CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 573

Sullo schermo del TFF la convincente opera prima di Ginevra Elkann

Gli occhi dei bambini su una famiglia divisa e lontana

Gli occhi e le parole, l’impertinenza e le piccole sofferenze, le solitudini e le attese di una bambina di otto anni, Alma, e dei suoi due fratelli di poco più grandi, una famiglia divisa e lontana, due genitori che ancora si dilaniano, la madre in attesa di un figlio dal nuovo compagno, il padre sceneggiatore, impegnato a riscrivere un film tra rabbie e giornate di lavoro e assenze. In Magari, suo primo film in veste di regista, in qualche modo debitrice ad un certo cinema di De Sica o di Comencini, Ginevra Elkann – con l’apporto nella sceneggiatura di Chiara Barzini – racconta di una famiglia e con ogni probabilità non ha timore di catturare sensazioni e immagini all’interno di versante autobiografico che lo spettatore (il film è stato presentato al TFF nella sezione “Festa mobile”, uscita sugli schermi il prossimo marzo) si diverte a scoprire per quanto può; rivelando qualità non solo di acuta narratrice delle piccole cose di ogni giorno, ma anche addentrandosi con grande padronanza e con sommessa delicatezza nei comportamenti dei tre ragazzini dentro quella vacanza sulle spiagge di Sabaudia che a fine anno, equipaggiamento pronto per le nevi di Courmayeur, la madre ha dirottato all’improvviso. La ricerca di amicizie nuove, le partite di pallone in riva al mare, gli allontanamenti alla ricerca di nuovi spazi, incontaminati, gli intrecci con la nuova amica di papà (Alba Rohrwacher e Riccardo Scamarcio, presenze non invadenti, al servizio dei veri protagonisti), cercati o definiti a fatica, gli incidenti improvvisi che provano a riunire, ogni attimo è utile a crescere, a diventare più maturi, nel sogno leggero e continuo della famiglia riunita. Ancora una volta “i bambini ci guardano”, scrutano, giudicano, fuggono ma allo stesso tempo sono vittime dei disegni degli adulti. La giovanissima Oro De Commarque è un bell’esempio di verità cinematografica, come il Jean di Ettore Giustiniani e il Sebastiano di Milo Roussel, non si recita, si vive. Un promettente esordio per tutti.

Lo stesso certamente non si può dire per Riccardo Spinotti – figlio di Dante, grande direttore della fotografia, candidato due volte all’Oscar, diviso tra Italia e States, collaborazioni con Cavani e Olmi e Cristina Comencini, Michael Mann e Garry Marshall e Michael Apted, Tornatore e Benigni – e sua moglie Valentina De Amicis, che debuttano con Now is everything, coproduzione italo-americana, composto (meglio, scomposto) con gli apporti amichevoli di Anthony Hopkins e Ray Nicholson (un altro figlio di), presentato in concorso a questo 37° TFF che non si può certo dire che abbia saputo mettere in bella fila il meglio delle opere prime e seconde. Il film di Spinotti è tra quelli che più s’aggirano in quota debolezza e superficialità, aggiungendo una buona dose di vuote aspirazioni, di inconcludente scrittura (vogliamo chiamare così quanto scorre sullo schermo?). La ricerca di una ex che un bel giorno scompare lasciando soltanto un biglietto, “non cercarmi più”: nel filo vuoto e illogico di queste immagini (a riempire tempi e spazi scomodiamo pure il lungo corridoio di un albergo e una ragazzina che lo percorre di corse, manco fossimo in Shining, come qualcuno ha prima scomodato il nome di Malick), scene capovolte e ossessivamente ripetute, fiori che si dilatano nei colori, giochi in piscina, dialoghi fatti di nulla, misteri abbozzati di cui non si cerca chiarezza, pretese sperimentazioni che restano giochi personalissimi degli autori (autori?), tutto quanto scorre via inutilmente e nel buio della sala di tanto in tanto scorgi ombre che riguadagnano una boccata d’aria al di là dell’ingresso.

Tacendo del protagonista che ha l’espressività delle ostriche che occupano Ohong Village diretto dal giovane Lungyin Lim (concorso, produzione Taiwan/Repubblica Ceca), anch’esse in uno stato di salute non eccellente. Sheng è stato a cercare un nuovo futuro a Taipei e quando ritorna al suo villaggio sfodera davanti a parenti e amici un successo che non c’è stato, inventa appartamenti e auto e un continuo divertimento. Nulla di nulla. L’unico a comprendere è il padre. Nascono contrasti, si aggiunge una crisi che colpisce la già barcollante economia, gli allevamenti nelle acque del mare vanno male e i compratori si rivolgono altrove: qualcuno ha intenzione di partire, come il giovane amico di Sheng, dai capelli rossi e libero da ogni legame, inutile stare ad ascoltare come fanno i vecchi del villaggio il responso degli dei. La realtà è vera, concreta, amara, porta la morte del padre, sarà necessario tentare qualche altra soluzione. Forse il successo dell’amico sono altre chiacchiere, intanto si accenna alla religiosità dell’Oriente, al lavoro che non esiste, ad destino che si impone al di là di ogni ricerca e di ogni migliore intenzione, alle false aspettative che accompagnano la vita di un ragazzo. Lim, che pure ha tra le mani argomenti non da poco, accenna, tratteggia per scene brevissime, evita di addentrarsi a scavare nella psicologia e nelle azioni del suo protagonista. Lo pone davanti alle luci della grande città e lo lascia lì, immobile.

