CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 603

Il Bene e il Male durante il periodo della Controriforma

La produzione artistica – pittura, grafica, scultura –  di Concetto Fusillo costituisce un vero archivio, come egli stesso ama dire, poiché scaturisce da una laboriosa e fruttuosa ricerca in archivi pubblici e privati divenuti intimo rifugio di uno studioso nutrito di cultura umanistica.

Spinto da viscerale desiderio mai esausto di conoscenza e assumendosi il compito di togliere dall’oblio fatti dimenticati, se ne appropria trasformandoli in occasione d’arte e concretizzandoli in pittura.

Ogni parola scritta nei documenti consultati diventa suggerimento di immagini, ogni piccolo segno o emozione scaturiti dalla lettura si trasforma in linea e colore dando vita ad uno stile particolare che unisce tradizione iconica a suggestioni d’avanguardia, ad azzardate accensioni fauve, a impalpabili rarefazioni informali e ad accenni di astrattismo.

Le opere, nate dalla curiosità di portare alla luce vari comportamenti tra il Bene e il Male durante il XVI e XVII secolo nel territorio acquese, hanno come protagonisti i preti e sono il risultato di una appassionata ricerca negli archivi della diocesi di Acqui, affrontando la dialettica esistenziale da sempre trattata da teologi, filosofi e letterati senza mai arrivare ad una regola definitiva universale.

Basta sintetizzare alcune interpretazioni per esemplificare come ogni affermazione sia inevitabilmente soggettiva: se gli stoici affermarono che le due entità sono entrambe essenziali perché se non ci fosse l’una non ci sarebbe l’altra, Platone si servì della suggestiva metafora del sole rivelatore delle cose per asserire che il Bene è l’Essere, il Male il non Essere, per sant’ Agostino è il libero arbitrio a determinare la scelta mentre per Leopardi tutto è male.

Fusillo non pretende di dare una soluzione, ciò che gli preme è dare corpo, attraverso la pittura, a persone e storie minori pressoché sconosciute riportando alla luce testimonianze, atti processuali, sentenze, credenze e aneddoti tratti dai documenti d’archivio.

Ne nasce un vivace e variegato mondo che ha per protagonisti preti pii e caritatevoli come il vescovo Pedroca incurante del contagio, morto nel curare gli appestati, o il misericordioso don Bottero che perdona chi l’ha ferito ma anche sacerdoti indegni come don Remuschio seminatore di zizzanie tra i parrocchiani e altri che agiscono per fini personali.

Più che comportamenti di male assoluto compaiono, in verità,  situazioni intermedie e personaggi grotteschi: l’arciprete pauroso che si rifugia in camicia da notte sui tetti della canonica spaventato dai ladri, il prete rubagalline, l’iracondo chierico Panaro che imbraccia disinvoltamente lo schioppo, il frate zoccolante, pseudo esorcista, che inganna il popolo con filtri magici, il sacerdote che durante il carnevale balla vestito da donna, a dimostrazione che neppure il clero è esente da debolezze umane.

Si diventa spettatori di un variopinto teatrino sul cui palco sono posti in primo piano i preti intorno a cui ruota la società di quel tempo tra signorotti, contadini, ciarlatani, creduloni, feste carnevalesche, superstizioni, stregonerie e processioni senza peraltro scadere in semplici bambocciate.

Non si tratta di una facile pittura di genere, aneddotica e ripetitiva di scene popolari riprese dal vivo bensì di una pittura colta, rivelatrice di una realtà più che vista assimilata, rielaborata e indagata negli aspetti complessi, nascosti al di sotto dell’apparenza e comunicata attraverso deformazioni che si avvicinano all’espressionismo e al primitivismo.

Non essendo ininfluente il luogo in cui viene presentata la mostra, qualora vi siano legami tra questa e il tema proposto, il Museo di Moncalvo è pertinente al periodo trattato tra il XVI e XVII secolo essendo ubicato nell’ex convento delle Orsoline fatto costruire da Guglielmo Caccia, massimo esponente piemontese della pittura controriformistica.

Qui la figlia Orsola, pittrice e badessa portò avanti la scuola paterna, fedele ai dettami del Concilio di Trento che affidava agli artisti il compito di diffondere le sacre scritture in modo efficace, decoroso, comprensibile per recuperare chi si era allontanato dalla chiesa nel periodo della riforma protestante.

Nella pinacoteca infatti si possono ammirare alcuni importanti quadri, in particolare i famosi vasi di fiori a cui la “Monaca pittrice” ha dato dignità di natura morta autonoma, non semplicemente con funzione decorativa di figure religiose bensì veri e propri veicoli simbolici di propagazione di fede cattolica.

Allo stesso modo il Castello di Casale Monferrato è stato confacente alla mostra su Federico II e la scuola poetica siciliana, da me curata nel 2014, nel rievocare i rapporti politici e privati tra il Regno di Sicilia e il Monferrato grazie al matrimonio tra il “Puer Apuliae, stupor mundi” e Bianca Lancia da cui nacque Manfredi.

In questo caso Fusillo, stabilitosi da anni in Piemonte ma nativo di Lentini, patria di Jacopo, ha elaborato una” Poesia dipinta” calandosi nel fervido clima culturale federiciano per dare corpo, attraverso le immagini, ai raffinati versi dei poeti che hanno dato luogo alla prima poesia scritta in dialetto siciliano ripulito e disgrossato da venature di latino e provenzale.

