CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 573

Una full immersion di cinema erotico sotto la Mole

Si apre domani al Cinema Massimo in collaborazione con il Museo del Cinema la quarta edizione di “Fish&Chips Film Festival” in programma fino a domenica 20 gennaio. Quattro giorni di full immersion tra 70 film, incontri, mostre, party e laboratori tutti imperniati sul mondo dell’erotismo e della sessualità

Sarà un’edizione arricchita da nuovi temi e collaborazioni con altri festival garantisce la direttrice artistica del festival Chiara Pellegrini. “Raccontiamo, descriviamo e viviamo l’erotismo, la pornografia e la sessualità in un periodo storico in cui si assiste al preoccupante ritorno di antichi oscurantismi e all’appiattimento dell’offerta culturale, che fanno mal sperare per il futuro.” afferma Marco Petrilli, vicedirettore del festival “Quattro anni per condividere un messaggio di libertà, coraggio e indipendenza che, ancora una volta, anche nel 2019, dalle sale del Cinema Massimo si diffonderà per tutti i luoghi del festival. E non solo.Anche quest’anno non mancano gli omaggi a personalità di spicco dello scenario erotico e pornografico mondiale e fra i protagonisti spicca il regista Davide Ferrario, presente anche in qualità di giurato, che presenterà in sala la proiezione in 35 mm di “Guardami “, film ispirato alla vita di Moana Pozzi da lui diretto vent’anni fa. Ad inaugurare il festival alle ore 21.00 al Cinema Massimo sarà il film vincitore dell’Orso d’oro alla scorsa Berlinale “Touch me not” di Adina Pintilie. Il film segue le vicende di diversi personaggi che cercano di superare le proprie barriere mentali per esprimere meglio la propria emotività nella sfera sessuale. Il Wet Party è la festa imperdibile di Fish&Chips di sabato 19 gennaio a mezzanotte, al Bunker con una novità: le ragazze del progetto Pornopoetica accoglieranno gli ospiti in una dark room per lasciare campo libero alla sperimentazione delle proprie fantasie erotiche. La performance live electro-wave-tropicale dei Dadi Etro e, a seguire, dj Gwen Stefaninini e Malormone Crew contribuiranno a scaldare l’atmosfera. Durante i giorni del festival sarà possibile, inoltre, visitare, nella galleria Spacenomore, la mostra Ginger&Glamour: una selezione di locandine di film hard anni Settanta e Ottanta che testimoniano un tempo neanche troppo lontano in cui il senso della trasgressione non era così esplicito e provocatorio come quello a cui siamo abituati oggi.

Giuliana Prestipino

Per maggiori informazioni consultare i seguenti link:

www.fishandchipsfilmfestival.com | info@fishandchipsfilmfestival.com

Facebook facebook.com/fishandchipsfilmfestival | Twittertwitter.com/fish_chipsff | Instagram instagram.com/fishandchipsfilmfest

 

“Non mi sono mai arreso”

E’ da poco più di un mese nelle librerie “Non mi sono mai arreso” (Editrice Il Punto/ Piemonte in Bancarella), il libro a cura di Nico Ivaldi che narra la storia di Bruno Segre, avvocato e giornalista torinese, figura tra le più limpide e coraggiose dell’antifascismo italiano

 Il racconto, sotto forma d’intervista, propone il ritratto lucido e appassionato di questo combattente per le libertà e i diritti lungo un intero secolo, dalla Torino degli anni venti e del “lessico famigliare” dei Segre ai due decenni del fascismo con l’ignominia delle leggi razziali, la guerra, la Resistenza e il lungo cammino per tanti decenni di quest’uomo caparbio e determinato, diviso tra mille impegni e interessi. Nato a Torino il 4 settembre del 1918 “quando ancora tuonavano i cannoni della Prima guerra mondiale” in una casa di via Barbaroux con i balconi che “si affacciavano su piazza Castello”, Bruno Segre ha attraversato l’intera vita politica e sociale della prima capitale d’Italia lungo il “secolo breve”. Laureato in legge, ultimo allievo di Luigi Einaudi ( di cui il padre era stato il primo nel 1901), antifascista, discriminato dalle leggi razziste in quanto figlio di genitore ebreo, durante il secondo conflitto mondiale Bruno Segre conobbe due volte, nel 1942 e nel 1944, l’esperienza del carcere e partecipò alla Resistenza nelle fila di Giustizia e Libertà. Un’esperienza sulla quale, nell’estate del 1946, scrisse un memoriale che pubblicò soltanto qualche anno fa, nel 2013, in un volume intitolato “Quelli di via Asti”. Dalle pagine del libro e dal ritmo incalzante dell’intervista emerge il profilo di Bruno Segre, uomo colto e intelligente ma soprattutto innamorato del concetto di giustizia e libertà, straordinariamente collegato a quell’esprit républicain che ne orienta le scelte, a partire dall’insopprimibile impegno a difesa dei principi di laicità e all’intransigente fedeltà ai valori di un socialismo capace di garantire i diritti individuali, ripudiando ogni settarismo e dogmatismoUna narrazione autobiografica che offre un’infinità di spunti, suggestioni, aneddoti ironici. Giornalista e avvocato, negli anni del dopoguerra Segre si è impegnato nella difesa dell’obiezione di coscienza e nella battaglia per il divorzio. Come giornalista ha intervistato un’infinità di personalità importanti e ben pochi possono vantare un intervista a Joséphine Baker, la “venere nera” della Parigi degli “années folles” descritti da Hemingway nel suo “Festa mobile”. E soprattutto di averla fatta nel contesto che lui stesso descrive e che non è il caso di anticipare per non togliere al lettore la curiosità di scoprirlo da solo. Bruno Segre, oltre a collaborare a diverse testate ( tra le altre L’Opinionediretta da Franco Antonicelli e Giulio De BenedettiPaese SeraIl Corriere di Trieste e Corriere di Sicilia) è stato il fondatore del mensile “L’Incontro” di cui quest’anno ricorrono i

