CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 481

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Rachel Cusk  “Onori”   – Einaudi-   euro  16,50

Rachel Cusk, nata in Canada 52 anni fa, cresciuta in America ed ora residente in Gran Bretagna (tra Londra e il Norfolk) è considerata una delle maggiori scrittrici contemporanee. Con “Onori” (dopo “Resoconto” e “Transiti”)  chiude la trilogia iniziata nel 2014 e definita “dell’ascolto”, perché ha destrutturato il romanzo tradizionale e buttato a mare convenzioni letterarie come trama, suspense, personaggi, inizio e fine. Lei non fa scendere in campo un narratore tipico, bensì un coro di voci che raccontano a Faye, suo alter ego, che di tutto prende nota. Ne scaturisce un affresco corale in cui si intrecciano temi come la questione femminile, quella ecologica, la famiglia come nucleo in cui i fallimenti diventano intollerabili, l’incomunicabilità, l’inganno del capitalismo,….Ritroviamo Faye a bordo di un aereo verso l’Europa dove l’attendono festival e incontri letterari. Nel sedile di fianco c’è un uomo che ha appena seppellito il suo cane e da questo dolore inizia a raccontarle sprazzi della sua vita. E’ solo l’inizio di pagine in cui appaiono e parlano tanti personaggi, per lo più legati al mondo dell’editoria. Attraverso le parole, i dialoghi, i sentimenti, le ambizioni, le delusioni e gli aneddoti di vita di giornalisti, scrittori, agenti, editor e organizzatori di festival, Faye raccoglie tanti tasselli di un’umanità confusa. In un certo senso è una saccheggiatrice di storie e vite che ruotano intorno alla letteratura e alla spettacolarizzazione di un mondo che può rivelarsi anche fasullo e irto di inganni.

 

 

John Dos Passos  “USA. La trilogia”  -Mondadori-    euro 35,00

Un volume corposo che comprende “Il 42° parallelo”, “Millenovecentodiciannove”, “Un mucchio di quattrini” e racconta i primi 30 anni del 900 americano. E’ stato scritto dal prolifico John Dos Passos, autore di romanzi, saggi, poesie, ma anche pittore e reporter, nato a Chicago nel 1896, morto a Baltimora nel 1970. Non fatevi impressionare dalla mole del libro perché potete gustarlo un po’ per volta, senza fretta, leggendolo come un puzzle e scegliendo le parti che più vi attraggono. Di fatto è un poderoso affresco che narra i nervi scoperti della Grande Depressione e dei conflitti sociali di un paese che ha rincorso una velocissima modernizzazione. Ritrae una trance di storia americana importante e lo fa con un linguaggio e un intreccio inediti nel panorama letterario dell’epoca. Dos Passos costruisce un capolavoro assoluto sperimentando più cifre narrative: le storie di 12 personaggi di fantasia, brevi biografie di 27 americani famosi concentrate in un paio di pagine (folgoranti quelle della dinastia dei Morgan iniziata da un albergatore e diventata scialuppa  di salvataggio degli Usa tra ferrovie, banche, e tutte le ricchezze possibili; o quella del rampollo viziato e lungimirante William Randolph Hearst, l’editore più potente d’America). Poi cine-giornali con slogan pubblicitari, brani di canzoni popolari e titoli di giornale che interrompono le narrazioni e danno respiro alla lettura. Vi avventurerete anche in squarci di riprese cinematografiche e fotografiche e leggerete pagine in cui l’autore dispiega i suoi stati d’animo. Un grande intellettuale nomade che sperimentò più linguaggi artistici, viaggiò molto, conobbe personaggi della caratura di Hemingway e Fitzgerald nella Parigi degli espatriati dei ruggenti anni 20. Importante sarà anche il suo impegno politico, all’inizio come adepto del socialismo e difensore di Sacco e Vanzetti; poi la rottura con la sinistra radicale nel 1935 e la virata a destra come sostenitore del Maccartismo e detrattore del potere dei sindacati. Una decisa inversione politica che, secondo la critica, coincise con un inaridimento della vena creativa. Ma questa trilogia rimane imprescindibile per chi vuole ripercorrere alcuni elementi fondanti della grande nazione a stelle e strisce.