Adattandosi alla squisitezza dei versi l’artista ha usato colori delicati e sognanti, linee morbide e avvolgenti allusive al desiderio d’amore cortese dell’amante che anela l’attenzione della donna descritta come “bionda più c’auro fino, di claro viso” secondo una tipologia ben definita, spesso ritrosa e inaccessibile.

Al contrario, trattando la dialettica del Bene e del Male, le tinte si fanno dissonanti in azzardati contrasti, le linee taglienti nel rivelare situazioni e stati d’animo complessi indagati nel profondo al di sotto dell’apparenza fenomenica.

In entrambi i casi Concetto Fusillo raggiunge un risultato estetico e una compiutezza d’espressione riuscendo a unire indissolubilmente contenuto e forma, gesto lavorativo e energia formante

 

Giuliana Romano Bussola

 

Museo civico di Moncalvo 6 luglio – 29 settembre A cura di A.L.E.R.A.M.O ONLUS   sabato e domenica    10 -19    tel  327 7841338

 

 

 

L’isola del libro

La rubrica delle novità librarie

A cura di Laura Goria

Jeffrey Archer “Un segreto ben custodito. La saga dei Clifton n3”   -Harper Collins – euro 12,90

E’ la terza puntata della saga creata dal 79enne barone inglese Archer di Weston-super-Mare, personaggio poliedrico. Dapprima impegnato in politica (tra le file dei conservatori di Margaret Tatcher, è stato membro del Parlamento europeo e per 25 anni deputato alla Camera dei Lord); poi, a 70 anni suonati, si è dimostrato abilissimo nell’intraprendere una seconda carriera come scrittore. Drammaturgo, saggista, autore di racconti e soprattutto romanziere prolifico. La Saga dei Clifton (in tutto 7 romanzi) sciorina le alterne vicende di due famiglie –Clifton e Barrington- nell’arco di un secolo. L’idea madre era raccontare le vite, dall’infanzia fino ai 70 anni, dei tre personaggi principali: Harry (in cui Archer si identifica in parte) Giles ed Emma (ispirata alla moglie dell’autore). Il terzo capitolo (dopo “Solo il tempo lo dirà” e “I peccati del padre”) inizia a Londra nel 1945, con il voto alla Camera dei Lord per decidere chi debba ereditare la colossale fortuna dei Barrington. Sono in lizza Giles Barrington (figlio legittimo di Sir Hugo Barrington e sua moglie Elisabeth) e il suo presunto fratellastro, nonché miglior amico, Harry Clifton (probabile frutto del flirt tra Sir Hugo e Maisie, moglie di Arthur Clifton). L’ago della bilancia penderà a favore del figlio legittimo Giles. Ma ad Harry poco importa della mancata eredità; conta invece che finalmente possa sposare la sua Emma (sorella di Giles) e dedicarsi con successo alla carriera di scrittore. Genitori del difficile, ma dotato, Sebastian, pensano di dargli una sorellina e adottano (non senza fatica), Jessica; la bambina che era stata trovata accanto al cadavere di Sir Hugo Barrington e sua figlia illegittima. Giles invece è tutto preso dalla politica e dal suo seggio traballante alla Camera dei Comuni. Peccato che ad arpionare il giovane politico rampante sia un’arpia con le fattezze bellissime della blasonata Virginia: insopportabile, cattiva, snob e vendicativa. Si rigira Giles come vuole, semina zizzania in famiglia, arraffa tutto quello che può e finisce per riservare colpi bassi che non vi anticipo. Quando poi Giles viene escluso dal testamento materno…apriti cielo. Ma il romanzo riserva anche altre sorprese…per esempio il giovane Sebastian che cresce e si avvia alla carriera scolastica, combinando qualche guaio, assortito a risultati brillanti. Mentre Giles avrà il suo bel da fare con le rielezioni e ostacoli vari seminati sul suo cammino…..

 

Rossana Campo “Così allegre senza nessun motivo” –Bompiani- euro 17.00

Interni parigini, un gruppo di amiche molto diverse tra loro, ma con una passione comune per la lettura. Patti, lesbica 50enne e voce narrante, Manu, Lily, Alice, Yumiko e Sandra hanno fondato il gruppo di lettura “Les Chiennes Savantes”. Un club tutto al femminile in cui si disquisisce allegramente di romanzi, saggi e articoli rigorosamente scritti da donne, e se ne parla evitando “le discussioni accademiche maschili, pallose..”. Piuttosto, questo è un coro di 50enni disposte a farsi conquistare da una storia, collegando sempre le letture alle loro vite ed esperienze. Il romanzo diventa occasione per scoprire il vissuto di ognuna di loro, con debolezze e conquiste, stati d’animo, e amicizie anche all’esterno del gruppo. Dialoghi serrati, discussioni anche accese intorno a piatti particolari che a turno cucinano, innaffiati da vino e a volte lacrime, come quando parlano degli ex. Ma il più delle volte sorridono allegre mettendo a nudo pagine e vita vera, la loro. Al gruppo si uniscono, strada facendo, nuove amiche o si ripescano vecchi legami interrotti dalla lontananza e dalle incomprensioni. E’ il caso di Linda, detta Lola, l’artista che lavora su calchi di parti del corpo femminile. Appartiene al passato adolescenziale italiano di Patti, quando la loro sembrava un’intesa inossidabile: insieme marinavano la scuola, facevano progetti per il futuro e sognavano in grande. Poi qualcosa è successo e Linda è sparita dai radar; ed è la 2° persona ad aver abbandonato Patti. La prima era stata sua madre quando lei aveva solo 11 anni. E nel racconto si innestano pagine fitte di dolore e solitudine. Si parla anche di omosessualità, con l’apparire di un personaggio durissimo come la mamma di Ben (nuova amica di Patti) che non esita ad esprimere tutto il suo disprezzo per le tendenze sessuali della figlia. Che altro dire? Come perfettamente sintetizzato nel risvolto di copertina, aspettatevi e godetevi questa “polifonia al femminile, un mosaico di splendide donne che non hanno mai smesso di essere ragazze e continuano ad affrontare la vita con la tenacia, la caparbietà e il fuoco che da sempre le anima”

