In collaborazione con Fondazione Cosso Domenica 21 novembre, ore 15
Domenica 21 novembre alle 15, la Fondazione Cosso è lieta di accogliere “Dante al Parco”: un momento di restituzione del lavoro fatto dal gruppo di Letture ad Alta Voce del Liceo M. Curie di Pinerolo, nell’ambito di un percorso di PCTO attivato dalla Scuola a livello nazionale, nell’anno delle celebrazioni dantesche. I momenti di lettura saranno accompagnati da brani musicali, eseguiti da alcuni elementi dell’orchestra e del coro del Liceo M. Curie.
L’attività proposta al Castello di Miradolo è aperta al pubblico con ingresso gratuito, con l’obiettivo di condividere con le famiglie e la collettività il percorso fatto dai ragazzi nell’anno scolastico 2020/2021 e proseguire la positiva collaborazione, attiva da anni, tra il Liceo M. Curie e la Fondazione Cosso.
Lungo il filo della memoria che unisce l’umanità in cammino, il testo dantesco torna a risuonare nella cornice del Castello di Miradolo attraverso la lettura di alcuni passi della Commedia riproposta in chiave botanica, seguendo i ritmi delle stagioni e della vita.
Sarà un percorso a tappe, all’aperto, progettato e guidato dagli studenti che con la prof.ssa Deferrari hanno selezionato alcuni passi di Dante con l’obiettivo di creare un legame tra le parole del poeta e l’anima verde del luogo.
La selva dantesca risuona nell’interiorità di ognuno: basta saper ascoltare e amare!
Il gruppo di Letture ad Alta Voce del Liceo M. Curie, nato alcuni anni fa e in continuo mutamento, dal 2020 collabora con l’associazione LaAV di Torre Pellice nell’ambito dei percorsi di PCTO curando, ad esempio alcune puntate a radio LaAV.
L’iniziativa che sarà presentata domenica 21 novembre al Castello di Miradolo costituisce il coronamento di un progetto nazionale dedicato alle celebrazioni dantesche, “La voce nel testo”, organizzato da ADI-SD (Associazione degli italianisti sezione didattica) e CEPELL – Centro per il libro e la lettura, che ha coinvolto vari istituti scolastici, tra cui il Liceo M. Curie, comprendendo un corso di formazione per docenti e attività laboratoriali per gli studenti.
Ancora una volta Dante ha permesso di unire parti d’Italia lontane tra loro, ma vicine nel rispetto comune della cultura e della letteratura, offrendo occasioni di condivisione e confronto.
Informazioni e prenotazioni
L’attività si svolgerà all’aperto, su prenotazione: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it
I maestri vetrai muranesi, in difficoltà economiche, preferirono emigrare in altre città italiane, compresa Torino, e anche all’estero per trovare condizioni di vita e di lavoro migliori. La diaspora dei vetrai cominciò già nel Trecento e si protrasse fino al Settecento facendo perdere a Venezia parte della produzione dei suoi gioielli ammirati e venduti in tutto il mondo. Oggi i vetrai di Murano sono di nuovo in crisi: gli alti costi dell’energia diventano proibitivi e insostenibili per questi artigiani che per produrre i loro manufatti devono tenere accesi i forni giorno e notte. Alcune fornaci sono state già chiuse e diverse famiglie stanno pensando di trasferire altrove la produzione. Si delinea insomma una situazione simile a quella del Seicento descritta, con dovizia di particolari, dallo storico Paolo Preto nel volume “I Servizi segreti di Venezia, spionaggio e controspionaggio ai tempi della Serenissima” (Il Saggiatore, 1994). Ma spariranno davvero i vetrai di Murano e i loro celebri lampadari conosciuti in tutto il mondo e che attirano in laguna ogni anno moltitudini di turisti? Se ne parla molto in questi giorni con servizi televisivi e articoli sui quotidiani. Se non si produce si chiude bottega o si emigra in un altro Paese dove l’energia costa meno. Fiore all’occhiello della produzione industriale di Venezia i vetri di Murano sono sempre stati, almeno fin dal Trecento, una fonte perenne di preoccupazioni per la Repubblica di Venezia che nel Seicento combatté addirittura una guerra di spie contro la Francia di Luigi XIV. Deciso a rubare al doge i suoi maestri vetrai Jean Baptiste Colbert, primo ministro del Re Sole, fece di tutto per portarne un gruppo a Parigi promettendo loro favolosi guadagni e iniziando una produzione tutta francese.
