CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 63

Aperto il Sestriere Film Festival, il cinema a 2035 metri di altitudine

Sabato 2 agosto ha preso avvio il “Sestriere Film Festival”, giunto alla sua quindicesima edizione  a 2035 metri di altitudine, al cinema Fraiteve, la sala cinematografica più alta d’Europa.
Promosso dall’Associazione Montagna Italia e sostenuto dalle autorità locali, il festival si pone come scopo la promozione e la celebrazione della montagna attraverso film, documentari, cortometraggi e fiction. L’avvio riprende una tradizione ormai consolidata: dopo i saluti istituzionali, alle 21,  il concerto della Fanfara della Brigata Alpina Taurinense, un evento voluto dal Museo Nazionale del Cinema e proposto in anteprima assoluta. Verrà  proiettato il film storico “Sul tetto del mondo. Viaggio di S.A.R il Duca degli Abruzzi  al Karakorum”, girato nel 1910 e musicato dal maestro Michel Catania.
Il primo film in concorso si intitola ”Abriendo Camino. Vol II. Groenlandia”, realizzato da Juan Miguel Ponce, racconto di un’emozionante spedizione che ha condotto all’esplorazione delle montagne lungo la costa orientale della Groenlandia.
Domenica 3 agosto sono iniziate alcune passeggiate che  effettuate con l’accompagnamento delle guide di Sestriere, con ritrovo alle ore 9.30 presso l’Ufficio Turistico del Sestriere  in via Pinerolo 7/b. Alle 21 il festival celebrerà una ricorrenza istituzionale, i cento anni dalla morte di Pier Giorgio Frassati con il film “Verso l’alto” di Daniela Gurrieri.

Terziario domenicano e membro della San Vincenzo de’ Paoli, beatificato nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II, le sue spoglie riposano dal 26 luglio scorso non più nel Duomo di Torino, ma a Roma, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, di fronte al Pantheon.
Il Festival promuove anche un bando cinematografico internazionale aperto a registi e produttori che abbiano dedicato i loro lavori alle “Terre alte del mondo”.
Il 9 agosto ci saranno le premiazioni delle pellicole in concorso, domenica 10 agosto alle 11.30 il rifugio Alpette ospiterà il concerto finale Magic Miles con i musicisti Fabio Brignoli, Francesco Chebat e Stefani Bertoli, che interpreteranno alcuni dei brani più celebri del noto trombettista americano Miles Davis.

Mara Martellotta

Mercalli e Oliva alla Fiera del libro di Sauze d’Oulx

Prima lo storico Gianni Oliva con il suo primo romanzo “Il pendio dei noci”, poi il climatologo Luca Mercalli che, nonostante l’infortunio a un piede, provocato da una banale caduta in casa e non su un ghiacciaio ha raggiunto ugualmente Sauze d’Oulx per presentare, senza papillon, il suo libro “Breve storia del clima in Italia”. Folla e successo di pubblico alla tradizionale Fiera del libro di Sauze che terrà aperti i battenti fino al 24 agosto al Parco giochi in centro paese. Si tratta della nona edizione della rassegna promossa dall’Associazione culturale IncercadiAmici,Unione librai delle bancarelle, Panassi librerie, edizioni Susalibri, con il patrocinio del Comune di Sauze. Nei prossimi giorni interverranno, tra gli altri, Mauro Minola, Angelo Toppino, Paola Arnaldi, Alice Basso e Luisella Ceretta.  Fr

L’isola del libro. Da un romanzo… all’Australia

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

 

 

Alexandra Lapierre “L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin” -edizioni e/o- euro 22,00

In queste 460 pagine c’è tutto quello che occorre per un incantevole romanzo (potrebbe essere anche un film epico) dove si amalgamano magistralmente: la bravura dell’autrice, una protagonista che non si scorda più, avventura, spazi infiniti, eventi storici e molto altro ancora.

Innanzitutto è un’assoluta garanzia la firma di Alexandra Lapierre (figlia del famoso Dominique Lapierre, autore di “La città della gioia”); autrice di biografie che restituiscono il giusto rilievo a donne spesso trascurate dalla storiografia, ma che hanno vissuto esistenze eccezionali e raggiunto grandi primati.

Questo libro è il frutto di 4 anni di minuziose ricerche; Alexandra Lapierre ha scandagliato gli archivi sparsi agli angoli del mondo e si è messa sulle tracce della protagonista, visitando di persona i luoghi del suo passaggio.

Franklin Stella, Miles, (nome maschile di un avo che, alla nascita, le diedero per ultimo e poi diventerà il suo marchio) è la prima di 7 tra fratelli e sorelle. Nasce nel Bush interno australiano, in una fattoria in crisi, Stillwater (acqua cheta).

Adora il padre, uomo sensibile e buono, ma pessimo negli affari. Invece, per lo più, è in rotta di collisione con la madre, che discende da una ricca e colta famiglia; donna intelligente ed energica, ma rassegnata al ruolo tradizionale di moglie e madre, che prospetta anche alla figlia.

Stella-Miles ama gli sconfinati spazi del Nuovo Galles del Sud, dove adora cavalcare libera; è rude con i giovanotti affascinati dalla sua audacia; i limiti della società vittoriana le vanno stretti. Ha deciso: non si sposerà, e mai diventerà la serva di marito e figli. Il suo orizzonte è decisamente più ampio…anzi, sconfinato.

Ha talento nella scrittura, la sua maestra ne intuisce il potenziale e la incoraggia. Così inizia a germogliare il seme della futura: scrittrice, femminista, volontaria, attivista e donna straordinaria, protagonista del 900, Stella-Miles Franklin.

Piccola di statura (appena 1metro e 53 cm) -dentro è un gigante- occhi chiari leggermente a mandorla, una cascata di riccioli bruni raccolti nella lunga treccia. Non ha paura di nulla e nessuno.

Ingaggia la prima sfida scrivendo “La mia brillante carriera”, ispirato alla vita in famiglia e agli altri abitanti della zona; senza risparmiare descrizioni acute e spietate degli angusti orizzonti della società dell’epoca.

Il romanzo viene pubblicato a Edimburgo ed è immediato successo in tutto l’Impero. Purtroppo però ha firmato un contratto capestro e non ricava alcun profitto.

All’inizio subisce il disappunto di chi la riconosce e si sente messo sotto accusa nelle sue pagine. Le cose cambiano quando, grazie ai riconoscimenti della critica, diventa famosa ed il libro è considerato il primo capolavoro che, finalmente, mette in risalto la letteratura australiana a livello mondiale.