 

Delphine De Vigan  “Le gratitudini”   -Einaudi –   euro 17,50

Questo breve romanzo è un potente squarcio sulla vecchiaia e i danni che può arrecare alle persone. Protagonista è Michka  “…una vecchia signora con un’aria da ragazza. O una ragazza invecchiata per sbaglio” che non ha parenti e non può più vivere da sola senza correre dei rischi. Finisce in una residenza per anziani e nelle grinfie di una direttrice senza cuore. Gli anni le stanno ruzzolando addosso e la feriscono nel linguaggio facendola ammalare di “parafasia”. Non sta perdendo la memoria ma il linguaggio, proprio lei che è stata correttrice di bozze…oltre al danno anche la beffa. Mentre trascorre le giornate relegata in una piccola stanza asettica, continua a rincorrere e trasformare le parole che “le scarpano”. Al posto dei termini esatti ne mette di sbagliati, o cambia l’ordine a parole e sillabe, le sostituisce con altre inventate che spesso sono lapsus che smascherano qualcosa di più profondo.  La finestra si può aprire perché “…mica svaporiamo”, il rosbif diventa il “rospo”, il tè invece che al limone è “al salmone”, i residenti si trasformano in “rassegnanti” e la cremazione sfuma in una “crematura”.

Sono solo due le consolazioni alla sua solitudine: le visite e le amorevoli attenzioni di Marie, la giovane vicina di casa alla quale ha fatto da vice-madre. E le sedute con Jérȏme, l’ortofonista che dovrebbe aiutarla a trattenere le parole, ma che abbandona gli esercizi che la “sfioriscono” e diventa depositario dei suoi ricordi. Michka sa di essere vicina alla fine e a Marie confessa: “…non ci vorrà tanto, credimi. Voglio dire la fine senza la testa, persa, puff, con tutte le parole volate via. La fine del corpo non si sa…ma la fine senza la testa è cominciata, le parole “scarpano” via, e ciao”.

Resta un desiderio a tenerla ancora in vita. Rintracciare la giovane coppia che durante la guerra accolse lei -piccola ebrea marchiata dalla stella di David-, correndo enormi rischi e salvandola da morte certa. Saranno Marie e Jérȏme ad aiutarla nella ricerca, perché comprendono l’immensa importanza del”gratis” che lei vuole dire a chi l’ha sottratta alle camere a gas e al lager in cui i suoi genitori sono finiti in fumo.. Un “grazie” dalla portata enorme perché “…invecchiare è imparare a perdere…incassare …un nuovo deficit, una nuova alterazione, un  nuovo danno”.  E perdere la memoria significa perdere i punti di riferimento”. E questo romanzo ha un tocco lieve, tenero e struggente che mette a nudo l’ultima tranche della vita.

Il ponte di Istanbul

Un altro ponte a Istanbul ma questa volta molto speciale. L’ennesima mania di grandezza di Erdogan? Costruire il ponte di Leonardo da Vinci che non è mai nato e che nessuno, da cinque secoli, si è mai sognato di realizzare è proprio l’obiettivo del presidente turco.

D’altronde in questa metropoli gli italiani sono stati sempre presenti e protagonisti, hanno vissuto e lavorato a lungo, ieri come oggi. Quando fu inaugurato l’ultimo dei ponti sul Bosforo, con la partecipazione di un’importante impresa italiana, Erdogan affermò che il progetto di Leonardo sarebbe stato riesumato. Con Bayazid II (1481-1512), il sultano che contattò Leonardo per la costruzione del ponte, non si fece nulla mentre con il “sultano” Erdogan tutto sembra possibile. Benintenso, non si tratta di un nuovo ponte sul Bosforo ma di un più modesto viadotto sul celebre Corno d’Oro. A distanza di 500 anni dalla sua scomparsa i progetti di Leonardo continuano a vivere come l’idea del ponte, meno importante di tanti altri, anche perchè è rimasto solo sulla carta, ma i disegni sono stati conservati e i libri ne parlano, in particolare uno, fresco di stampa. É “Il ponte di Istanbul, un progetto incompiuto di Leonardo da Vinci”, di Gabriella Airaldi, Marietti editore. Un libretto di 86 pagine che parte da una lettera che Leonardo spedì da Genova con destinazione il palazzo imperiale di Costantinopoli. Il Gran Turco lo cercava e Leonardo gli rispose. Il genio toscano disegnava a quel tempo anche fortezze, ponti, armi e macchine da guerra.

