CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 508

Gli “Omaggi” di venti artiste ai Maestri del passato

Nelle sale della galleria “Arte per Voi” di Avigliana, fino al 15 dicembre

Venti donne, venti artiste che hanno la pittura, l’acquerello e la ceramica nel cuore, ripensano ai maestri di un tempo, lasciando spazio alle loro scelte personali, ai sentimenti, alla passione che le guida. Ed ecco Omaggi, a cura di Giuliana Cusino e Luigi Castagna, nelle sale della galleria “Arte per Voi” di Avigliana (piazza Conte Rosso, 3), fino al 15 dicembre, visite il sabato e la domenica dalle 15 alle 19. Espongono Silvana Alasia, Susy Ardengo, Franca Baralis, Tiziana Berrola, Ines Daniela Bertolino, Luciana Bevilacqua, Cetty Boniello, Nadia Brunori, Enrica Campi, Antonella Castrignano, Ilaria Chiocchi, Luisella Cottino, Giuliana Cusino, Maria José Etzi, Renata Ferrari, Lucia Galasso, Sonia Girotto, Elena Monaco, Elena Piacentini e Serena Zanardo.

In piccolo formato, giocando tra l’acquerello e la foglia d’oro, ai minuziosi intarsi floreali di Klimt e alla distribuzione dei suoi colori si dedica Silvana Alasia, rivisitando favolistiche atmosfere e drappeggi coloratissimi, mentre l’Ardengo con la ceramica raku ricorda le frammentazioni di Mastroianni. Se omaggio deve essere, ecco che Franca Baralis si riappropria della memoria di Cesare Pavese e tra terre vicentine e smalti cattura volti ed espressioni, tumulti e sensualità di un intero universo letterario, posto tra la realtà irrisolta e un mito che ci arriva di lontano. Nella pura dolcezza di sempre, la Bertolino si affida al mondo acquatico di Monet, al gioco rosato delle sue ninfee, Luciana Bevilacqua al mondo fantastico di Paul Klee, ai maestri del Futurismo gli oli di Cetty Boniello. Come Nadia Brunori sceglie la rivisitazione geometrica degli studi di Antonio Sant’Elia, una precisione affidata ai pastelli, alla china e all’acquerello. È poi un “bacio” del nuovo millennio quello che la Castrignano ci offre ripensando, pure lei, a Klimt mentre Enrica Campi scomoda Leonardo per riproporre spiritosamente la Dama con ermellino e Luisella Cottino rivisita le atmosfere brumose, quasi liquide di un maestro come Turner, in un susseguirsi di sapienti sfumature e, con Giungla, Giuliana Cusino omaggia Max Ernst.

La Etzi tenta di cogliere lo sguardo semplice e misterioso allo stesso tempo della Ragazza con l’orecchino del secentesco Vermeer e Renata Ferrari, attraverso la propria continua ricerca sul corpo umano, guarda con esattezza al Pensatore di Rodin, giungendo ad una intrigante composizione di forme. L’ormai riconosciuta bravura di Elena Monaco mescola i geni – Ed io tra di voi – di Michelangelo, Caravaggio e Lucien Freud, in un gioco a specchio di particolari, di mondi ed epoche diversi seppur umanamente prossimi, consanguinamente legati. E da citare infine La grande onda con cui Elena Piacentini s’appropria dell’arte di Katsushika Hokusai, un acquerello che è maestosità, irruenza, idillio fantasioso e prepotente.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini:

Silvana Alasia, “Giardino prospero” (omaggio a Gustav Klimt), acquerello e foglia oro, 25 x 25, 2019

Luisella Cottino, “Una città” (omaggio a William Turner), acquerello, 23 x 23, 2015

Elena Piacentini, “La grande onda” (omaggio a Katsushika Hokusai), acquerello su carta arches, 56 x 75, 2004

L’arte di Penagini in mostra a Omegna

Dal Piemonte

Domenica scorsa, al Forum di Omegna, sul lago d’Orta, è stata inaugurata la mostra “Il valore umano e poetico nell’arte di Siro Penagini”, realizzata dall’Associazione “I Lamberti“ e patrocinata dall’Amministrazione comunale del capoluogo cusiano.

