Torna a Omegna l’ottava edizione del Festival della Letteratura per Ragazzi dedicato al più illustre cittadino del capoluogo del lago d’Orta, lo scrittore Gianni Rodari. Da sabato 16 a domenica 24 ottobre il Festival sarà accompagnato da molti eventi in un crescendo che culminerà con l’inaugurazione del Museo “Una fantastica storia”, interamente dedicato a Rodari.
L’edizione 2021 dell’evento rodariano si inaugura con una serie di mostre che porterà sulle rive del Cusio importanti autori ed editori . “Per questa ottava edizione – commenta Sara Rubinelli, assessore comunale alla Cultura – avremo ospiti Beatrice Masini, Angelo Ruta, Nicola Cinquetti, Giuseppe Festa, Sergio Olivotti, Guido Quarzo e Cinzia Ghigliano”. Evento importantissimo, sabato 23 ottobre, giorno del 101° compleanno di Rodari. l’inaugurazione di ‘Una fantastica storia’ , il museo realizzato a Omegna dopo un attento lavoro di riqualificazione di un immobile comunale fatiscente, allestito dalla società torinese Aurora Meccanica in collaborazione con un gruppo di esperti conoscitori dell’opera di Rodari, prenderà spunto dalle sue opere e da quel testo fondamentale intitolato Grammatica della Fantasia. Nello spazio espositivo del Forum saranno visitabili l’interpretazione artistica delle opere letterarie di Rodari a cura dell’artista omegnese Giorgio Rava, nonché la mostra sugli illustratori di C’era due volte il barone Lamberto ,curata dal professor Pino Boero che, attraverso sedici roll up, presenterà la figura dell’illustre omegnese, affrontando le diverse sequenze narrative attraverso la riproduzione delle illustrazioni di Paola Rodari, Federico Maggioni, Bruno Munari, Francesco Altan, Javier Zabala e Mauro Maulini. Gianni Rodari era nato a Omegna il 23 ottobre 1920, in riva al Lago d’Orta dove i genitori, originari della Val Cuvia nel Varesotto, si erano trasferiti per lavoro. E il ricordo dell’infanzia nella città sul lago d’Orta emerse più volte nelle su interviste e nei racconti. “Da ogni punto della parola Omegna partono, per me, fili che si allungano in ogni direzione […]. Per adesso preferisco che i ricordi, quando si fanno vivi, rimangano dentro di me a nutrire le mie emozioni, a colorare le mie fantasie”. In C’era due volte il barone Lamberto scrisse: “Se vi mettete a Omegna, in piazza del Municipio, vedrete uscire dal Cusio un fiume che punta dritto verso le Alpi. Non è un gran fiume, ma nemmeno un ruscelletto. Si chiama Nigolia e vuole l’articolo al femminile: la Nigolia”. E anche le sue umili origini ( aveva visto la luce in via Mazzini, una delle vie principali di Omegna, dove il padre, Giuseppe Rodari, fornaio, svolgeva la sua attività) vennero descritte così: “Credo di averlo già detto sono figlio di un fornaio […] La parola “forno” vuol dire, per me, uno stanzone ingombro di sacchi, con un’impastatrice meccanica sulla sinistra, e di fronte le mattonelle bianche del forno, la sua bocca che si apre e chiude, mio padre che impasta, modella, inforna, sforna. Per me e per mio fratello, che ne eravamo ghiotti, egli curava ogni giorno in special modo una dozzina di panini di semola doppio zero, che dovevano essere molto abbrustoliti. L’ultima immagine che conservo di mio padre è quella di un uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. È fradicio e trema. È uscito sotto il temporale per aiutare un gattino rimasto isolato tra le pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di broncopolmonite. A quei tempi non c’era la penicillina“. Nonostante l’infanzia segnata da quel lutto, Rodari seppe sviluppare al meglio la sua straordinaria fantasia, diventando uno dei più grandi scrittori per l’infanzia di tutti i tempi.
Marco Travaglini
Sarà anche strana coppia. Ma non di meno ci appare estremamente interessante e suggestiva l’accoppiata in mostra al “MEF-Museo Ettore Fico” di Torino del napoletano (da anni operante fra Roma e Spoleto e per la prima volta a Torino) Stefano Di Stasio e del collettivo “Aganahuei”. Entrambe curate da Andrea Busto (direttore del Museo di via Cigna) con testi in catalogo di Vittoria Coen, le due rassegne –“Un attimo di eternità”, fino al 19 dicembre, la prima e“A noi importa il tempo che viviamo”, fino al 24 ottobre, la seconda – evidenziano con tutta chiarezza e altezza di toni alcune fra le varie e di certo più suggestive strade che può assumere nelle sue mille sfaccettature interpretative il linguaggio dell’arte contemporanea. Esponente di spicco dell’ “Anacronismo”, movimento artistico teorizzato da Maurizio Calvesi negli anni Ottanta (rivolto ad esaltare un ritorno alla pittura tradizionale in contrasto con le tendenze concettuali dell’epoca), Di Stasio “attinge a piene mani – scrive Andrea Busto – dalla storia dell’arte, soprattutto quella italiana, fonte inesauribile e autogerminante ove il passato, il presente e il futuro sono sostantivi dal sugnificato incomprensibile”. Il suo è un acuto compendio della storia dell’arte di figurazione nelle sue più essenziali espressioni ed espressività.
Che diventa, afferma lo stesso Di Stasio, “percorso PER immagini e non pensiero che USA immagini”. Come dire: gesto pittorico lasciato libero di andare “alla potenza evocativa dell’immagine stessa”, come essa si presenta, in prima battuta, alla mente e prima che intervenga, a modificarne la visionarietà dell’intuizione, lo spirito razionale. Una mostra “storica” e di impegnativa interpetazione. Al centro le opere di un artista presente a varie “Biennali di Venezia” (nell’ ’84 fu lo stesso Calvesi ad invitarlo con una sala personale ad “Arte allo Specchio”) e a numerose “Quadriennali” di Roma, oltreché in innumerevoli e, fra i più prestigiosi, Musei nazionali e internazionali. Una proposta, l’antologica di Di Stasio al “MEF”, di preziosa godibilità, accanto a quella di “Aganahuei” , “fresca, nuova e divertente, per riprendere la vita -conclude Busto– in modo non troppo pesante”.