Pollice verso anche per l’unico film tedesco in concorso, Prélude di Sabrina Sarabi. Il mondo della musica, quella di Bach e Beethoven, come il mondo della passione e dei sogni caparbiamente coltivati, il mondo dello studio e della costanza, degli insegnati intransigenti, degli applausi e delle sconfitte. David ha tutto questo in sé, il bene e il male, ha la dedizione ma pure l’amore per Marie che pare frenarlo, la disordinata amicizia – e la rivalità – di Walter che lo distoglie nei divertimenti: la borsa di studio per la frequenza della prestigiosa Juilliard School dovrà attendere. Poi tutto precipita nella scrittura di Sarabi, inspiegato e assurdo, l’instabilità del racconto, il ritorno a casa, i colloqui con la madre, la decisione di farla finita. La regista accumula tante ragioni ma gira a vuoto tra le “ragioni” del protagonista, non è capace di mettere a fuoco gli altri due ragazzi intesi come impedimenti, non ne spiega i reali rapporti, tutto appare a tratti incoerente, pasticciato, tirato via senza la volontà (e il piacere, per lo spettatore) di dare una spiegazione plausibile.

Elio Rabbione

Nelle immagini, nell’ordine: due momenti di “Magari” di Ginevra Elkann, scene da “Now is Everything”, “Ohong Village” e “Prélude”

Uochi Toki, il duo è un caso nazionale

Off Topic, via Pallavicino 35, Torino – Venerdì 29 novembre, ore 21.30

OUCHI TOKI  Malæducaty Tour

Le profezie cyberpunk non si sono avverate e gli Uochi Toki si trovano immersi in questo presente ibrido diluito al massimo che depotenzia qualsiasi iniziativa. Quindi, di fatto, cyberpunk, anche se spoglio dell’inconografa che lo renderebbe grandioso. Con questa premessa il duo è tornato alla forma espressiva del rap, stavolta non per destrutturare o ristrutturare, bensì per urgenza, per emotività, per contrasto.

“Malæducaty“ è un disco che nasce direttamente nell’amarezza della sconfitta durante gli attriti degli Uochi Toki con il pubblico e con le varie strutture umane che definiscono l’Attuale, invece che da un’idea narrativa sorretta da uno sguardo lucido. È un percorso di oscurità, accettazione e rinascita in 17 fasi che non promettono mai catastrofe o lieto fine. È un disco in cui si cambia continuamente argomento anche se ogni traccia è concatenata con quella successiva, scritto e composto di getto come lo zaino che si prepara in fretta quando si sta scappando dagli inseguitori o quando ci si sta preparando ad inseguire qualcuno. I brani sono molto più brevi rispetto ai precedenti dischi proprio per esercitarsi nella sintesi, nel cosa portare e cosa lasciare quando la situazione inizia a farsi davvero stretta. I suoni escono dall’ambiente tellurico e sotterraneo per correre sul terreno, come dei non-morti che hanno ancora attaccati brandelli di campioni putrefatti dalla distorsione ma sostenuti da beat ossei che si muovono col groove, lasciando intendere che si tratta di zombie di antichi rappers.

In “Malæducaty” l’elettronica di Rico ha un peso specifico più alto ma in tracce di minor durata, permettendo così azzardi noise più elevati e soluzioni di mix inconsuete.
L’influenza degli ascolti rap passati o presenti è più di concetto che sonora, e trasformata creativamente da letture come “La vera storia dell’hip hop” di Dr. Pira o “Apocalypso disco” e “Frankenstein goes to holocaust” di Dj Balli. Si tratta di un disco che permette l’accesso sia a chi non ha mai ascoltato nulla degli Uochi Toki, sia a coloro che li seguono da tempo, dove gli accenni autoreferenziali sono sempre bilanciati da un corrispettivo di apertura a nuove orecchie, sempre a patto che queste stiano cercando qualcosa di Altro e siano vivaci e attente. Il meccanismo portante è il dissing, un regolamento di conti in cui ci si accorge che, per quanto ci si sforzi, i conti non tornano mai con conseguente frenata e stemperamento dei toni, un modo di raccontare come la rabbia si dissolva al cambiare della percezione del tempo, come anche nella sconfitta o nel caos ci siano nutrite sacche di umorismo nelle quali i confitti possono avere aspetti di entusiasmo costruttivo. Anche se l’intento iniziale era quello di descrivere tristezza e sconforto, alla fine Napo non riesce mai completamente ad abbandonarvicisi, e in alcune tracce arriva addirittura a cantare in modo scherzoso, rigorosamente senza autotune o vocoder. Il linguaggio di Napo in “Malæducaty“ integra termini che mischiano indegnamente inglese e italiano, più per dare l’idea di come sia il suo parlare nella vita fuori dai dischi, che per far venire i capelli bianchi ai grammar nazis.