Penagini,nato a Milano nel 1885 e morto a sessantasette anni a Solcio di Lesa sul lago Maggiore dove è sepolto nella cappella di famiglia nel piccolo cimitero locale, autore tra le sue tante opere anche del noto affresco che ritrae Mosé e le tavole della legge presso il Palazzo di Giustizia del capoluogo meneghino, è uno degli artisti italiani più importanti del secolo scorso. La mostra che gli è stata dedicata dall’associazione che si ispira alla memoria e alle opere di Gianni Rodari, resterà aperta fino al 1 dicembre, dal martedì alla domenica, dalle 15.00 alle ore 18.00. Il   titolo scelto per la mostra riassume più di ogni altro il senso del lavoro artistico di Siro Penagini, un artista da annoverare tra i grandi maestri del 900 italiano. “La sua pittura   – scrivono i critici Roberto Ripamonti e Giulio Martinoli che ne hanno curato la biografia – va osservata con occhio attento e indagatore, lo sguardo deve soffermarsi sia sul segno sia sul colore per far emergere tutti i suoi segreti e la straordinaria bellezza di cui ogni opera è intrisa”. Al catalogo della mostra ha collaborato il critico d’arte Marco Di Mauro, indagando e ricostruendo il percorso artistico di Penagini e i suoi vari spostamenti: da Caravate a Monaco, da Roma a Terracina, da Positano alla Sardegna, fino all’ultimo periodo di Solcio di   Lesa. Inoltre   il prof. Di Mauro   ha messo   in   risalto   i   contatti   dell’artista   con   le esperienze   più   all’avanguardia   dell’arte   europea   del   suo   tempo   e   i   suoi momenti evocativi. Nel catalogo è stato inserito l’articolo di Giovanni Testori apparso sul Corriere della Sera nel 1985 in occasione della mostra allestita al Museo del Paesaggio di Verbania,   in   cui   si  sottolinea   le   responsabilità   degli   storici   dell’arte   e   del mercato per le ingiustizie verso alcuni artisti del XX secolo e in primo luogo Siro Penagini, che, pur avendo dalla sua critici devoti come Raffaele De Grada, Mario De Micheli, Marco Rosci e   lo   stesso   Testori,   rimane   totalmente   e   dolentemente rilegato nell’ombra.

Prova ne è la recente mostra tenutasi a Palazzo Reale a Milano, dedicata a Margherita   Sarfatti – sottolineano Martinoli e Ripamonti – dove   Penagini   è stato   completamente   omesso,   senza tener conto che la stessa Sarfatti avrebbe voluto a suo tempo inserirlo nel Gruppo del 900 accanto a Sironi, Carrà, Funi, Bucci, Dudreville, Oppi e Marussig. Ma Penagini   rifiutò,   sia   per   il   suo   carattere   schivo   e   riservato   sia   perché   non voleva avere obblighi e scadenze. Inoltre non manifestò mai simpatie verso il regime, da cui avrebbe potuto trarre dei vantaggi. Sicuramente il suo voler essere e restare indipendente non   ha giovato alla sua carriera, nonostante abbia partecipato a dodici Biennali di Venezia”. Sara Rubinelli, dinamica assessore alla Cultura del comune di Omegna, all’inaugurazione dell’evento ha posto in evidenza l’importanza di “poter ammirare la bellezza dei quadri attraverso una mostra che li esibisce in modo curato, studiato ed esperto. Ritrovare o scoprire la bellezza dell’arte vuol dire investire in un tempo che ci arricchisce e che ci ispira a relazionarci con sguardo nuovo a un presente che trova nello studio e nella contemplazione del passato il senso della sua evoluzione”.

M.Tr.

La Fondazione Bottari Lattes premia la “Traduzione”

Al via la prima edizione del nuovo Premio, dedicata per il 2020 ai romanzi tradotti dalla lingua araba

Scadenza del bando, il 10 gennaio 2020

 

Il Premio avrà cadenza biennale e “nasce dalla consapevolezza del fondamentale ruolo dei traduttori nella diffusione della letteratura e del loro impareggiabile contributo nell’avvicinare popoli e culture differenti, abbattendo muri ideologici, creando ponti culturali e favorendo il dialogo”: spiega così Caterina Bottari Lattes, presidente dell’omonima Fondazione (nata nel 2009 a Monforte d’Alba, per commemorare la figura di Mario Lattes, noto editore, pittore, scrittore e intellettuale di primo piano del nostro Novecento, scomparso nel 2001) , l’idea di indire il nuovo Premio Biennale Mario Lattes per la Traduzione, in collaborazione con l’Associazione Castello di Perno, già un tempo “filiale” cuneese – gemella della sede centrale di via Biancamano a Torino – della Casa Editrice Einaudi, attualmente di proprietà di Gregorio Gitti e sulla via giusta per tornare ad essere “casa per la cultura”, con particolare attenzione alle arti contemporanee.

La prima edizione 2020 del Premio sarà dedicata alla Letteratura Contemporanea in lingua araba e aperta alle opere di narrativa tradotte ed edite in Italia tra il 2017 e il 2019, che dovranno essere inviate alla Fondazione Bottari Lattes (in via Marconi 16, a Monforte d’Alba, Cuneo) entro il 10 gennaio 2020.  Il bando è scaricabile sul sito www.fondazionebottarilattes.it

La Giuria Stabile del Premio individuerà cinque opere finaliste selezionate tenendo conto della capacità del traduttore di rendere in italiano la qualità letteraria del testo.