 

Fernando Aramburu “Dopo le fiamme “ -Guanda-   euro 17.00

Lo scrittore spagnolo 60enne Aramburu, vincitore del Premio Strega europeo 2018 con “Patria” – romanzo politico, sentimentale ed epico- ora narra le storie delle vittime e dei carnefici dell’Eta, nella raccolta di racconti “Dopo le fiamme”, pubblicato in Spagna anni fa. Sono 10 storie dedicate all’inferno, alla paura, alla sofferenza di persone e famiglie comuni che videro esplodere le loro esistenze con le bombe, gli agguati e gli attentati che hanno seminato morte e dolore indicibile, smembrato famiglie, creato orfani e vedove. Ne deriva un quadro del terrorismo basco e degli orrori perpetrati dall’Eta. Una guerra subdola e strisciante che ha colpito vittime innocenti, creando una fetta di umanità dolente che Aramburu ritrae con infinita empatia. Sono racconti che cadono come schegge, colpiscono e fanno pensare. L’autore è semplicemente magistrale nel descrivere la quotidianità delle famiglie prima degli attentati che spezzeranno per sempre le loro vite, seminando brandelli di corpi e tonnellate di orrore. Leggiamo il primo racconto “I pesci dell’amarezza” e sprofondiamo nell’impotente dolore di un padre. Sua figlia 29enne è stata vittima, per puro caso, di una bomba piazzata davanti a una banca; posto sbagliato al momento sbagliato… e la giovane ha perso una gamba. Dopo mesi di interventi chirurgici la riporta a casa dall’ospedale e assiste alla sua nuova vita- non vita, che trascorre passivamente osservando per ore i pesci dentro un acquario. Poi c’è la storia della vedova di un vigile urbano, che con i suoi tre figli è oggetto di continue minacce da parte dei vicini e dei compagni scuola, che li isolano come fossero degli appestati. Alla fine l’ostracismo vince, lei caricherà i mobili della sua vita e abbandonerà il paese in “..un misto di sconforto e compassione nel vedere che esistono persone convinte che per creare la patria dei loro sogni, si deve necessariamente causare dolore al prossimo. Persone avvelenate dall’odio”. E tra gli altri, toccante è il racconto “Il figlio di tutti i morti” in cui un ragazzino che ha perso il padre chiede alla mamma perché lo bacia sempre due volte…e lei raggela il lettore rispondendo “Uno è mio e l’altro di chi non ti ha mai potuto baciare”.

 

 

 

 

De Martino musicista eclettico

Ernesto De Martino, 57 anni, vive a Rueglio, nel Canavese. Musicista, compositore, esperto nelle dinamiche dell’età evolutiva ed involutiva ad indirizzo musicoterapistico, diplomato in contrabbasso al Conservatorio di Verona ha da tempo intrapreso ricerche sulla cultura tradizionale. Nel 2001 ha fondato i ‘Violini di Santa Vittoria’, quintetto classico che rivisita il repertorio tradizionale dell’Orchestra Bagnoli, ensemble attivo in provincia di Reggio Emilia sin dall’inizio del Novecento. Con la stessa formazione ha curaato gli arrangiamenti dei brani di Massimo Ranieri ‘O surdato ‘nnamurato’ e ‘Reginella’. Ci sono poi delle sue collaboraizoni con i Musici di San Giorgio di Valpolicella, il cd ‘Jchnusa’ dedicato alla Sardegna, collaborazion con Rai1, Rai2, Canale5, Teleradiosvizzera italiana, Radiovaticano e con autori come Mauro Pagani, Massimo Bubola ed altri.

Adesso ha portato a termine un nuovo progetto ‘discografico’ legato alla tradizione popolare piemontese, con ‘Bela Bergera’ che in italiano vuole dire ‘Bella Pastora’. “Sono cresciuto in Canavese – dice – vivo in un contesto sociale  legato alle tradizioni, è normale che ad un certo punto mi sia fermato per vedere qualcosa della mia terra. Ho deciso di chiamarlo ‘Bela Bergera’ perché ispirato dalla visione della foto di una mia amica su Facebook che fa la pastora insieme al suo compagno”. Il lavoro è un insieme di quattordici brani tratti dalla raccolta di Costantino Nigra e da altre registrazioni e documentazioni curate dal Coro Bajolese, Fondazione Enrico Eandi, Michele Straniero, Silvio Orlandi (quest’ultimo ghirondista di La Morra). “Essendo un lavoro in lingua piemontese – dice ancora De Martino – ho voluto eseguire i canti in lingua italiana, rispettando le traduzioni di Costantino Nigra, dal piemontese dell’Ottocento all’italiano per ottenerne la maggiore comprensione in tutta Italia.”. Per i canti ha seguito la linea di veglia, ovvero, prima del Novecento, ci si riuniva nelle stalle, nelle case, nei cortili e ognuno raccontava la sua storia. “In una lavoro precedente – spiega – ricordo di essermi incontrato in situazioni, a Viadana, dove c’erano problemi sociali di chi aveva perso qualcuno o non trovava lavoro, allora venivano eseguiti brani che erano eseguiti per elaborare il tema del lutto o quello del lavoro”.