Decide di andare a Sidney, senza un soldo in tasca, ma sperando di stipulare contratti vantaggiosi con altri editori. Ormai è il personaggio del momento e le dame dell’alta società se la contendono come ospite d’onore nei loro salotti. Purtroppo non conclude nulla di quanto sperava; in compenso, conosce alcune femministe e sono incontri importanti.

Torna a casa per scrivere il libro inchiesta sull’esperienza da infiltrata -come domestica- nelle famiglie benestanti di Sidney: ha documentato i maltrattamenti inflitti metodicamente dai datori di lavoro e scritto “Quand’ero Mary Ann, una schiava”. Peccato venga rifiutato dagli editori.

Ma lei è indomabile e coraggiosa, con l’aiuto della madre -che le offre la chance a lei negata- spicca il volo.

E’ l’avvio di una vita avventurosa in America, dove trova solidarietà nella suffragetta Vida Goldstein e nelle femministe che lottano con lei, delle quali Stella condivide gli ideali.

Sostiene lo sciopero delle operaie a Chicago, lavora come cavallerizza in un circo in Colorado, nel 1907 arriva a San Francisco distrutta dal terremoto.

Scrive tutte le esperienze che vive nei suoi reportage, sotto pseudonimi vari.

Si barcamena sempre in ristrettezze economiche, ma nulla la ferma.

E durante la Prima guerra mondiale si offre volontaria in un ospedale da campo nei Balcani.

Poi decide di approfondire le ricerche sui primi fondatori galeotti dell’Australia, rintanandosi tra i preziosi documenti conservati negli archivi della London Library.

E’ allora che l’assale una struggente nostalgia del Bush, dove decide di tornare.

Ricomincia nella terra delle sue radici, dove conduce un’esistenza semplice e con pochissimi mezzi.

Dal 1929 scrive splendidi romanzi di carattere storico e li firma con lo pseudonimo Brent of Bin Bin. Il successo è travolgente.

E anche se scrivere è la profonda passione che la anima, persiste nel non voler rivelare la sua vera identità; agli occhi del mondo, la scrittrice Miles Franklin continua ad essere scomparsa da 35 anni.

La svolta è nel 1936, quando riceve l’S.H.Prior Memorial Prize che la consacra gloria letteraria nazionale e restituisce finalmente a Miles Franklin il posto che le spetta da sempre di diritto.

Nonostante la fama, lei non cambia stile di vita, tantomeno si monta la testa; molto più semplicemente e con esemplare coerenza, continua a vivere modestamente.

Fino a quando il suo cuore si ferma per le complicanze di una pleurite; il 19 settembre 1954, a poche settimane dal compiere 75 anni.

Ha disposto che la notizia non appaia sui giornali e le sue ceneri siano disperse nelle acque del Jounama Creek, fiume che dalle montagne scorre a sulle terre di Talbingo e che la riporta dritta agli anni dell’infanzia.

La sorpresa piomba mesi dopo, all’apertura del testamento. Quando il più grande dei suoi misteri è svelato: in banca aveva accumulato una fortuna da destinare a un premio letterario annuale, che porti il suo nome e sia degno del continente australiano.

Una giuria di 5 persone deve assegnarlo all’opera che meglio rappresenta la vita in Australia, sotto qualsiasi aspetto e in qualunque epoca.

Convinta della necessità di dare risalto alla letteratura nazionale (e svincolarla dalle influenze inglesi e americane) Stella aveva sempre rinunciato a tutti gli agi e al superfluo, mettendo da parte un tesoro immenso.

Il Miles Franklin Literary Award oggi è uno dei premi più ricchi del pianeta, nonché quello letterario più prestigioso ed ambito del Commonwealth.

Il primo scrittore australiano ad ottenerlo, nel 1957, è stato Patrick White, in seguito vincitore anche del Premio Nobel per la letteratura.

Ed ora c’è anche lo Stella Price, premio da assegnare alla migliore opera dell’anno scritta da una donna

 

Miles Franklin “La mia brillante carriera” -elliot- euro 17,50

Dietro il nome apparentemente maschile si cela proprio lei, la più grande scrittrice australiana, Stella Maria Sarah Miles Franklin; potremmo anche definirla, mecenate delle patrie lettere post mortem.

La prima ad aver posto le basi di una letteratura che scandaglia e fa conoscere al mondo intero il cuore più autentico e profondo del suo sconfinato e spettacolare paese.

Ha iniziato a scrivere questo romanzo a 16 anni, l’ha finito a 20 e pubblicato a 22, nel 1901.

Protagonista è il suo alter ego, Sybilla Melvyn, che le somiglia praticamente in tutto: tipo di famiglia, il Bush nel quale vive, la passione per la scrittura, l’anelito alla libertà, il rifiuto dei rigidi canoni dell’epoca vittoriana, la ricerca di un femminismo molto personale (quando il movimento non era ancora neanche nato).

Sybilla è la figlia dell’affascinante Richard Melvyn, proprietario terriero e allevatore, “uno che conta”, e dell’aristocratica Lucy Bossier di Caddagat.

La piccola è cresciuta nel Bush, ama cavalcare e non sa cosa sia la paura.

Poi il padre ha dovuto fare i conti con l’allevamento poco remunerativo, si è dedicato alle aste del bestiame e le cose sono andate di male in peggio.

Nel romanzo tocchiamo quasi con mano la fatica di vivere cotti dal sole, logorati dalla fatica, la strenua lotta contro la siccità e gli altri ostacoli di una terra bellissima, ma che lancia sfide continue.

E’ questo lo sfondo su cui cresce la protagonista, che si ribella alle due sole opzioni che si profilano all’orizzonte di una ragazza: matrimonio o insegnamento.

Una svolta c’è quando, per alleggerire la famiglia di una bocca in più da sfamare, Sybilla viene ospitata nella tenuta della nonna.

Ed è lì che, grazie all’affetto e alle attenzioni soprattutto della dolcissima zia Helen, la giovane trova poco a poco più sicurezza in se stessa ed impara un nuovo modo di affrontare la vita.

Non è bella secondo i soliti canoni, ma ha il fuoco dentro, e per chi sa vedere più in profondità, traspare; è questo a renderla particolarmente affascinante.

Sicuramente lo pensa l’attraente e ricco proprietario terriero Harry Beecham, che la corteggia.