Il disco esce per Light Item, etichetta di elettronica esplorativa fondata da Rico e Gèc Megabaita qualche anno fa con l’obiettivo di stanare compositori e produttori di elettronica noground e nostream per portarli a suonare in luoghi avventurosi. Gli Uochi Toki si stavano ponendo la domanda “cosa può/deve fare davvero un’etichetta per noi?” quando, fra mille ipotesi scartate, la risposta si è palesata trasparente come la finestra di casa e, come sempre più frequentemente fanno, Rico e Napo hanno scelto l’autonomia.

Ingresso: 8 euro

Prevendite online su http://bit.ly/UochiTokiTorino

Attori torinesi si esibiscono davanti a papa Francesco

30 novembre, Aula Paolo VI – Piazza del Sant’Uffizio, Città del Vaticano

Sarà un weekend pieno di emozioni per 80 allievi torinesi di Accademia dello Spettacolo che sabato porteranno il loro musical – I Musicanti di Brema – davanti a Papa Francesco in VaticanoVivranno l’esperienza unica di esibirsi in Sala Nervi, davanti a Papa Francesco e ad un pubblico di quasi 12.000 spettatori, giovani e adolescenti provenienti da tutto il mondo.

Dopo il debutto dello scorso 25 ottobre al Teatro Alfieri di Torino in occasione del Friday For Future e le repliche a Verona, lo spettacolo, scritto, prodotto e diretto da Accademia Spettacolo, ha ricevuto uno speciale invito e andrà in scena in Vaticano.

I Musicanti di Brema è caratterizzato dal forte impegno sociale nei confronti del pianeta, tema molto caro al Pontefice che, da sempre sensibile alla tematica ambientale, parla ai giovani per sensibilizzarli al rispetto e alla salvaguardia dell’ambiente.

Da Torino sono in partenza, oltre al cast, anche tanti piccoli attori in erba, i più giovani hanno solo 4 anni e saranno accompagnati dalle loro famiglie. Per questa importante occasione infatti Accademia dello Spettacolo ha unito la Scuola Formazione Attore, che si rivolge a giovani aspiranti attori di professione dai 18 ai 24 anni, alla Scuola di Musical, che accoglie bambini, ragazzi e adolescenti dai 4 ai 18 anni, dando vita ad uno spettacolo per grandi e piccini.

Musicanti di Brema è un vero e proprio viaggio nel mondo della fantasia che diverte e allo stesso tempo fa riflettere su uno dei problemi più attuali e sentiti dei giorni nostri: quello dell’emergenza climatica. “Con la consapevolezza che la nostra società debba prendere opportuni provvedimenti per evitare di commettere una grave ingiustizia nei confronti delle future generazioni, – dichiara il direttore artistico Mario Restagno –  proponiamo un progetto che si pone in continuità con tutto il lavoro di Accademia Spettacolo che da sempre crea e produce opere dedicate al mondo della scuola e di educazione alle arti sceniche”.

Il testo, i costumi e la messa in scena dello spettacolo richiamano le tematiche ambientali attraverso la storia di amicizia dei protagonisti, quattro animali diversi tra loro: un gallo, Jack Rooster, una gatta, Futura, una cagnolina, Gaia, e un asinello, Hope.

Scritto e diretto da Mario Restagno con musiche di Paolo Gambino e Walter Orsanigo, Musicanti di Brema si ispira al grande classico della letteratura per l’infanzia dei Fratelli Grimm, rileggendolo in chiave moderna e green.

Accademia dello Spettacolo è un’associazione culturale senza fine di lucro, dal 2000 promuove diversi progetti di educazione alle arti sceniche. L’associazione è leader nel teatro educativo, si occupa di creare e produrre opere dedicate al mondo della scuola. “Il Gigante Egoista”, “Le Avventure di Pinocchio”, “Hamelin il pifferaio magico”, “Scrooge canto di Natale” sono solo alcune delle opere diffuse a livello nazionale nelle scuole italiane: ad oggi solo oltre 1.800 le classi che hanno riprodotto localmente una delle opere proposte utilizzando gli strumenti didattici offerti. Per sostenere l’avviamento professionale dei giovani artisti ha realizzato anche diverse produzioni originali di teatro musicale: Sogno di una notte di mezza estate (2012), Decameron (2013), Excalibur (2014), Solo chi Sogna (2015), Il Piccolo Principe (2017) e ultimamente “Musicanti di Brema”. Accademia dello Spettacolo si propone di sostenere l’inserimento professionale dei giovani artisti under 35 e per questo ha ottenuto il sostegno di Fondazione Assicurazioni Cattolica. Grazie a Musicanti di Brema ha ricevuto l’interesse dell’azienda A2A e delle associazioni Lega Ambiente, CARP ed ISDE.