Fu un vero e proprio attacco all’industria veneziana ma Colbert dovette scontrarsi con la dura reazione del governo lagunare che ricorse a tutti i mezzi per stroncare l’offensiva della monarchia francese, anche all’omicidio di Stato, mandando i suoi 007 a eliminare fisicamente soggetti scomodi al di là delle Alpi. Vengono colpiti vetrai veneziani e lucidatori di specchi francesi, i rapporti tra le due potenze peggiorano e diventano insostenibili per entrambe le diplomazie. I vetrai fuggiti in Francia tornano in laguna ma ormai l’obiettivo è stato raggiunto. I francesi si sono impadroniti con la forza e con l’astuzia dei segreti dei vetrai muranesi e Colbert non ha più bisogno di importare specchi da Venezia. Lo scrittore veneziano Alessandro Marzo Magno ricorda che nel sito del gruppo francese Saint-Gobain, leader mondiale nella produzione di vetri industriali, si legge: “Fondato in Francia nel 1665 per volere di Luigi XIV per realizzare la galleria degli specchi della reggia di Versailles a Parigi” ma non c’è però scritto che il tutto era il risultato di una colossale operazione di spionaggio industriale organizzata da Colbert ai danni di Venezia. Come dimostra il secolare successo della Saint-Gobain”. Ma anche questa volta, ne siamo convinti, Venezia, che proprio quest’anno compie 1600 anni di gloriosa esistenza, non si rassegnerà facilmente a perdere i suoi maestri muranesi. Lo Stato italiano è costretto ad aiutarli.
“I miei quadri sono stati dipinti utilizzando la scala dell’esistenza e non quella istituzionale”: così diceva il grande Marck Rotcko, pittore statunitense di origine lettone (morto suicida nel 1970) e padre riconosciuto del “Color Field Painting” – pittura come “campo colorato”. Spazi astratti di colore vibrante in cui non v’è traccia di figure umane, ma solo “estasi” totale. Tragedia ed estasi. Arte come vita. Colori come ali essenziali a viaggi verso emozioni assolute. Parole e dimensioni in cui penso possa ben riconoscersi Franco Tosi, bolognese d’adozione (ma nato a Magenta nel ’62), cui la Galleria “metroquadro” di Marco Sassone dedica oggi in contemporanea, a quattro anni dalla sua ultima personale a Torino, due mostre dai titoli estremamente chiari e significativi: l’una “Insight” ospitata nella Galleria di corso San Maurizio e l’altra “Inside” presso gli spazi dell’“NH Hotel Santo Stefano” di via Porta Palatina. La rassegna si articola in tre sezioni: dalle distese di colore della serie dei “Landscapes”, di grandi dimensioni, ai più piccoli “Scratched Fields” fino alla certosina moltiplicazione cellulare della serie cosiddetta delle “Mitosi”. Scive Marco Sassone: “Le tre serie vivono indipendenti, ma tutte e tre si intrecciano nel tentativo di rappresentare le gioie ed i tormenti di quel mistero che è la vita”. In parete troviamo opere, quasi tutte di grandi dimensioni, votate ad una cifra astratta assolutamente controllata (pur con qualche “sgarbo” emotivo) nei ritmi cromatici, logica e analitica all’eccesso, dai verdi più o meno intensi agli azzurri sfumati in un chiaro-scuro che domina le campiture di colore dilatate sulla totalità della tela. L’artista si è diplomato a Bologna all’Istituto “IASA – Istituto per le Arti Sanitarie Ausiliarie” e proprio questo tipo di studi deve averlo indirizzato a concepire il lavoro pittorico come strumento di indagine introspettiva in grado di avvicinare l’artista all’osservatore, nella comune speranza di trovare un senso all’esistere. Ciò che gli interessa non sono dunque, per citare ancora Rotcko, “i rapporti di colore, di forma o di qualsiasi altra cosa, ma solo esprimere le fondamentali emozioni umane”. Introspezione ed interiorità sono, infatti, il leitmotiv dell’intera mostra. “Un modo differente di
guardarsi dentro – racconta lo stesso artista – dove il romanticismo dei landscapes , con campiture graffiate e tenui, a loro volta diventano il fluidificante nel quale nascono e si moltiplicano grappoli di cellule. La parte romantica lascia spazio alla ragione, soggettivo e oggettivo si incontrano in un gioco di ruoli dove nulla è più definito”. E allora quegli indefiniti totalitari spazi cromatici vanno a nascondere una singolarissima analisi interiore. Un gioco non semplice di anima e cuore che tende (ci riuscirà?) a coinvolgere e a concepire in un tutt’uno artista e spettatore. Davanti a uno specchio che spesso riflette “le debolezze dell’Io, in una continua ricerca di sé stessi e la paura, forse, di non trovarsi”. O, peggio di trovarsi.