Della Giuria fanno parte i traduttori e i docenti: Anna Battaglia (ha insegnato Lingua francese all’Università di Torino e tradotto, tra le diverse opere, “Oiseaux” di Saint-John Perse), Melita Cataldi ( ex docente di Letteratura anglo-irlandese all’Ateneo torinese, al suo attivo traduzioni dall’antico irlandese, William Butler Yeats e poeti del Novecento come Hutchinson e Heaney), Mario Marchetti (traduttore di lungo corso dal francese e dall’inglese per le case editrici Einaudi e Bollati-Boringhieri, presidente del Premio Italo Calvino, autore di saggi e recensioni), Antonietta Pastore (scrittrice e traduttrice dal giapponese, alla quale si deve la traduzione di numerose opere di Haruki Murakami e di autori come Soseki Natsume, Kobo Abe, Yasushi Inoue) e Fabrizio Pennacchietti (orientalista, già docente di Filologia Semitica all’Università Ca’ Foscari di Venezia e all’Università di Torino, oggi membro dell’Accademia delle Scienze di Torino).

Alla Giura Stabile sarà affiancata, per ogni edizione, una Giuria Specifica per la lingua oggetto del Premio, che valuterà la cinquina e decreterà il vincitore. Per la prima edizione gli altri giurati, esperti di lingua araba, sono: Isabella Camera d’Afflitto (fra i massimi studiosi della lingua araba, nonché docente di Lingua e Letteratura Araba alla Sapienza di Roma e all’Orientale di Napoli), Manuela Giolfo (arabista presso l’Università di Genova), Claudia Tresso (docente di Lingua Araba all’Università di Torino).

La cinquina dei traduttori finalisti sarà resa nota entro la fine del mese di maggio 2020. Il nome del vincitore sarà annunciato nel corso della premiazione che si svolgerà sabato 20 giugno 2020 al Castello di Perno.

Mantenendo fede all’attenzione costante che la Fondazione Bottari Lattes rivolge ai giovani, il Premio Traduzione coinvolgerà anche studenti e neolaureati in Lingua Araba delle Università italiane, mettendoli in contatto con i professionisti del settore e facendoli incontrare con vincitori e finalisti in un appuntamento a loro dedicato.

Il vincitore riceverà un premio di 3.000 euro. Ai quattro finalisti è riconosciuto un premio di 500 euro.

 

Per info:

Fondazione Bottari Lattes, via Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo); tel. 0173/7892412 – 011/19771755 o book@fondazionebottarilattes.it, eventi@fondazionebottarilattes.it, WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes | YT FondazioneBottariLattes

g. m.

 

Nella foto: Caterina Bottari Lattes

 

 

 

 

 

Nuovi appuntamenti musicali con “Vitamine Jazz”

Due nuovi appuntamenti la prossima settimana al Sant’Anna per la rassegna “Vitamine Jazz” arrivata alla sua terza stagione, organizzata per la “Fondazione Medicina a Misura di Donna” e curata da Raimondo Cesa.
I concerti avranno inizio dalle ore 10.00 nella sala Terzo Paradiso in via Ventimiglia 3.

Martedì 19 novembre sarà la volta del “Trio Accorsi Blasioli Chiappetta”
Caterina Accorsi voce -Simone Blasioli sax – Alessandro Chiappetta chitarra

Caterina Accorsi

Muove i suoi primi passi come cantante nel pop e studiando teatro. Dal 2012 vive a Torino dove è attiva nella scena musicale jazzistica. Studia con Laura Conti, Roberta Gambarini, Dado Moroni, Albert Hera, Enrico Fazio, Kevin Mahogany, Gianni Virone e molti altri. Si laurea in Filosofia della Mente nel 2017 e in Canto Jazz nel 2019 con 110 e lode al Conservatorio Vivaldi di Alessandria, tenendo un concerto arrangiato per sestetto su Carla Bley. Si è esibita negli Stati Uniti all’Hendershot Coffe di Athens (Georgia), per il Novara Jazz Festival e il Monfrà Jazz Festival.
All’attività concertistica con i progetti Vibes&Voice, Bop-Doo Way 4tet e Carla Bley Village, affianca l’attività di didatta.
Nel 2012 ha partecipato al Concorso Sieber arrivando seconda classificata.
Ha ricevuto il Premio Talento Italiano 2014 come migliore allieva del primo anno del Conservatorio A.Vivaldi di Alessandria.