Bruno Segre con Marco Travaglini e Franco Berlanda

settant’anni di ininterrotta pubblicazione. Un “periodico politico-culturale” stampato su foglio unico in formato grande e con la testata in rosso che ha segnato più di un epoca, accompagnando per ben quattordici lustri gli affezionati lettori con riflessioni e articoli dedicati alle battaglie contro l’intolleranza religiosa e il razzismo, per la pace, i diritti civili e la laicità. Il 4 settembre scorso l’avvocato Bruno Segre ha festeggiato 100 anni. In quella occasione, ringraziando i presenti,disse: “Faccio un grande augurio a tutti gli amici che con me condividono ideali democratici, pensieri di libertà e di antirazzismo, di fedeltà a quelle che furono le conseguenze della Liberazione: cioè la fedeltà alla Costituzione, la fiducia nella Repubblica. L’auspicio che mi permetto di esprimere, in questo momento solenne per la mia vita, per il futuro e per l’umanità, è: viva la libertà!”. Un messaggio chiaro, da parte di un uomo che ha attraversato un intero secolo a testa alta. E che nelle ultime righe della sua intervista autobiografica afferma che vorrebbe essere ricordato come una persona che si è sempre opposta a tutti i tentativi di prevaricazione, d’imposizione forzata in sede politica o religiosa. E sul suo sepolcro vorrebbe il motto di Saul Bellow : “Qui giace un vinto – dalla morte – che non si è mai arreso”.

Marco Travaglini

"Non mi sono mai arreso"

E’ da poco più di un mese nelle librerie “Non mi sono mai arreso” (Editrice Il Punto/ Piemonte in Bancarella), il libro a cura di Nico Ivaldi che narra la storia di Bruno Segre, avvocato e giornalista torinese, figura tra le più limpide e coraggiose dell’antifascismo italiano

 Il racconto, sotto forma d’intervista, propone il ritratto lucido e appassionato di questo combattente per le libertà e i diritti lungo un intero secolo, dalla Torino degli anni venti e del “lessico famigliare” dei Segre ai due decenni del fascismo con l’ignominia delle leggi razziali, la guerra, la Resistenza e il lungo cammino per tanti decenni di quest’uomo caparbio e determinato, diviso tra mille impegni e interessi. Nato a Torino il 4 settembre del 1918 “quando ancora tuonavano i cannoni della Prima guerra mondiale” in una casa di via Barbaroux con i balconi che “si affacciavano su piazza Castello”, Bruno Segre ha attraversato l’intera vita politica e sociale della prima capitale d’Italia lungo il “secolo breve”. Laureato in legge, ultimo allievo di Luigi Einaudi ( di cui il padre era stato il primo nel 1901), antifascista, discriminato dalle leggi razziste in quanto figlio di genitore ebreo, durante il secondo conflitto mondiale Bruno Segre conobbe due volte, nel 1942 e nel 1944, l’esperienza del carcere e partecipò alla Resistenza nelle fila di Giustizia e Libertà. Un’esperienza sulla quale, nell’estate del 1946, scrisse un memoriale che pubblicò soltanto qualche anno fa, nel 2013, in un volume intitolato “Quelli di via Asti”. Dalle pagine del libro e dal ritmo incalzante dell’intervista emerge il profilo di Bruno Segre, uomo colto e intelligente ma soprattutto innamorato del concetto di giustizia e libertà, straordinariamente collegato a quell’esprit républicain che ne orienta le scelte, a partire dall’insopprimibile impegno a difesa dei principi di laicità e all’intransigente fedeltà ai valori di un socialismo capace di garantire i diritti individuali, ripudiando ogni settarismo e dogmatismoUna narrazione autobiografica che offre un’infinità di spunti, suggestioni, aneddoti ironici. Giornalista e avvocato, negli anni del dopoguerra Segre si è impegnato nella difesa dell’obiezione di coscienza e nella battaglia per il divorzio. Come giornalista ha intervistato un’infinità di personalità importanti e ben pochi possono vantare un intervista a Joséphine Baker, la “venere nera” della Parigi degli “années folles” descritti da Hemingway nel suo “Festa mobile”. E soprattutto di averla fatta nel contesto che lui stesso descrive e che non è il caso di anticipare per non togliere al lettore la curiosità di scoprirlo da solo. Bruno Segre, oltre a collaborare a diverse testate ( tra le altre L’Opinionediretta da Franco Antonicelli e Giulio De BenedettiPaese SeraIl Corriere di Trieste e Corriere di Sicilia) è stato il fondatore del mensile “L’Incontro” di cui quest’anno ricorrono i

