CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 48

“Gualdo, Indigo e Fustagno” L’arte del Tessile a Chieri ieri e oggi

Una “Giornata di studi” al chierese “Museo del Tessile”

Lunedì 9 settembre, ore 16 – 19

Chieri (Torino)

L’appuntamento, nella storica Città collinare del Tessile, cade nella settimana dei festeggiamenti della Madonna delle Grazie, Patrona della Città, dove lunedì 9 settembredalle 16 alle 19, presso la Sala della Porta del Tessile del “Museo del Tessile”, in via Santa Chiara 10/a, si rinnova il tradizionale appuntamento incentrato sull’Industria e le Arti Tessili di ieri (dal lontano ‘400) e di oggi.

La giornata di studi, che offrirà spunti e conoscenze interessanti sia per gli addetti ai lavori sia per il grande pubblico, si concluderà con la visita guidata al “Museo del Tessile” e all’“Orto del Tessile” di Chieri.

Non solo, ma “sarà anche l’occasione per annunciare alcune novità in seno alla Fondazione – spiega Melanie Zefferino, presidente della ‘Fondazione chierese per il Tessile’ e ‘Museo del Tessile’, nonché curatrice dell’evento – e per illustrare in  anteprima i progetti ‘in fieri’ che vedono la nostra Fondazione impegnata in tre diversi eventi espositivi; a Genova, nell’ambito di ‘Genova Jeans’, in città per celebrare con il Comune di Chieri, nostro maggior sostenitore, la collezione civica di ‘Fiber Art’, e infine a Torino in collaborazione con l’ ‘Accademia Albertina’”.

Questa l’agenda programmata per la giornata di lunedì 9: dopo i saluti e l’introduzione ai lavori di Antonella Giordano (assessore alla “Cultura” del Comune di Chieri) e di Melanie Zefferino (presidente della “Fondazione”), toccherà allo scrittore-giornalista Fabio Marzano, autore de “Il Ritorno delle Piante. Storie di nuove convivenze tra Uomo e Natura” (EDT, 2024) disquisire  su “Isatis tinctoria: il ritorno di una pianta polifunzionale”.

Alle 17 e alle 17,30 saranno la giornalista e critica d’arte, Silvana Nota, seguita da Mitti Baiotti e da Melanie Zefferino, a parlare rispettivamente di “Rivelazioni indigo. Dal colore alla poetica” e de “I fustagni e altri tessuti di Chieri: tessili per il lavoro, le armi e le feste”.

La giornata si concluderà (dalle 18 alle 19) con le visite al “Museo del Tessile” a cura di Mitti Baiotti e, sotto la guida di Giulia Perin, all’“Orto del Tessile”, di impianto quattrocentesco (ideato da Clara Bertolini con Manuel Ramello) sito nel cuore del Convento di Santa Chiara e idealmente articolato in due sezioni includenti piante le cui fibre sono impiegate per la filatura e la tessitura (la prima) e la seconda, più ampia, dedicata alle piante tintorie, a cominciare da quelle usate per ottenere i toni blu e coltivate per secoli nel territorio chierese, come il “gualdo”, la “persicaria”,  il “sambuco” e l’“indigo”, da cui si ricava anche il verde.

L’ingresso è libero, con prenotazione obbligatoriaprenotazioni@fmtessilchieri.org

g.m.

Nelle foto: “Museo del Tessile – Telaio fustagno; Silvana Nota; “Orto del Tessile”- Gualdo

Capriccio tra realtà e fantasia

“Capricci”, la mostra allestita nel museo civico di Moncalvo, ci riporta nell’affascinante clima settecentesco che ha vissuto la forte attrazione del Vedutismo inteso  come rappresentazione di scorci di vie e piazze di città con antiche rovine che, per la prima volta, diventano protagoniste autonome non più solo sfondo dei dipinti  o relegate al quadraturismo illusionistico per sfondare le pareti ampliando lo spazio dei palazzi.

Sono gli anni del  Grand Tour, viaggio artistico di aristocratici e studiosi intorno all’Europa continentale, in particolare in Italia alimentati dagli scavi di Ercolano e Pompei e dalla diffusione degli “appunti” dei grandi viaggiatori.

Innegabile spinta a visitare la nostra patria fu data dal “Viaggio in Italia”, scritto tra il 1786-88 da Wolfang Goethe, acuta e affascinante inchiesta giornalistica sugli aspetti artistici, sociologici, storici, economici e folcloristici.