Simone Blasioli

Simone Blasioli inizia a studiare pianoforte e fisarmonica all’età di quattro anni sotto la guida del padre. All’età di 15 anni viene ammesso al Conservatorio L. D’Annunzio di Pescara dove si diploma brillantemente in Sassofono. Contemporaneamente studia Jazz presso l’Accademia Musicale Pescarese e presso la Fonderia delle Arti a Roma. Successivamente si laurea in Composizione per la musica applicata alle immagini con la votazione di 110/110 Lode e Menzione D’Onore e subito dopo in Direzione D’Orchestra presso il Conservatorio “A. Casella” dellʼAquila. Nel 2010 vince la Borsa di studio Erasmus in Composizione presso il Conservatorio di Castellón, in Spagna. Subito dopo vince una seconda borsa, (SMP), come Professore assistente di Composizione e Supervisore dell’Orchestra presso il RIAM di Dublino.
È primo sassofono alto della Big Band del Conservatorio dell’Aquila; suona in molte formazioni che spaziano dal duo al sestetto. Nel 2010/11 è stato quattro volte in tournée a Minsk con l’Italian Chansonnier.Vince numerosi concorsi nazionali e internazionali tra cui il 1° premio assoluto del 5° Concorso Stand Together: con la musica in Città Sant’Angelo e il 1° premio del Concorso Internazionale di Sassofono Città di Atri.  È stato segnalato al Concorso: Composizione musicale, Creazione e Critica, SUONOSONDA, Genova. Arriva in semifinale al concorso Premio Massimo Urbani  2019.

Alessandro Chiappetta

Chitarrista e compositore, inizia a suonare la chitarra a nove anni da autodidatta.Ha Frequentato il Triennio di specializzazione in Jazz presso il Conservatorio G.Verdi di Torino sotto la direzione di Furio Di Castri.Partecipa successivamente ai seminari di Jim Hall, Scott Henderson, Joe Diorio, Mick Goodrick e John Scofield.
Ha collaborato con Enzo Zirilli, Luigi Bonafede,Andrea Allione, Alberto Marsico, Furio Di Castri, Luca Jurman, Fabrizio Bosso,  Miroslav Vitous, Paolo Porta, Gianluca Petrella, Rob Sudduth, Tineke Postma, Mauro Battisti, Gianni Virone, George Garzone, Roberto Gatto,  Quentin Collins,  Alex Garnett.
Nel 2005 partecipa alle clinics di UMBRIA JAZZ a Perugia, avendo la possibilità di suonare con chitarristi quali Mark White e Jim Kelly. Nell’ambito di detta manifestazione viene selezionato tra diversi partecipanti vincendo una borsa di studio per il Berklee College di Boston.
Nel 2009 vince il contest di Moncalieri Jazz Festival, arrivando primo classificato come miglior musicista e compositore.

Giovedì 21 novembre “Voci PeriGolose” voci dal ‘500
basso e direttore Franco Romanelli – Raluca Nicolau – Laura Ribet – Jonathan Kleis – Armando Mugnai

La strada tracciata è quella giusta…partire dal repertorio rinascimentale, comunque di vera polifonia, intellettuale, sacro e profano, talvolta volgare ma certamente con un’ idea compositiva non per tutti, vuol dire alzare l’asticella delle difficoltà rispetto al pur meritorio canto popolare, alpino, tradizionale o il gospel, nati per le grandi platee.
Il gruppo vocale Voci PeriGolose, nato all’interno del Cdm borgarese, ha conquistato Verona.
Nei mesi scorsi, infatti, il gruppo corale, agli ordini del maestro Franco Romanelli, ha preso parte alla trentesima edizione del concorso internazionale di Verona. Un palco non nuovo per il gruppo borgarese, che già in passato aveva partecipato alla competizione, portando a casa un terzo posto.
Anche in questa occasione la concorrenza è stata agguerrita, dal momento che le formazioni musicali arrivavano da mezzo mondo: da varie regioni d’Italia, certo, ma anche da Cipro, dalla Germania, dagli Stati Uniti, dalla Turchia e dal Giappone, tanto per fare alcuni esempi. Internazionali i partecipanti, internazionale la giuria, con giurati italiani, spagnoli, tedeschi, americani e croati.
Giorgio Mazzucato grande esperto di musica antica e di madrigale, si è particolarmente congratulato col direttore (e con il gruppo) per la centratura dello stile, per le scelte esecutive, la dinamica e per lo stile provocatorio, perfettamente in linea con la prassi esecutiva del ‘500. Il direttore ha mostrato con la ricerca e scelta del repertorio, e con la teatralità dell’ esecuzione proposta una visione artistica l’originale e ben definita, di raffinata efficacia.