Bruno Segre con Marco Travaglini e Franco Berlanda

settant’anni di ininterrotta pubblicazione. Un “periodico politico-culturale” stampato su foglio unico in formato grande e con la testata in rosso che ha segnato più di un epoca, accompagnando per ben quattordici lustri gli affezionati lettori con riflessioni e articoli dedicati alle battaglie contro l’intolleranza religiosa e il razzismo, per la pace, i diritti civili e la laicità. Il 4 settembre scorso l’avvocato Bruno Segre ha festeggiato 100 anni. In quella occasione, ringraziando i presenti,disse: “Faccio un grande augurio a tutti gli amici che con me condividono ideali democratici, pensieri di libertà e di antirazzismo, di fedeltà a quelle che furono le conseguenze della Liberazione: cioè la fedeltà alla Costituzione, la fiducia nella Repubblica. L’auspicio che mi permetto di esprimere, in questo momento solenne per la mia vita, per il futuro e per l’umanità, è: viva la libertà!”. Un messaggio chiaro, da parte di un uomo che ha attraversato un intero secolo a testa alta. E che nelle ultime righe della sua intervista autobiografica afferma che vorrebbe essere ricordato come una persona che si è sempre opposta a tutti i tentativi di prevaricazione, d’imposizione forzata in sede politica o religiosa. E sul suo sepolcro vorrebbe il motto di Saul Bellow : “Qui giace un vinto – dalla morte – che non si è mai arreso”.

Marco Travaglini

Paravidino guarda alla Bibbia per parlare di migrazioni contemporanee

Parte da parecchio lontano La ballata di Johnny e Gill che Fausto Paravidino ha scritto e dirige e che il Teatro Stabile torinese – dove lui riveste la figura del dramaturg – ha prodotto in compagnia di un nutrito gruppo di enti teatrali disseminati tra Italia e Francia e Lussemburgo, toccando Trieste e Tolone e Marsiglia, e altri luoghi ancora

Parte da uno sguardo sulle pagine iniziali della Genesi, la torre di Babele e la relativa confusione delle lingue come il personaggio di Abramo spinto da Jahve a raggiungere un altrove, una terra diversa dalla sua, imperativo cui il patriarca non risponde altro che con un “eccomi”. Il tema del viaggio insomma, e del mondo babelico in chiave contemporanea, che Paravidino per primo ha intrapreso accompagnato da Iris Fusetti, ideatrice al suo fianco, e anche Jill e anche la Sara di Abramo. Un viaggio nella città più variopinta e cosmopolita del mondo, New York, “che è dove normalmente gli Europei come noi emigrano”, stranieri tra stranieri si sono inventati laboratori di ricerca teatrale salvo tornarsene poi nel vecchio continente per saggiare anche qui, a Ginevra Tolone e Lussemburgo, la storia di Abramo, che “contiene tante avventure”. Affiancandosi alle pagine di giornale e alle immagini televisive che in questi anni ci scorrono davanti agli occhi, come alle discussioni e alle paure con cui condividiamo i giorni, Paravidino si butta a nuotare senza sosta, e senza buttar via niente – per una durata di 180’ più intervallo, dove lo spettatore può anche provare un qualche imbarazzo -, nel mare magnum della questione, mentre in un rincorrersi di italiano e francese, di inglese e di un inventato grammelot che tiene ben d’occhio il divertimento e dove neppure Fo avrebbe saputo fare tanto, stabilizza la “sua” Bibbia in un più prosaico e picaresco succedersi di azioni. Nella frenesia del succedersi, nel caos linguistico, nel passare davanti ai nostri occhi i cambiamenti di scena e di sembianza degli attori, camuffati dietro le maschere bellissime di Stefano Ciammitti ed i costumi di Arielle Chanty, nel disfarsi e nel ricomporsi delle scene di Yves Bernard, Johnny che non abbandona i propri sogni e Gill che lo adora abbandonano la loro terra per una più protettrice dove possano vendere i loro pesci gialli, i migliori, attraversano il deserto e il mare, raggiungono una spiaggia e un nuovo paese, un’America presa a simbolo di ogni benessere, dove ognuno si rimpinza di cibi grassi, dove essi pensano a nuovi affari se non si facesse avanti chi è arrivato lì prima di loro, pronto a proteggere ferocemente quella supremazia che s’è guadagnato in precedenza. C’è ancora posto per qualche incursione nella parodia dei talk show, manco fossimo nel salotto di Letterman, per quattro chiacchiere, e tanti applausi, con coloro che sono diventati il re e la regina dello street food e che adesso fanno palate di quattrini o per qualche canzoncina (in italiano o in inglese, non importa) che fa tanto musical. C’è posto per riadombrare la sterilità di Sara, poiché anche Jill non può avere figli: ma oggi c’è l’utero in affitto che ti può consigliare il saggio ginecologo tedesco e una ragazza che si mette a disposizione. Ci sarà anche un figlio, uno tutto loro, che una coppia di cicogne viene ad annunciare, un figlio che forse verrà richiesto in sacrificio. In uno spettacolo che ha l’aria di non voler finire mai (il finale poggia su qualcosa che sembra al Commesso viaggiatore di Miller, con scambio di ruoli), la Bibbia è diventata davvero una ballata e Paravidino attraverso la sua personalissima lente, avvicinando Abramo a Candide e agli altri, non ha torto, prevalgono gli “e poi” sui più efficaci “quindi”. Un qualche sconcerto bulemico durante l’intera serata l’hai provato (sarà per questo che in teatro ti corre in aiuto una “mappa narrativa”) ma non fai neppure troppa fatica a metterti nel gioco tutto citazioni e di risorse intelligenti che l’autore e regista sfodera (s’è ritagliato pure il divertente ruolo di Lucky), nel cammino a tappe ed episodi dei protagonisti Federico Brugnone e Iris Fusetti e nello spirito ecentrico degli altri attori che si destreggiano senza mezze misure nei tanti personaggi. Applausoni convinti dal pubblico che certo non affollava la sala del Gobetti alla replica cui abbiamo assistito. Repliche sino a domenica 20 gennaio.