Nella lettera Leonardo dà in realtà diverse risposte alla richiesta del sovrano di progettare un collegamento tra la capitale imperiale e il quartiere di Galata. Come scrive Leonardo, il disegno raffigura “un ponte da Pera-Galata a Costantinopoli, largo 40 braccia, alto dall’acqua braccia 70, lungo braccia 600….” destinato ad unire il quartiere genovese di Pera-Galata, da secoli centro della vita economica e del commercio internazionale, con Istanbul. A quel tempo Genova e Costantinopoli intrattenevano relazioni molto strette, turchi e genovesi vivevano a stretto contatto da una sponda all’altra del Corno d’Oro.

“Tradotta in lingua turca da un probabile originale italiano, spiega l’autrice del libro, la lettera leonardesca è allo stesso tempo una risposta e una proposta e può essere un’interessante chiave di lettura delle relazioni tra Oriente e Occidente. In questa prospettiva il geniale ponte progettato da Leonardo per Bayazid II e per Galata, prima genovese e poi turca, diventano il simbolo di un rapporto mai interrotto tra due mondi”. Ma quel ponte non sarà mai costruito. Nel 1453, l’anno della conquista turca di Costantinopoli, per portare le truppe ottomane al di là del Corno d’Oro Maometto II usò un ponte allestito con galee una accanto all’altra tenute unite da botti,travi e tavole fornite forse dai genovesi la cui posizione sul campo rimase molto ambigua. Un aiutino ai turchi per garantirsi privilegi e favori dopo la presa ottomana della città. Galata era in quel periodo un nido di traditori cristiani e il sultano sguinzagliava le sue spie tra i commercianti. Dopo Leonardo ci provò anche Michelangelo ma senza successo e bisognerà aspettare fino al 1845 per vedere un ponte tra Galata e Istanbul all’ingresso del Corno d’Oro. Erdogan, infatuato di storia ottomana e costruttore di ponti faraonici nella sua metropoli, ha rispolverato l’antico disegno leonardesco chiedendo ai suoi architetti di studiare il progetto e di realizzarlo, chissà, magari entro il 2023, centesimo anniversario della Repubblica turca, quando saranno in programma grandiosi e sfarzosi festeggiamenti.

Filippo Re

Isaia nuovo Segretario della Fondazione per la Cultura

E’ stato selezionato tramite avviso pubblico. Una Commissione ha valutato le 27 candidature pervenute individuandone una rosa di 4, di altissimo livello, da sottoporre al Consiglio Direttivo della Fondazione che ha infine affidato l’incarico, della durata di 5 anni.

Alessandro Isaia succede ad Angela La Rotella, Segretario della Fondazione dalla sua nascita, che il Consiglio Direttivo ringrazia per l’impegno e la professionalità nel lavoro dimostrati in questi anni e che da maggio sarà dirigente al Politecnico di Torino.

Alessandro Isaia

Quarantanove anni, laureato in Architettura al Politecnico di Torino, consegue la qualifica di “Esperto in Sistemi di gestione e comunicazione applicati ai Beni Culturali” frequentando il Master della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Nel 2001 è nel Comitato organizzatore della BIG-Biennale Internazionale dei Giovani Artisti di Torino diretta da Michelangelo Pistoletto.

Dal 2002 al 2006 è Manager degli Eventi Culturali per il Comitato per l’Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, per il quale progetta e coordina le “Olimpiadi della Cultura”.

Nel 2008-2009 è responsabile del settore Comunicazione, Marketing & Web della Fondazione Torino Musei e direttore organizzativo di “T2-Triennale d’Arte Contemporanea di Torino”.

Nel 2014 diventa Project Manager dell’Abbonamento Musei Lombardia Milano. Nel giugno 2017 è nominato Direttore della Fondazione Artea, costituita dalla Regione Piemonte per valorizzare e promuovere il patrimonio culturale materiale e immateriale di Cuneo e della sua provincia.

È docente e formatore in vari master e corsi universitari (fra gli altri: Università Cattolica di Milano, Sole24Ore Business School, IED-Istituto Europeo di Design, Università di Torino, Università di Sassari e Università di Cagliari dove insegna Project Management della Cultura.