L’isola del libro: speciale Andrés Neuman

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

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“Frattura”   -Einaudi-   euro 21,00

Andrés Neuman Galàn è uno scrittore, poeta e traduttore 42enne nato a Buenos Aires ma naturalizzato spagnolo. Laureato in filologia all’Università di Granada, oggi è lì che vive e lavora come professore di Letteratura latinoamericana presso lo stesso ateneo. Secondo la critica è uno dei migliori giovani scrittori di lingua spagnola, i suoi libri hanno vinto prestigiosi premi e sono tradotti in più di 20 lingue.

“Frattura” è l’ultimo… ed è bellissimo. Parla di sopravissuti alla bomba atomica, di tragedie varie come i terremoti e i danni inferti agli impianti nucleari; ma anche di amore, fragilità e forza, rivincita e perdita d’identità.

Protagonista è il giapponese Yoshie Watanabe, miracolosamente uscito indenne dalla devastazione delle bombe atomiche sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki, che diventano i due luoghi maledetti in cui sono morti il padre (davanti ai suoi occhi), mentre la madre e le sorelle sono state letteralmente dissolte. Di loro non è rimasta traccia, come se non fossero mai esistite se non per Yoshie, che deve continuare a vivere portandosi dentro il rovente dolore e una difficile –se non impossibile- “psicatrizzazione”. Cresciuto a Tokyo con degli zii, appena può abbandona il Giappone e gira il mondo per il suo lavoro di marketing director di un’azienda che produce televisori. Professionista instancabile fa una velocissima carriera. Watanabe è un doppio sopravissuto, perché è stato anche protagonista del terremoto del 2011 a cui è seguito lo tsunami con il devastante incidente e la fuga radioattiva dalla centrale nucleare di Fukushima (che, ironia della sorte, vuol dire “isola della fortuna). La sua vita viene raccontata dalle 4 donne che lo ameranno in tempi e luoghi diversi: Parigi all’epoca della Nouvelle Vague, New York dello scandalo Watergate, Buenos Aires alla fine della dittatura quando ancora si cercano invano i desaparecidos, e Madrid nei primi anni 90. Una vita intera, ma tante vite diverse, sempre da straniero.

Per l’occasione   perché non scoprire e leggere gli altri precedenti romanzi di Neuman; ne suggerisco almeno due.

 

“Una volta l’Argentina” -Ponte alle Grazie-   euro 16,80

Questo libro è un autentico e magnifico mosaico di tante vite diverse, collegate tra loro, che messe   insieme sono anche l’affresco di una parte della storia dell’Argentina. E’ la storia della famiglia di Neuman, figlio della buona borghesia, che va a ritroso e ripercorre le storie dei suoi avi. L’ha scritto nel 2003 dopo aver ricomposto tanti frammenti a partire dal bisnonno paterno Jacobo, discendente di una famiglia vissuta nella Russia Zarista, che in Argentina conosce e sposa la cugina di primo grado, Lidia, nata in Lituania. Sono una coppia affascinante, decisamente moderna per l’epoca: vivono in una bellissima villa con personale di servizio, giardino e campo da tennis, in un quartiere residenziale di Buenos Aires. Lui accumula ricchezza ma non sa attaccare neanche un chiodo; lei ha abilità da tecnico della manutenzione, in più amministra il patrimonio e ha fiuto nel campo dell’arte. E’ l’inizio della discendenza, in parte reale e in parte fantastica, che Andrés Neuman rimette insieme tratteggiando caratteri, legami e gesta di una pittoresca genealogia. Ci sono prozii e zii sempre alle prese con qualche guaio e costretti a fuggire dal paese, antenati ebrei poco osservanti, nonne che arrivano da lontano e restano fedeli alle lingue di origine. Poi c’è tanto altro, come le pagine dedicate alla madre di Neuman, violinista coinvolta con la sua orchestra in una sparatoria. E sullo sfondo, sempre l’Argentina con le sue piaghe. Paese splendido ma martoriato da populismo, corruzione, fame, miseria, colpi di stato e dittature militari, torture e desaparecidos……

 

 