Spirito libero ed eclettico, pittore scrittore editore e intellettuale fra i più raffinati del nostro secondo dopoguerra, Mario Lattes(Torino, 1923 – 2001) seppe unire in tutta la sua vita, con grande iltelligenza e creatività, imprenditorialità e umanesimo. Doti che Lattes seppe sfruttare in larga abbondanza e a riconoscimento delle quali è dedicato l’incontro “L’impresa di fare cultura. Mario Lattes editore e scrittore”, organizzato dalla “Fondazione Bottari Lattes” in occasione di “Alba Capitale della Cultura di Impresa 2021”. L’appuntamento sarà anche l’occasione per presentare per la prima volta ad Alba il cofanetto in tre volumi “Opere di Mario Lattes”, edito da “Olschki” e pubblicato lo scorso maggio. L’incontro è per venerdì 19 novembre alle ore 18 al “Pala Alba Capitale”, in piazza San Paolo, e prevede gli interventi di Caterina Bottari Lattes, presidente della “Fondazione Bottari Lattes”, Simone Lattes, amministratore delegato della Casa Editrice, Mariarosa Masoero e Giovanni Barberi Squarotti, coordinatori dei tre volumi in cofanetto. Moderatore il giornalista Roberto Fiori. L’appuntamento sarà trasmesso anche in diretta streaming sui canali Facebook di “Confindustria Cuneo” e “Fondazione Bottari Lattes” e sul canale Youtube di “Confindustria Cuneo”. Per prenotazioni:
Il titolo è “Compagni di viaggio 2” e fa seguito al primo “Compagni di viaggio”, inventato nell’aprile del 2017 ed ospitato sempre nelle sale del seicentesco “Palazzo Lomellini”, oggi vero epicentro della cultura e dell’arte carmagnolese. Ma non solo. In mezzo alle due collettive, altre rassegne, fino allo stop dettato dall’emergenza pandemica, e quasi tutte curate con un impegno e una passione senza limiti dall’amico Elio Rabbione, presidente dell’Associazione “Amici di Palazzo Lomellini” nata sette anni fa con l’intento di organizzare eventi espositivi di qualità in collaborazione con le realtà artistiche più significative operanti sul e per il territorio.
questa o a quell’opera”. Compito perfettamente riuscito. Meno semplice il mio, nel citare – gioco forza – alcuni artisti, anziché altri.
Un viaggio nel tempo. In braccio alla memoria. Intrigante e di particolare raffinatezza esecutiva nelle trasparenze del gesto liberatorio, l’immagine di “Francy”, olio su tela di Dede Varetto; così come “le spirali dorate” e “i profili e i piumaggi perfetti” di Angela Betta Casale, accanto ai simbolici abbracci arborei di Antonio Presti, agli acciai e ai legni di Mario Mondino e ai colori accesi dell’informalità di Bruno Molinaro. L’iter prosegue citando (a grandi passi – e non me ne vogliano gli artisti non menzionati e pur degni d’interesse) con le opere, pagine di singolare poesia, di Daniela Bertolino, con i “labirinti circolari” di Isidoro Cottino, i deliziosi acquerelli di Eleonora Tranfo, la “felicità affidata ai colori dei fiori” di Adelma Mapelli e
di Mariarosa Gaude, fino al delicato ma intenso e di forte profondità emozionale del femminile ritratto in acrilico di Guglielmo Meltzeid. E via ancora. Con una panoramica che prosegue, in un alternarsi di opere abbondantemente ripaganti le fatiche degli organizzatori.

Sua moglie Claire è molto più giovane di lui ed ha stoppato la sua carriera per dedicarsi a marito e figlio. Poi c’è il loro rampollo Alexandre che sta costruendosi un futuro brillante frequentando ingegneria in una prestigiosa università americana. Da quando lui ha preso il volo, Claire ha reimpostato la sua vita, ha ripreso a scrivere, diventando un’intellettuale femminista di spicco, e ha iniziato una relazione con un altro uomo. E’ Adam Wizman, appartiene a una famiglia ebraica tradizionalista e ha sposato Valerie, che a un certo punto è diventata praticante esageratamente ortodossa, totalmente votata all’educazione delle due figlie secondo rigidi principi religiosi. Per 20 anni Adam accetta di vivere con questa “quasi estranea” che detta legge; poi i due prenderanno strade diverse.