Considerazioni ancor oggi attuali come, più tardi nel primo ottocento, lo furono gli appunti di Dumas e Stendhal contagiati dal frenetico desiderio del viaggio.

Il nuovo genere, iniziato dall’olandese Caspar Van Wittel, produsse uno straordinario interesse per i ruderi, in particolare di Roma, Venezia e Napoli, trattati in vari modi dal semplice pittoresco souvenir da riportare in patria alla descrizione dettagliata della realtà senza implicazioni sentimentali secondo la  razionalità documentaristica illuminista oppure, staccandosi dal Vanvitelli, col dare un significato di memento mori  sulla caducità della vita terrena

Ma anche con soffi di poesia evocativa di Canaletto, Bellotto e soprattutto del Guardi.

All’interno del Vedutismo, la specificazione dei “Capricci” comporta un accattivante sapore di stravagante inventiva atta a stupire attraverso scorci di rovine che stimolano la  fantasia degli artisti proponendo intriganti scene tra realtà e immaginazione, come possiamo osservare nelle opere esposte in mostra.

Risalto è dato  alla “Veduta degli avanzi della famiglia Plauzia” oltre ai “Resti del palazzo della famiglia Arrunzia” e dai “Resti del tempio della Sibilla” di Giovan Battista Piranesi, innovatore della tecnica dell’acquaforte con l’abbandono  del tradizionale tratteggio incrociato a favore di un segno più fluido e per l’uso della “prospettiva ad angolo”.

Si coglie nel grande incisore una profonda cultura umanistica favorita da intensi studi della lingua latina e della storia di Roma.

Ne nasce una meditazione nostalgica per le vestigia del tempo e  per i frammenti, rimanenze di colonne, capitelli, cornici spezzate, oggetti disparati d’arredo che lo rendono artista,  archeologo e poeta affidando ad essi un significato ancor più pregnante dell’interezza dei monumenti.

I frammenti  gli parlano come fossero vivi, al contrario del disperato senso di impotenza di un  Fussli  davanti alla grandezza  dei resti classici, rendendoli stimolo per artisti futuri (come afferma in uno dei volumi sulle rovine romane) e non è forse stato geniale profeta se, a distanza di ben due secoli, Escher si è ispirato alle sue tavole delle  “Carceri”  per la rappresentazione delle “Scale impossibili” che lo rendono grande protagonista dell’arte moderna?

Straordinaria è d’altronde la versatilità di Piranesi nell’accostare classicismo, barocco, neoclassicismo anticipando anche la poetica  inquietante del neoromanticismo e del surrealismo novecentesco.

Contribuiscono a creare uno spaccato d’epoca le opere di altri artisti: Antonio Contestabili con la perfetta resa prospettica e scenografica del “Paesaggio con rovine”, Francesco Battaglioli attraverso “Personaggi all’interno di rovine” dall’accento melodrammatico affine al Metastasio suo maestro.

Carlo Bonavia noto per stravaganti ambientazioni di vedute architettoniche e paesaggistiche en plein air col “Paesaggio rurale”,  capriccio dall’effetto atmosferico ricorda Vernet di cui fu allievo.

Ancor più capriccioso l’olio di Antonio Joli con  un’immaginaria visione di San Gerolamo attorniato da mansueti leoni.

La coppia di architetture del francese Hubert Robert, studioso della tecnica di Panini e Piranesi ma affascinato dal barocchetto insinuante di Fragonard, offre una elegante visione tra reale e fantastico mentre una non identificata firma I.B.P. è presente nell’inquietante dipinto  con scorci architettonici di Roma e la liberazione di san Pietro.

Non manca una curiosità data dal vivace cromatismo delle vedute del piatto di legno, arte povera veneziana, a forma di scudo chiudendo la mostra con una nota impensata.

Giuliana  Romano Bussola

“Questo ragazzo è troppo giovane per cantare il blues”

Music Tales, la rubrica musicale 

“Questo ragazzo è troppo giovane per cantare il blues

Quindi addio strada di mattoni gialli

Dove ululano i cani della società

Non puoi piantarmi nel tuo attico

Sto tornando al mio aratro”

Che dire?

 Del buon Elton John sappiamo molte cose; classe 1947, cantante compositore pianista di origini britanniche.

Il nome scelto come artista è legato ai musicisti Elton  Dean e Elton Hercules Baldry.

Un pessimo rapporto con il padre Stanley, castrante fin dalla prima infanzia.