“Il viaggiatore del secolo”   – Einaudi- euro 15,00

Parte della critica l’ha definito un romanzo ottocentesco, ma scritto con la sensibilità e gli occhi di un uomo del XXI ° secolo. E’ ambientato nella Germania del XIX ° secolo, nella cittadina di Wandernburgo, all’epoca della Restaurazione dopo la sconfitta di Bonaparte. E’ li che approda il giovane viaggiatore Hans con il suo baule pieno di libri e riviste, che di lavoro fa il traduttore e viaggia spesso. Wandernburgo non è la sua meta, dovrebbe essere solo una tappa del suo iter; invece diventa teatro della trama del romanzo. Si ferma a rifocillarsi nella locanda della numerosa famiglia Zeit ed è lì, in un’angusta stanzetta, che si arena il suo viaggio. Poi incontra Sophie, figlia del signor Gottlieb. E’ intelligente, colta, turbolenta, promessa sposa di un nobile e, nel frattempo, ha creato un brillante salotto letterario di cui è l’anima. Lì si discetta di letteratura, filosofia, politica ed economia. Hans non solo fa il suo ingresso nel circolo, ma imbastisce anche una liaison dangereuse con Sophie, dove alla carica erotica si mischiano parole, versi, pensieri ed emozioni. Hans conoscerà anche un pittoresco suonatore di organetto che vive ai margini, in una grotta, con il suo cane Franz; lo incontra nella piazza del paese, fa amicizia e con lui instaura un bellissimo rapporto fatto di confidenze, ascoltando le sue parole di profonda saggezza. Nella trama, a volte un po’ lenta, si inseriscono, a smuovere le acque, alcuni delitti e il mistero secondo il quale nessuno di coloro che sono transitati in paese, pare sia poi riuscito a ripartirne.

Omofobia e unioni civili: a Torino il docufilm “L’unione falla forse”

Dopo l’anteprima italiana al Lovers Film Festival, il documentario di Fabio Leli sarà al Cinema Ambrosio il 18 Novembre, con il regista, ospiti e associazioni

L’unione falla forse, il nuovo film documentario di Fabio Leli, dopo i premi e le anteprime in svariati festival nazionali e internazionali, arriva nelle sale con un tour di proiezioni in diverse città. Lunedì 18 Novembre sarà in proiezione a Torino, al Cinema Ambrosio, alle ore 20:15.

Nel nuovo progetto del giovane regista pugliese, presentato in anteprima nazionale alla 34° Edizione del Lovers Film Festival di Torino in cui si è aggiudicato il premio “La Stampa”, i temi centrali sono l’omofobia e le unioni civili. Protagoniste della pellicola due famiglie Arcobaleno, una coppia di ragazzi pugliesi con due bambini e due donne palermitane con la loro figlia. La vita tranquilla e serena delle due famiglie, così simile a tante altre, viene interrotta dalle interviste ad esponenti di partiti e movimenti vicini al Family Day e al recente Congresso delle Famiglie di Verona, tra cui Mario Adinolfi, Gianfranco Amato, Silvana de Mari e Massimo Gandolfini, che espongono liberamente le proprie bizzarre idee sull’introduzione della legge, sul tema dell’omofobia e sull’omosessualità.

Il quadro che ne viene fuori è quello del “primo film che, con amore ed ironia, lotta contro l’omofobia”.

Il film si impone come un importante documento d’attualità, a causa della crescita esponenziale dei movimenti ProLife di stampo cattolico estremista nonché della loro ascesa politica, grazie all’exploit dei partiti di destra che li hanno accolti nelle loro fila (l’ex ministro della Famiglia Fontana e il senatore Pillon, entrambi membri del Family Day, ne sono un chiaro esempio). Ma anche per il crescente bisogno di riconoscimenti giuridici che le famiglie omogenitoriali chiedono a gran voce e a cui a volte solo la magistratura concede l’approvazione, a causa del taglio della Stepchild Adoption dalla legge sulle unioni civili del 2016 e del recente ritorno, sulla carta d’identità, alla dicitura di “padre” e “madre” imposta dall’ex ministro Salvini.

Il film ha il patrocinio di Amnesty International ItaliaAssociazione Famiglie Arcobaleno e Cgil Nuovi Diritti. L’evento di Torino è promosso da Arcigay Torino Ottavio MaiUaar TorinoAgedo TorinoRete Genitori RainbowFamiglie Arcobaleno in Piemonte e Lovers Film Festival. Dopo la proiezione seguirà un Q&A con il regista Fabio LeliGiovanni Minerba presidente del Lovers Film FestivalChiara Palumbo autrice di “Che fretta c’era?”, libro su I Sentinelli di Milano, ed esponenti delle associazioni presenti in sala.

L’unione falla forse, già presentato a Marzo in anteprima internazionale al Festival Vues D’en Face di Grenoble, è approdato ad Aprile anche in Romania al Serile Filmului Gay Film Festival di Cluj, poi in India per l’Out&Loud Queer Film Festival di Pune dove ha vinto il “Best India Premiere”, in Norvegia per il DokFilm, il più antico e prestigioso festival di cinema documentario norvegese, in Grecia al 6° Festival del documentario di Ierapetra, vincendo il premio come Miglior Film, e ancora in Italia, al 7° Ariano International Film Festival.

“Parlami d’amore”: Caldonazzo e Branchetti in scena

DI PHILIPPE CLAUDEL. NELLA TRADUZIONE DI  DAVID CONATI. REGIA DI FRANCESCO BRANCHETTI.