Il Black Friday del Regio

Dopo il grande successo della prima edizione, con più di duemila (2.466) biglietti venduti, torna il Black Friday del Regio e, questa volta, è una straordinaria promozione per un intero fine settimana: da venerdì 29 novembre ore 10 a lunedì 2 dicembre ore 10, un’occasione unica per regalarsi e regalare grandi spettacoli e per condividere la gioia dell’opera con gli amici. Solo per gli acquisti online, saranno attive eccezionali offerte, con sconti fino al 50%, fino a esaurimento dei posti disponibili.

Gli utenti potranno accedere al Black Friday tramite un codice promozionale che sarà annunciato giovedì 28 novembre, sul sito e sui social del Teatro.

In occasione del Black Friday, il Regio lancia 3 nuovi abbonamenti con il 40% di sconto:

Winter con Carmen di Georges Bizet, Il matrimonio segreto di Domenica Cimarosa e Nabucco di Giuseppe Verdi, un vero abbonamento ai capolavori dell’opera. Spring con La bohème di Giacomo Puccini, La Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach e Don Pasquale di Gaetano Donizetti, l’opera simbolo nata al Regio nel 1896, il capolavoro della musica barocca e una delle massime espressioni dell’opera buffa. Summer con Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi e My Fair Lady, di Lerner e Loewe: l’abbonamento che propone un grande titolo verdiano, il più conosciuto melodramma buffo di Rossini e un musical classico dalle indimenticabili melodie.

E ancora Black Friday con sconti dal 30% al 50% sull’acquisto dei singoli biglietti per tutti gli spettacoli della Stagione.

Infine, solo per chi acquista durante il Black Friday, la recita di Carmen di martedì 17 dicembre ore 15 ha un prezzo unico, per qualsiasi settore, di 30 €. Uno straordinario invito all’opera! Seguite il Teatro Regio sui nostri social media

I libri più letti e commentati a Novembre

Ecco una piccola rassegna dedicata ai titoli che maggiormente hanno interessato i lettori iscritti al gruppo di Facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di novembre.

Com’era prevedibile, tocca alle uscite più recenti fare la parte del leone: Cambiare l’acqua ai fiori, di Valérie Perrin (E/O) ottiene ottimi riscontri, così come Il Colibrì, di Sandro Veronesi (La Nave di Teseo). Terzo gradino del nostro podio per I Testamenti, di Margareth Atwood (Ponte alle Grazie) lettura impegnata ma molto apprezzata.

 

In occasione della GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE, da poco passata, abbiamo scelto di segnalare i seguenti titoli per approfondire la tematica e offrire spunti di riflessione che vadano oltre le uscite più recenti: La donna che sbatteva nelle porte, di Roddy Doyle (Guanda); Ferite a Morte, di Serena Dandini (Rizzoli); Leggere Lolita a Teheran, di Azar Nafisi (Adelphi).

 

Gli appassionati di saggistica, ai quali abbiamo deciso di riservare un piccolo spazio in questa rubrica, hanno dedicato le letture del mese alla spiritualità e all’approfondimento delle tematiche religiose, e tra i titoli presi in esame segnaliamo Cos’è La Felicità, di Daisaku Ikeda (Esperia); La Notte del Getsemani, di Massimo Recalcati (Einaudi) e Il Dio delle Donne , di Luisa Muraro (Mondadori).

Per la serie: Time’s List of the 100 Best Novels, ovvero i cento romanzi più importanti del secolo XX, scritti in inglese e selezionati dai critici letterari per la rivista Times, questo mese noi abbiamo discusso di Uomo Invisibile, di Ralph W. Ellison (Einaudi), caposaldo della letteratura di denuncia del XX seolo; Luce d’Agosto (Adelphi), grande prova di scrittura di uno dei più importanti autori americani del secolo scorso, William Faulkner; Il Grande Gatsby, classico di Francis Scott Fitzgerald (Feltrinelli) che racconta magnificamente l’età del Jazz.