 

Elio Rabbione

 

Le immagini dello spettacolo sono di Vincent Berenger

L’isola del libro. Speciale Amos Oz

L’appuntamento di oggi è dedicato ad Amos Oz, un grande della letteratura che ci ha lasciati nel 2018 e di cui resteremo orfani nel futuro; unica consolazione leggere o rileggere i suoi capolavori

Il grande scrittore israeliano se n’è andato a 79 anni stroncato da un male bastardo ma ci ha lasciato migliaia di pagine da leggere, tra romanzi e saggi. Era nato a Gerusalemme il 4 maggio del 1939, figlio unico, segnato dal suicidio della madre quando aveva solo 12 anni. Poi la sua vita spesa a lavorare in un kibbutz, insegnare all’università e soprattutto… scrivere. Per la risoluzione del conflitto arabo-israeliano caldeggiava l’idea dei due Stati e il suo paese travagliato è lo sfondo dei suoi scritti.

Qualche suggerimento di lettura in ordine sparso tra i suoi libri, pubblicati in Italia da Feltrinelli:

 

“Una storia di amore e di tenebra” è il romanzo autobiografico in cui racconta la sua infanzia e giovinezza, la storia della sua famiglia, la nascita dello Stato di Israele, gli attacchi terroristici dei Feddayin e la vita nel kibbutz. Soprattutto, qui affronta la tragica morte della madre, che si tolse la vita proprio alla vigilia del suo bar mitzwah nel 1952, elabora il lutto e narra dei contrasti col padre che lo spingeranno fuori casa. Considerato il suo capolavoro, è davvero un grande affresco familiare e storico.

“Una pace perfetta” è ambientato alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, nel Kibbutz Granot, e ruota intorno alla coppia formata da Yoni e Ramona. Lei amareggiata dagli aborti e dall’insoddisfatto desiderio di maternità; lui lavora in officina dove ripara trattori, ma sogna l’ampio orizzonte del deserto e la fuga. Intorno alla loro malinconia un avvicendarsi di altri personaggi e la vita nel kibbutz, perfettamente incastonata nella storia israeliana.

 

“Michael mio” è il secondo romanzo scritto da Oz nel 1968, quando non era ancora famoso, e pubblicato in Italia nel 1975. Ambientato nella Gerusalemme degli anni 50 è il racconto in prima persona del matrimonio di Hannah e del suo fallimento. Una narrazione al femminile, dolce-amara, in cui lo scrittore sonda e svela emozioni, sentimenti e passioni della protagonista con delicatezza e sensibilità fuori dal comune.

 

“Conoscere una donna” è uno dei capolavori della letteratura israeliana e racconta una storia d’amore sorprendente. Yoel, uomo dei servizi segreti israeliani deve affrontare la morte della moglie fulminata in un incredibile incidente. Ripercorrendo a ritroso il suo matrimonio si trova a fare i conti non solo con l’assenza di Ivria, ma anche con piccoli dettagli che svelano ombre nel loro rapporto. Chi era la donna che aveva sposato e quale mistero racchiudeva? Poi c’è anche il complicato rapporto con la loro figlia Neta.

