CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 505

Leonardo e i suoi saperi

PERCORSO FILATELICO SULLA VITA E LE OPERE DEL GRANDE GENIO
A CURA DI FABRIZIO FABRINI

Esposta la più grande e ricca collezione di francobolli internazionali dedicati al grande genio a cura del
collezionista 
I festeggiamenti del 500° anniversario della morte di Leonardo da Vinci vedono la città di Torino impegnata, come d’altra parte tutta l’Italia, in una serie di eventi dedicati al grande genio italico.
La Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino in sinergia con la Fondazione Luigi Firpo Centro Studi sul
Pensiero Politico e con l’Università degli Studi di Torino ha proposto una mostra dedicata a Leonardo e i
suoi saperi, con una selezione di oltre trenta opere alla scoperta di un Leonardo che, per mezzo delle più
disparate letture, andava costruendo il proprio sapere per riversarlo, rivisitato dal proprio ingegno, negli
scritti e nelle opere d’arte che ancora oggi noi tutti ammiriamo in estatica e sorpresa contemplazione.
Leonardo Da Vinci temeva di essere definito dai suoi contemporanei “Omo sanza lettere”, per il fatto di
non conoscere il latino; probabilmente per tale motivo, e per ampliare le proprie conoscenze nei vari
campi del sapere, iniziò ad avvicinarsi ai libri fino a formare nel tempo una vera e propria biblioteca privata, con opere importanti tra cui quelle di Dante, Petrarca e Boccaccio.
In questo contesto letterario, si inserisce il Percorso filatelico tra Storia e Arte, arricchito dalla presenza
importante di Dante, di Petrarca e di Boccaccio – le tre corone di un’epoca che ha prodotto grandi capolavori della letteratura italiana – e di Sant’Agostino – tra i massimi pensatori cristiani del primo millennio –
eccellenze che non potevano mancare nella formazione culturale di Leonardo e rappresentate semanticamente all’interno di preziosi francobolli che hanno reso immortali nel tempo questi illustri personaggi.
Durante l’inaugurazione del 29 novembre sarà possibile acquistare l’inedito folder filatelico con apposito speciale annullo postale appositamente ideati da Poste Italiane in collaborazione con la Biblioteca
Nazionale Universitaria di Torino .

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Sarà attiva una postazione di Poste Italiane
per l’inedito folder filatelico dedicato alla mostra
Auditorium Vivaldi – Piazza Carlo Alberto 5
La mostra sarà aperta fino al 29 febbraio 2020
Lun-gio 10-18 – Ven-Sab 10-13
www.abnut.it/leonardo_e_i_suoi_saperi
bu-to.eventi@beniculturali.it

Le “Notti del mistero” di Demarchi

Il tema del notturno costituisce il fil rouge della nuova personale dell’artista torinese, che si inaugura giovedì 5 dicembre prossimo

“Notti del mistero”. Questo il titolo della nuova personale dell’artista torinese Roberto Demarchi, in programma giovedì 5 dicembre prossimo dalle 18.30, ospitata nei suoi spazi espositivi in corso Rosselli 11, a Torino. Sono otto i nuovi dipinti ed altrettante le opere di piccole dimensioni realizzate a partire dal 1999, tutte espressioni variegate del modo di penetrare nel mistero della fede e dell’esistenza attraverso il fil rouge che lega l’esposizione, il tema del notturno. La notte, il tempo in cui sparisce la luce, può trasformarsi da tempo dell’occultamento a tempo dello svelamento. Una luce diversa da quella fisica consente, infatti,  di penetrare verità che la luce razionale del giorno impedisce di comprendere.

Il tema della notte ha, da sempre, affascinato gli artisti di tutti i tempi, da Piero della Francesca a Paolo Uccello, da Sebastiano del Piombo al Caravaggio, cui Roberto Demarchi ha recentemente dedicato un libro relativo ad uno studio su di un particolare dei dipinto della “Vocazione di San Matteo” contenuto a Roma, nella chiesa di San Luigi dei Francesi, nella cappella Contarelli.