Tormento ed estasi dell’amore

L’incidente d’amore diviene amore incidente che ci aiuta a comprendere come la casualità dell’incontro, diviene causalità di ricerca e  lacerazione interiore, il pathos si fa struggimento del cuore

Così Barbara Pregnolato nel suo primo romanzo ”L’altra accanto” ( edizioni Augh, collana frecce 2019, pagg.138 ) scava nel recesso dell’anima dei tre personaggi principali del suo testo, che divengono metafore dell’incomunicabilità della nostra società postmoderna, liquida ed egoista, dove il vissuto femminile del sentimento amoroso muta in disperato desiderio di verità.
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In un flusso di coscienza dove si alternano passione e paura, coraggio e meschinità, ipocrisia e desiderio, si tracciano i destini esistenziali vissuti e narrati in prima persona dai protagonisti. Con un risultato letterario innovativo e anticonvenzionale. Atmosfere domestiche e  decostruzione psicologica, sono sincopata espressione di tormento ed estasi, ricerca e perdizione, erotismo e morte. Il tutto si svolge tra la provincia e il capoluogo torinese in tinte crepuscolari e atmosfere fortemente evocative.
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”Siamo gettati nel mondo” scriveva Heidegger in ‘ Essere e tempo’  trauma primigenio e redenzione, regressione amniotica e tensione all’ Assoluto. La creatività poetica di uno degli Io narranti collide con l’incapacità d’amare pienamente la sua partner e diviene narcisistica negazione del Se. Alibi alla libera e compiuta affermazione dell’ amore tra persone travolte da eventi più grandi dei loro progetti individuali. Dove le domande esigono responsabilità e le risposte pongono nuovi interrogativi. Il lirismo avvince il lettore dalla prima all’ultima pagina e il processo di identificazione è inevitabile. La tensione emotiva stimola la riflessione e diviene catarsi la dove l’autrice innesca parti di thriller psicologico e maieutica terapia del fruitore testuale.
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Luci e ombre degli spazi e degli umori quotidiani  aprono all’attesa del miracolo pacificatore e il situazionismo alla Guy Deborde sbuca da ogni angolo. Il cinema di Antonioni e il Kafka della Metamorfosi  descrivono la monade dell’uomo del terzo millennio globalizzato, bulimico sentimentale e desideroso di riscatto, che solo nella magia dell’Amore espresso e vissuto pienamente nelle sue infinite forme, potrà trovare la sua più profonda, compiuta, necessaria e Umana realizzazione.
Aldo Colonna

Cultura e storia online dal forte di Bard

Dalla Valle d’Aosta / I Capolavori della Johannesburg Art Gallery in diretta sul sito del Forte, con la curatrice Simona Bartolena

Prosegue la programmazione culturale online del Forte di Bard. Il palinsesto si arricchisce di due appuntamenti di approfondimento della mostra Capolavori della Johannesburg Art Gallery. Dagli Impressionisti a Picasso.

 

La curatrice dell’esposizione Simona Bartolena tiene due conferenze  trasmesse in diretta sul sito e sul canale YouTube del Forte: il primo appuntamento si è svolto martedì scorso , dedicato ad una presentazione del progetto espositivo e della collezione che aprì al pubblico nel 1910, diventando il principale museo d’arte africano. Nel secondo appuntamento live, martedì 14 aprile 2020, sempre alle ore 18.00, la curatrice si soffermerà sulle opere della collezione dedicate all’arte africana.

 

Le dirette sono visibili dal sito www.fortedibard.it nella pagina dedicata all’interno della sezione Eventi o sul canale Youtube del Forte, raggiungibile sempre dalla homepage del sito istituzionale.

Fondazione Bottari Lattes… ai tempi della Pandemia

Prosegue la programmazione culturale online, mentre viene prorogato il bando per il Progetto Europeo ETI.

Monforte d’Alba (Cuneo) – Una lectio magistralis tenuta al Teatro Sociale di Alba dallo scrittore e saggista israeliano Amos Oz (Gerusalemme, 1939 – Tel Aviv, 2018), premiato nel 2016 in occasione della sesta edizione del Premio Lattes Grinzane (sezione “La Quercia”) “per la qualità letteraria e la verità umana dei suoi libri, per il suo essere grande narratore, partecipe e critico dello Stato di Israele”: è questa una delle chicche che si possono trovare via web su #PremioLattesGrinzane, pagina FB aperta, in questi tempi di grave emergenza sanitaria, dalla Fondazione Bottari Lattes (nata nel 2009 a Monforte d’Alba per volontà di Caterina Bottari Lattes) al fine di proseguire nella propria programmazione culturale in un periodo di necessaria serrata al pubblico di spazi ed eventi culturali d’ogni genere .