 

“Tocca l’acqua, tocca il vento” racconta la fuga degli ebrei dallo sterminio nazista. In Polonia nel 1939, mentre i tedeschi avanzano inesorabilmente, Elisha Pomerantz, piccolo orologiaio ebreo, appassionato di matematica e musica, fugge nella foresta per mettersi in salvo. Invece sua moglie Stefa, insegnante di filosofia in un liceo, sottovaluta il pericolo e resta nel suo appartamento. Anche lei finirà per essere travolta dalla guerra, deportata in Unione Sovietica e trasformata in spia al servizio di Stalin. Intanto c’è il vagare di Elisha tra boschi, Grecia e infine l’approdo in un kibbutz in Israele dove si mette a riparare orologi. Il romanzo è la storia della separazione dei due personaggi e il loro sogno di potersi ritrovare.

 

“Scene dalla vita di un villaggio” ovvero misteri, segreti, amori e sparizione nel pittoresco villaggio israeliano Tel Ilan. Amos Oz -a cui piacevano le storie che restavano irrisolte come la vita stessa- ci conduce nei meandri dell’anima in questo romanzo inquietante, suddiviso in otto capitoli o “scene” indipendenti tra loro, ma accomunate dal senso di solitudine che avvolge il villaggio.

 

“Non dire notte” è ambientato a Tel Kedar, piccola cittadina nel deserto del Negev. Vi abitano Theo, urbanista 60enne di successo, e sua moglie Noa, professoressa di lettere che ha15 anni meno di lui, ed è un’idealista sempre pronta a buttarsi con entusiasmo in nuove sfide. Dopo 7 anni di matrimonio il loro è un rapporto che si sta sfilacciando. La storia viene narrata in prima persona dai due protagonisti, che raccontano gli stessi fatti ma decodificati con occhi diversi. E sullo sfondo vite, tragedie e speranze degli altri abitanti della piccola città.

 

“La scatola nera” romanzo epistolare con cui Oz racconta di nuovo un matrimonio, questa volta finito. E’quello di Alec e Ilana che non si parlano da 7 anni. Lui è un apprezzato studioso di fanatismo religioso trasferitosi in America; lei è rimasta in Israele e si è risposata. Hanno avuto un figlio che ora in piena adolescenza mette a dura prova la madre. Non sapendo più cosa fare, Ilana ricontatta l’ex marito chiedendogli aiuto. Il titolo richiama la scatola nera che racchiude le cause degli incidenti aerei, allo stesso modo nelle lettere scambiate dai personaggi il lettore troverà le cause di questa catastrofe familiare.

 

“La vita fa rima con la morte” scritto da Oz quando aveva 69 anni, non rientra nel suo collaudato filone del racconto familiare sullo sfondo della storia israeliana, ma affronta una serie di domande sulla scrittura. Siamo a Tel Aviv in un’afosa serata estiva in cui l’autore è ospite d’onore di un incontro letterario. Annoiato e distante dalle voci dei relatori, punta invece il pubblico e mette a fuoco facce e piccoli dettagli che gli ispirano curiosità. Diventano gli spunti per nuove storie che si diverte ad imbastire e raccontare, dando libero sfogo alla sua immaginazione.

“Finché morte non sopraggiunga” da poco tradotto in Italia, risale al 1971. Narra due storie molto diverse e distanti tra loro. Dapprima i pensieri, i rimpianti e i ricordi di un anziano conferenziere malato che, di fronte all’inesorabile declino, constata le occasioni perdute di una vita. Nella seconda parte invece l’autore ripercorre le avventure di una sgangherata banda di crociati che non arriveranno mai in Terra Santa. Trait d’union dei due capitoli è l’incessante ricerca di un senso da dare alla vita.

L'isola del libro. Speciale Amos Oz

L’appuntamento di oggi è dedicato ad Amos Oz, un grande della letteratura che ci ha lasciati nel 2018 e di cui resteremo orfani nel futuro; unica consolazione leggere o rileggere i suoi capolavori
Il grande scrittore israeliano se n’è andato a 79 anni stroncato da un male bastardo ma ci ha lasciato migliaia di pagine da leggere, tra romanzi e saggi. Era nato a Gerusalemme il 4 maggio del 1939, figlio unico, segnato dal suicidio della madre quando aveva solo 12 anni. Poi la sua vita spesa a lavorare in un kibbutz, insegnare all’università e soprattutto… scrivere. Per la risoluzione del conflitto arabo-israeliano caldeggiava l’idea dei due Stati e il suo paese travagliato è lo sfondo dei suoi scritti.
Qualche suggerimento di lettura in ordine sparso tra i suoi libri, pubblicati in Italia da Feltrinelli:
 
“Una storia di amore e di tenebra” è il romanzo autobiografico in cui racconta la sua infanzia e giovinezza, la storia della sua famiglia, la nascita dello Stato di Israele, gli attacchi terroristici dei Feddayin e la vita nel kibbutz. Soprattutto, qui affronta la tragica morte della madre, che si tolse la vita proprio alla vigilia del suo bar mitzwah nel 1952, elabora il lutto e narra dei contrasti col padre che lo spingeranno fuori casa. Considerato il suo capolavoro, è davvero un grande affresco familiare e storico.