 

Mara Martellotta

Da Argentina e Spagna due titoli interessanti, tra minimalismo e crudeltà

Tra gli ultimi appuntamenti del concorso TFF

 

Si fa in fretta a dire minimalista, oggi, sullo schermo. Ma è necessario saperlo usare senza cadere nelle ampie giravolte del nulla. Certi giovani registi, saggiati durante il 37° TFF, credono che riempirne i loro titoli sia fotografare la vita in ogni suo attimo, fare zeppe le giornate delle cose che ci accompagnano dall’alzarci dal letto al riaddormentarci, costruire con verità immediata le azioni più o meno importanti, le speranze, le infelicità.

Ci vuole sempre un bilancino a portata di mano e dei piccoli pesi che aiutino a non superare quei limiti che in un attimo invadono i terreni della noia, delle falsità, dell’esercizio privato e stupido. Tutto accade veloce, bisogna fare attenzione: la maturità, per un giovane regista, e la garanzia ad essere in grado di lasciarsi alle spalle le opere prime e seconde, dipende anche da questo. Prendete i primi dieci minuti o pochissimo più di Fin de siglo dell’argentino Lucio Castro, girato a Barcellona. Ocho, poeta venuto da New York, si sveglia, apre il frigo per una birra, si lava, dà un’occhiata ad un sito d’incontri, si masturba, scende in strada, entra in un negozio ad acquistare un po’ di frutta, si mescola alla gente, fa un salto in spiaggia per una nuotata, adocchia chi gli sta intorno, rientra, s’affaccia al balcone. Poi la storia, a due, con l’ingresso in scena di Javi inizia: ma hai tempo per comprendere quanto quella solitudine, quel “vivere dentro” e quel “guardare fuori” siano reali e pronti a scivolare all’interno dei rapporti dei due ragazzi. Che si amano furiosamente, che si raccontano, davanti al panorama della città catalana, tra una bottiglia di vino ed un pezzo di formaggio, che riscoprono di essersi già incontrati vent’anni prima, Javi allora compagno di un’amica di Ocho. Si raccontano che le loro vite hanno preso strade diverse, che la voglia di paternità dell’uno ha occupato le giornate dell’altro, immaginano convivenze; la storia si suddivide in spazi temporali, in epoche che si fondono l’una dentro l’altra, accuratamente costruite, vivacizzate, precise, i due attori sullo schermo (Juan Barberini e Ramon Pujol) le riempiono con il loro chiacchierare, con la passione e con l’abbandono, ogni cosa soppesata da Castro con piena maturità.

Forte, brutale, rivoltante a tratti, ma uno dei titoli più “affascinanti” del festival, El hoyo di Galder Gaztelu-Urrutia (Spagna) divide e conquista, certo non lascia indifferenti, ha una forza al suo interno di messaggi e di crudeltà come se ne vedono poche volte. Forse rallenta e s’affatica nella parte finale, ma non rinuncia mai a stuzzicare, a smuovere, a spingere idee nello spettatore. Che cosa è “la fossa”? In un luogo irreale, senza tempo, una prigione verticale, oltre trecento piani si verrà a scoprire, in uno di questi un mattino un uomo, Goreng, si ritrova, con una copia del Don Chisciotte di Cervantes ed un vecchio vicino di letto. Differenti piani, due prigionieri ognuno, regole ferree cui nessuno può trasgredire, un scendere una volta al giorno per una piattaforma che porta il cibo, abbondante e pronto a sparire, più si è sopra e più ci si abbuffa, mentre più si scende più restano le briciole, quanto gli altri più fortunati hanno già rovistato, masticato, abbandonato. Il comando è sopravvivere, ogni mese i detenuti vengono spostati di piano, inconsapevoli di dove si verranno a trovare, più in alto, più in basso. Nessuno vuole accettare quelle leggi, men che meno Goreng, pronto a lottare affinché ognuno, nei vari piani, possa avere una eguale e giusta dose di cibo. È il gioco della follia quello che nasce, dell’incontrollato, grottescamente, il gioco della violenza, ma anche il gioco dell’aiuto e della solidarietà, in primo piano la necessità del cibo e la riluttanza a cedere, in questo “calapranzi” che mette a fuoco l’umanità. Brutale ma solido, il titolo non dovrebbe sfuggire alle scelte della giuria della Comencini.