Sybilla non gli è indifferente; ma quando lui le propone di sposarlo, ecco l’amletica scelta tra un rassicurante futuro convenzionale oppure la brillante carriera che sogna da sempre.

Da questo famoso classico della terra dei kangaroo è stato tratto l’omonimo film diretto da Gillian Armstrong, nel 1979, interpretato da Sam Neil e Judy Davies, sullo sfondo di incantevoli scenari tipici dell’Australia; che incantarono pubblico e critica quando la pellicola concorse al 32 Festival di Cannes.

 

Robert Hughes “La riva fatale” -Adelphi- euro 23,00

A lungo, per i cartografi, l’Australia non è esistita; o meglio, si sapeva di un continente australe, ma è solo con una spedizione nell’Oceano Pacifico che si apre una nuova frontiera.

Il capitano Cook nell’aprile del 1770 sbarca nell’odierna baia di Sidney ed accerta una volta per tutte la reale presenza di quella sconfinata terra.

Però dopo la scoperta dell’Australia da parte dell’Impero Britannico, per quasi 20 anni la Corona sembra dimenticarsene.

Di fatto, la storia dell’Australia inizia il 26 gennaio del 1788, con l’arrivo della flotta di 11 vascelli inglesi, che gettano l’ancora a Botany Bay. A bordo ci sono1030 persone, ma poiché 800 di loro sono galeotti in catene, possiamo considerarle una sorta di tante arche di Noè della criminalità.

Le oltre 700 pagine di questo libro –tra romanzo storico e saggio- raccontano una storia di grande sofferenza e dolore; di fatto, l’espulsione di interi gruppi di persone “indesiderabili”. Non esattamente un bell’inizio, ma da quello è sorta una strabiliante nazione.

L’ultima nave di deportati sbarcherà nel 1868. E nell’arco di tempo tra i due approdi, l’Australia si configura come immenso penitenziario; sede del primo esperimento di deportazione di massa, attuato dal mondo cosiddetto civile.

E’ dalla scoperta dell’America nel 1492 che l’Inghilterra esiliava i suoi delinquenti a scontare le pene nelle colonie oltreoceano.

In Australia, secoli dopo, l’opera sarà più massiccia e cruenta.

Soprattutto, trasformerà un intero continente inesplorato in una prigione dove scaricare 200.000 “pezzi da galera”.

In questo modo i tribunali britannici escogitarono il “sistema” per ripulire la società da chi ritenevano: derelitto, irrecuperabile, rifiuto umano.

Le pene più severe –incluse le condanne a morte tramite impiccagione- vennero convertite nella deportazione dall’altra parte del globo.

Inoltre l’Australia era anche la colonia ricca di nuove materie prime preziose. Le cose poi non furono tanto facili; a partire dalla natura stessa dei luoghi, rivelatisi spesso impenetrabili, difficili ed irti di pericoli.

Nel corso degli anni il paese si configurò come gigantesca prigione a cielo aperto. I condannati sopravvissuti al durissimo viaggio finivano in campi simili a lager; dov’erano sottoposti a duro lavoro, privazioni e torture di ogni genere.

Stessa sorte toccò agli abitanti autoctoni, gli aborigeni australiani che, come i nativi nord americani, furono decimati e spodestati.

Nel testo di Hughes sono documentate le condizioni dei deportati, molti dei quali erano bambini.

Le donne, a loro volta, erano prigioniere dei prigionieri; ma, peggio di tutti furono trattati gli aborigeni, soprattutto i tasmaniani che, da veri padroni del continente precipitarono all’ultimo livello della scala sociale, considerati meno di nulla.

Chi ce la faceva, come gli ex carcerati, dopo aver scontata la pena, si inseriva nella società dei coloni “senza macchia” e in un sistema conservatore, improntato a uno snobismo di stampo provinciale.

Per esempio si scimmiottava la tradizionale caccia alla volpe della madre patria; solo che, in mancanza della fulva preda britannica, si rincorrevano gli australiani dingo.

Dunque, per i primi 80 anni dopo l’arrivo degli inglesi l’Australia fu sostanzialmente un pozzo nero, la cui fine fu decretata dall’approdo dell’ultima nave nel 1868.

Nel frattempo, era cresciuta una florida nazione in cui gli scambi erano stati continui, l’economia in piena crescita e sviluppo.

Tuttavia, l’Australia moderna sembrava voler dimenticare le origini, intrise di sangue e dolore; quasi si vergognasse delle sue radici che ramificavano nelle lontane galere inglesi.

Nel 1987 sarà proprio un australiano a pubblicare “La riva fatale”, mastodontico libro sull’insediamento e la costruzione dell’Australia. Lo scrittore, critico d’arte e storia, documentarista televisivo, Robert Hughes (nato a Sidney nel 1938, morto a New York nel 2012).

Ha fatto ricerche approfondite e vastissime in più campi: dall’economia alla politica, dalla storia militare alla zoologia, passando per le antiche tecniche di costruzione delle navi e il supporto di documenti importantissimi.

Si è avvalso di centinaia di testimonianze, dati e fonti che hanno restituito voce ai tanti disgraziati che furono i primi bianchi a vivere sul suolo Australiano.

Dunque un testo fondamentale –di scorrevole lettura, nonostante la mole- per chi vuole conoscere a fondo questo immenso ed affascinante angolo di mondo.

 

 

Patrick White “L’esploratore Voss” -Mondadori- euro 15,00

Patrick White è ritenuto il fondatore del romanzo australiano moderno, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1973 (uno dei più misconosciuti tra i Nobel, e neanche lo ritirò di persona).

Era nato a Londra il 28 maggio 1912 e dopo solo 6 mesi la famiglia tornò in Australia; la sua infanzia fu segnata da una grave forma di asma che lo costrinse ad una forzata solitudine e contribuì a formare il suo carattere schivo ed introverso.

Sviluppò una notevole immaginazione; l’isolamento fu sopportabile perché leggeva, scriveva, esplorava e scopriva l’amore per il teatro.

Crescendo non si distinse negli studi, avrebbe preferito dedicarsi solo alla scrittura; in seguito per un po’ fece l’allevatore di pecore e bovini.

Alla morte del padre, ebbe la fortuna di ereditare una somma che gli permise di mantenersi e dedicarsi tranquillamente alla sua vera passione.