L’autore fa poi una considerazione: “In un lavoro fatto in una casa di riposo ho scoperto che anziani cantavano canti della loro terra di origine, la Lombardia o l’Emilia, e questo grazie alla fabbrica che li aveva portati nell’Eporediese. Esperienze come quella dell’Olivetti hanno fatto si che la lingua piemontese si modificasse nelle grandi città ma non nei paesi”.

Le canzoni che compongono il progetto sono : ‘Donna Lombarda’, ‘Il Re di Lorena’, ‘Il frate confessore’, ‘Potere del canto’, ‘Il disertore’, ‘Bella ciao’, ‘Bel Genovese’, ‘Il testamento del capitano’, ‘Mal maritata’, ‘La marion’, ‘Era una notte che pioveva’, ‘Eran 4 piemontesi’, ‘La pastora fedele’, ‘Ninna nanna’. Tutti gli arrangiamenti sono dell’autore.

Il progetto è contenuto in una chiavetta Usb, in vendita a 10 euro, che contiene le canzoni, fotografie e tutte le notizie sul lavoro.

Per ogni ulteriore informazione: www.ernestodemartino.eu

Massimo Iaretti

 

 

David LaChapelle. Atti Divini

Colorate, visionarie, sacrali e dissacratorie: in mostra alla Venaria Reale le opere del “Fellini della fotografia”, scoperto e lanciato da Andy Warhol Ce n’è di che uscirne frastornati. Meravigliosamente frastornati. E meravigliosamente stupiti. Sono infatti un magnifico attentato all’immediata capacità interpretativa del comune osservatore, le grandi e grandissime (per qualità e dimensioni) opere fotografiche firmate da David LaChapelle ed esposte, fino al 6 gennaio del prossimo anno, nelle sale della “Citroniera della Scuderie Juvarriane” alla Reggia di Venaria. Classe ’63, americano del Connecticut, fotografo ma anche regista, lanciato negli Anni Ottanta da Andy Warholl (che gli offrì il suo primo lavoro per la rivista”Interview Magazine”) LaChapelle presenta in mostra 70 fra i suoi lavori più iconici, in un percorso visivo assolutamente singolare e rivoluzionario, rivelatore dell’incontro-scontro fra un’improbabile, smaccatamente appariscente umanità e il rigoglioso fiorire di una natura che si presta nella sua altrettanto immaginifica opulescenza all’invenzione di storie e universi da fantastico “paradiso colorato”. Un mondo visionario e bizzarro, il suo, barocco e surreale, ironico ma anche un po’ terrifico, sacrale (“Atti Divini”, recita il titolo) e in cert’ottica blasfemo, legato alle grandi citazioni rinascimentali ma anche al fascino del glamour e del fashion e a quello stile “post – pop” che ne hanno fatto uno dei fotografi più celebri dello star system americano e non solo, prediletto da personaggi del mondo dello spettacolo che vanno da Madonna a Lady Gaga, da Michael Jackson a Leonardo Di Caprio fino a politici come Hillary Clinton e ad atleti come Lance Armstrong e David Beckham. Ecco allora, in “Rape of Africa” (2009), una splendida e sensuale Naomi Campbell posare sdraiata come una creatura del Botticelli e come parte di un affollato improbabile campionario di varia umanità (con tanto di flora e fauna) che per sfondo ci ripropone le miniere d’oro dell’Africa; e ancora, citando in una sorta di magico artificio creativo, la “Venere” del grande Maestro rinascimentale, quel fantasioso “Rebirth of Venus” (sempre del 2009) con conchiglie – meno imponenti e con altri usi di quella che traghetta a terra la Venere botticelliana – nastri svolazzanti e molto terreni nudi maschili al posto di Zefiro in coppia con Aura e della casta sacerdotessa Hora, ancella della dea che qui appare avvolta nel verde smeraldo di foreste tropicali, alle spalle l’intenso blu di un mare che non è quello greco, ma quello dell’isola hawaiana di Maui, dove l’artista vive ormai da anni. Commistioni non casuali. Artifici geniali. Con cui solo un “grande” può permettersi di giocare, di sfidare e sfidarsi. Dice Denis Curti, insieme a Reiner Opoku, curatore della mostra: “LaChapelle si fa continue domande sulla bellezza, su verità e finzione. Le sue opere sono ricostruzioni straordinarie, che non hanno subìto nemmeno un secondo di photoshop. Sembrano paradisi, mondi idilliaci, ma poi nascondono ingiustizie e orrori ambientali. E’ una sorta di Fellini della fotografia”.Sulla stessa linea, “Showtime at the Apocalypse” (2013), ritratto della famiglia Kardashian – da anni la più criticata e chiacchierata d’America – presa a simbolo delle nostre più intime paure e ossessioni, accanto alle vivaci ed elettrizzanti “Land SCAPE” e “Gas”, progetti di nature morte (entrambe del 2013) in cui l’artista riunisce “oggetti trovati” per creare raffinerie di petrolio e le loro stazioni di servizio interconnesse, presentandole come “reliquie in una terra bonificata dalla natura”. Al centro dell’iter espositivo, troviamo “Deluge” (2007), folgorazione da Michelangelo lungo i sentieri della Cappella Sistina.Altra colta citazione.E ancora, opere inedite della nuova serie “New World”(2017 – 2019): in esse c’é tutto lo stupore di LaChapelle per il “sublime” e la tensione alla “spiritualità” in scenari di lirica utopia tropicale. Di Giovanni Tironi il progetto espositivo, la mostra è organizzata da Civita Mostre e Musei con il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude e il prezioso supporto di Lavazza, che proprio in occasione di “Atti Divini” ha inteso rinnovare la propria collaborazione con LaChapelle, affidandogli la realizzazione (sotto la direzione creativa dell’agenzia Armando Testa ) del progetto “Calendario 2020”, di cui in mostra troviamo esposta in anteprima la foto “Realize”. L’intero progetto – dicono da Lavazza – sarà “svelato in autunno e avrà come focus l’impegno verso la sostenibilità in difesa della Terra”.