Si può al contrario passare sotto silenzio Pink wall diretto da Tom Cullen (il maggiordomo aggiustatutto di Downton Abbey, chi l’avrebbe mai pensato!), sei anni nella vita di Jenna e Leon, sei momenti della loro relazione raccontati in maniera non cronologica, gli amori, le feste con gli amici, il loro incontro, il variopinto sesso senza freni, le cene, i locali alla moda, i primi dissapori, le gite in montagna. Sono attimi nella vita di una coppia, frammenti buttati su un tavolo con la volontà di lasciarli lì sparpagliati, nessun ordine: e allora il disordine, fatto del vuoto delle chiacchiere che il titolo argentino era bravo ad evitare, dando un segno e uno spessore, l’ossatura di una intera vicenda, qui in un alternarsi di dolori vissuti e gioie autentiche, lo ammettiamo, che tuttavia non approdano a nulla.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini, scene tratte da “Fin de siglo”, “El hoyo” e “Pink wall”

Sullo schermo del TFF la convincente opera prima di Ginevra Elkann

Gli occhi dei bambini su una famiglia divisa e lontana

Gli occhi e le parole, l’impertinenza e le piccole sofferenze, le solitudini e le attese di una bambina di otto anni, Alma, e dei suoi due fratelli di poco più grandi, una famiglia divisa e lontana, due genitori che ancora si dilaniano, la madre in attesa di un figlio dal nuovo compagno, il padre sceneggiatore, impegnato a riscrivere un film tra rabbie e giornate di lavoro e assenze. In Magari, suo primo film in veste di regista, in qualche modo debitrice ad un certo cinema di De Sica o di Comencini, Ginevra Elkann – con l’apporto nella sceneggiatura di Chiara Barzini – racconta di una famiglia e con ogni probabilità non ha timore di catturare sensazioni e immagini all’interno di versante autobiografico che lo spettatore (il film è stato presentato al TFF nella sezione “Festa mobile”, uscita sugli schermi il prossimo marzo) si diverte a scoprire per quanto può; rivelando qualità non solo di acuta narratrice delle piccole cose di ogni giorno, ma anche addentrandosi con grande padronanza e con sommessa delicatezza nei comportamenti dei tre ragazzini dentro quella vacanza sulle spiagge di Sabaudia che a fine anno, equipaggiamento pronto per le nevi di Courmayeur, la madre ha dirottato all’improvviso. La ricerca di amicizie nuove, le partite di pallone in riva al mare, gli allontanamenti alla ricerca di nuovi spazi, incontaminati, gli intrecci con la nuova amica di papà (Alba Rohrwacher e Riccardo Scamarcio, presenze non invadenti, al servizio dei veri protagonisti), cercati o definiti a fatica, gli incidenti improvvisi che provano a riunire, ogni attimo è utile a crescere, a diventare più maturi, nel sogno leggero e continuo della famiglia riunita. Ancora una volta “i bambini ci guardano”, scrutano, giudicano, fuggono ma allo stesso tempo sono vittime dei disegni degli adulti. La giovanissima Oro De Commarque è un bell’esempio di verità cinematografica, come il Jean di Ettore Giustiniani e il Sebastiano di Milo Roussel, non si recita, si vive. Un promettente esordio per tutti.

Lo stesso certamente non si può dire per Riccardo Spinotti – figlio di Dante, grande direttore della fotografia, candidato due volte all’Oscar, diviso tra Italia e States, collaborazioni con Cavani e Olmi e Cristina Comencini, Michael Mann e Garry Marshall e Michael Apted, Tornatore e Benigni – e sua moglie Valentina De Amicis, che debuttano con Now is everything, coproduzione italo-americana, composto (meglio, scomposto) con gli apporti amichevoli di Anthony Hopkins e Ray Nicholson (un altro figlio di), presentato in concorso a questo 37° TFF che non si può certo dire che abbia saputo mettere in bella fila il meglio delle opere prime e seconde. Il film di Spinotti è tra quelli che più s’aggirano in quota debolezza e superficialità, aggiungendo una buona dose di vuote aspirazioni, di inconcludente scrittura (vogliamo chiamare così quanto scorre sullo schermo?). La ricerca di una ex che un bel giorno scompare lasciando soltanto un biglietto, “non cercarmi più”: nel filo vuoto e illogico di queste immagini (a riempire tempi e spazi scomodiamo pure il lungo corridoio di un albergo e una ragazzina che lo percorre di corse, manco fossimo in Shining, come qualcuno ha prima scomodato il nome di Malick), scene capovolte e ossessivamente ripetute, fiori che si dilatano nei colori, giochi in piscina, dialoghi fatti di nulla, misteri abbozzati di cui non si cerca chiarezza, pretese sperimentazioni che restano giochi personalissimi degli autori (autori?), tutto quanto scorre via inutilmente e nel buio della sala di tanto in tanto scorgi ombre che riguadagnano una boccata d’aria al di là dell’ingresso.