“Il nostro spazio virtuale di condivisione – afferma la presidente Caterina Bottari Lattes – resta sempre aperto, con notizie e attraverso testi, immagini e video delle iniziative realizzate nel corso dei nostri dieci anni di attività”. Fra le proposte quotidiane di maggior interesse, si segnalano:
– #TheBestOf per un viaggio nelle mostre organizzate tra Monforte d’Alba, il territorio cuneese e Torino, tra pittura, disegno, fotografia e scultura.
– #consiglidilettura e #rilettura, per curiosare tra i libri degli scrittori finalisti e vincitori del #PremioLattesGrinzane e ascoltare interventi dei giurati che hanno piacere di condividere con noi romanzi, saggi, poesie, per invitare giovani e adulti a leggere o rileggere testi classici e contemporanei.
– #PremioLattesGrinzane, per riascoltare (come nel caso citato di Amos Oz) alcune lectio magistralis di prestigiosi autori internazionali premiati nel corso degli anni.
Progetto Europeo ETI – Sperimentare una Trasformazione Istituzionale

Visto il perdurare della situazione di crisi sanitaria, la Fondazione di Monforte d’Alba comunica anche che la scadenza per la candidatura al Progetto è stata prorogata dal 5 al 30 aprile 2020.
Il Bando è rivolto agli artisti e chiede loro di presentare progetti innovativi con linguaggi non tradizionali per suggerire differenti modi di fruire l’arte e la cultura attraverso il coinvolgimento di nuovi spettatori, visitatori, lettori.

Il carattere innovativo del progetto risiede soprattutto nel coinvolgimento di privati e imprese. Per esprimere la propria candidatura l’artista deve, infatti, affiancarsi ad un partner privato (persona fisica o giuridica) che sia espressione di competenze specifiche, radicato in un territorio, impegnato nello sviluppo economico e sociale. Dalla viticoltura al tessile, dall’agroalimentare all’artigianato, dall’ecologia al digitale, l’artista potrà scegliere tra diversi comparti, facendo perno sulle specificità del settore economico preso in considerazione. “Non dovrà creare – precisano gli organizzatori – un’opera unica e dalla classica fruizione attraverso il modello della mostra, ma potrà ideare progetti anche immateriali che possano essere sviluppati in format culturali replicabili”.
Questo approccio permetterà di combinare format tradizionali con differenti modelli operativi, economici, di visibilità e di accessibilità, favorendo nuove vie di sviluppo dei pubblici di riferimento.
Le candidature dovranno pervenire entro il 30 aprile 2020, compilando il form online: http://eti-europe.eu/it/candidatura. La selezione sarà effettuata dai quattro enti partner del Progetto ETI.
Oltre alla Fondazione Bottari Lattes, unico partner italiano, le altre tre realtà europee sono: l’ente ideatore e capofila Ecole Nationale d’Art di Parigi (Francia); Idensitat di Barcellona (Spagna; ), Minitremu di Târgu Mureș (Romania). I partner accoglieranno gli artisti selezionati, che potranno mettere in campo azioni innovative, che forniscano all’istituzione le coordinate utili per trasformarsi in sintonia con il nuovo Millennio.

Collaborano con la Fondazione Bottari Lattes al progetto ETI nella sua tappa italiana: Alliance Française Torino, BJCEM-Biennale des jeunes créateurs de l’Europe et de la Méditerranée e Careof.
Info: book@fondazionebottarilattes.it, organizzazione@fondazionebottarilattes.it
Per approfondimenti: https://bit.ly/2WLlnKC

g. m.

Nelle foto:
– Caterina Bottari Lattes
– Amos Oz 
– Logo Progetto Europeo ETI

I baci eterni di Constantin Brancusi

Nel 1904 il rumeno Constantin Brancusi, attratto dall’opera audace e visionaria di Auguste Rodin, abbandona la Romania per il miraggio della “Ville lumiere”.

Il viaggio verso Parigi, a causa delle limitate possibilità finanziarie dello scultore, fu affrontato a piedi e per pagare la traversata in battello sul Lago di Costanza, Brancusi fu costretto a vendere l’orologio. Parigi, all’epoca capitale delle arti e dei movimenti culturali, rappresentava un punto di arrivo per un giovane cresciuto nella campagna rumena che, fin dall’età di sette anni, aveva lavorato come mandriano in un villaggio dei Carpazi, troppo povero per permettersi di andare a scuola. Lo scultore rumeno si stabilisce a Montparnasse, dove si erano già trasferiti molti artisti come Modigliani, Soutine, Man Ray. Nel suo atlelier si concretizza una nuova forma di scultura che abbandona le linee sinuose di Rodin per abbracciare le forme nette e massicce della scultura primitiva: queste statue influenzeranno profondamente la scultura del suo amico Amedeo Modigliani.