Gianni Milani

 

“David LaChapelle. Atti Divini”

Reggia di Venaria – Citroniera delle 

Scuderie Juvarriane”, piazza della 

Repubblica 4, Venaria Reale (TO); 

tel. 011/4992333 o www.lavenaria.it

Fino al 6 gennaio 2020

Orari: dal mart. al ven. 10/18, sab. dom. e festivi 10/19,30, lun. chiuso

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Nelle foto

– “”Land Scape Kings Dominion”, 2013, Caption David LaChapelle

Dopo i restauri la chiesa dell’Assunta torna alla comunità

DAL PIEMONTE

Il giorno di ferragosto saranno il vescovo di Casale Monferrato e due nunzi apostolici, Luigi Bianco in Uganda ed Angelo Accattino in Bolivia a ‘battezzare’ la restaurata chiesa parrocchiale della Madonna Assunta di Moncestino, paese posto ai confini estremi nord occidentali della Provincia di Alessandria al confine con la Città Metropolitana di Torino. Ad accoglierli alle 17 ci sarà il parroco, don Davide Mussone, poi ci sarà la celebrazione della Messa e, alle 18, una processione verso il palazzo muncipale.

I lavori sono iniziati nell’estate del 2016 su iniziativa di don Mussone. Si tratta del completo restauro conservativo interno della Chiesa parrocchiale della Madonna Assunta di Moncestino. Precisamente, negli anni 50, la chiesa venne affrescata con un colore decisamente non conforme alle origini ed i pregiati pilastri marmorei vennero pure ricoperti dalle tempere inopportune.  Negli ultimi tre anni, dopo l’installazione del ponteggio ad opera dell’impresa Paolo Monchietto di Villamiroglio, con minuzioso e delicato intervento ad opera della ditta “Pagella restauri” di Casale Monferrato è stato riportato alla luce originale tutto l’interno settecentesco, come realmente venne costruito nel 1752.

Questo progetto di restauro conservativo è stato accuratamente studiato ed elaborato dall’arch. Raffaella Rolfo, con la collaborazione del geom. Alan Zavattaro e del geom. Elena Barale, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le provincie di Alessandria, Asti e Cuneo, che ha rilasciato tutti i necessari nulla osta.

Nel corso del 2017, durante le fasi di intervento, sono emerse delle importanti lesioni strutturali, verificate da prove geologiche, dovute a cedimenti  del terreno sottostante le fondamenta, che hanno reso più che necessario il progetto di consolidamento elaborato dall’ingegner Matteo Scagliotti. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione della Soprintendenza, ad inizio 2019, sono state installate tredici catene che hanno legato le murature perimetrali della parrocchiale, ad opera dell’impresa edile sopracitata.

I restauri lignei dei banchi e degli apparati lignei interni sono stati eseguiti da Michele Scaggion.

Tutti i lavori sopradescritti sono stati offerti da un generoso fedele; la dott.sa Anna Maria Possio ha voluto donare questo segno visibile alla Parrocchia che si aggira intorno agli 85.000 euro in memoria del defunto marito Giorgio Acutis, che è sepolto nel camposanto del paese.

Massimo Iaretti

 

Giorgio Rava, poliedrico artista del lago d’Orta

Giorgio Rava, omegnese purosangue e poliedrico artista, è un autodidatta per formazione che, nel tempo, ha collaborato dal punto di vista grafico e progettuale con alcune delle “celebrità” del casalingo come Alessi, Bialetti, Irmel, Lagostina. 