Tacendo del protagonista che ha l’espressività delle ostriche che occupano Ohong Village diretto dal giovane Lungyin Lim (concorso, produzione Taiwan/Repubblica Ceca), anch’esse in uno stato di salute non eccellente. Sheng è stato a cercare un nuovo futuro a Taipei e quando ritorna al suo villaggio sfodera davanti a parenti e amici un successo che non c’è stato, inventa appartamenti e auto e un continuo divertimento. Nulla di nulla. L’unico a comprendere è il padre. Nascono contrasti, si aggiunge una crisi che colpisce la già barcollante economia, gli allevamenti nelle acque del mare vanno male e i compratori si rivolgono altrove: qualcuno ha intenzione di partire, come il giovane amico di Sheng, dai capelli rossi e libero da ogni legame, inutile stare ad ascoltare come fanno i vecchi del villaggio il responso degli dei. La realtà è vera, concreta, amara, porta la morte del padre, sarà necessario tentare qualche altra soluzione. Forse il successo dell’amico sono altre chiacchiere, intanto si accenna alla religiosità dell’Oriente, al lavoro che non esiste, ad destino che si impone al di là di ogni ricerca e di ogni migliore intenzione, alle false aspettative che accompagnano la vita di un ragazzo. Lim, che pure ha tra le mani argomenti non da poco, accenna, tratteggia per scene brevissime, evita di addentrarsi a scavare nella psicologia e nelle azioni del suo protagonista. Lo pone davanti alle luci della grande città e lo lascia lì, immobile.

Pollice verso anche per l’unico film tedesco in concorso, Prélude di Sabrina Sarabi. Il mondo della musica, quella di Bach e Beethoven, come il mondo della passione e dei sogni caparbiamente coltivati, il mondo dello studio e della costanza, degli insegnati intransigenti, degli applausi e delle sconfitte. David ha tutto questo in sé, il bene e il male, ha la dedizione ma pure l’amore per Marie che pare frenarlo, la disordinata amicizia – e la rivalità – di Walter che lo distoglie nei divertimenti: la borsa di studio per la frequenza della prestigiosa Juilliard School dovrà attendere. Poi tutto precipita nella scrittura di Sarabi, inspiegato e assurdo, l’instabilità del racconto, il ritorno a casa, i colloqui con la madre, la decisione di farla finita. La regista accumula tante ragioni ma gira a vuoto tra le “ragioni” del protagonista, non è capace di mettere a fuoco gli altri due ragazzi intesi come impedimenti, non ne spiega i reali rapporti, tutto appare a tratti incoerente, pasticciato, tirato via senza la volontà (e il piacere, per lo spettatore) di dare una spiegazione plausibile.

Elio Rabbione

Nelle immagini, nell’ordine: due momenti di “Magari” di Ginevra Elkann, scene da “Now is Everything”, “Ohong Village” e “Prélude”

Uochi Toki, il duo è un caso nazionale

Off Topic, via Pallavicino 35, Torino – Venerdì 29 novembre, ore 21.30

OUCHI TOKI  Malæducaty Tour

Le profezie cyberpunk non si sono avverate e gli Uochi Toki si trovano immersi in questo presente ibrido diluito al massimo che depotenzia qualsiasi iniziativa. Quindi, di fatto, cyberpunk, anche se spoglio dell’inconografa che lo renderebbe grandioso. Con questa premessa il duo è tornato alla forma espressiva del rap, stavolta non per destrutturare o ristrutturare, bensì per urgenza, per emotività, per contrasto.