L’esploratore” del 1957 è considerato il suo capolavoro, ma va ricordato che White è stato un intellettuale controverso. Aveva fama di uomo burbero, scostante, autore difficile che scriveva in modo criptico, per lo più troppo indecifrabile e faticoso da leggere.

L’esploratore” narra proprio la storia di un esploratore tedesco, Johann Ulrich Voss, deciso ad intraprendere la pericolosa scoperta dell’entroterra australiano.

L’opera trae ispirazione dalla seconda perlustrazione realmente effettuata nel 1848 dall’esploratore tedesco Ludwig Leichardt all’interno del continente australiano, e di lui si persero le tracce.

Nel romanzo, il protagonista Voss risulta un personaggio bizzarro, complesso, megalomane, spinto non solo dalla curiosità di scoprire terre e natura nuove, selvagge e inesplorate. La sua spedizione, più che geografica, trascende l’elemento fisico ed insegue piuttosto una connessione spirituale.

Il suo si configura prima di tutto come viaggio interiore, cammino di sofferenza verso la crescita come persona e sconfina in ricerca del senso dell’universo.

Importante sarà l’incontro e la comunicazione spirituale con la sensibile Laura Trevelyan. Ma non è previsto il lieto fine. Piuttosto nel romanzo emerge la spettacolare ambientazione australiana; la natura selvaggia e la storia della sua esplorazione.

La strafottenza di un ciociaro

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Internet ha ripreso la figura di   A n a c l e t o   V e r r e c c h i a   diventato per l’occasione persino aforista, malgrado l’irruente verbosità ciociara di quello che su Wikipedia è  definito addirittura filosofo. Capisco che, come diceva Tolstoj, tutti i morti sono belli , ma a distanza di 13 anni dalla morte va usato un metro di giudizio almeno veritiero, se non del tutto distaccato. Mi fecero conoscere V e r r e c c h i a  i professori Francesco Prestipino e Paolo Rocc , suoi colleghi in  una scuola media torinese di Borgo Vanchiglia. Quindi il dato biografico che andrebbe ricordato è che fu insegnante di materie letterarie nella scuola media. In tempi successivi ottenne di insegnare nelle scuole italiane all’estero, che erano spesso in sedi disagiate  Insegnò nella scuola italiana di Vienna, ma l’incarico di addetto culturale è cosa totalmente diversa perché riservata al personale diplomatico. Gli unici non diplomatici erano e sono i direttori degli istituti italiani all’estero, ma  V e r r e c c h i a  non è mai stato direttore di istituti italiani all’estero. Non so dove e come si laureò in Germanistica. Credo che si fosse laureato in materie letterarie forse al Magistero o alla Facoltà di lettere. Una volta parlai incautamente  di lui a due germanisti  universitari -tra cui  il grande Cesare Cases  – si dissero  indignati nell’ apprendere che  V e r r e c c h i a  si presentasse come un germanista. Le sue opere, sempre a metà strada tra la storia, la letteratura e qualche reminiscenza filosofica, dimostrano che saltello’ in modo disordinato e dilettantesco da Nietzsche  di cui scrisse dell‘impazzimento torinese, suscitando critiche negativissime da Vattimo e da Navarro) a Giordano Bruno, a Schopenhauer,  per giungere perfino a Wagner. Volendo nobilitarlo,  V e r r e c c h i a  fu un poligrafo, spesso superficiale, quasi  sempre settario perché il suo anticristianesimo  e il suo greve anticlericalismo di stampo primo Novecento erano sufficienti a screditare in termini scientifici  i suoi scritti. Non bastava dirsi anti cristiani per essere seguaci di Nietzsche, mi disse una volta Oscar Navarro  che mi citò ironicamente  la signorina Felicita che Gozzano mise in versi,  facendo rimare insieme le camicie da stirare  con Nietzsche.  V e r r e c c h i a  non  venne mai invitato a convegni scientifici e i suoi lavori sono meramente divulgativi. Non ci sarebbe nulla di male nel divulgare. Anch’io
faccio anche  il divulgatore, ma la sua supponenza che rasenta, a volte persino il comico, rende intollerabile il personaggio.  Cito  tre suoi  aforismi: “Un Dio crocifisso è paradossale, un Dio circonciso è ridicolo“. “Il cervello degli italiani è impastato male“. “Cimiteri: discariche umane“. Tre esempi bastano e avanzano. Per valutare V e  r r e c c h i a  applicherei a lui un suo aforisma che condivido : “Il modo migliore di saggiare la sostanza dei libri sarebbe quello di metterli in infusione ,così come si fa con certe erbe“. Dopo “l’infusione” i suoi libri non si trovano neppure più sulle bancarelle e nessuna enciclopedia seria ha scritto di lui. Il “germanista“ si definiva amico di Prezzolini per averlo intervistato e avrebbe voluto far  credere di esserne addirittura  l’erede. Prezzolini in persona negò questa amicizia, quando io andai a trovarlo a Lugano. Il direttore de “ La Stampa” Gaetano Scardocchia, che gli fece scrivere qualche articolo, si accorse di aver preso una cantonata e il suo successore Paolo Mieli troncò la breve collaborazione. Potrei ancora continuare, ma mi fermo, augurandomi che questo articolo, scritto in un momento di pausa feriale, possa evitare in futuro beatificazioni  immeritate e inadatte ad un “Anticristo”. Nessun editore oggi ripubblicherebbe i suoi libri datati, oltre che superficiali, composti di facili battute più che di ragionamenti pacati e documentati da letture approfondite e  adeguate.

 Bardonecchia, linguaggi artistici multidisciplinari con “Narrazioni parallele”

Lunedì 4 agosto, al palazzo delle Feste di Bardonecchia,  si aprirà la prima edizione di una nuova voce nei festival itineranti estivi con “Narrazioni parallele”, un evento innovativo che fonde linguaggi diversi, quali la danza, il circo contemporaneo, le arti visive, la musica e il teatro, su diverse latitudini, tra montagne e città.
Per tre giorni, dal 4 al 6 agosto, il Palazzo delle Feste sarà  il cuore pulsante del Festival. Lunedì 4 agosto alle 21 il festival debutterà con “Virtual Reality”, il nuovo spettacolo dei Dekru, i mimi ucraini eredi spirituali di Marcel Marceau. Con un notevole virtuosismo fisico capace di commuovere, i Dekru esplorano il rapporto tra la componente corporea e quella digitale. Garantito il divertimento, attraverso gag che fanno uso esclusivo del corpo, lo show associerà l’arte del mimo, molto antica, alle nuove espressioni del XXI secolo, quali le storie su Instagram o i balletti su Tik Tok.