Su proposta di Alessandro Mendini ( il famoso architetto e designer italiano, scomparso nel febbraio quest’anno) ha realizzato uno dei cento vasi prodotti da Alessi-Tendenze con altri novantanove artisti internazionali. Con la sua impronta grafica ha ideato e illustrato manifesti, locandine, loghi. Scrive poesie ( quelle dialettali sono dei veri gioielli), racconti, novelle. Ha collaborato con alcune delle più conosciute riviste del territorio come “Le Rive”, diretta dallo storico Lino Cerutti. Ama cucinare e reinventare ricette di una cucina che definisce anarchica e che ha raccolto nel suo libro “Ricette anarchiche. Tra Lago d’Orta Maggiore e oltre” (Tararà edizioni, 2014). Più indietro nel tempo ha illustrato, per le edizioni Il Punto, il volumetto di Giovanni Solaro “C’è un mostro in giardino” (con la prefazione di Ersilia Zamponi), “Il re del ghiaccio,la carpa Policarpa e altre storie e per le edizioni Galleria Spriano di Omegna i preziosi e quasi introvabili “Uomini pesci… e altre storie” e “La comunità dei quattordici, memorie di una vecchia lampreda, dei quali ha scritto anche i testi; per le edizioni Città di Omegna “Proverbi e modi di dire del dialetto omegnese”, di Maria Nicolazzi e “Omegna paese di pentole e caffettiere”, di Daniela Samarelli. Nel 2001 ha pubblicato dall’editore verbanese Alberti, Il lusc. Itinerari tra genti e luoghi nel territorio del Cusio Mottarone”, con tanto di schede e dvd. E non è finita.

Ha pubblicato anche una serie di racconti editi da “Fare Notte”: “Sogni ed isole” , “Ortelius. Storie di lago e dintorni”, “Compagni avanti il gran partito” ( del quale ho curato una breve introduzione). Nel 2012 “Terre d’acqua e di favole” e, a cura dell’Anpi, “Sorrisi di resistenza”. C’è anche la silloge di poesie “Lago Etiliko”. Giorgio Rava è autore di alcune opere di interesse pubblico quali “La Luna” in Piazza a Crusinallo,il quartiere omegnese dove abita; la stele allo stadio “Liberazione” di Omegna dedicata a Pippo Coppo, comandante partigiano e primo sindaco della Liberazione; il Monumento alla Donna posto di fronte alla Casa della Resistenza a Fondotoce. Ci sarebbero molte altre cose da dire su di lui, dall’appuntamento quasi settimanale che ha curato per molto tempo pubblicando le sue poesie sulle pagine del settimanale della stampa diocesana L’Informatore ( firmandosi “Zòrz Rava” ) alle tante mostre, alle opere di scultura, alle installazioni e incisioni.Giorgio è davvero un artista eclettico e qualcosa della sua personalità ricorda i “poeti maledetti” per eccellenza del lago d’Orta, Ernesto Ragazzoni e Augusto Mazzetti. Ascoltare le sue storie equivale a pesare, grammo dopo grammo, l’incanto delle sue parole, il piacere della narrazione quando nel racconto appare il lago, con il sole o con la nebbia; quando le avventure degli uomini e delle donne prendono corpo tra le righe, rendendo vivi i ricordi, i luoghi, i fatti. Quando si parla di Giorgio Rava è naturale immaginarlo accanto al Cusio, a questo lago sulle cui rive è nato Gianni Rodari, al suo essere artista del popolo e “anarchico solare”, come emerge prepotentemente dai versi del suo “Blues del lagh”: “ Ostaria dòpo ostaria,circol dòpo circol,bicér dòpo bicér, gh’hò mia vòja dë nàa cà, ‘sta nòcc…Bastard d’on lagh,grand’acqua piéna ‘d vin. Brasciam su cuma una sposa a magg..”. L’artista omegnese è tra coloro che,applicando l’intramontabile regola “racconta di ciò che conosci se vuoi parlare all’universo mondo”, rendono conto di quanto sia contemporaneo fare letteratura con il cuore ben saldo nella propria terra.

Ricorda Nico Orengo e la sua Liguria perduta, Piero Chiara e la sponda magra del lago Maggiore, Sebastiano Vassalli e lo sguardo narrativo che dalle risaie risale verso il monte Rosa. La parola di Rava deriva da un sillabario d’antan, parla di mondi che oggi non ci sono più o che sono nascosti dalla velocità, dalla foga, dall’incedere chiassoso e caotico di questo mondo un po’ più imbastardito e molto più meschino di quello di un tempo. Basta guardare i profili del Mottarone ma anche semplicemente l’onda del lago o annusare l’aria prima e dopo un temporale per percepire il forte legame di Giorgio con la sua terra. E si capisce perché tutto parta da lì, da quelle rive del lago, dalla Nigoglia con le sue acque che defluiscono verso nord, caso più unico che raro e inequivocabile segno d’indole ribelle, dai sentieri di montagna, dalle osterie e da piazze e vie dove, una volta alla settimana, si “mettono giù” i banchi del mercato. Qualsiasi storia verrà raccontata o dipinta da Giorgio Rava avrà questi profumi, odori, colori. E non deluderà. Non potrà deludere perché le sue storie, i personaggi dei suoi racconti, i soggetti delle sue chine, i disegni e   gli acquerelli, gi stessi suoi pensieri sono un tutt’uno con questa terra di acqua e di monti che si trova all’estremo nord del Piemonte.

Marco Travaglini

Trekking della memoria sui sentieri dei partigiani di Filippo Maria Beltrami

Il 16 e il 17 agosto si svolgerà tra il Cusio e la bassa Val d’Ossola la 19a edizione del Sentiero Beltrami, manifestazione escursionistica sui luoghi della Resistenza.