 

Tra le numerose discussioni a tema quella che ha maggiormente coinvolto la community era legata al dibattito sulla possibile convivenza tra lettori e reti sociali: a tale proposito, ricordiamo che il tema sarà approfondito nell’incontro, moderato da Giovanni Agnoloni,  che si terrà a Firenze, domenica 1 dicembre presso la libreria Todo Modo di via dei Fossi e che vedrà protagonisti anche noi di Un Libro tira l’altro, ovvero il passaparola dei libri. Vi aspettiamo.Podio del mese

 Cambiare l’acqua ai fiori, Perrin

Il Colibrì,Veronesi

I Testamenti, Atwood.

 

Libri a tema: donne e violenza

 La donna che sbatteva nelle porte, Doyle

Ferite a Morte, Dandini

Leggere Lolita a Teheran, Nafisi

 

Saggi a tema: spiritualità

Cos’è La Felicità, Ikeda

La Notte del Getsemani, Recalcati

Il Dio delle Donne, Muraro

 

Time’s List of the 100 Best Novels

Uomo Invisibile, Ellison

Luce d’Agosto,Faulkner;

Il Grande Gatsby,  Scott Fitzgerald

 

Testi di Valentina Leoni, grafica e impaginazione di Claudio Cantini redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

 

 

La pittura intimista di Denise Angelino

Dal Piemonte

Il Circolo Culturale Piero Ravasenga di Casale Monferrato, intitolato al geniale stravagante avvocato poeta pittore di Borgo San Martino, vissuto tra il 1907 e il 1978, ogni anno sente il dovere di ricordare un artista monferrino ormai scomparso da non dimenticare in quanto rappresentante di vita culturale di Casale e del circondario.

Dal 30 novembre al 15 dicembre la manica lunga del Castello Paleologo si presta alla presentazione della mostra di Denise Angelino, che ci ha lasciati lo scorso anno, facendola rivivere attraverso delicati oli e acquerelli rivelatori di temperamento sensibile e intimista.

La sua è stata un’esistenza costantemente dedicata alla contemplazione della bellezza delle cose umili, spesso inosservate, a cui ha dato vita.

I temi e i soggetti, che trattano cose quotidiane, nature morte e paesaggi familiari, la consegnano ad un naturalismo di ascendenza macchiaiola unito a qualche lieve appena percettibile accento metafisico, sgombro da intellettualismi, e fanno riflettere sull’apporto di suggestioni morandiane e casoratiane; i colori soffusi e discreti, resi in atmosfera silente, semplificata e purificata, la avvicinano ad una affinità elettiva con la scrittrice-pittrice Lalla Romano, anch’ella piemontese e scomparsa ultranovantenne.

Si coglie lo stesso silenzio contemplativo, privo di compiacimenti eppure così abile nel parlare al cuore, comunicare affetti e tenere nostalgie che ci commuovono facendoci entrare nel suo mondo in cui, in qualche modo, ci possiamo riconoscere.

A corollario della mostra di Denise sono esposte, tra pittura, scultura, ceramica, fotografia, poesia, opere di sessanta interessanti artisti facenti parte del Circolo, di cui è presidente l’attento e appassionato Ivaldo Carelli.

Una nota particolare è offerta dagli allievi del corso sull’arte pittorica” La Figura” tenuto dalla brava pittrice Giovanna Defrancisci che unisce tradizione classica a modernità.

Orari sabato-domenica ore 10-13  / 15-19

 

Giuliana Romano Bussola

 

“Si nota all’imbrunire”, Orlando al Carignano

DAL 3 DICEMBRE. Diretto da Lucia Calamaro

Martedì 3 dicembre 2019, alle ore 19.30 debutta al Teatro Carignano di Torino

Si nota all’imbrunire (Solitudine da un paese spopolato) scritto e diretto da Lucia Calamaro. Lo spettacolo è interpretato da Silvio Orlando e da Vincenzo Nemolato, Roberto Nobile, Alice Redini, Maria Laura Rondanini, con scene di Roberto Crea, costumi di Ornella e Marina Campanale e luci di Umile Vainieri.

Si nota all’imbrunire – prodotto da Cardellino srl, in collaborazione con Napoli Teatro Festival e in coproduzione con Teatro Stabile dell’Umbria – resterà in scena al Carignano per la stagione in abbonamento del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale fino a domenica 15 dicembre.

In questa pièce scritta e diretta dalla drammaturga Lucia Calamaro, Silvio Orlando incarna un padre vedovo, malato di “solitudine estrema”.