Martedì 5 e mercoledì 6 agosto si terrà il debutto nazionale assoluto della celebre compagnia francese Les Farfadais, un valido punto di riferimento nel panorama europeo del nuovo circo. Il loro spettacolo, dal titolo “Envol” accompagna gli spettatori in un universo onirico, rappresentato da un cantiere incompiuto, popolato di creature magiche, misteriosi suoni e giochi di luce. Si prospettano acrobazie spettacolari e invenzioni sceniche straordinarie, che hanno fatto riscuotere a Les Farfadais un successo con oltre 150 repliche in tutta Europa.

‘Narrazioni parallele’ si trasferirà poi a Fenestrelle, dove il 10 agosto la cantautrice Cristina Donà sarà accompagnata dal polistrumentista Saverio Lanza e insieme all’antropologa Elena Dak darà vita alla serata dal titolo “La Musa e l’orizzonte”.

L’11 e il 12 agosto andranno in scena I fantasmi di Fenestrelle e una  lettura inedita tratta dal Macbeth di Shakespeare, che diventerà il monologo “Lady Macbety- God Save the Queen”.

La chiusura del festival avverrà  a Torino e sarà affidata alla Fondazione Merz, con diversi eventi di teatro subacqueo, performance musicali il 19 e 20 settembre prossimi.

Mara Martellotta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Riconoscere la Palestina? – Mario Soldati e la lettura – Lettere

Riconoscere la Palestina?
Il valore e il fine  supremo a cui guardare in tempi di guerra  è sempre la pace. Ma non sempre la pace è giusta. Questo insegna la storia. E‘ auspicabile anche se improbabile un reciproco riconoscimento tra Israele e Palestina e l’atteggiamento della Lega araba che si dissocia da Hamas è un fatto importante, ma forse non sufficiente. Ha scritto uno dei miei più cari amici Salvatore Vullo  sui social: “La Lega araba invita Hamas ad arrendersi. E l’Occidente codardo si piega ad Hamas“. E’ una riflessione che condivido. La fuga in avanti di Macron rivela la quasi nulla caratura politica del presidente francese che vuole distrarre cinicamente l’attenzione sul fatto che il suo governo non ha una maggioranza. Molto meno comprensibili sono l’Inghilterra e altri che danno il colpo di grazia alla politica estera dell‘Occidente. Riconoscere la Palestina senza la reciprocità è assurdo. E poi c’è da domandarsi a chi andrebbe rivolto  il riconoscimento di uno Stato che non c’è, malgrado il riconoscimento anomalo come “Stato non membro“ dell’Onu del 2012.
Esiste dal 1994 l’Autorità Palestinese che svolge, con grandi difficoltà (provocate da  Hamas) limitate funzioni di governo. Non mi appiattirò mai sull’antisemitismo del teologo (si fa per dire) Mancuso e sulla storica  Anna Foa diventata filo palestinese. La situazione nella Striscia è drammatica, ma non  può far perdere la testa come sta accadendo in questi giorni di confusione. Israele non può essere difesa per partito preso, ma pretendere l’arretramento dello Stato ebraico su confini precedenti alla guerra del 1967 è storicamente ingiusto e politicamente sbagliato.
Quei territori sono quelli risultanti dalla vittoria di Israele sugli Stati  aggressori che già nel 1967 si proponevano la eliminazione dello Stato israeliano. L’Aurorità Palestinese  prima di essere riconosciuta, va ricostruita.
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Mario Soldati e la lettura
Mario Soldati non fece solo il viaggio televisivo “Alla ricerca dei cibi genuini nella Valle del Po“, ma nel 1960 effettuò – con la collaborazione esterna di Cesare Zavattini (personaggio assai discutibile) – un viaggio da Marsala a Quarto dei Mille ripetendo al contrario l’impresa di Garibaldi. Soldati amava il Risorgimento e nel 1961 si dedicò totalmente a Italia 61 a Torino. Rai Storia ha riproposto alcuni spezzoni delle 8 puntate del viaggio soldatiano, non sempre scegliendo il meglio. Il tema  conduttore dell’inchiesta di Soldati era la lettura e la non lettura degli italiani che nel ‘61 erano ancora analfabeti per una  percentuale  dell’8,3  per cento che, a 15 anni dalla fine della guerra, non era poi un dato così drammatico. Soldati interrogando da Sud a Nord tanti intervistati mise in luce come la lettura fosse il punto debole dell’Italia che si apprestava a festeggiare il suo centenario di vita. Non a caso Mario insisteva sul “fare gli Italiani” di d’Azeglio ancora non realizzato se non parzialmente. Parlai con Mario di quella trasmissione che non ebbe il successo della prima perché parlare di libri non era come parlare di cibi. E con il senno di poi arrivammo alla conclusione che la piaga già allora era l’analfabetismo di ritorno come poi si sarebbe definito in tempi successivi.
Già allora esistevano le biblioteche e persino quelle ambulanti volute dal ministero della PI. Ma Soldati volò alto come al solito. Parlò della spedizione di Garibaldi in Sicilia e risalendo lo stivale si fermò  Capo Palinuro leggendo qualche verso in latino (traducendolo poi in italiano) del canto V dell’Eineide dove si racconta il naufragio dei fuggitivi da Troia. A Napoli ricorda le tombe di Leopardi e di Virgilio con le  immagini  di un degrado circostante che documentò visivamente.  E fece sosta a Palazzo Filomarino dove abitò Croce con la sua famiglia. Tanti anni dopo andammo insieme a trovare Alda Croce, la figlia prediletta del filosofo e amica sincera di Mario fin dai tempi delle estati a Bardonecchia. In Toscana evita Firenze e si ferma a Grosseto e soprattutto a Pontremoli, luogo originario di tanti librai che creeranno il Premio Bancarella. Quando ebbi il premio Pontremoli nel 2017 lo dedicai alla memoria di Soldati tra gli applausi del pubblico. Soldati ripetè più volte il concetto che “un uomo che legge ne vale due“. Fece concludere l’ultima puntata da Quasimodo, fresco del Nobel, che fece una conclusione un po’ sconclusionata. Lui-  con un diploma di istituto tecnico che però  ebbe l’ardire di tradurre i classici senza conoscere né il latino ne’ il greco – si scagliò sulla scuola “ umanistica non più sufficiente “ non si sa a che cosa. Incominciò dopo pochi anni la crociata contro la scuola classica con don Milani e il ‘68 . Soldati in più occasioni seppe difendere il liceo classico e scrisse un’apologia dei “Promessi sposi“ che volevano eliminare dai programmi scolastici. Gli operai poco scolarizzati e solo in minima parte lettori intervistati da Soldati erano mille volte meglio dei contestatori che scambiarono il facilismo negli studi per cultura che venne ridotta a una serie di slogan. Anche di questi formidabili personaggi parlai spesso con lui, che prese sempre le distanze dalla demagogia di una finta cultura fatta di cattivi maestri e di pessimi libri. Spesso sui libri ebbe la meglio il ciclostile.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Finalmarina
Quest’anno sono andata  in vacanza a Finale Ligure, la vecchia adorabile Finalmarina, dove andavo da bambina. Dopo anni sono tornata  e da modesta cultrice di storia ho notato alcune cose che mi hanno infastidito. Innanzi tutto le condizioni del famoso arco di piazza Vittorio Emanuele: alla base dell’arco non sono state neppure rimosse scritte dei soliti vandali. Nella stessa piazza, mentre hanno restaurato il busto dedicato al maresciallo Caviglia, finalese vincitore di Vittorio Veneto, appare poco leggibile la lapide sottostante. Del tutto illeggibile la lapide nella via principale dedicata agli eroici fratelli mazziniani Ruffini. E’ anche la città prediletta di Carlo Donat Cattin. Ho dato un’occhiata  alla libreria locale “Centofiori”  che presentò in passato  alcuni suoi libri. Ho  visto i libri in esposizione:  da Saviano a Carofiglio. Tutti autori schierati. Volevo acquistare un libro da leggere in spiaggia, ma i titoli proposti non erano di mio gradimento. Non mi sono stupita di non aver visto esposto il suo ultimo libro che sto leggendo con piacere  in questi giorni di riposo.  Francesca Chignoli
Concordo sul fatto che i monumenti di Finale siano poco curati. I tempi di certi sindaci sono lontani. Il Maresciallo Caviglia meriterebbe un grande ricordo a 80 anni dalla sua morte avvenuta a Finale. Non mi risulta che abbiano organizzato qualcosa in proposito.  Se Vittorio Emanuele III dopo il 25 luglio 1943 avesse nominato Caviglia e non Badoglio capo del Governo, la storia italiana avrebbe preso un’ altra piega. Mi fa piacere che ricordi Carlo Donat Cattin lo vedevo a Finale nella casa della mamma, la contessa Buraggi. La libreria locale non merita particolari attenzioni. E‘ un emporio di conformismo e oppio ideologico, come direbbe Aron. Buona vacanza. Spero che il mio libro non la annoi  troppo. Alcune pagine sono perfino divertenti e dissacranti.
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Lo jettatore
Marcello Veneziani ha scritto un bell’articolo estivo  sulle superstizioni  e sullo jettatore a cui dedicò una novella e un testo teatrale Pirandello.  Ho saputo che un mio vicino di casa al mare  ha fama di jettatore  a Torino. In effetti, pur per mia fortuna incontrandolo poco, vedevo in lui qualcosa di sinistro: uno che porta male. Lei cosa ne pensa?    Rino Ansalone
Non mi sono mai interessato di superstizioni e meno che mai di jettatori, ma di vicini di casa fastidiosi che arrecano danno ho una certa esperienza. Leggerò Veneziani che apprezzo molto e che mi stupisce leggendo che scrive anche di certi temi molto sentiti soprattutto al Sud. Dicono che anche Croce fosse un po’ superstizioso.