Il romanzo parla di come si può rinnegare un passato scomodo e reinventarsi una vita del tutto nuova, ma edificata sulla menzogna. Descrive la portata dell’ambizione di chi vuole eccellere nel mondo del lavoro e raggiungere il successo a tutti i costi. La storia coinvolge un triangolo amoroso tra Parigi, la banlieue, e New York dove primeggiare è possibile ma ha sempre un costo elevato. Samuel, Nina e Samir erano un trio legatissimo; i primi due stavano insieme, ma della ragazza era innamorato anche Samir. Nina ha scelto Samuel Baron (amico fraterno di Samir), figlio di una colta famiglia ebrea ed aspirante scrittore. E la sua è la vita che Samir vorrebbe vivere. 20 anni dopo, Samir Tahar è uno degli avvocati più quotati della Grande Mela, ha sposato una donna ricchissima ed ha una famiglia e una vita invidiabili. Ma per sfondare nel campo legale e nella high society ha dovuto rinnegare le sue origini arabe: ha cambiato nome, e si finge ebreo come la famiglia della consorte. La verità non deve venire a galla, però il castello di carte è sempre in bilico. Ed è costato caro. Tanto per cominciare Samir ha dovuto rinunciare all’unica donna che aveva amato, poi ha fatto della sua vita un segreto e della discrezione un modo di vivere. Ma le menzogne tendono a venire smascherate, con
E’ il penultimo romanzo di Osborne, è ambientato a Hydra -famosa isola del mar Egeo per il nome del mostro mitologico a più teste- che tra gli anni 60 e 70 del 900 è luogo di ritrovo di ricchi greci, artisti e nomi brillanti del jet set internazionale (tra i quali Onassis, Brigitte Bardot, Jacqueline Kennedy). Osborne racconta di due famiglie, un’americana e una inglese, che si ritrovano sull’isola durante un’estate. Sono gli Haldane, ricchi americani bianchi di New York, con la figlia 20enne, Sam, che non vede l’ora di ripartire. Gli altri sono gli snob britannici Codrington: Jimmie -ricco mercante d’arte-, la sua seconda moglie greca, insopportabile e perfida soprattutto nei confronti della figliastra 24enne Naomi, avvocato disoccupato. Le due giovani rampolle si conoscono e legano. Naomi è l’elemento trainante; fin da piccola habitué dell’isola di cui conosce tutto, compresi i metodi per sfuggire alla noia con rifornimento di spinelli e cocktail ad alto tasso alcolico. La trama fa un balzo quando le due fanciulle trovano un rifugiato in fuga, Faoud, stremato dalla stanchezza del naufragio e semi-svenuto sugli scogli. Che fare? E’ Naomi che studia un rocambolesco piano per aiutare il giovane a raggiungere l’Italia…..ma nulla sarà semplice. L’autore mette in campo più temi: la critica della società perbenista borghese e bianca, il problema dell’immigrazione e le sorti dei rifugiati; tutto in un thriller che valica i confini di Hydra e vi porterà nel Sussex, in Toscana e a New York.
Erica Jong è la famosa autrice americana di “Paura di volare” – libro best sellers che nel 1973 ha segnato l’epoca in cui le donne hanno vinto la ritrosia nel parlare delle loro fantasie sessuali- ed ora, all’alba degli 80 anni ci regala la sua autobiografia. Senza nascondere nulla.
La Hellman, nata a New Orleans nel 1905, è morta nel 1984. Cresciuta a New York, fin da piccola rivelò grandi doti nella scrittura e si laureò alla Columbia University.
La passione per la libertà rappresenta il sottile fil rouge che accomuna personaggi apparentemente diversi tra loro, quali Alfredo Frassati, Ottavio Missoni, Massimo Mila, Giampaolo Pansa, Guido Ceronetti, Philippe Daverio e altri, che sono raccolti nella silloge dell’ultima fatica letteraria del professor Pier Franco Quaglieni, dal titolo, appunto “La passione per la libertà”. Il volume, che reca l’originale e bella copertina dell’artista Ugo Nespolo, edito da Buendia Books, come ha spiegato lo stesso professor Quaglieni, si può leggere senza seguire l’ordine dei capitoli, ciascuno dedicato a un profilo, proprio perché ognuno di essi risulta distinto dagli altri. Ciò che, però, li accomuna è la passione con cui il professore evoca il concetto di libertà, riecheggiando un titolo pannunziano su Tocqueville e invitando al rispetto di tutte le idee espresse, che rappresenta il cardine di ogni civiltà liberale. Non si deve dimenticare che una delle migliori riletture dell’opera di Tocqueville la si deve proprio a un breve saggio composto da Mario Pannunzio, dal titolo “Le passioni di Toqueville”, in cui lo stesso Pannunzio nota come la forza dell’intera opera dello studioso francese non risieda tanto nel suo spirito dottrinario, quanto nella passione, talvolta aristocratica, e nell’amore per la libertà.