“Una pace perfetta” è ambientato alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, nel Kibbutz Granot, e ruota intorno alla coppia formata da Yoni e Ramona. Lei amareggiata dagli aborti e dall’insoddisfatto desiderio di maternità; lui lavora in officina dove ripara trattori, ma sogna l’ampio orizzonte del deserto e la fuga. Intorno alla loro malinconia un avvicendarsi di altri personaggi e la vita nel kibbutz, perfettamente incastonata nella storia israeliana.
 
“Michael mio” è il secondo romanzo scritto da Oz nel 1968, quando non era ancora famoso, e pubblicato in Italia nel 1975. Ambientato nella Gerusalemme degli anni 50 è il racconto in prima persona del matrimonio di Hannah e del suo fallimento. Una narrazione al femminile, dolce-amara, in cui lo scrittore sonda e svela emozioni, sentimenti e passioni della protagonista con delicatezza e sensibilità fuori dal comune.
 
“Conoscere una donna” è uno dei capolavori della letteratura israeliana e racconta una storia d’amore sorprendente. Yoel, uomo dei servizi segreti israeliani deve affrontare la morte della moglie fulminata in un incredibile incidente. Ripercorrendo a ritroso il suo matrimonio si trova a fare i conti non solo con l’assenza di Ivria, ma anche con piccoli dettagli che svelano ombre nel loro rapporto. Chi era la donna che aveva sposato e quale mistero racchiudeva? Poi c’è anche il complicato rapporto con la loro figlia Neta.
 
“Tocca l’acqua, tocca il vento” racconta la fuga degli ebrei dallo sterminio nazista. In Polonia nel 1939, mentre i tedeschi avanzano inesorabilmente, Elisha Pomerantz, piccolo orologiaio ebreo, appassionato di matematica e musica, fugge nella foresta per mettersi in salvo. Invece sua moglie Stefa, insegnante di filosofia in un liceo, sottovaluta il pericolo e resta nel suo appartamento. Anche lei finirà per essere travolta dalla guerra, deportata in Unione Sovietica e trasformata in spia al servizio di Stalin. Intanto c’è il vagare di Elisha tra boschi, Grecia e infine l’approdo in un kibbutz in Israele dove si mette a riparare orologi. Il romanzo è la storia della separazione dei due personaggi e il loro sogno di potersi ritrovare.
 
“Scene dalla vita di un villaggio” ovvero misteri, segreti, amori e sparizione nel pittoresco villaggio israeliano Tel Ilan. Amos Oz -a cui piacevano le storie che restavano irrisolte come la vita stessa- ci conduce nei meandri dell’anima in questo romanzo inquietante, suddiviso in otto capitoli o “scene” indipendenti tra loro, ma accomunate dal senso di solitudine che avvolge il villaggio.
 
“Non dire notte” è ambientato a Tel Kedar, piccola cittadina nel deserto del Negev. Vi abitano Theo, urbanista 60enne di successo, e sua moglie Noa, professoressa di lettere che ha15 anni meno di lui, ed è un’idealista sempre pronta a buttarsi con entusiasmo in nuove sfide. Dopo 7 anni di matrimonio il loro è un rapporto che si sta sfilacciando. La storia viene narrata in prima persona dai due protagonisti, che raccontano gli stessi fatti ma decodificati con occhi diversi. E sullo sfondo vite, tragedie e speranze degli altri abitanti della piccola città.
 
“La scatola nera” romanzo epistolare con cui Oz racconta di nuovo un matrimonio, questa volta finito. E’quello di Alec e Ilana che non si parlano da 7 anni. Lui è un apprezzato studioso di fanatismo religioso trasferitosi in America; lei è rimasta in Israele e si è risposata. Hanno avuto un figlio che ora in piena adolescenza mette a dura prova la madre. Non sapendo più cosa fare, Ilana ricontatta l’ex marito chiedendogli aiuto. Il titolo richiama la scatola nera che racchiude le cause degli incidenti aerei, allo stesso modo nelle lettere scambiate dai personaggi il lettore troverà le cause di questa catastrofe familiare.
 
“La vita fa rima con la morte” scritto da Oz quando aveva 69 anni, non rientra nel suo collaudato filone del racconto familiare sullo sfondo della storia israeliana, ma affronta una serie di domande sulla scrittura. Siamo a Tel Aviv in un’afosa serata estiva in cui l’autore è ospite d’onore di un incontro letterario. Annoiato e distante dalle voci dei relatori, punta invece il pubblico e mette a fuoco facce e piccoli dettagli che gli ispirano curiosità. Diventano gli spunti per nuove storie che si diverte ad imbastire e raccontare, dando libero sfogo alla sua immaginazione.

“Finché morte non sopraggiunga” da poco tradotto in Italia, risale al 1971. Narra due storie molto diverse e distanti tra loro. Dapprima i pensieri, i rimpianti e i ricordi di un anziano conferenziere malato che, di fronte all’inesorabile declino, constata le occasioni perdute di una vita. Nella seconda parte invece l’autore ripercorre le avventure di una sgangherata banda di crociati che non arriveranno mai in Terra Santa. Trait d’union dei due capitoli è l’incessante ricerca di un senso da dare alla vita.