Il testo che parla di isolamento, male oscuro e insidioso del nostro tempo è nato da una riflessione su una patologia molto attuale a cui la socio-psicologia ha dato un nome ben preciso: solitudine sociale. L’opera ha un testo intenso, senza retorica e pieno di humour e lo straordinario Silvio Orlando la interpreta magistralmente alternando sfumature tra la malinconia e la cattiveria, la levità e la disperazione. Vedovo di una moglie amatissima, attende nella sua casa lontana e sperduta la visita dei tre figli e del fratello, per la tradizionale commemorazione della defunta ma anche per il suo compleanno che cade il giorno prima. Sigillato in un esilio volontario, ha acquisito una serie di manie tra cui una molto seria: non vuole più camminare. Questo isolamento, che dovrebbe creare compassione, infastidisce invece la famiglia, un microcosmo che svela egoismi, meschinità, frustrazioni. È un tramonto amaro quello di Silvio, sempre più chiuso nel dolore, nel rancore e nell’apatia ma che in realtà cela un’inconfessabile voglia di tenerezza.
Un triste destino comune a molti. «La solitudine – scrive l’autrice, che dirige anche lo spettacolo – in futuro rischia di diventare un’epidemia, anche tra i giovani».

 

Maria La Barbera

Con Piemonte dal Vivo il Black Friday è sul palco

Per il terzo anno la Fondazione Piemonte dal Vivo promuove “Black Friday a Teatro”, offrendo al pubblico una vasta gamma di nomi e spettacoli teatrali d’alta qualità, in promozione – dal 29 novembre al 1° dicembre – a prezzi ridottissimi per chiunque acquisti online.

L’iniziativa si inserisce tra le azioni messe in atto da Piemonte dal Vivo per incrementare e stimolare l’accesso degli spettatori alla vasta gamma di proposte multidisciplinari sostenute dal circuito regionale. Questo, infatti, uno degli obiettivi verso cui tende l’attività della Fondazione, che – in collaborazione con gli enti locali – si occupa di diffondere nei teatri piemontesi spettacoli realizzati dalle più qualificate compagnie regionali, nazionali e internazionali, programmando quasi 900 repliche in un anno, in oltre 70 comuni, per un totale di 158 palcoscenici calcati.

Le proposte selezionate per il Black Friday spaziano da piccole tournée a date singole, per un ventaglio di offerte multidisciplinari tra prosa, danza e circo.

Fausto Coppi. L’affollata solitudine del campione di Gian Luca Favetto è un racconto a più voci in parole e musica per celebrare a cent’anni dalla nascita il grande sportivo. Lo spettacolo è in tournée in Piemonte, giovedì 5 dicembre allo Spazio Kor di Asti; venerdì 6 dicembre al Teatro San Francesco di Alessandria; sabato 7 dicembre al Teatro della Parrocchia di Cumiana; martedì 10 dicembre al Teatro Toselli di Cuneo.

Il silenzio grande con Stefania Rocca e Massimiliano Gallo, per la regia di Alessandro Gassman, porta in scena la complessità dei rapporti familiari, martedì 3 dicembre al Teatro Civico di Vercelli e mercoledì 4 dicembre al Teatro Concordia di Venaria.

La parrucca con Maria Amelia Monti e Roberto Turchetta, dal testo di Natalia Ginzburg, è una commedia comica, drammatica e vera, in cui il personaggio femminile a tratti ricorda la figura dell’autrice, venerdì 6 dicembre al Teatro Sociale di Valenza.

In Happy Hour i due interpreti-danzatori Mauro Paccagnella e Alessandro Bernardeschi ripercorrono, attraverso 10 coreografie e un dialogo costante e diretto con il pubblico, le loro vite e i loro ricordi di teenagers cresciuti negli anni ‘70 in Italia, sabato 7 dicembre al Café Muller di Torino.

Cyrano dans la lune di Deriva Clun è una storia dai risvolti a volte comici, altre volte tristi, con in scena due clown-attori sabato 7 dicembre allo Spazio Centro Fiere Montexpo/Moncirco di Montiglio d’Asti.

I due gemelli, liberamente tratto dal testo goldoniano, viene reinterpretato da Jurij Ferrini su testo di Natalino Balasso giovedì 12 dicembre al Teatro Sociale di Pinerolo.

AgGREGazioni di e con Claudio ‘Greg’ Gregori è in scena sabato 14 dicembre al Teatro Magnetto di Almese (To). Greg come solista si misura nel suo primo monologo tratto dall’omonimo libro e trasformato in pièce teatrale.

La Bella Addormentata, incredibile capolavoro del balletto classico, viene portato in scena dal Balletto di Mosca – Russian Classical Ballet, sabato 14 dicembre al Teatro Il Maggiore di Verbania.

La Locandiera è una interpretazione della celebre commedia di Goldoni da parte dell’Accademia dei Folli, domenica 15 dicembre al Teatro Pertini di Orbassano (To).

Vertigo Christmas Show con Cirko Vertigo è il consueto appuntamento natalizio, nello chapiteau di Grugliasco, domenica 29 dicembre al Teatro Le Serre.