 LE MUSICHE ORIGINALI SONO DI PINO CANGIALOSI E LE SCENE DI ALESSANDRA RICCI

 

23 e 24 NOVEMBRE

TEATRO CARDINAL MASSAIA- TORINO

 

Dopo il debutto in prima nazionale assoluta a Roma, arriva a Torino, il 23 e il 24 novembre al Teatro Cardinal Massaia, l’emozionante spettacolo “PARLAMI D’AMORE” di Philippe Claudel, diretto da Francesco Branchetti e interpretato dallo stesso Branchetti con Nathalie Caldonazzo.

“Da anni mi occupo come regista e uomo di teatro di testi che mettono al centro del evento teatrale il rapporto tra uomo e donna – afferma il regista Francesco Branchetti – nelle sue sfaccettature più vere, profonde ed intime e il testo di Philippe Claudel è appunto straordinario nel raccontare una società e una coppia in crisi profonda di valori e di punti di riferimento ed è straordinario nel costruire dei caratteri di clamorosa rappresentatività di una certa società e di una concezione del rapporto di coppia che qui vede sgretolarsi i suoi punti cardine e le sue fondamenta. Claudel mostra come sottotraccia possano convivere moltitudini di sentimenti intrecciati, impulsi contrastanti e come sia denso e irto di ostacoli il cammino del dialogo tra uomo e donna. Non abbandonando mai uno sguardo profondamente umano  affonda la lama nelle pieghe più intime e a tratti inconfessabili di un rapporto di coppia  e  lo fa con uno straordinario acume psicologico e una capacità quasi antropologica di raccontare il nostro presente più dilaniato in tutto quello che riguarda i rapporti umani e affettivi. Clamorosa è la sua  capacità di fare questo viaggio nel rapporto tra i nostri protagonisti e nel mondo sociale, culturale e comportamentale che essi evocano, con l’arma dell’introspezione psicologica ma anche  attraverso una straordinaria e pungente ironia che accompagna  tutto il testo.”

 Fragilità, debolezze e addirittura in alcuni momenti candore, trovano spazio in un duetto di coppia a tratti terribile, ma sempre accompagnato da irresistibile humour e travolgente ironia. Le interpretazioni dei personaggi, tese a ricostruire due profili psicologici evocano il presente  e spingono a riflettere molto su quello che a volte un rapporto può diventare e  su quanto sia difficile uscire  da certi schemi comportamentali e a volte  anche sociali.

La regia restituisce al testo la straordinaria capacità d’indagare l’animo umano e le tortuose relazioni che abbiamo con noi stessi e  con gli altri: ansie, paure, malesseri, malinconie, dolori, solitudini si confondono in una danza  che muta di ritmo ad ogni scambio di battute tra i protagonisti; tra momenti di grande ironia e amarezze profonde ci muoviamo come investigatori alla ricerca di verità nel “privato” di un rapporto di coppia, di una relazione, di un incontro.

Scene e musiche, daranno un apporto fondamentale a questo viaggio nel mondo dei rapporti tra uomini e donne, nell’inconscio, nella psiche, di cui sono proiezioni.

Alessandro Fullin e le monache di santa Tecla circondati dai Tedeschi invasori

Fino a domani 17 novembre al teatro Gioiello “Suore nella tempesta”

Alessandro Fullin, dopo i successi di Piccole gonne e La Divina, riempie i teatri, diverte, lega alle poltrone gli spettatori. Non soltanto più l’eccentrico, sulfureo personaggio alternativo di Zelig, bensì il responsabile assoluto del palcoscenico. Scrive, recita, dirige, con il risultato assicurato. Quest’anno ha promesso e mantiene la faville con Suore nella tempesta (teatro Gioiello, dino a domenica 17), commedia tratta da un proprio testo dialettale, Basabanchi, pubblicato un paio d’anni fa. Forse non una commedia ampiamente “compiuta”, forse meglio uno srotolarsi di sketches con cappello introduttivo, brevissimo svolgimento e battuta (battutina o battutaccia finale: senza che certo ce ne facciamo gran peso, i doppi sensi abbondano e traboccano) finale. Ma il divertimento – ovvero quel che il pubblico aspetta e pretende – è assicurato e, nella Torino del 1944 zeppa di truppe tedesche e con gli americani che continuano a bombardare, il cibo sempre a scarseggiare, i rappresentanti dell’ordine teutonico che non passa giorno che non bazzichino per il convento, la suora che si desuorizza e ti fa un pargolo con quell’omone barbuto che un tempo è venuto a cercare riparo lì da loro, le monache di santa Tecla, responsabile di unità e di continui miracoli, non possono non spremere risate. Fullin sta a metà strada tra la gran dama e la madre badessa tutta frizzi, ironizza, cala i suoi assi migliori, entra ed esce senza badare a spese dal periodo storico e l’anacronismo si rivela una carta vincente dello spettacolo. Ci infila pure azzeccate battute in piemontese che fanno la felicità del pubblico: come le canzoncine e i balletti che coinvolgono i suoi compagni di lavoro, Tiziana Catalano, Diego Casale, Simone Faraon, Sonia Belforte, Paolo Mazzini, Sergio Cavallaro (che firma pure le scene, i costumi spiritosi sono di Monica Cafiero), Francesco Scalas.