Tessarollo-Strino al Jazz Club e Sinigallia all’Hiroshima

GLI APPUNTAMENTI DELLA SETTIMANA

Lunedì. Al Milk il trio Accordi e Disaccordi.

Martedì. Al Jazz Club suonano i Calembour e le Isole di Neve.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana Lil Darling presenta “”Ella & Louis “, concerto-tributo a Ella Fitzgerald e Louis Armstrong.

Giovedì. All’Hiroshima Mon Amour Riccardo Sinigallia promuove il disco “Ciao cuore”. Al Jazz Club si esibisce il duo chitarristico formato da Luigi Tessarollo e Eleonora Strino. Al Blah Blah suona il duo femminile di Brooklyn Sharkmuffin.

Venerdì. Al Jazz Club è di scena il trio del batterista Manfredi Crocivera. All’Off Topic si esibisce la cantautrice e arpista Cecilia. Al Folk Club è di scena Rhiannon Giddens del gruppo afroamericano Carolina Chocolate Drops, in versione solista solista, per presentare il suo ultimo album “Freedom Highway”. Al Blah Blah suonano i Uochi Toki.

Sabato. Al Jazz Club la vocalist Irene Natale si esibisce con il batterista Anselmo Luisi. Al Blah Blah sono di scena i Legendary Kid Combo. Al Magda Olivero di Saluzzo si esibisce Bianco. Al Wow è di scena il rapper napoletano Luchè.

Domenica. Al Mezcal di Savigliano suona il quartetto punk Casualties.

Pier Luigi Fuggetta

***

Nelle foto.: Tessarollo-Strino, Sinigallia, Rhiannon Giddens

 

Coscia e Trovesi in concerto a Rivolimusica

Il prossimo concerto della Stagione Rivolimusica,  è “La misteriosa musica della Regina Loana”, con due colossi come Gianluigi Trovesi al clarinetto/sax  e Gianni Coscia alla fisarmonica: si tratta di un interessantissimo omaggio a Umberto Eco, reso tra la ripresa di temi della grande musica universale / tracce originali unite a filo doppio con “la misteriosa fiamma della Regina Loana”, e con il  racconto di un’amicizia, quella tra lo scrittore e semiologo alessandrino e Gianni Coscia, compagni di banco e di avventure intellettuali e musicali.  Lo spettacolo diventa un  calembour di racconti, aneddoti di jazz e di vita, ricordi, partiture e poesie musicati atti a creare un doppio parallelismo: tra il romanzo – vedi la perdita di memoria episodica del protagonista Yambo che riesce a ricordare la vita solo attraverso le suggestioni di vecchi dischi ascoltati, fumetti e libri letti, quaderni sui quali lui stesso ha scritto –  e l’operazione di ricordo – di Umberto Eco, come autore ma soprattutto come uomo e intellettuale – attuata da Trovesi e Coscia attraverso la musica. 

 

sabato 12 gennaio 2019 ore 21 presso gli spazi di Ex Maison Musique
intero 10 euro, ridotto 7 (in cartellone condiviso con Scena Ovest) 

“La Bella Addormentata” di scena al Teatro Nuovo

L’eccellenza del balletto russo incontra i capolavori di Čajkovskij
Russian Stars in La Bella Addormentata

Arrivano in Italia da Novembre a Febbraio I Russian Stars, stelle della danza classica russa che si aggiungono all’organico del Moscow State Classical BalletAlexey KonkinSergey SmirnovOlga RudakovaAleksandra Troitskaia: artisti eclettici, formati in patria e scelti accuratamente dalla maestra, étoile e produttrice Liudmila Titova, che sarà la loro capofila e impreziosirà il cast con le sue performance. La Compagnia calcherà i palcoscenici italiani portando in scena l’essenza dell’arte coreutica russa con gli intramontabili capolavori di Pëtr Il’ič Čajkovskij: Lo Schiaccianoci, Il Lago dei cigni e La Bella addormentata. Il Moscow State Classical Ballet by Titova è una delle più prestigiose compagnie di giro di balletto classico di tutta la Russia, ed è conosciuta ed apprezzata a livello internazionale. Attualmente diretto da Liudmila Titova, la compagnia si pone come principale obiettivo quello di far conoscere al mondo lo splendore della secolare tradizione russa nel balletto classico, volgendo lo sguardo anche ad un repertorio più contemporaneo, in linea con le esigenze del pubblico odierno. Il Corpo di ballo vanta tra le sue fila non solo le sue 30 talentuose étoile provenienti dalle migliori scuole ed accademie di danza mondiali (come il Teatro Bolshoi, il Teatro Mariinksij e il teatro Stanislavsky and Nemirovich – Danchenko, templi autentici della danza classica), ma si avvale anche della partecipazione di straordinarie star del balletto russo che impreziosiscono la scena ed elevano ulteriormente il profilo tecnico e glamour dello spettacolo. Il Moscow State Classical Ballet di Liudmila Titova è apprezzato dalla critica per la bellezza e l’eleganza dei propri danzatori che, con la fluidità del loro corpo perfettamente unita alla ferrea disciplina, riescono a creare un ensemble coreografico compatto ed armonico, capace di coinvolgere ed ammaliare il pubblico di ogni nazione. Per questo, ciò che distingue questi ballerini, è l’ineccepibile equilibrio con cui armonizzano la tensione alla perfezione del movimento e il rigore stilistico dell’arte del balletto classico. Il risultato è una tecnica pulita e raffinata esibita sul palco con grande naturalezza ed impreziosita dalle eccelse doti espressive dei ballerini che contribuiscono a rendere l’interpretazione impeccabile in tutte le sue sfaccettature.

