Antonio Mocciola ritorna sulle scene dopo la pandemia con un nuovo atto unico, “Stoccolma”, che rivisita lapalissianamente il mito della Sindrome di Stoccolma.
Finalista al premio Annoni, dedicato ai testi a tematica LGBTI, i protagonisti sappiamo già che sono gay o esploreranno questa corporeità e questa affettività, anche solo perché, adolescente negli anni ’90, Mocciola scrive di questo nei suoi libri, articoli ed opere teatrali.
Gli anni ’90, l’apocalisse dell’AIDS, la nascita delle associazioni LGBTI in Italia, dopo la falsa partenza negli anni ’70, la visibilità di un mondo che in Italia è sempre vissuto in modo scisso, nascosto o espresso, a Napoli, da figure effeminate e stereotipate, come i femminielli.
Ed è fondamentalmente un giovane degli anni ‘90 che viene rappresentato, con una consapevolezza matura, un orgoglio portato all’eccesso, che diventa violento in una trama misteriosa, che parte da un colpo di scena e termina con una luce Caravaggesca che avvolge per un istante i protagonisti finalmente riconciliati.
Stoccolma, sapranno i lettori, è la sindrome che crea un legame d’affetto tra la vittima e il suo carnefice. Ne abbiamo vista una rappresentazione in casi di cronaca esasperanti quando il recupero di una cooperante alta bionda e con gli occhi azzurri ci ha fatto scoprire che era diventata modesta, velata e profondamente islamica.
In questo caso osserviamo nel dettaglio la violenza che, nei tempi teatrali, colpisce attraverso le sue nudità in scena ed i corpi assenti di due personaggi di contorno, nelle parole e nei gesti usati e nei significanti tra le righe, non detti, o nelle azioni presenti o passate, dette, ma avvenute rigorosamente fuori scena.
Stoccolma tra uomini, dove l’età della vittima è la protagonista, perché crea una seconda tensione, quella del legame padre figlio e la esplora attraverso tutti e quattro i personaggi citati, attraverso tutte le possibili sfumature, secondo linee emotive e comportamentali tipiche, anche in questo caso, degli anni ‘90.
I movimenti di liberazione LGBTI hanno prodotto mutazioni notevoli, anche in Italia, nelle relazioni dei giovani con i propri genitori e con le figure adulte di riferimento, nel loro farsi presto accettare o meno da amici, partner e familiari. La generazione degli anni Novanta, come quella mia e di Mocciola, quella rivissuta dal giovane protagonista, è quella, invece, che ha avuto bisogno di superare i vent’anni per essere libera di esprimersi.
I legami padre figlio sono cambiati da allora, moltiplicandosi le esperienze possibili ed anticipandosi alla prima adolescenza il Coming Out, mentre in scena si esplora, grazie al testo di Mocciola, una profondità scomoda e dolorosa, che speriamo sia divenuta rara.
Mocciola non ammette di averlo studiato, ma se da bravi psicoterapeuti voleste leggere Isay “Essere Omosessuali” vi scoprireste, nelle estensioni di una disamina psicanalitica rigorosa, tutte quelle sfumature della relazione padre figlio che “Stoccolma”esplora e lentamente scioglie.
La bravura degli attori e della regia nel rendere un testo breve ma così profondo, sono ovviamente essenziali, come la pazienza di aspettare che arrivi in qualche piccolo teatro di essay nella vostra città o magari richiederlo direttamente alla compagnia di Antonio Mocciola.
Manlio Converti
Tra la cancellata dei Dioscuri e la facciata del Castellamonte, si respira a Torino, in Piazzetta Reale – e si respirerà sino al 9 gennaio prossimo -, un’inattesa atmosfera condivisa tra classicismo e contemporaneità. Il mondo antico intriso della provocazione di oggi. Fabio Viale, cuneese di nascita, uno degli artisti più interessanti e acclamati del panorama odierno dell’arte – personale al Glyptothek Museum di Monaco di Baviera, la partecipazione al Padiglione Venezia della Biennale 2019, l’esposizione al Pushkin Museum di Mosca e “Truly”, mostra diffusa nei luoghi simbolo della città di Pietrasanta nell’estate 2020: ad accrescerne il successo, ci penserà l’anno prossimo la città di Arezzo che gli metterà a disposizione strade e piazze perché le riempia delle sue opere -, presenta con “In Between” un suggestivo percorso marmoreo, con la collaborazione della Galleria Poggiali e con la cura di Filippo Masino e Roberto Mastroianni, percorso che si amplia in altri luoghi all’interno del vasto complesso di Palazzo Reale.
immagini, i capolavori come da sempre li abbiamo davanti agli occhi, i canoni della bellezza e della perfezione, “magicamente alterati” (quanti penseranno “sporcati”?) in una immersione di contemporaneo, fatta di ricerca e di tecnologia. “Attraverso le chiavi della meraviglia, del virtuosismo tecnico e della reinterpretazione creativa – dichiara Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali -, l’arte di Fabio Viale ci spinge a guardare con occhi nuovi ai capolavori di scultura che popolano i nostri musei e il nostro immaginario: un arco teso tra passato e futuro, fra tradizione e sperimentazione presente, un omaggio alle multiformi potenzialità del patrimonio culturale e un invito a conoscerlo e a sfidarlo senza pregiudizi”.
