Che cosa sta succedendo al di là delle porte sbarrate dei teatri, in questa annata di pandemia che sta sgretolando cartelloni e iniziative, che prende a calci la Cultura (ma la colpa non sta soltanto tutta lì, a Roma si decidono – si sono da tempo decisi – decreti che pensano poco e male alla nostra pancia e nulla ai nostri sentimenti teatrali), che cancella un’intera attività, che soffoca i pensieri e l’aggregazione?
Che cosa si fa per tener debolmente viva la candela che forse è ancora in grado di non spegnersi del tutto (aspettiamo questo benedetto 27 marzo e poi vedremo se allontanarci per sempre dal capezzale o tornare timidamente, con ogni accorgimento mai pensato, a occupare un teatro, o una sala cinematografica), grazie ad un occhio privato e vittima della solitudine, non mescolato al rosso delle poltrone e dei sipari, che ci porta nelle case, ancora una volta, almeno le voci e le battute, i corpi che si muovono, gli attori che esprimono sentimenti, un regista che guida ogni cosa attraverso le pagine di un copione?

Il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale ha realizzato Camere nascoste. Svelare il teatro a porte chiuse, curato dal regista e videomaker Lucio Fiorentino attraverso una serie di docufilm. Grazie al link www.teatrostabiletorino.it/camerenascoste è possibile riappropriarci con uno sguardo della scena, dopo il Garcìa Lorca della Casa di Bernarda Alba (che aveva avuto brevissima vita sul palcoscenico nei mesi scorsi), con il titolo “Dov’è finita la normalità?” si hanno le prime immagini di The Spank di Hanif Kureishi, che avrebbe dovuto avere il proprio debutto nel dicembre scorso e che verrà riproggrammato nel corso di quest’anno: due attori, Valerio Binasco e Filippo Dini, quest’ultimo a curare anche la regia del testo nella nostra città in prima mondiale, per due amici da sempre legati da un rapporto di solidi affetti e complicità che all’improvviso si incrina mettendo allo scoperto una rete di contraddizioni e divergenze finora mai immaginata. Con “Il fantasma della verità” (titolo spudoratamente bunueliano) ci viene restituito per immagini quel Così è (se vi pare) che con la regia a tratti sconcertante ma solidissima di Dini avevamo visto al Carignano: non soltanto immagini, ma altresì interviste e approfondimenti e sviluppi che ancor più e più chiaramente ci avvicinano al testo pirandelliano.
Da pochi giorni è ultimo arrivato “Le bestie” a mostrarci le riprese delle prove (anche questo spettacolo verrà programmato nel corso di quest’anno), approfondite in ogni loro sguardo d’analisi, ancora di un testo di Pirandello, quel Piacere dell’onestà che proprio a Torino ebbe il suo battesimo 104 anni fa, nel novembre del ’17, con la compagnia di Ruggeri. Anche per questo riavvicinamento tra spettatore e palcoscenico, il link ci offre immagini, stralci di dialogo a spingerci verso la curiosità, sentimenti, percorsi a viva voce attraverso i personaggi della commedia, in primo luogo il Baldovino di Valerio Binasco (sua anche la regia, affrontata quasi di sghembo, immergendosi nella “profonda sgradevolezza” del protagonista con un “forte disagio”, con una costante amarezza, scena dopo scena, arrivando ad uno sfacciato “odio questo spettacolo”). Trasportando l’azione agli anni Cinquanta del ‘900, in un ambiente freddo e spoglio inventato da Nicolas Bovey, Angelo Baldovino piomba nelle regole borghesi di un ferreo nucleo familiare e le contorce, ne mina le ipocrisie, egli solitario perdente, appartato da tutti e da tutto, ma allo stesso tempo sottile raisonneur, lucido esempio del panorama pirandelliano, capace di dare comodamente la mano a Leone Gala o ad un Ciampa, che all’ombra di quei ragionamenti indossa la maschera di padre e di marito, restituendo con il matrimonio una veste d’onestà a una ragazza che è stata resa madre da un uomo sposato: ma con quei ragionamenti l’uomo costruisce e incappa in quel ruolo di facciata che subito odia e allontana, convinto com’è che a quel finto concetto debba subentrare la verità più assoluta, la ragione e l’intelligenza in grado di ristabilire l’ordine. A quel che per ora intravediamo sulla scena, Binasco conduce con un sottile percorso di sguardi e di sentimenti, di dialettica e di inaspettata disperazione il proprio personaggio, di esatta ribellione; Orietta Notari è una grintosa suocera che vorrebbe dettare e mantenere ben saldo quel personale gioco delle parti ma che è costretta a soccombere; Giordana Faggiano e gli altri attori si muovono attraverso la partitura che Binasco ha impostato. Li attendiamo al debutto, sulle vere tavole del palcoscenico.
Elio Rabbione
Le immagini sono di Luigi De Palma