“Malæducaty“ è un disco che nasce direttamente nell’amarezza della sconfitta durante gli attriti degli Uochi Toki con il pubblico e con le varie strutture umane che definiscono l’Attuale, invece che da un’idea narrativa sorretta da uno sguardo lucido. È un percorso di oscurità, accettazione e rinascita in 17 fasi che non promettono mai catastrofe o lieto fine. È un disco in cui si cambia continuamente argomento anche se ogni traccia è concatenata con quella successiva, scritto e composto di getto come lo zaino che si prepara in fretta quando si sta scappando dagli inseguitori o quando ci si sta preparando ad inseguire qualcuno. I brani sono molto più brevi rispetto ai precedenti dischi proprio per esercitarsi nella sintesi, nel cosa portare e cosa lasciare quando la situazione inizia a farsi davvero stretta. I suoni escono dall’ambiente tellurico e sotterraneo per correre sul terreno, come dei non-morti che hanno ancora attaccati brandelli di campioni putrefatti dalla distorsione ma sostenuti da beat ossei che si muovono col groove, lasciando intendere che si tratta di zombie di antichi rappers.

In “Malæducaty” l’elettronica di Rico ha un peso specifico più alto ma in tracce di minor durata, permettendo così azzardi noise più elevati e soluzioni di mix inconsuete.
L’influenza degli ascolti rap passati o presenti è più di concetto che sonora, e trasformata creativamente da letture come “La vera storia dell’hip hop” di Dr. Pira o “Apocalypso disco” e “Frankenstein goes to holocaust” di Dj Balli. Si tratta di un disco che permette l’accesso sia a chi non ha mai ascoltato nulla degli Uochi Toki, sia a coloro che li seguono da tempo, dove gli accenni autoreferenziali sono sempre bilanciati da un corrispettivo di apertura a nuove orecchie, sempre a patto che queste stiano cercando qualcosa di Altro e siano vivaci e attente. Il meccanismo portante è il dissing, un regolamento di conti in cui ci si accorge che, per quanto ci si sforzi, i conti non tornano mai con conseguente frenata e stemperamento dei toni, un modo di raccontare come la rabbia si dissolva al cambiare della percezione del tempo, come anche nella sconfitta o nel caos ci siano nutrite sacche di umorismo nelle quali i confitti possono avere aspetti di entusiasmo costruttivo. Anche se l’intento iniziale era quello di descrivere tristezza e sconforto, alla fine Napo non riesce mai completamente ad abbandonarvicisi, e in alcune tracce arriva addirittura a cantare in modo scherzoso, rigorosamente senza autotune o vocoder. Il linguaggio di Napo in “Malæducaty“ integra termini che mischiano indegnamente inglese e italiano, più per dare l’idea di come sia il suo parlare nella vita fuori dai dischi, che per far venire i capelli bianchi ai grammar nazis.

Il disco esce per Light Item, etichetta di elettronica esplorativa fondata da Rico e Gèc Megabaita qualche anno fa con l’obiettivo di stanare compositori e produttori di elettronica noground e nostream per portarli a suonare in luoghi avventurosi. Gli Uochi Toki si stavano ponendo la domanda “cosa può/deve fare davvero un’etichetta per noi?” quando, fra mille ipotesi scartate, la risposta si è palesata trasparente come la finestra di casa e, come sempre più frequentemente fanno, Rico e Napo hanno scelto l’autonomia.

Ingresso: 8 euro

Prevendite online su http://bit.ly/UochiTokiTorino

Attori torinesi si esibiscono davanti a papa Francesco

30 novembre, Aula Paolo VI – Piazza del Sant’Uffizio, Città del Vaticano

Sarà un weekend pieno di emozioni per 80 allievi torinesi di Accademia dello Spettacolo che sabato porteranno il loro musical – I Musicanti di Brema – davanti a Papa Francesco in VaticanoVivranno l’esperienza unica di esibirsi in Sala Nervi, davanti a Papa Francesco e ad un pubblico di quasi 12.000 spettatori, giovani e adolescenti provenienti da tutto il mondo.

Dopo il debutto dello scorso 25 ottobre al Teatro Alfieri di Torino in occasione del Friday For Future e le repliche a Verona, lo spettacolo, scritto, prodotto e diretto da Accademia Spettacolo, ha ricevuto uno speciale invito e andrà in scena in Vaticano.

I Musicanti di Brema è caratterizzato dal forte impegno sociale nei confronti del pianeta, tema molto caro al Pontefice che, da sempre sensibile alla tematica ambientale, parla ai giovani per sensibilizzarli al rispetto e alla salvaguardia dell’ambiente.