Nella Cappella della Sindone, Fabio Viale, non credente, ha voluto deporre “Souvenir Pietà (Cristo)” del 2006, metterlo al centro dell’architettura del Guarini e di fronte ad una delle più importanti e misteriose icone del Cristianesimo, solo, inerme nella tragedia della morte, privato dell’abbraccio della Madre. Nell’Armeria Reale, tra lance alabarde ed elmi, trova spazio “Lorica”, ovvero la riscrittura di una parte di un’armatura antica, in marmo rosa, a cui Viale ha dato vita attraverso una scansione tridimensionale ad alta risoluzione del corpo di Fedez, sì il rapper: lorica, grazie a piccole cinghie, perfettamente indossabile e Fedez, in un giorno non ancora precisato, entro la fine della mostra scenderà a Torino per la mitica prova. I fan sono avvisati.

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Infine, a Sanremo troviamo la sorella di Henrich Aldenhoven, Margharete che per amore si è trasferita da Colonia nella riviera ligure. La vita con il marito italiano -storico dell’arte, rampollo di una ricca famiglia della buona borghesia sanremese, – potrebbe essere più felice e spensierata se non fosse che purtroppo deve fare i conti –difficili e amari- con le angherie continue della insopportabile e onnipresente suocera Agnese, dispotica matriarca.
Marta era avvocato e militante impegnata in prima linea contro la dittatura militare. Era stata sequestrata nella sua casa il 28 ottobre del 1976, di fronte ai quattro figli ancora piccoli. Da allora di lei non si era saputo più nulla, solo che era stata fucilata insieme ad altri compagni e compagne.
meridionale delle isole giapponesi, Kyushu –che esiste davvero-. Il giovane studioso e appassionato di geografia è lì per svolgere delle ricerche sul campo lasciate incompiute dal suo maestro.
Sparks è uno degli autori più amati dal pubblico, i suoi romanzi pubblicati in oltre 50 paesi sono quasi tutti dei best seller e molti hanno ispirato film di successo. Qui ancora una volta imbastisce una storia che va dritta al cuore, tocca buoni sentimenti, dolori, sconfitte e speranze rinnovate.
Eduardo ‘Mono’ Carrasco è il nome clandestino e provvisorio – ma tutto ormai lo chiamano così – di Hector Carrasco, nato a Santiago del Cile nel 1954, grafico, muralista, promotore culturale della ‘Brigada Ramona Parra’, vive in Italia dal 1974 anno in cui vi giunse come rifugiato politico dopo il golpe militare che rovesciò il governo democraticamente eletto di Salvador Allende per portare al potere Augusto Pinochet.
Lo abbiamo incontrato in quell’occasione e ne è nata una lunga chiacchierata, ricca di spunti su un’arte ed fatti storici che, pur avvenuti ‘alla fine del mondo’ ebbero una notevole eco in Europa e, particolarmente, in Italia.
Nei tre anni di Governo Allende i dipinti non sempre avevano una simbologia politica. Molti servivano a dare un altro volto a quartieri marginali.
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In esposizione troviamo una cinquantina di opere di grande formato, spesso e con originalità presentate nella formula del dittico o del trittico, realizzate negli ultimi vent’anni e in cui il celebre fotografo altoatesino intende approfondire e documentare con strabiliante esattezza di particolari il tema dei cambiamenti (di qui il titolo della rassegna) dello spazio ambientale. Sia esso naturale, alpino soprattutto, ma anche specchio di architetture urbane in cui non manca di interagire l’uomo, causa concreta degli stessi mutamenti narrati da Niedermayr. Mutamenti spaziali, climatici, ma anche mentali, determinati dal rapporto ambiguo fra uomo e natura che il fotografo pare voler sottolineare attraverso tonalità quasi sempre poco contrastate e neutre, volte a muovere riflessioni morbide (mai impositive) su comportamenti che sarebbe giusto modificare o, per lo meno, limitare per non snaturare l’ambiente, trasformandolo in “altro”, quasi sempre di danno all’immagine originale e all’uomo stesso. “Le sue fotografie – racconta Walter Guadagnini, direttore di CAMERA e curatore della mostra insieme a Claudio Composti e Giangavino Pazzola – si fondano infatti sulle mutazioni che il paesaggio alpino ha subito e continua a subire e trovano la loro ragion d’essere e la loro identità proprio in questo elemento, nella presenza di qualcuno o qualcosa che ha cambiato, e continua a cambiare, l’elemento naturale”. L’interesse dunque di Niedermayr per l’indagine dei luoghi, del classico armonioso paesaggio dell’ambiente alpino- naturale, non è solo interesse di carattere geografico, ma anche e soprattutto di tipo sociale. “Per il fototografo altoatesino – sottolineano ancora i curatori– lo spazio fisico appare come perno di una relazione trasformativa tra ecologia, architettura e società”. Così, ad esempio, la presenza dell’uomo, in alcuni lavori della serie “Alpine Landschaften” (“Paesaggi Alpini”) è interpretata “come un parametro di misurazione delle proporzioni dei panorami alpini e al tempo stesso come metro politico del suo intervento nella metamorfosi degli equilibri naturali”. Intenzioni rimarcate anche nella serie “Portraits” dove i cannoni sparaneve ripresi durante la stagione estiva – quindi inattivi e coperti da teli– diventano ambigue surreali presenze che abitano il paesaggio. In mostra sono esposte anche due dittici inediti realizzati a seguito di una committenza che ha permesso a Niedermayr di scattare, a inizio anno, nel cantiere di Palazzo Turinetti a Torino che diventerà la quarta sede delle “Gallerie d’Italia” di Intesa Sanpaolo in Piazza San Carlo. In apertura, nei primi mesi del 2022, il Museo sarà dedicato prevalentemente a fotografia e a videoarte.