Al castello di Rivoli l’ampia retrospettiva dedicata a Enrico David: “Domani torno”

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Il castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea presenta a partire dal 30 ottobre 2025 l’ampia retrospettiva dedicata a Enrico David, artista nativo di Ancona nel 1966, dal titolo “Domani torno”.

La mostra, curata da Marianna Vecellio, offre una panoramica articolata sulla ricerca dell’artista  che include pittura, opere tessili, disegno, scultura e installazioni ambientali, esplorando la dimensione interiore dell’uomo contemporaneo.
Il percorso espositivo è stato progettato appositamente per la Manica Lunga e alterna figurazione e astrazione, e si concentra sul corpo come metafora della trasformazione.
In un allestimento che richiama la scenografia teatrale e i display del design, la mostra ripercorre le tappe della produzione di David, includendo nuove opere realizzate per l’occasione. “Domani torno” rappresenta un racconto personale e al tempo stesso artistico, dalle origini ad Ancona al trasferimento a Londra nel 1986, l’esposizione segue la nascita di una pratica fondata sulla ricerca di uno spazio linguistico in cui esistere.

Attraverso media differenti, David affronta la figura umana quale luogo di metamorfosi e riflessione. Il disegno assume un ruolo centrale come linguaggio capace di tenere uniti a sé gli altri, poiché, afferma l’artista “lo spazio del sogno e lo spazio del disegno sono infiniti”. Molte opere nascono dall’esigenza di elaborare esperienze traumatiche, come la perdita improvvisa del padre.
“La creatività è per me un’opportunità di cambiare le circostanze del dolore – afferma David – una redenzione, una destinazione altra rispetto allo star male. L’arte è ciò che rende la vita più  vivibile. A partire dalla fine degli anni Novanta, le installazioni di David diventano veri e propri mondi interdisciplinari, palcoscenici visionari che intrecciano cronaca, memoria, cultura popolare e retorica teatrale. Ne sono un esempio opere quali “Madreperlage” del 2003, Absuction Cardigan del 2009 e Ultra Paste del 2007, in cui l’artista porta in scena dispositivi scenografici carichi di tensione emotiva e simbolica.
Nel corso del tempo la pratica artistica si è  evoluta verso una crescente sintesi formale, culminando in una produzione scultorea che approfondisce il tema del volto come luogo di relazione e conoscenza. A partire dalla mostra del 2014 intitolata “Life Sentences” David ha indagato il volto con una resa materica e iper espressiva, modellandolo in cera per evocare emozioni e intensità.