PIEMONTEDALVIVO.IT

Il sogno di Battiston, una favola che è un piccolo capolavoro narrativo

Il successo italiano al 37° TFF

È tratto da un recente fatto di cronaca Dio esiste, il suo nome è Petrunya – presentato con successo all’ultima Berlinale – della regista macedone Teona Strugar Mitevska, una produzione che raggruppa Belgio/Slovenia/Croazia/Francia e Macedonia, presentato nella sezione “Festa Mobile” e in uscita sugli schermi il 12 dicembre. Un titolo che rientra a pieno diritto nel vasto discorso della violenza sulle donne, che allo stesso tempo s’allontana dall’abuso sessuale per dirci quanto ogni pregiudizio coltivi il germe della pericolosità e quanto una società sia ancora radicalmente legata a ferree e antiche tradizioni, poste ciecamente in campo civile come in quello religioso. La lotta di una donna, Petrunya, una “bruttina stagionata”, disoccupata e con una laurea in storia, obbligata a dover combattere giorno dopo giorno contro una madre che la sminuisce con i suoi giudizi negativi. Dopo l’ultimo colloquio di lavoro andato male, con l’eventuale datore a dirle che non sa che farsene di lei come segretaria e senza giri di parole che è brutta e non se la scoperebbe mai, Petrunya s’incrocia sulle rive di un fiume con una cerimonia ortodossa, in cui una croce di legno, gettata nelle acque dal pope, assicurerebbe un anno di prosperità a chi la raccolga: e a raccoglierla è Petrunya, in un atto istintivo, immediato, in mezzo ad un gruppo folto e agguerrito di uomini. Che non ci sta, per il fatto che la tradizione vuole che soltanto i maschi gareggino per recuperare la croce, da sempre, e sono insulti e aggressioni e fughe mentre intervengono autorità religiose e civili, interrogatori contro la donna (la donna macedone e di oggi, e non soltanto) nel continuo tentativo di quelle autorità di barcamenarsi come ben sanno, tra ipocrisie e infondatezze, mentre il popolo becero fuori cerca di irrompere nella stazione di polizia. E una giornalista televisiva, a dover combattere la propria crisi familiare e a prendere a cuore il destino della protagonista. Alla quale quel calvario di soprusi è umanamente utile per far propria la decisione del cambiamento, attraverso la lotta cui si prepara, in casa e fuori. Migliore nella prima parte e destinato a stagnare per qualche tratto man mano che deve districarsi lungo la serie degli interrogatori, nel chiuso delle stanze, Petrunya, che ha al centro la bella prova della combattiva Zorica Nusheva, è comunque nelle mani della Mitevska un film che raggiunge appieno i propri scopi di rivolta e riesce a costruire una pagina nuova intorno alla “povertà” della donna balcanica.

Se siamo dalle parti della banalità per quanto riguarda Wet season firmato da Anthony Chen (Singapore/Taiwan, in concorso al 37° TFF) – insegnante di cinese, di perenne malinconia, malvista e presa in giro da colleghi e studenti, marito assente e sbadato, suocero da imboccare e accudire, incrocia allievo più che affettuoso identificandolo con quel figlio che non ha mai avuto, timide resistenze e innamoramento, incontro clandestino, monsoni perennemente in agguato e gran disco del sole nel finale a ricordarci che una nuova età può sempre nascere: con tutta probabilità un momento di stanchezza per i selezionatori -, ancora dal concorso (unico rappresentante per l’Italia) balza su bello pimpante Il grande passo, opera seconda, dopo Finchè c’è prosecco c’è speranza del ’17, di Antonio Padovan (scritta con Marco Pettenello), che ha il grosso pregio di essere una bellissima favola pronta a guardare tra le facce e i territori disseminati intorno a Rovigo al cinema di Mazzacurati, non disdegnando di sognare in grande, alla Spielberg (e le musiche di Pino Donaggio a volte paiono John Williams); e quello di risparmiarci, per un titolo almeno, tutti i drammi e il drammume, le lacrime e le infelicità che invadono la terra e le nostre diverse società, di tenerci fuori dai pensieri che ci stringono ogni giorno più forte e di farlo con intelligenza, con stupore autentico, con sorrisi ben distribuiti, con una buona dose di follia che in fin dei conti non guasta. Insomma, una piccola innocente rivelazione. Ci dice di Mario, spirito strampalato, Luna Storta lo chiamano in paese, del suo continuo guardare a quel grande e bianco disco notturno, lui lassù ci vuole andare, lui il missile che lo porterà lassù lo prepara davvero. Non che il primo tentativo gli riesca senza intoppi, un gran fuoco alla partenza e procura un incendio che distrugge i campi dei vicino: e allora da Roma, dove gestisce con la madre un negozio di ferramenta, arriva il fratello con i piedi ben saldi a terra, il Mario, quasi mai visto, fratello per parte di padre, un tale che s’è fatto una nuova famiglia e che di loro non s’è mai occupato (ma quanto Dario ha creduto in lui!), un fratello che vuole essere un aiuto immediato perché Luna Storta non sia messo in una casa di cura. Ben raccontato, dando libero sfogo alla fantasia e alla disubbidienza, al realismo imposto e al desiderio di evasione, alla fuga (ma quanto somigliano alle illustrazioni di un vecchio Pinocchio quei due poliziotti che tentano di fermare Dario!), Padovan regala con il suo piccolo circo del Nord-Est un’opera matura, ambiziosa pur nella leggerezza del racconto, forte di quel sogno che sorregge l’esistenza di molti. A Giuseppe Battiston è sufficiente un sospiro, una brevissima pausa, un movimento impercettibile degli occhi per costruire dei veri e propri momenti geniali, Stefano Fresi lo tallona con il suo corpo massiccio, un monumento alla positività, al propositivo: una coppia che qualcuno finalmente ha legato in un bell’esempio di cinema alto.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini, di seguito: Zorica Nusheva, interprete di “Dio esiste, il suo nome è Petrunya”; la furia dei monsoni in “Wet season”; Giuseppe Battiston e Stefano Fresi, i due fratelli di “Il grande passo”, opera seconda diretta da Antonio Padovan