Nel 1908 Brancusi scolpisce una delle sue opere più famose “Il Bacio” del quale eseguirà più di una versione. L’opera, che evoca nel tema una scultura di Rodin, è affascinante non solo per l’interpretazione personalissima e quanto mai originale del soggetto, ma anche per la storia che ne contraddistingue una delle versioni. Negli stessi anni Gustave Klimt realizza a Vienna uno dei quadri simbolo della Secessione viennese “Il bacio” appunto, caratterizzato da una cura e da una ricerca estreme per il dettaglio nella decorazione delle tuniche, dello sfondo e per una sensualità profonda, nella quale si fondono passione e affetto. Brancusi, nella sua scultura, stravolge le linee classiche e realizza il trionfo dell’Eros: il blocco di pietra si anima grazie alla passione dei due amanti le cui braccia si avvolgono come le spire di un serpente intorno ai corpi e il cui bacio, appassionato e quasi violento, si trasforma in un bacio eterno che sembra vivificare la pietra. Le labbra unite, gli occhi negli occhi, i corpi che si fondono diventano l’evocazione di un sentimento universale che la pietra non riesce a contenere e che attrae lo spettatore. Pochi anni più tardi, nel 1914, l’espressionista Oskar Kokoschka avrebbe dipinto un’opera altrettanto avvolgente e affascinante che, ancora una volta, evocava un amore, una passione, un sentimento, il fondersi di due corpi che tentano di raggiungere l’unità perfetta: “La sposa del vento”. Nel 1909 Brancusi realizzò un’altra versione del “Bacio”. La statua venne collocata, nel cimitero di Montparnasse, sulla tomba di Tatiana Rachewskaia, una giovane russa morta suicida per amore. In questa statua le due figure sono raffigurate accovacciate, con le gambe che si intrecciano formando una “M”, l’iniziale della parola Morte. Alcuni anni più tardi lo scultore affermò: “Avevo voluto creare qualcosa che raccontasse non di questa sola, ma di tutte le coppie che sulla terra si sono amate e che questa terra hanno lasciato. Perché ogni mia scultura ha la sua ragione d’essere in un’esperienza vissuta”. Se all’inizio la scultura sembra evocare la vittoria dell’amore sulla morte, il trionfo di un amore che, grazie all’arte, diventa eterno, da un’analisi più approfondita si percepisce che soltanto l’arte è sopravvissuta, attraverso le forme di Brancusi, alla morte e che i due amanti di Montparnasse rappresentano soltanto l’ultimo tributo, l’estremo epitaffio a una ragazza che per amore ha scelto la morte. Se di trionfo si tratta è l’arte a trionfare, ancora una volta, sulla morte e non l’amore. La storia della suicida di Montparnasse non termina, tuttavia, qui e nemmeno quella del “Bacio”. Nel 2018 la famiglia Rachewskaia ha coperto con un involucro di legno la statua, apparentemente per un intervento di restauro, ma forse per tentare, come già era accaduto in passato, di esportarla, nonostante i divieti dell’amministrazione francese che l’ha dichiarata “monumento di rilevanza storica”. Sembra che, all’epoca della realizzazione la scultura non fosse piaciuta alla famiglia della suicida: scherzi del destino e della storia. Constantin Brancusi, morto nel 1957, riposa sotto una semplice pietra nello stesso cimitero di Tatiana, non troppo distante dal suo “Bacio” eterno.

Barbara Castellaro

L’Inferno dantesco si avvicina al pubblico

Il Teatro Le Musichall di Torino con il suo direttore artistico Arturo Brachetti lancia un messaggio d’amore per il teatro dalla pagina Facebook @LeMusichallTorino. Il teatro è vuoto ma entra gratuitamente nelle case con un progetto raccontato dall’hashtag #LaCulturaNonTiAbbandona.

L’Inferno Dantesco si avvicina al pubblico e al quotidiano attraverso un linguaggio semplice e diretto. Per ogni canto si mettono in luce le fonti letterarie e storiche ma anche le cronache dell’epoca e i pettegolezzi da cui Dante ha tratto ispirazione, il tutto accompagnato da musiche dal vivo (voce e chitarra) appartenenti al repertorio pop-rock internazionale e italiano, “suggerite” dal testo e in grado di arricchirlo di “sovrasensi”.

Due epoche così lontane, il medioevo e l’età contemporanea, si avvicinano grazie a un’idea, una parola, un’immagine, un personaggio che uscirà dalla Divina Commedia, per rivivere in una canzone di settecento anni dopo.