Tra le sue opere in mostra “Tranches to Reason” del 2021, due forme sospese che fondono geologia e tecnologia; “Tutto il resto spegnere”, presentata al Padiglione di Venezia  nel 2019, e studi dell’artista sulla scultura, in opere come “Sign for lost Mountaineers Hair Grooming Station” del 2004, “Pebble Lady” del 2014 e “Racket II” del 2017.
Numerosi sono i disegni, una selezione di nuove produzioni tra arazzi, grandi pitture, ricami su tela e la serie dei teatrini, realizzati dal 2005 ad oggi, che completano l’esposizione.
“In un tempo dominato dall’intelligenza artificiale e dalla smaterializzazione digitale, l’opera di Enrico David costituisce una dichiarazione di resistenza alla decodificazione e un inno al corpo fisico, all’esperienza sensibile e alla forza dell’immaginazione – afferma la curatrice della mostra Marianna Vecellio.

L’esposizione propone una riflessione sull’identità contemporanea,  in particolare sul rapporto tra corpo, genere e percezione di sé. “Nel mio lavoro il genere ha una sorta di inconscia irrilevanza – afferma l’artista – le identità si sfiorano, si scambiano, si rimettono in discussione”.
“Domani torno” rappresenta così un invito a riappropriarsi del proprio immaginario, un’esplorazione visiva e concettuale sull’essere umano in continua evoluzione e trasformazione.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue inglese-italiano pubblicato per i tipi di Walther König. L’esposizione sarà  anche l’occasione per presentare in Italia “Untitled”, opera del 2024-2025 prodotta dal Castello di Rivoli Museo di Arte contemporanea in collaborazione con il Kunsthaus Zurich grazie al sostegno della Direzione generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, nell’ambito del programma Italian Council 2025.

Mara Martellotta

Castellamonte diventa museo diffuso della ceramica 

Il 23 agosto 2025 tornerà la manifestazione storica della Mostra della Ceramica di Castellamonte, giunta alla sua sessantaquattresima edizione. Durerà fino al 14 settembre e sarà curata dal professor Giuseppe Bertero. Il pubblico che, fin dal lontano 1961, ha visitato la mostra della ceramica, si attende ogni anno di poter ammirare il meglio del settore in tutte le sue declinazioni, arte, design, artigianato e la Mostra della Ceramica edizione 2025 non deluderà certo le aspettative dei visitatori, grazie alle numerose proposte dell’arte ceramica, presentate in tutte le sue espressioni, sia nuove, sia classiche, uniche e originali.
Castellamonte vanta una tradizione ceramica antichissima in virtù dei giacimenti di argilla rossa presenti sulle colline limitrofe, che hanno condotto alla realizzazione, in diversi periodi storici, di importanti manufatti in ceramica, dalle stoviglierie povere alle ceramiche delle celebri stufe. La mostra prevede sedici punti espositivi, opere provenienti da 22 Paesi nel mondo, tutti tranne l’Oceania, e una programmazione parallela ricca di eventi, musica, arte  e sapori.

Centro pulsante della mostra sarà  palazzo Botton, dove si trova l’ormai consolidato concorso internazionale “Ceramics in Love”, giunto alla sua settima edizione. Vi sono esposte cento opere selezionate tra le migliori proposte italiane e internazionali  con una presenza sempre maggiore di artisti donne e di artisti asiatici. Verrà proposto l’omaggio alla Spagna, il Paese ospite di quest’anno, con 55 opere di tecnica sublime e di forte impatto visivo.
Palazzo Botton ospita, al piano nobile, la collezione permanente di ceramiche presenti nella Rocca Civica di Terra Rossa, con opere di artisti quali Enrico Baj, Arnaldo Pomodoro, Carlo Zauli, Nino Caruso, Alessio Tasca, Ugo Nespolo, Plinio Martelli, Stefano Merli. Al piano terra saranno esposte le opere selezionate nel concorso internazionale “Ceramics in love”. Saranno 120 gli artisti selezionati appartenenti a 21 nazioni diverse, che esporranno nelle sale.

Sta intanto prendendo forma un nuovo e importante allestimento,  costituito dalla Collezione Civica delle opere storiche, che rappresentano un primo passo verso un permanente processo di musealizzazione.

Tra le arcate del Palazzo Antonelli, sede del Municipio, trovano spazio le stufe di Castellamonte, che sono il simbolo autentico della mostra, e che evidenziano anche un’evoluzione artistica che dal classico giunge fino al contemporaneo. Le sculture monumentali in ceramica di artisti italiani e rumeni sono collocate nella Rotonda Antonelliana, che già ospitò la prima edizione della mostra nel 1961. Qui si collocano l’importante installazione collettiva denominata “Attraversamento Meridiano”, ispirata alla transumanza delle mucche podoliche, realizzata da Raffaele Pentasuglia e da ceramisti provenienti da varie località quali Castellamonte, Savona, Albisola Marina, Albisola Superiore e Celle Ligure.

Al Centro Congressi Martinetti sarà  esposta una selezione della prestigiosa collezione di fischietti, donata alla Città di Castellamonte da Mario Giani, artista in arte Clizia. Si tratta di un complesso di 2500 pezzi. Saranno poi esposti i fischietti del Concorso “Ceramiche Sonore”, giunto alla sua quarta edizione, all’interno dell’evento nazionale “Buongiorno ceramica”.
L’orto Sociale di Camillo è uno spazio nato grazie allo sforzo del settore socio-assistenziale della città e ospita opere capaci di coniugare  ceramica e sociale. Verrà esposta un’opera di Denis Imberti con il suo Collettivo Abracadabra. 15 autori operanti nel gruppo hanno realizzato i disegni, in totale 14, da cui hanno tratto ispirazione  per l’opera scultorea in ceramica dal titolo “Relazioni”.
Anche gli spazi espositivi privati costituiscono un’ampia fucina di arte. Alla Galleria Civica 10, Brenno Pesci espone l’opera intitolata “Regno animale “. Nel Temporary Shop di via Educ 20 le protagoniste sono Katia Gianotti e Maria Teresa Rosà, mentre Marta Jorio ed Elisa Tarantino sono le firmatarie della mostra “Dans ma jungle”. In via Educ 35 e piazza Martiri, l’Expo Collettivo ospita i lavori di Roberto Castellano, Francesca Formia, Luca Gris e Roberto Perino.
Molti gli eventi collaterali, cene a tema, festival, letture, incontri di lettura e laboratori.
Protagonista assoluta dell’edizione 2025 sarà  la Spagna, che, ospite d’onore, con opere uniche, sarà arricchita dalla grande installazione dell’Attraversamento Meridiano “.
Si tratterà tratterà un’edizione particolare, della consapevolezza sociale, testimoniata dal fatto che la consigliera Sonia Cambursano ha portato in Senato 30 scarpe rosse in ceramica, realizzate dagli artisti di Castellamonte contro la violenza sulle donne.