Malinpensa by Telaccia, cromaticità e dinamismo

 Artisti in mostra fino al 30 novembre prossimo alla galleria in corso Inghilterra

 

Dinamismo e cromaticita’. Questo il binomio che contraddistingue le opere dei quattro artisti ospitati in mostra fino al 30 novembre prossimo nella galleria d’arte torinese Malinpensa by Telaccia (in corso Inghilterra 51 ). Sono Emanuele Biagioni, Giovanni Mangia, Renzo Sbolci e Lorenzo Sabbatini.

Un sottile fil rouge unisce questi quattro pittori, che si diversificano per età e provenienza geografica, ed è costituito dalla cromaticita’ delle loro opere, accompagnata ad un gusto tonale capace di esprimere sulla tela, con tecniche diverse, emozioni vibranti.

Emanuele Biagioni, artista lucchese, realizza sulla tela efficaci effetti di luci ed ombre, che acquistano una rilevanza tecnica ed una puntuale raffigurazione. L’artista ama ritrarre scorci notturni e scene urbane in cui i rari riflessi chiaroscurali diventano dinamici e vengono sostenuti da una resa formale di rilevante interesse artistico. La scelta dello sfondo scuro, non di facile esecuzione, attribuisce al tessuto una cromaticita’ ricca di estro e portatrice di un linguaggio autonomo.

Di carattere più surreale sono le opere dell’artista Lorenzo Sabbatini, capace di liberare, attraverso la fantasia, una forte carica simbolica, accompagnata da una non trascurabile  valenza spirituale. Le figure delle sue tele dialogano sospese in una dimensione a metà tra realtà e sogno, indagando anche il mistero riguardante l’esistenza umana. Equilibrio strutturale,  trasparenza del colore, movimento dei bianchi e neri, accompagnati agli azzurri, danno vita ad una raffigurazione che risulta riflessiva e comunicativa.

La produzione dell’artista Giovanni Mangia, originario di Collepasso, in provincia di Lecce, ma con studi universitari e laurea in Architettura a Firenze, si concentra, invece, su una tecnica dell’acrilico su tela e collage di vari tessuti, capace di dimostrare una magistrale padronanza tecnica. Fantasia, ispirazione e contenuto si intrecciano nelle sue composizioni, che uniscono la tecnica ad una forte carica espressiva. Giovanni Mangia, in età giovanile, da universitario  frequentò a Fiesole lo studio del professor architetto Giovanni Michelucci, coltivando contemporaneamente la sua passione artistica, partecipando anche a personali e concorsi in Italia ed all’estero. La sua opera è il risultato di una indagine piuttosto approfondita, in cui la luce ha un ruolo fondamentale insieme al colore, la prima quale simbolo di energia, il secondo quale fonte di ispirazione.

Infine, in mostra, l’opera dell’artista livornese Renzo Sbolci, ormai di casa a Ferrara, che si serve delle superfici in legno, sapientemente sagomate ed impreziosite dall’uso di matite e di pastelli cerosi, che gli permettono di raggiungere risultati molto felici sia dal punto di vista tecnico sia per quanto riguarda gli effetti estetici. Le cromie e le suggestive vibrazioni simboliche nei suoi dipinti vengono arricchite grazie ad un effetto tridimensionale piuttosto originale; il segno grafico incisivo che contraddistingue le sue opere si affianca ad un impianto geometrico capace di tradurre tutta una gamma di piani, di volumi e di linee in continua mutazione. L’artista, con l’uso del legno nelle sue opere tridimensionali, gioca con il pieno ed il vuoto e con i pastelli passati sui tasselli dei non-mosaici.

Nelle sue opere Renzo Sbolci compie, così, una sorta di viaggio cosmico, reso ancora più evidente dalla mutazione della sua stesura materica.

Mara Martellotta