Il sentiero ripercorre la storia del comandante partigiano Filippo Maria Beltrami e vuole essere un contributo a mantenere vivo il ricordo e il patrimonio della lotta di Liberazione e degli ideali che l’hanno animata. Beltrami e i suoi uomini furono protagonisti di alcune delle più importanti vicende della Resistenza: dall’occupazione di Omegna il 30 novembre del 1943, insieme a Cino Moscatelli, alla battaglia di Megolo in Val d’Ossola dove, il 13 febbraio 1944, rifiutata l’offerta di resa dei tedeschi, il capitano Beltrami morì in battaglia insieme ad altri undici partigiani tra i quali figuravano Gaspare Pajetta, Gianni Citterio e Antonio Di Dio. L’intero tracciato è accompagnato da bacheche illustrative e un’apposita segnaletica che documentano gli eventi della Resistenza e fu reso possibile grazie all’impegno e alla realizzazione dei lavori di sistemazione e segnalazione del “Sentiero Beltrami” dalle allora Comunità Montane Cusio Mottarone e Monte Rosa, con il contributo della Regione Piemonte. Il programma prevede, nella prima giornata di venerdì 16 agosto, il ritrovo alle 8 del mattino a Cireggio di Omegna (Vb) presso il monumento che ricorda Beltrami e da lì i partecipanti saliranno a Quarna Sopra seguendo al mulattiera del Fontegno e poi l’Alpe Camasca dove si terrà l’orazione ufficiale della sindaca di Pieve Vergonte, Maria Grazia Medali. La camminata proseguirà nel pomeriggio fino a Strona di Valtrona. Il giorno successivo, sabato 17 agosto, da Omegna verrà raggiunta – con un servizio di trasporto gratuito – la località di Campello Monti, insediamento walser in alta valle Strona e da lì, passando dal lago di Ravinella e dall’alpe Orcocco, i camminatori sosteranno nel tardo pomeriggio al Cortavolo per un omaggio al monumento che ricorda i caduti della battaglia di Megolo e, infine, la frazione del comune di Pieve Vergonte dove terminerà la manifestazione.

Marco Travaglini

Gli appuntamenti estivi del Centro Pannunzio

VENERDI’ 16 AGOSTO 2019 alle 21.30 – ALBENGA

Conferenza su Giovannino GUARESCHI

a cura del prof. Giuseppe PARLATO

VENERDI’ 16 agosto alle ore 21.30 in piazza San Domenico (centro storico) ad Albenga, il prof. Giuseppe PARLATO terrà una conferenza con diapositive su Giovannino GUARESCHI.

LUNEDI’ 19 AGOSTO 2019 ALLE ORE 21.30 – ALASSIO

Anni di piombo e di tritolo

di Gianni OLIVA

LUNEDI’ 19 agosto alle 21.30 alla Biblioteca civica sul mare di piazza Airaldi e Durante di AlassioGianni OLIVA presenterà il suo nuovo libro “Anni di piombo e di tritolo“ ed. Mondadori.

MARTEDI’ 20 AGOSTO 2019 ALLE ORE 21.15 – ANDORA

Mario Soldati. La gioia di vivere”

di Pier Franco QUAGLIENI

MARTEDI’ 20 agosto ore 21.15 nell’Anfiteatro di Palazzo Tagliaferro ad AndoraBruna BERTOLO e Maria Luisa ALBERICO presenteranno, in dialogo con Pier Franco QUAGLIENI, “Mario Soldati. La gioia di vivere” edito da Golem per il ventennale della morte dello scrittore e regista che fu presidente del Centro “Pannunzio” per vent’anni.

Nella foto Pier Franco Quaglieni

Il reggae è patrimonio Unesco, la musica più lenta e felice del mondo

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Non è un caso se il reggae è patrimonio Unesco, nel bel mezzo della lista dei Beni immateriali dell’umanità: è la musica più lenta e felice del mondo. La felicità è un affiorare interiore; è un risveglio delle tue energie è un risveglio della tua anima , diceva Osho .

E la sera di lunedì 5 agosto nell’Arena Villa Peripato di Taranto, di energia positiva ce n’era tanta.

Mitchell Brunings, amatissimo protagonista di talent come The Voice, dall’Olanda alla Francia, con la “voce” di Bob Marley, si è esibito nello spettacolo “Il mito del reggae”, accompagnato dall’Orchestra della Magna Grecia diretta da Roberto Molinelli, e da una voce narrante, quella di Claudio Salvi, autore anche dei testi da lui letti su Bob Marley.

Il ritmo in levare, quel divertimento percussivo a volte veloce, altre lento o lentissimo, determina uno degli aspetti che maggiormente colpisce e stupisce del reggae.

È la forza del coinvolgimento emotivo, fisicamente tangibile, che suscita nello spettatore energia, contrapposto all’estrema semplicità dei mezzi musicali impiegati.

Si parte dal basso – come ci dice Salvi e l’orchestra ci ha fatto ascoltare eseguendo questa successione praticamente – poi si inseriva la chitarra in levare, quindi si aggiungeva anche l’organo in levare, poi la batteria componente essenziale, in rim shot ovvero un colpo dato prendendo con la stessa bacchetta sia la pelle del rullante sia il bordo in metallo del rullante stesso. Infine ovviamente la voce……e che voce in questo caso : quella di Mitchell Brunings.

Tutti sanno che la voce di Bob Marley è unica, ma Mitchell Brunings, ormai noto, va stupendo gli ascoltatori con la sua voce molto simile.