Mara Martellotta

50 anni di ‘Stasera che sera’ con Carlo Marrale, Silvia Mezzanotte e tutte le hit dei Matia Bazar

Al via il nuovo tour

Anteprima nazionale a Caramagna Piemonte (CN) il 26 settembre alla Tenuta ‘Lago dei Salici’ che con loro inaugura la nuova ‘Area Concerti’ da 1.200 posti a sedere. Prevendite aperte su www.ticket.it.

Stasera che sera’, il primo, grande successo dei Matia Bazar targato 1975, compie 50 anni. Da allora, di strada continua a macinarne ancora. E per l’occasione diventa un tour celebrativo che prenderà il via, con una gustosa e altrettanto attesa anteprima nazionale, proprio dalla provincia di Cuneo e poi in tutta Italia.

Protagonisti assoluti sul palco Carlo Marrale e Silvia Mezzanotte pronti a raccontare, tra musica e parole, tutti i più grandi successi nei Matia Bazar.

Una festa in musica – unica data nel Nord Italia – quella che i due noti artisti, ora ex membri della storica band ligure, terranno venerdì 26 settembre alle 21.30 alla Tenuta ‘Lago dei Salici’ di Caramagna Piemonte (CN) fondata nel 1995 e giunta quest’anno al suo 30° compleanno: che, con loro, inaugura la nuova ‘Area Concerti’ destinata ai grandi eventi di musica dal vivo a due passi da Torino, Cuneo e Asti con possibilità di unire alla buona musica anche un’ottima cena seduta.

Uno spazio inedito d’incantevole fascino all’interno di una location mozzafiato con un lago navigabile al centro di un parco verde di ben 12mila metri quadrati fioriti, sentieri per passeggiate e ampio parcheggio.

Un appuntamento e un contesto imperdibili entrambi per celebrare canzoni senza tempo come ‘Vacanze Romane’, ‘Ti Sento’, ‘Solo Tu’, ‘Cavallo Bianco’, ‘Per un’ora d’amore’, ‘Dedicato a Te’, ‘Piccoli Giganti’, ‘Messaggio D’Amore’, ‘C’è tutto un mondo intorno’, ‘Brivido Caldo’ oltre alla pionieristica ‘Stasera che sera’ da cui tutto ebbe inizio.

Carlo Marrale e Silvia Mezzanotte saranno accompagnati da una band di formidabili musicisti.

Il Tour ‘Stasera…che sera! 50Th Celebration’ è prodotto da ‘Vie Musicali Eood’ in collaborazione con ‘Baldrini Group’.

Carlo Marrale, chitarrista, cofondatore, storica voce maschile dei Matia Bazar dal 1975 al 1994, nonché coautore di tutte le hit più famose, che con loro vinse Sanremo nel 1978 con ‘E dirsi ciao’.

Silvia Mezzanotte, frontwoman per oltre dieci anni dal 1999 al 2016, iconica voce della formazione ligure – unica, al pari di Antonella Ruggiero – ad averli riportati alla vittoria al ‘Festival della Canzone Italiana’ nel 2002 con ‘Messaggio D’Amore’. Brano divenuto a pieno titolo un evergreen dei Matia Bazar con l’altrettanto popolare ‘Brivido Caldo’ che prima, a Sanremo 2000, ne sancì il debutto al microfono come raffinata solista.

Io e Carlo abbiamo vissuto il mondo Matia Bazar in modo parallelo, ma in formazioni diverse. La prima volta che cantammo insieme ci siamo subito riconosciuti, come chi ha già fatto un pezzo di strada mano nella mano. Sono felice di celebrare questo grande capolavoro con lui insieme a tutti gli altri che ha contribuito a scrivere“, afferma entusiasta Silvia Mezzanotte.

Conservo un ricordo nettissimo del momento in cui è nata “Stasera che sera” – racconta Carlo Marrale – Era il tardo pomeriggio del 1° gennaio del ’75. Rientravo dalla festa di Capodanno organizzata con Cassano, Stellita, Antonella Ruggiero e altri amici. Appena arrivato a casa imbracciai la chitarra e, come se l’avessi sempre suonata, mi venne di getto tutta la prima parte…Quella melodia era il regalo che il nuovo anno mi portava. Mancava però uno special che elaborai dopo qualche giorno, in studio di registrazione. Come d’incanto iniziai a cantare le note che sentivo utili a completare la canzone, Aldo Stellita scrisse il testo in breve tempo e il brano era pronto: quasi senza saperlo, gettavamo le basi di una carriera lunghissima e di livello internazionale. Riascoltandola oggi a distanza di 50 anni, mi rendo conto che abbiamo davvero fatto un gran bel lavoro. Per questo motivo insieme a Silvia Mezzanotte, cui mi lega una sintonia artistica e umana uniche, abbiamo scelto di celebrarne i 50 anni: che coincidono con il primo mezzo secolo di vita dei Matia Bazar di cui entrambi abbiamo fatto parte”.

La serata sarà condotta da Maurizio Scandurra, giornalista e opinionista de ‘La Zanzara’ di ‘Radio24’, pronto a dialogare con la coppia Marrale-Mezzanotte in una scaletta ricca di sorprese insieme a Giovanni Riggio, il Capitano del ‘Lago dei Salici’. “Silvia e Carlo sono due amici. La voce, la chitarra e la firma del mondo Matia Bazar. Cuori autentici, artisti veri, ma soprattutto binomio d’anime pure al centro di uno spettacolo intenso e ritmato”, afferma Scandurra. “Avere con noi due degli storici protagonisti dei Matia Bazar dei tempi migliori è una gioia immensa, per me che sono cresciuto con le loro canzoni. Un modo per ricambiare in una serata-evento tutta l’emozione che continuano a regalare a quanti amano la musica italiana di qualità stimata anche all’estero”, chiosa Giovanni Riggio.

Biglietti in prevendita on line disponibili sino a esaurimento posti sul circuito www.ticket.it all’indirizzo, con possibilità di prenotare anche la cena selezionando l’opzione desiderata in fase di acquisto.

Maggiori informazioni telefonando allo 0172 89236, Whatsapp 392 0653237.
Lo spettacolo si terrà anche in caso di pioggia.