Lo staff coreografico del Russian Stars – Moscow State Classical Ballet by Titova è fra i migliori possibili e cura con meticolosità le performance della Compagnia coniugando elementi di ricerca e innovazione al repertorio classico, nel rispetto dell’eredità coreografica del balletto russo.

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Liudmila Titova

A soli 19 anni è protagonista di celebri balletti di repertorio come Cenerentola, Lo Schiaccianoci, La Bella addormentata, Giselle, Bolero e tantissimi altri. Dal 2010 lavora con il Moscow State Classical Ballet e da tre anni ne è a capo come general manager. Con il suo ingresso ha riorganizzato l’intera società ed ha apportato una serie di innovazioni scenografiche, decorative ed un rinnovamento totale dei costumi dei danzatori . Questi ultimi sono tutti professionisti laureati nelle più grandi accademie russe.

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Ulteriori informazioni su www.russianstars.altervista.org

Pagina facebook: Russian Stars & Moscow State Classical Ballet by Titova

prevendite www.ticketone.it 

"La Bella Addormentata" di scena al Teatro Nuovo

L’eccellenza del balletto russo incontra i capolavori di Čajkovskij
Russian Stars in La Bella Addormentata

Arrivano in Italia da Novembre a Febbraio I Russian Stars, stelle della danza classica russa che si aggiungono all’organico del Moscow State Classical BalletAlexey KonkinSergey SmirnovOlga RudakovaAleksandra Troitskaia: artisti eclettici, formati in patria e scelti accuratamente dalla maestra, étoile e produttrice Liudmila Titova, che sarà la loro capofila e impreziosirà il cast con le sue performance. La Compagnia calcherà i palcoscenici italiani portando in scena l’essenza dell’arte coreutica russa con gli intramontabili capolavori di Pëtr Il’ič Čajkovskij: Lo Schiaccianoci, Il Lago dei cigni e La Bella addormentata. Il Moscow State Classical Ballet by Titova è una delle più prestigiose compagnie di giro di balletto classico di tutta la Russia, ed è conosciuta ed apprezzata a livello internazionale. Attualmente diretto da Liudmila Titova, la compagnia si pone come principale obiettivo quello di far conoscere al mondo lo splendore della secolare tradizione russa nel balletto classico, volgendo lo sguardo anche ad un repertorio più contemporaneo, in linea con le esigenze del pubblico odierno. Il Corpo di ballo vanta tra le sue fila non solo le sue 30 talentuose étoile provenienti dalle migliori scuole ed accademie di danza mondiali (come il Teatro Bolshoi, il Teatro Mariinksij e il teatro Stanislavsky and Nemirovich – Danchenko, templi autentici della danza classica), ma si avvale anche della partecipazione di straordinarie star del balletto russo che impreziosiscono la scena ed elevano ulteriormente il profilo tecnico e glamour dello spettacolo. Il Moscow State Classical Ballet di Liudmila Titova è apprezzato dalla critica per la bellezza e l’eleganza dei propri danzatori che, con la fluidità del loro corpo perfettamente unita alla ferrea disciplina, riescono a creare un ensemble coreografico compatto ed armonico, capace di coinvolgere ed ammaliare il pubblico di ogni nazione. Per questo, ciò che distingue questi ballerini, è l’ineccepibile equilibrio con cui armonizzano la tensione alla perfezione del movimento e il rigore stilistico dell’arte del balletto classico. Il risultato è una tecnica pulita e raffinata esibita sul palco con grande naturalezza ed impreziosita dalle eccelse doti espressive dei ballerini che contribuiscono a rendere l’interpretazione impeccabile in tutte le sue sfaccettature.

Lo staff coreografico del Russian Stars – Moscow State Classical Ballet by Titova è fra i migliori possibili e cura con meticolosità le performance della Compagnia coniugando elementi di ricerca e innovazione al repertorio classico, nel rispetto dell’eredità coreografica del balletto russo.

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Liudmila Titova

A soli 19 anni è protagonista di celebri balletti di repertorio come Cenerentola, Lo Schiaccianoci, La Bella addormentata, Giselle, Bolero e tantissimi altri. Dal 2010 lavora con il Moscow State Classical Ballet e da tre anni ne è a capo come general manager. Con il suo ingresso ha riorganizzato l’intera società ed ha apportato una serie di innovazioni scenografiche, decorative ed un rinnovamento totale dei costumi dei danzatori . Questi ultimi sono tutti professionisti laureati nelle più grandi accademie russe.

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Ulteriori informazioni su www.russianstars.altervista.org

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