 

Elio Rabbione

Suonando nei parcheggi

Caleidoscopio rock USA anni 60

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Mica solo Idaho, Wyoming e Colorado… Anche in Arkansas ci sono fior fior di foreste, su tutte la Ozark National Forest e l’importante Ouachita National Forest.

Quest’ultima evoca il nome del significativo fiume, che come un serpentone pieno di spire scende sinuoso fin verso la Louisiana per confluire nel Red River e infine andare a riposare nello smisurato letto del Mississippi al confine con lo stato omonimo. Ma torniamo in Arkansas, per notare che tra la Ouachita National Forest e il Jenkins Ferry State Park passa come un coltello in diagonale la “Interstate 30”, nata nei favolosi anni Sessanta per collegare l’area di Dallas (Texas) con quella di Little Rock (Arkansas). E lì sulla lama del coltello sorge la cittadina di Malvern, che, nonostante le circa 9000 anime, ebbe durante i “Sixties” una convinta compagine di appassionati di rockabilly e rock&roll (e derivati). Qui, attorno al 1965, si costituì la band The Yardleys, formata da Steve Walker (chit), Larry Byrd (b), Butch Allen (org), Bucky Griggs (batt), Bo Jones (tr). Si sa poco o nulla di questo gruppo, se non che era un formidabile manipolo da dance club ma anche da performances all’aperto, tipo parcheggi, piazzole presso supermercati o presso aree di rifornimento benzina, con prezzi stracciati e soluzioni “low budget” in allestimenti spesso improvvisati e con strutture non sempre solide e sicure; non erano raro nemmeno qualche “piccolo infortunio” dei membri della band, magari su assi traballanti, chiodi mal sistemati o amplificatori non ben fissati. Ma l’entusiasmo della gioventù vinceva su qualsiasi contrattempo od ostacolo e tutto sommato il risultato delle esibizioni era di buon livello, nonostante il contesto e le condizioni non proprio ideali…

Il raggio d’azione non era esteso e non superò mai i confini dell’Arkansas, spaziando nell’area tra Malvern, Hot Springs, Sheridan, Benton, Arkadelphia, Carthage e Pine Bluff; l’attività manageriale assolutamente ordinaria non portò a picchi di successo eccessivi ma tuttavia consentì l’ingresso in sala di registrazione. I 45 giri incisi furono due ed è da sottolineare il fatto che fossero interamente composti da brani originali della band, peraltro in tempi in cui le covers trovavano sempre spazio, spesso sul lato A. Il primo single fu inciso nel 1966: “Come What May” [Griggs – Byrd] (FS-100; side B: “The Light Won’t Shine” [Allen]), su etichetta Foundation records, pubblicato da High Fidelity Oleta, BMI. Il secondo, con influenze dai Rolling Stones, uscì già all’inizio del 1967: “Your Love” [Allen] (S.O. 3827; side B: “Just Remember” [Allen]), con etichetta autoprodotta Yardley.

Trascorso il periodo della sala di registrazione, si passò ad una fase sempre difficile per qualsiasi band: quella della constatazione del conseguito o mancato successo a livello di vendite, ma soprattutto di permanenza nelle classifiche delle radio locali; purtroppo per la band, l’esito a livello di classifiche fu piuttosto deludente e nessuno dei quattro brani originali riuscì a spiccare il volo nelle radio charts dell’Arkansas centro-meridionale. E’ presumibile che il colpo fosse difficile da assorbire e ciò è confermato dal fatto che da metà 1967 si perde qualsiasi traccia dei The Yardleys; probabilmente decisero di sciogliersi nel giro di pochi mesi, quasi sicuramente entro l’inizio del 1968.

Gian Marchisio

Ghigo torna presidente. Del Museo del Cinema

“Un’altra avventura, con grande passione”, commenta su Facebook Enzo Ghigo, 66 anni, già presidente della Regione Piemonte dal 1995 al 2005 ed ex senatore di Forza Italia, che è da oggi il nuovo presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino. E’ stato scelto  dalla Regione Piemonte dopo le dimissioni di Sergio Toffetti che aveva polemizzato sulla decisione di affidare la direzione a  Domenico De Gaetano.  La nomina avviene proprio alla vigilia della 37 esima edizione del Torino Film Festival. Ghigo dal 2015 è presidente della Lega del Ciclismo Professionistico.