Grazie a Saulo Lucci, la Commedia di Dante perde quell’aura così spesso attribuitagli di insondabilità e lontananza, arrivando direttamente al cuore del pubblico.

Hell o’ Dante è un progetto di teatro di narrazione che affronta l’Inferno in 34 spettacoli ognuno dedicato a un canto. Attraverso una rigorosa ricerca sviscera le terzine e i personaggi in esse racchiusi, la situazione storica e le pene tanto mirabilmente dipinte così come il pensiero dell’autore, dando nuova vita a tutto ciò per riconsegnare agli spettatori la bellezza di una Commedia che merita più di ogni altra mai scritta l’attributo di Divina.

Il Teatro Le Musichall di Torino con il suo direttore artistico Arturo Brachetti lancia un messaggio d’amore per il teatro dalla pagina Facebook @LeMusichallTorino. Il teatro è vuoto ma entra gratuitamente nelle case con un progetto raccontato dall’hashtag #LaCulturaNonTiAbbandona.

Grazie alla collaborazione di artisti e registi, Le Musichall sarà virtualmente aperto a tutti: la rassegna si chiama Le Musichall LIVE e lo streaming gratuito di un estratto dello spettacolo andrà in onda sulla pagina Facebook LeMusichallTorino alle ore 18 ed in replica alle ore 20 del giorno in cui lo spettacolo avrebbe dovuto calcare la scena del palco de Le Musichall.

 

Giovedì@LeMusichall – Premiere

Arte di strada e circo contemporaneo si fondono in una rassegna vivace e curiosa. Gli artisti di strada più amati e i circensi del panorama italiano in una nuova veste in anteprima a Le Musichall con spettacoli mai visti, ma neanche immaginati prima.

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LE MUSICHALL LIVE GIOVEDÌ@LEMUSICHALL

Saulo Lucci

in

HELL O’DANTE

9 aprile 2020|ore 18 e ore 20

Facebook: @LeMusichallTorino

In cambio di carità il sig. Ravetti non denunciò la moglie per adulterio

Tra storia e cronaca torinese / ACCADDE IN APRILE

Era il 4 aprile 1947 quando il signor Giovanni Ravetti, 46 anni, residente a Torino in via Cibrario, si precipitò al commissariato di San Donato per avvisare gli agenti del fatto che sua moglie si trovasse in dolce compagnia in una camera d’albergo nei pressi di piazza Statuto. Gli agenti intervennero subito e sorpresero i due amanti nell’atto di compiere il reato di adulterio ma, a quel punto, la reazione del marito fu indubbiamente tra le più originali che siano mai avvenute. Sventolando minacciosamente il tradizionale foglio di carta bollata propose al rivale, un facoltoso macellaio di Torino, una curiosa alternativa: il signor Ravetti non li avrebbe denunciati per il reato di adulterio se il macellaio avesse versato la somma di 10 mila lire all’ospizio di carità di Pozzo Strada. L’amante accettò la proposta e firmò un assegno rendendosi un benefattore suo malgrado. [Gazzetta del Popolo]

Era il 10 aprile sempre del 1947 quando la piccola Ada Vindigni, bambina torinese di 9 anni, venne strappata alla morte. Per la prima volta in Italia la terribile meningite tubercolare (da cui nessuno si era mai salvato) venne curata tramite una sperimentazione in corso presso l’ospedale infantile Regina Margherita. L’esperimento, condotto dal primario dell’ospedale Prof. Filippo Madan, utilizzò come cura la streptomicina, antibiotico scoperto e largamente usato in America ma rarissimo in Italia. La cura a base di streptomicina, analoga alla penicillina ma con un’azione molto più vasta capace di curare sia tubercolosi che tifo, permise alla piccola Ada di guarire e di ritornare a condurre una vita normale. [Gazzetta del Popolo]

Il 22 aprile 1958 alle h. 11.00, una cameriera ed il direttore di un albergo nei pressi di Porta Nuova, trovarono il corpo della contessa di 75 anni Emma Malerba, distesa supina sul pavimento. Venne immediatamente chiamata la polizia che una volta giunta sul luogo, non sentendo più il battito del cuore e del polso, dichiarò la morte della donna a causa di un malore improvviso e chiamò il medico municipale per i consueti accertamenti di legge e i necrofori per il trasporto della salma. E proprio mentre il medico stava per sopraggiungere ed i necrofori stavano per deporre il corpo nella cassa, l’agente Gibelli si accorse che la contessa era ancora viva e che cercava di aprire gli occhi. Appena giunto il medico municipale confermò che l’anziana signora, nonostante le gravi condizioni in cui versava, era ancora viva; venne chiamata immediatamente un ‘ambulanza e la contessa venne trasportata d’urgenza all’ospedale Mauriziano. [La Stampa]

