e ripristinando la storia per com’è stata, bisogna dire che il primo documento che cita la fortificazione risale al 1200: il castello di Buccione fu teatro di un accordo stipulato alla presenza del vescovo Pietro IV tra i feudatari locali ed i rappresentanti del comune di Novara. Incontratisi nel prato sotto la Torre, che svettava con i suoi quasi trenta metri d’altezza sul colle, cercarono un’intesa per mettere fine alle dispute sulle questioni territoriali della Riviera. Nel 1205 il castello venne indicato come dimora del Vescovo e trent’anni dopo, in un altro documento, si ribadiva che la Torre e le fortificazioni di Buccione erano “indiscussa proprietà vescovile”. Il filo che lega questi documenti non solo testimonia la “presenza” della fortificazione di Buccione ma rappresenta tre momenti della originale evoluzione della Riviera di S.Giulio sotto il profilo istituzionale ed amministrativo, con i passaggi – nell’arco di trecento anni , dal Mille al XIII secolo – da signoria di “possesso territoriale” a signoria di “potere giurisdizionale” del vescovo di Novara, tant’è che per sbrogliare la complessa matassa fu persino necessario l’intervento degli arbitri dell’Imperatore.
Una mediazione non proprio pacifica visto che il Comune di Novara – impegnato ad espandere i suoi possedimenti – aveva creato ex-novo un suo avamposto tra il castello di Mesma e la Torre di Buccione ( il “borgo” della Mesmella ), insinuandosi come un cuneo nei possediemnti del vescovo così che , di conseguenza, gli arbitri imperiali dovettero ordinare la distruzione del borgo, restituendo all’autorità vescovile i castelli ed i villaggi posti a nord della Baraggia di Briga, con tutti gli annessi e connessi, cioè i diritti ed i poteri. Ma l’origine della Torre, secondo alcuni studiosi, ha radici ben più antiche dei cenni documentali già citati: radici che affondano nelle ombre e nei chiaroscuri dell’alto medioevo. Uno studioso che ha minuziosamente “rivisitato” la storia dell’imponente fortificazione – il Marzi – scrisse che “ si estendeva fino a coprire la vetta del colle”, identificandone due fasi di costruzione: “l’erezione della cortina e delle stanze del presidio sono da collocarsi intorno agli anni 1150-1175” mentre risultavano “troppo esigui gli elementi per datare i recinti successivi e il ridotto avanzato”. Resta il fatto che a rivelare le due fasi si possono citare almeno un paio di elementi: i parametri murari e la disposizione delle buche per il ponteggio. Le opinioni di carattere storiografico sono disparate: c’è chi giura si tratti di un manufatto di epoca romana, chi lo giudica invece opera dei Longobardi e chi ancora frutto di scelte ed indicazioni dei vescovi novaresi. Secondo il Marzi, nel suo “ Sulle origini del castello di Buccione “, edito dal comune di Orta S.Giulio nel 1984, gli autori vanno ricercati invece nei signori locali, legati da vincoli feudali al vescovo, forse i da Castello di Crusinallo.
Resta un fatto, abbastanza chiaro: il castello divenne una piazzaforte vescovile, in stretto contatto con il castello dell’isola di S.Giulio – eretto nel V secolo – di cui costituiva, insieme ad altre “torri” edificate sulle sponde del Cusio, una delle “teste di ponte” di un fitto ed articolato sistema di fortificazioni poste a guardia dello stato episcopale, una sorta di “enclave” indipendente nell’ambito dell’Italia del nord, nell’arco di ben sei secoli, dal 1219 al 1817. In cima alla torre, come si usava dire “..sospesa tra terra e cielo”, era posta la campana con cui si annunciavano gli imminenti pericoli: l’ultimo, prezioso, esemplare – fatto fondere nel 1610 – è tutt’oggi custodito nel giardino della sede del municipio di Orta. Il “castello di strada” e la torre, nei fatti, rappresentavano un’unica turrita fortezza alta, per l’esattezza, ventitre metri, con funzioni di segnalazione, suddivisa al suo interno in tre impalcati di legno che ne consentivano l’abitazione da parte della guarnigione . Il piano inferiore ( dove si apre l’ingresso attuale, risalente al 1800, mentre l’antico ingresso si trovava a circa sette metri da terra ) serviva da “caneva”, cioè da magazzino per i viveri e per l’acqua, necessari in caso d’assedio. Al secondo ed al terzo piano erano situate le latrine, con condotte convogliate verso il cortile per lo scarico dei liquami.
Al piano alto si trovava la cella – con la volta a crociera – munita di una bertesca organizzata su mensole, dalla quale si potevano spiare e combattere i nemici che minacciavano l’ingresso inviando loro dei “gentili omaggi” a base di pietre e, nei casi più ostinati, calderoni d’olio bollente. La fortificazione si completava di una cortina muraria esterna con camminamenti, feritoie, merli, ancora visibili all’inizio del ‘700 quando vennero descritte dallo storico rivierasco Lazzaro Agostino Cotta. Le mura, al loro interno, ospitavano un cortile rettangolare che includeva la “nostra” torre, mentre – in epoca successiva – venne edificato sul lato a nord un altro recinto che, stando ai resoconti del Cotta, poteva contenere fino a cinquecento soldati, ed un ridotto avanzato – situato sul crinale verso il lago – studiato come punto di controllo sulla strada che veniva percorsa da merci e viandanti. Oggi la Torre, impavida ed altera costruzione che domina il Cusio meridionale, dopo aver subito – in passato- le offese di vandali e teppisti, merita le cure di chi – per generazioni – è nato e cresciuto alla sua ombra. E la Riserva Regionale che oggi la tutela è stata pensata proprio per questo. Un nobile scopo per la nobile causa di una nobile ed ardita costruzione medioevale.
Marco Travaglini