Certo ci va una buona dose di coraggio e di testarda passione a progettare e a mettere in piedi oggi mostre d’arte. Di questi tempi, per mostre e musei è infatti un continuo ondivago balletto di aperture e chiusure, al ritmo un po’ lugubre dell’andamento pandemico. Zona gialla, arancio, rossa, bianca. Si apre in presenza e non si sa quale sarà il finale. O, al contrario, si apre online e si termina in presenza. O, ancora ci si avvia online per poi passare in presenza e approdare di nuovo, a metà percorso, online fino a concludere il tragitto, forse, in presenza. E’ quanto capita alla retrospettiva “I mondi di Mario Lattes # 1” dedicata dalla “Fondazione Bottari Lattes” di Monforte d’Alba alle opere “recuperate” (alle nuove acquisizioni che vanno ad arricchire il patrimonio della collezione permanente) dell’eclettico artista torinese. Inaugurata online, causa emergenza sanitaria, il 22 dicembre scorso, la rassegna é stata aperta al pubblico, a seguito del passaggio del Piemonte in “zona gialla”, il 10 febbraio e da lunedì primo marzo, di nuovo trainata dal passaggio della Regione in “zona arancio”, in visione web. Quali saranno i prossimi passi? Per ora – e ci piace darne informazione perché la mostra è davvero suggestiva e ricca di intrigante visionarietà – nell’attesa della possibile riapertura al pubblico, l’esposizione sarà nuovamente presente e visitabile sul sito della “Fondazione”, con una pagina di approfondimento online, con immagini di dipinti, contenuti testuali e testi critici e con un vero e proprio “tour virtuale” che permette di rendere più realistica l’esperienza di visita alla mostra: https://fondazionebottarilattes.it/i-mondi-di-mario-lattes-1/
presenze simboliche (la farfalla, la conchiglia, l’uovo, la mano) messe lì a far memoria dolorosa in un bagno profondo di risentito e amaro umorismo; al pari delle sue “marionette” e dei suoi “alter ego” tutt’altro che giocosi e rassicuranti insieme alle nature morte con “cianfruscole” o cianfrusaglie che il pittore amava collezionare e agli studi di volti e personaggi dai tratti scultorei ed essenziali nella geometrica astrazione delle forme. Una quarantina le opere esposte: dipinti figurativi, ma con valenze fortemente oniriche, dai tratti marcatamente espressionistici, realizzati da Lattes nell’arco temporale che va dal 1959 al 1990. Sono opere mai finora esposte, facenti parte delle nuove acquisizioni recuperate dal fondo di collezionisti privati per accedere al prezioso patrimonio della pinacoteca a lui dedicata nelle sale espositive al primo e al secondo piano della “Fondazione”, accanto ai molti lavori già in essa presenti. Lavori che raccontano, nella quasi totalità, il viaggio nei “mondi di Mario Lattes”, come recita il titolo dell’attuale rassegna con l’aggiunta di quell’ “# 1” , teso a connotarsi come prima tappa di una complessa esplorazione che verrà arricchita nel tempo attraverso ulteriori recuperi, resi disponibili al pubblico a più riprese.
graffiante pare quasi voler irridere con sarcastico umorismo le immagini del potere; così come quelle “Marionette e manichino” del ’90 che raccontano non di squarci gioiosi legati all’infanzia ma di ricordi che “sono cicatrici di memoria” o come quella figura femminile (?) avvolta nel gorgo di un’umbratile nuvola grigiastra che non ci sembra abbraccio carezzevole ma misteriosa pur se suggestiva prigione del cuore. Dice bene Vincenzo Gatti: “L’accesso ai mondi di Lattes è insidioso. Occorre adeguarsi alle sue luci e alle sue ombre, intuire l’indefinito pur sapendo che esiste un lato oscuro che non potrà disvelarsi”.



Torino, città nella quale Filippo Juvarra ebbe un ruolo di primo piano per quasi 20 anni e che conserva la più grande collezione al mondo di opere juvarriane presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino con il nome di “ Corpus juvarrianum “, dedica al grande architetto messinese la mostra “ Filippo Juvarra regista di corti e capitali dalla Sicilia al Piemonte all’Europa”.
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