L’ 11 aprile 1973 fu una data molto importante per la città di Torino che vide, dopo 37 anni, la riapertura del il Teatro Regio. Rinato come l’araba fenice dalle ceneri del 1936, il Teatro Lirico torinese riaprì grazie alla collaborazione degli architetti Mollino, Morbelli, Morozzo e dell’ingegnere Zavelani Rossi. Nel 1937 infatti gli architetti Morbelli e Morozzo vinsero il concorso bandito per la ricostruzione del Teatro e nel 1965 subentrò anche il progetto firmato da Mollino e dall’Ing. Zavelani Rossi. Il melodramma scelto per la serata d’inaugurazione fu l’opera di Verdi, “Vespri siciliani”. Nella sala gremita c’erano diverse autorità, giornalisti provenienti da tutto il mondo ed era presente anche il presidente Leone insieme alla moglie Vittoria. Fu un fastoso spettacolo che riportò alla luce una delle meraviglie torinesi. [La Stampa]

Il 21 aprile 1979 vennero assunte per la prima volta dall’azienda municipale di raccolta rifiuti della città di Torino, sette donne con il ruolo di “donne-spazzino”, mestiere che fino ad allora era esclusivamente svolto da persone di sesso maschile. Lucia Masiello, Anna Maria Greco, Franca Chiariello, Anna Maria Di Maio, Michela Scaramuzzo, Luciana Zenetti e Florizia Romano, furono le donne torinesi, che dopo aver indossato la tuta arancione impermeabile e dopo aver preso la ramazza in mano, cominciarono a lavorare per la prima volta insieme ai loro colleghi uomini. [La Stampa]

Era il 17 aprile 1990 quando la piccola Patrizia Tacchella, dopo 78 giorni in balia dei suoi rapitori, ha potuto finalmente riabbracciare la sua famiglia. La bambina di 8 anni, figlia di Imerio Tacchella (il veronese “re dei jeans” Carrera) venne rapita nel pomeriggio del 29 gennaio a Gtravellona e portata in una villetta a Santa Margherita Ligure dove visse con i suoi rapitori fino all’arrivo delle forze di polizia.

I sequestratori furono immediatamente identificati e si scoprì che facevano tutti parte della cosiddetta “Torino bene”. Gli arrestati furono cinque: Bruno Cappelli, imprenditore di 35 anni nato a Moncalieri e residente a Nichelino, sua moglie Ornella Luzzi, 36 anni, a cui apparteneva la villa dove la bambina era stata detenuta, Valentino Biasi, 52 anni, abitante a Poirino, la sua compagna Carla Mosso di anni 38 e infine Franco Moffiotto, uomo di 48 anni, residente nel centro di Torino. Un lunghissimo incubo per la piccola Patrizia che fortunatamente si risolse nel migliore dei modi. [La Stampa]

Il 2 aprile 2000 durante i lavori per il recupero della Reggia di Venaria, vennero riportati alla luce i resti del Tempio della dea Diana. I tecnici e gli operai dell’impresa consorzio Schiavina Adanti, mentre erano impegnati nei lavori per la “rimessa a nuovo” della Reggia, furono costretti a fermarsi di fronte a un basamento di muri spessi più di 70 cm. Pare che su quei muri poggiasse il “fonum Dianae”, padiglione costruito su un isolotto, nella metà del 600′, in onore della dea della caccia e poi distrutto una decina di anni dopo per allargare il parco. Una scoperta davvero affascinante quella dei resti del tempio, rimasto coperto per 3 secoli da alberi e terra e che venne alla luce solo grazie al lavoro involontario di alcune ruspe.

 

Simona Pili Stella

Peggio ma meglio

La poesia

La scrittura è un ponte che collega il pendio della banalità all’etere oppure alla malattia, non conta quale sia la giusta via.

Assurgo raramente alla giusta conclusione, perchè la vita sta nell’azione e nella scaltra deduzione di dover isolare la devozione, lasciando spazio alla prolificità della chimera.

Quando sbagliamo ignoriamo la giusta correzione, perchè conoscendo l’archè svanirebbe l’illusione di cimentarsi in un’indagine riservata agli esseri troppo ricchi di etica e poveri di inventiva poetica.

Luca Testa