E alla fine del concerto, si è raggiunto il culmine. Nella serata “Bob Marley”, ultimo spettacolo della rassegna “Magna Grecia Festival”, la rassegna a cura di ICO Magna Grecia e del Comune di Taranto, c’è stato un crescendo di sensazioni sublimi e irrefrenabili.

Tutti coinvolti, voce, anima e corpo, tutti presi dal ritmo. Sul palcoscenico il sempre più trainante Mitchell Brunings, il maestro Roberto Molinelli, Claudio Salvi, il direttore artistico Piero Romano e l’assessore alla Cultura Fabiano Marti, che alla fine rompendo tutti gli schemi, hanno aggiunto le loro voci a quelle delle coriste, i musicisti tutti dell’Orchestra della Magna Grecia, e giù il pubblico in un divertimento unico e prolungato, in piedi, a ballare saltellando, a invocare le canzoni che vengono più volte rieseguite.

È uno spettacolo nello spettacolo. Battimani e coro arrivano dalla platea, e Brunings rompe il rituale scendendo fra la gente in un tripudio di eccitazione finale, non può farne a meno.

Il reggae sinfonico, una grande orchestra, una voce incredibile, una direzione sapiente. Sono alcuni degli elementi che hanno fatto dello spettacolo musicale “Il mito del reggae”, uno dei momenti più affascinanti della Stagione dell’ICO, l’istituzione concertistica orchestrale della Magna Grecia.

Mitchell Brunings, aveva già conosciuto il calore del pubblico di Taranto, essendo   stato già protagonista con successo, venerdì 12 aprile al teatro Orfeo, sempre con l’Orchestra della Magna Grecia diretta dal maestro Roberto Molinelli e con Claudio Salvi e le coriste.

Ma sia lui, che Molinelli, Salvi,il pubblico e tutti gli intervenuti sul palco e non, in Arena Villa Peripato e c’è da pensare magari anche nelle aree esterne prospicienti, si sono scatenati più della volta precedente, approfittando degli spazi aperti che offre l’Arena Villa Peripato, pieni all’inverosimile.

L’altra sera, Bob Marley è stato celebrato da tutti i presenti in modo magistrale, semplice e immediato, ascoltando, cantando e ballando, alcune delle sue canzoni più belle, quelle che hanno contribuito in maniera sostanziale a farne crescere il mito e la leggenda.

Brani come No Woman No Cry, o Is this Love, o Get Up Stand Up, o Lively Up Yourself, e altri. Sono tante le canzoni memorabili di Bob Marley che sono entrate a far parte della cultura popolare, canzoni senza le quali la nostra vita sarebbe stata peggiore, sarebbe ancora peggiore, fino ad arrivare alla nostra serata, toccata dal fascino di questi brani e dall’atmosfera magica che si è creata.

Canzoni di libertà, di pace, di ribellione, di amore. Canzoni di verità e di sogno, di spirito e carne, di storia e leggenda, che ancora oggi risuonano senza sosta.

La musica ha il potere di cambiare le coscienze di chi l’ascolta, di unire la spiritualità e la fisicità, la politica e l’amore, la passione e la rabbia, la protesta e l’immaginazione, il sogno e la realtà.

E a fine serata si può ben dire che il sogno reggae di Bob Marley, che conquistò il mondo, il suo spirito libero portatore di messaggi di pace e uguaglianza al ritmo di roots e dub, si è sentito vibrare, ancora vivo!

Vito Piepoli

In un libro il delitto Codecà

Lo storico biellese Roberto Gremmo (che è anche padre fondatore dell’idea dell’autonomia piemontese) torna ad occuparsi della Valsusa nel suo ultimo libro ‘Il delitto Codecà’, edito per i tipi delle Edizioni ArabaFenice.

L’autore tiene due conferenze in Valle, una a Bardonecchia, mercoledì 7 agosto, alle ore 16 a Bardonecchia nella Biblioteca di viale Bramafam 17, la secondaad Oulx sabato 10 agosto, alle ore 16.30 nella ‘Casa delle culture’.

La sera del 16 aprile 1952 un sicario uccideva a Torino in via Villa della Regina Eleuterio Codecà, ingegnere, uno dei più importanti dirigenti della Fiat.

Vennero invano ricercati i colpevoli finchè i carabinieri accusarono del delitto l’ex partigiano, Giuseppe Faletto, ‘Briga’, già conosciuto come il ‘Boia della Valsusa’.

Il 6 marzo del 1956, al processo in Corte d’Assiste, Codecà venne assolto sia pure per insufficienza di prove..

Il ‘delitto della collina’ fece epoca perché, più che un’azione irresponsabile di una scheggia impazzita dell’estremismo antipadronale, sembrava nascondere ben più pericolose vendette di oscure forze eversive, implicate nei lucrosi traffici commerciali con l’Est Europa.

La ricerca di Gremmo, basata su documenti inediti dell’archivio centrale dello Stato, non si limita a ripercorrere le tappe della vicenda giudiziaria ma scandaglia anche per la prima volta il mondo torbido ed opaco dei traffici tra Italia ed Oltrecortina, con la consueta capacità di analisi e di approfondimento dell’autore.

Alla Valsusa, invece, Gremmo aveva già dedicato, sin dal 1995, edito per i tipi di Edizioni Elf Biella il libro ‘Il separatismo in Valsusa’ incentrato sulle rivendicazioni francesi verso la Valle al termine della seconda guerra mondiale e negli anni seguenti.

Massimo Iaretti