Da Torino sono in partenza, oltre al cast, anche tanti piccoli attori in erba, i più giovani hanno solo 4 anni e saranno accompagnati dalle loro famiglie. Per questa importante occasione infatti Accademia dello Spettacolo ha unito la Scuola Formazione Attore, che si rivolge a giovani aspiranti attori di professione dai 18 ai 24 anni, alla Scuola di Musical, che accoglie bambini, ragazzi e adolescenti dai 4 ai 18 anni, dando vita ad uno spettacolo per grandi e piccini.

Musicanti di Brema è un vero e proprio viaggio nel mondo della fantasia che diverte e allo stesso tempo fa riflettere su uno dei problemi più attuali e sentiti dei giorni nostri: quello dell’emergenza climatica. “Con la consapevolezza che la nostra società debba prendere opportuni provvedimenti per evitare di commettere una grave ingiustizia nei confronti delle future generazioni, – dichiara il direttore artistico Mario Restagno –  proponiamo un progetto che si pone in continuità con tutto il lavoro di Accademia Spettacolo che da sempre crea e produce opere dedicate al mondo della scuola e di educazione alle arti sceniche”.

Il testo, i costumi e la messa in scena dello spettacolo richiamano le tematiche ambientali attraverso la storia di amicizia dei protagonisti, quattro animali diversi tra loro: un gallo, Jack Rooster, una gatta, Futura, una cagnolina, Gaia, e un asinello, Hope.

Scritto e diretto da Mario Restagno con musiche di Paolo Gambino e Walter Orsanigo, Musicanti di Brema si ispira al grande classico della letteratura per l’infanzia dei Fratelli Grimm, rileggendolo in chiave moderna e green.

Accademia dello Spettacolo è un’associazione culturale senza fine di lucro, dal 2000 promuove diversi progetti di educazione alle arti sceniche. L’associazione è leader nel teatro educativo, si occupa di creare e produrre opere dedicate al mondo della scuola. “Il Gigante Egoista”, “Le Avventure di Pinocchio”, “Hamelin il pifferaio magico”, “Scrooge canto di Natale” sono solo alcune delle opere diffuse a livello nazionale nelle scuole italiane: ad oggi solo oltre 1.800 le classi che hanno riprodotto localmente una delle opere proposte utilizzando gli strumenti didattici offerti. Per sostenere l’avviamento professionale dei giovani artisti ha realizzato anche diverse produzioni originali di teatro musicale: Sogno di una notte di mezza estate (2012), Decameron (2013), Excalibur (2014), Solo chi Sogna (2015), Il Piccolo Principe (2017) e ultimamente “Musicanti di Brema”. Accademia dello Spettacolo si propone di sostenere l’inserimento professionale dei giovani artisti under 35 e per questo ha ottenuto il sostegno di Fondazione Assicurazioni Cattolica. Grazie a Musicanti di Brema ha ricevuto l’interesse dell’azienda A2A e delle associazioni Lega Ambiente, CARP ed ISDE.

Il Black Friday del Regio

Dopo il grande successo della prima edizione, con più di duemila (2.466) biglietti venduti, torna il Black Friday del Regio e, questa volta, è una straordinaria promozione per un intero fine settimana: da venerdì 29 novembre ore 10 a lunedì 2 dicembre ore 10, un’occasione unica per regalarsi e regalare grandi spettacoli e per condividere la gioia dell’opera con gli amici. Solo per gli acquisti online, saranno attive eccezionali offerte, con sconti fino al 50%, fino a esaurimento dei posti disponibili.

Gli utenti potranno accedere al Black Friday tramite un codice promozionale che sarà annunciato giovedì 28 novembre, sul sito e sui social del Teatro.

In occasione del Black Friday, il Regio lancia 3 nuovi abbonamenti con il 40% di sconto:

Winter con Carmen di Georges Bizet, Il matrimonio segreto di Domenica Cimarosa e Nabucco di Giuseppe Verdi, un vero abbonamento ai capolavori dell’opera. Spring con La bohème di Giacomo Puccini, La Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach e Don Pasquale di Gaetano Donizetti, l’opera simbolo nata al Regio nel 1896, il capolavoro della musica barocca e una delle massime espressioni dell’opera buffa. Summer con Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi e My Fair Lady, di Lerner e Loewe: l’abbonamento che propone un grande titolo verdiano, il più conosciuto melodramma buffo di Rossini e un musical classico dalle indimenticabili melodie.