Belmondo; ma anche una platea di spettatori, Buster Keaton con il suo cappellino schiacciato e il bicchiere di popcorn in mano, Orson Welles con l’eterno sigaro, il robot di “Metropolis”, forse il coltellaccio di “Psyco”, forse Marylin. È l’immagine che accompagnerà dal 26 novembre al 4 dicembre la 39ma edizione del Torino Film Festival, un panorama quantomai colorato del cinema mondiali, un concorso ufficiale con premiazione di rito, una giuria capitanata dalla regista ungherese Ildikò Enyedi, Caméra d’or a Cannes, Orso d’oro a Berlino e nomination agli Oscar (“per molto tempo ho guardato da lontano e desiderato incontrare questa ‘persona’ intrigante, audace e nobile nelle proprie scelte, orgogliosa dei suoi valori e umile nei confronti dei registi – il Torino Film Festival”), una madrina che ha la simpatia di Emanuela Fanelli (la vedremo a breve in “Siccità”, l’ultimo film di Paolo Virzì), la presenza del giurato Alessandro Gassmann, la masterclass della diva Monica Bellucci insignita quest’anno del Premio Stella della Mole per l’Innovazione Artistica, a riconoscimento “per la sua versatilità artistica, per la disponibilità a promuovere l’opera di autori emergenti permettendo così la realizzazione di progetti poliedrici con contenuti e linguaggi nuovi, per la sua capacità di padroneggiare magnificamente una potenzialità creativa che può arricchire enormemente l’arte cinematografica”. In ultimo, ma non ultimo, un budget provvidenziale di un milione e 750mila euro che non sarà quello della pre-pandemia ma che non è nemmeno da buttar via.
Inaugurazione e chiusura sull’onda della musica. La prima è affidata a “Sing 2 – Sempre più forte” diretto da Garth Jennings (uscita natalizia il 23 dicembre), coloratissima commedia musicale d’animazione, sequel del “Sing” di cinque anni fa, storia di successo di un gruppo di animali pronti a organizzare una gara canora per riportare il Moon Theatre al suo vecchio splendore e salvarlo così dalla chiusura. “Mi rendo conto – ha affermato di recente il regista – che le nostre ambizioni per il film sono sempre state allineate con quelle del nostro amato Buster Moon: raggiungere le stelle e dare al pubblico la più meravigliosa, la più strabiliante e più sentita celebrazione del cinema e della musica possibile. Non potremmo essere più orgogliosi del nostro film e siamo tutti felici di portare “Sing 2” al Torino Film Festival”. Anche un’occasione per ascoltare le voci originali di Matthew McConaughey (il koala Buster), Reese Witherspoon (la maialina Rosita), Scarlett Johansson (la porcospina rocker Ash) e Bono (il leone Clay Calloway). La serata finale vedrà sullo schermo Valerie Lemercier, interprete e regista di “Aline”, dedicato alla voce e alla vita di Céline Dion, il pubblico e il privato, l’incontro con il produttore Guy-Claude Kamar e il successo planetario.
Parigi del 1942, giovane ebrea francese con il desiderio di studiare recitazione, un futuro sognato sulle tavole del palcoscenico, la persecuzione che cambierà ogni cosa; e “La traversée” di Florence Miailhe, due fratellini, nella dura realtà dell’Europa dell’Est, allontanati dai genitori e pronti ad affrontare un drammatico viaggio per scappare dalle persecuzioni perpetrate nel loro paese d’origine.
Per gli appassionati, una felicissimo improvvisata del festival, la sezione “Tracce di teatro/Il respiro della scena”, immagini e tavole del palcoscenico dove si allineano il pucciniano “Gianni Schicchi” con la regia di Damiano Michieletto, “Strehler, com’è la notte?” di Alessandro Turci, suggestioni e riflessioni da non perdere, Gabriele Lavia con il pirandelliano “Uomo dal fiore in bocca” e i due titoli di Eduardo, di prossima programmazione televisiva, “Non ti pago” e “Sabato, domenica e lunedì”, interprete Sergio Castellitto e Edoardo De Angelis regista. Un programma nutritissimo, dentro cui, per molti, per i tanti appassionati, spiccheranno “Le stanze di Rol” (media partner Rai 4), ovvero una sezione “magica” nella certezza che “un mondo parallelo e un altrove al cinema tradizionale esistano”, una sezione che “vuole costruire ponti, non barriere protettive; cerca il dialogo tra realtà diverse, non il conflitto”.