E ancora Black Friday con sconti dal 30% al 50% sull’acquisto dei singoli biglietti per tutti gli spettacoli della Stagione.

Infine, solo per chi acquista durante il Black Friday, la recita di Carmen di martedì 17 dicembre ore 15 ha un prezzo unico, per qualsiasi settore, di 30 €. Uno straordinario invito all’opera! Seguite il Teatro Regio sui nostri social media

I libri più letti e commentati a Novembre

Ecco una piccola rassegna dedicata ai titoli che maggiormente hanno interessato i lettori iscritti al gruppo di Facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di novembre.

Com’era prevedibile, tocca alle uscite più recenti fare la parte del leone: Cambiare l’acqua ai fiori, di Valérie Perrin (E/O) ottiene ottimi riscontri, così come Il Colibrì, di Sandro Veronesi (La Nave di Teseo). Terzo gradino del nostro podio per I Testamenti, di Margareth Atwood (Ponte alle Grazie) lettura impegnata ma molto apprezzata.

 

In occasione della GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE, da poco passata, abbiamo scelto di segnalare i seguenti titoli per approfondire la tematica e offrire spunti di riflessione che vadano oltre le uscite più recenti: La donna che sbatteva nelle porte, di Roddy Doyle (Guanda); Ferite a Morte, di Serena Dandini (Rizzoli); Leggere Lolita a Teheran, di Azar Nafisi (Adelphi).

 

Gli appassionati di saggistica, ai quali abbiamo deciso di riservare un piccolo spazio in questa rubrica, hanno dedicato le letture del mese alla spiritualità e all’approfondimento delle tematiche religiose, e tra i titoli presi in esame segnaliamo Cos’è La Felicità, di Daisaku Ikeda (Esperia); La Notte del Getsemani, di Massimo Recalcati (Einaudi) e Il Dio delle Donne , di Luisa Muraro (Mondadori).

Per la serie: Time’s List of the 100 Best Novels, ovvero i cento romanzi più importanti del secolo XX, scritti in inglese e selezionati dai critici letterari per la rivista Times, questo mese noi abbiamo discusso di Uomo Invisibile, di Ralph W. Ellison (Einaudi), caposaldo della letteratura di denuncia del XX seolo; Luce d’Agosto (Adelphi), grande prova di scrittura di uno dei più importanti autori americani del secolo scorso, William Faulkner; Il Grande Gatsby, classico di Francis Scott Fitzgerald (Feltrinelli) che racconta magnificamente l’età del Jazz.

 

Tra le numerose discussioni a tema quella che ha maggiormente coinvolto la community era legata al dibattito sulla possibile convivenza tra lettori e reti sociali: a tale proposito, ricordiamo che il tema sarà approfondito nell’incontro, moderato da Giovanni Agnoloni,  che si terrà a Firenze, domenica 1 dicembre presso la libreria Todo Modo di via dei Fossi e che vedrà protagonisti anche noi di Un Libro tira l’altro, ovvero il passaparola dei libri. Vi aspettiamo.Podio del mese

 Cambiare l’acqua ai fiori, Perrin

Il Colibrì,Veronesi

I Testamenti, Atwood.

 

Libri a tema: donne e violenza

 La donna che sbatteva nelle porte, Doyle

Ferite a Morte, Dandini

Leggere Lolita a Teheran, Nafisi

 

Saggi a tema: spiritualità

Cos’è La Felicità, Ikeda

La Notte del Getsemani, Recalcati

Il Dio delle Donne, Muraro

 

Time’s List of the 100 Best Novels

Uomo Invisibile, Ellison

Luce d’Agosto,Faulkner;

Il Grande Gatsby,  Scott Fitzgerald

 

Testi di Valentina Leoni, grafica e impaginazione di Claudio Cantini redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

 

 

La pittura intimista di Denise Angelino

Dal Piemonte

Il Circolo Culturale Piero Ravasenga di Casale Monferrato, intitolato al geniale stravagante avvocato poeta pittore di Borgo San Martino, vissuto tra il 1907 e il 1978, ogni anno sente il dovere di ricordare un artista monferrino ormai scomparso da non dimenticare in quanto rappresentante di vita culturale di Casale e del circondario.

Dal 30 novembre al 15 dicembre la manica lunga del Castello Paleologo si presta alla presentazione della mostra di Denise Angelino, che ci ha lasciati lo scorso anno, facendola rivivere attraverso delicati oli e acquerelli rivelatori di temperamento sensibile e intimista.

La sua è stata un’esistenza costantemente dedicata alla contemplazione della bellezza delle cose umili, spesso inosservate, a cui ha dato vita.

I temi e i soggetti, che trattano cose quotidiane, nature morte e paesaggi familiari, la consegnano ad un naturalismo di ascendenza macchiaiola unito a qualche lieve appena percettibile accento metafisico, sgombro da intellettualismi, e fanno riflettere sull’apporto di suggestioni morandiane e casoratiane; i colori soffusi e discreti, resi in atmosfera silente, semplificata e purificata, la avvicinano ad una affinità elettiva con la scrittrice-pittrice Lalla Romano, anch’ella piemontese e scomparsa ultranovantenne.

Si coglie lo stesso silenzio contemplativo, privo di compiacimenti eppure così abile nel parlare al cuore, comunicare affetti e tenere nostalgie che ci commuovono facendoci entrare nel suo mondo in cui, in qualche modo, ci possiamo riconoscere.

A corollario della mostra di Denise sono esposte, tra pittura, scultura, ceramica, fotografia, poesia, opere di sessanta interessanti artisti facenti parte del Circolo, di cui è presidente l’attento e appassionato Ivaldo Carelli.

Una nota particolare è offerta dagli allievi del corso sull’arte pittorica” La Figura” tenuto dalla brava pittrice Giovanna Defrancisci che unisce tradizione classica a modernità.

Orari sabato-domenica ore 10-13  / 15-19

 

Giuliana Romano Bussola

 

“Si nota all’imbrunire”, Orlando al Carignano

DAL 3 DICEMBRE. Diretto da Lucia Calamaro

Martedì 3 dicembre 2019, alle ore 19.30 debutta al Teatro Carignano di Torino

Si nota all’imbrunire (Solitudine da un paese spopolato) scritto e diretto da Lucia Calamaro. Lo spettacolo è interpretato da Silvio Orlando e da Vincenzo Nemolato, Roberto Nobile, Alice Redini, Maria Laura Rondanini, con scene di Roberto Crea, costumi di Ornella e Marina Campanale e luci di Umile Vainieri.

Si nota all’imbrunire – prodotto da Cardellino srl, in collaborazione con Napoli Teatro Festival e in coproduzione con Teatro Stabile dell’Umbria – resterà in scena al Carignano per la stagione in abbonamento del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale fino a domenica 15 dicembre.

In questa pièce scritta e diretta dalla drammaturga Lucia Calamaro, Silvio Orlando incarna un padre vedovo, malato di “solitudine estrema”.

Il testo che parla di isolamento, male oscuro e insidioso del nostro tempo è nato da una riflessione su una patologia molto attuale a cui la socio-psicologia ha dato un nome ben preciso: solitudine sociale. L’opera ha un testo intenso, senza retorica e pieno di humour e lo straordinario Silvio Orlando la interpreta magistralmente alternando sfumature tra la malinconia e la cattiveria, la levità e la disperazione. Vedovo di una moglie amatissima, attende nella sua casa lontana e sperduta la visita dei tre figli e del fratello, per la tradizionale commemorazione della defunta ma anche per il suo compleanno che cade il giorno prima. Sigillato in un esilio volontario, ha acquisito una serie di manie tra cui una molto seria: non vuole più camminare. Questo isolamento, che dovrebbe creare compassione, infastidisce invece la famiglia, un microcosmo che svela egoismi, meschinità, frustrazioni. È un tramonto amaro quello di Silvio, sempre più chiuso nel dolore, nel rancore e nell’apatia ma che in realtà cela un’inconfessabile voglia di tenerezza.
Un triste destino comune a molti. «La solitudine – scrive l’autrice, che dirige anche lo spettacolo – in futuro rischia di diventare un’epidemia, anche tra i giovani».

 

Maria La Barbera