Ma oggi voglio darvi qualche curiosità magari un po’ meno battuta.

Ha condiviso l’ultima apparizione live di John Lennon sei anni prima della sua tragica morte, lei non è salito sul palco con lui al Madison Square Garden il 28 novembre 1974 dopo aver perso una scommessa circa il successo di una canzone registrata insieme.

Nei primi anni 80, in occasione del 21º compleanno del principe Andrew, Elton fu invitato al castello di Windsor e ballò con la principessa Anna, ma la curiosità che pochi sanno è che la regina Elisabetta si avvicinò e chiese educatamente di potersi unire e formarono un piccolo cerchio ballando rock around the clock!

Elton è molto celebre per il suo look eccentrico e soprattutto per i suoi originalissimi occhiali l’oggetto però a cui dal massimo rispetto e visibilità durante le sue esibizioni è sempre il pianoforte di turno tanto che spesso ha battezzato con i nomi di celebri cantanti femminili.

Elton John ha sempre stimato l’arte di David Bowie ma dopo una forte amicizia si era rotto qualcosa tra di loro quando però nel 2016 Bowie è scomparso, Elton John ha onorato il suo genio e la sua memoria con una performance pubblica di  “space oddity” dichiarando: “credo che abbia affrontato con la massima dignità quello quello che gli stava succedendo. Non immaginavo assolutamente che avesse il cancro. Non c’era modo migliore per uscire di scena, ha dimostrato tutta la sua classe”.

Il brano che ho scelto è “goodbye Yelow Brick Road”.

Il titolo ‘Goodbye Yellow Brick Road’ è un riferimento al film classico del 1939 ‘Il mago di Oz’.

è incentrato principalmente sul narratore (Elton John), che richiede un cambiamento da tutta la fama, lo sfarzo e il glamour associati alla sua carriera. Vuole passare da questo a una vita più semplice in cui può essere veramente realizzato.

Il narratore sta salutando la ‘strada di mattoni gialli’ che è un simbolo di ricchezza e fama, perché vuole riprendere il controllo della sua vita. Non vuole che la fama e la fortuna lo definiscano e preferisce tornare alle sue radici agricole dove può vivere una vita più pacifica.

Nella seconda strofa in cui lo scrittore menziona la possibilità di ottenere una sostituzione, sembra che Bernie potrebbe essere stato l’unico a chiedere una deriva dalla fama mentre Elton non lo era. Così gli chiede di trovare qualcuno che lo sostituisca e scriva le sue canzoni poiché ci sono molti che vorrebbero questa opportunità. Ma se entrambi volessero rinunciare alla fama, allora potrebbe essere che stessero dicendo che non sarebbe stato difficile trovare una coppia che li sostituisse.

In ogni caso, lo scrittore è determinato a riprendere il controllo della sua vita anche se questo significa rinunciare alla sua fama per accontentarsi di una vita di basso profilo.

È fondamentalmente rappresentativo di un individuo che gode di una vita più edificante, anche se nel contesto di questa canzone possiamo dire che punta alle idee di materialismo e fama. E questo è lo stile di vita di alta classe e da celebrità che il cantante sta apparentemente vivendo. Quindi, per farla breve, quello a cui sta dicendo ‘addio’ è quel particolare aspetto della sua esistenza.

Spero vi piaccia,

      Buon ascolto e lunga vita alla bella musica

https://www.youtube.com/watch?v=wy709iNG6i8

 

CHIARA DE CARLO

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Todays, gran finale con i Massive Attack

Si è appena conclusa l’edizione 2024 di TODAYS, in scena a Torino dal 23 agosto al 2 settembre. L’ultimo concerto sul Main Stagedel Parco della Confluenza è stato quello sold-out dei MASSIVE ATTACK. La formazione di Robert “3D” Del Naja e Grant “Daddy G” Marshall, con un live che ha incantato il pubblico torinese, ha chiuso la serie di concerti al Parco della Confluenza che – insieme agli eventi diffusi nella Circoscrizione 6 della Città – hanno registrato in totale, negli 11 giorni di attività, 24mila presenze. Di queste, 2500 hanno preso parte agli eventi off, senza considerare il flusso delle attività all’aperto in aree pubbliche della città.

 

“Il bilancio del nuovo Todays Festival è positivo e siamo soddisfatti della buona riuscita degli eventi – dichiarano gli assessori ai Grandi eventi e alla Cultura Domenico Carretta e Rosanna Purchia. – Abbiamo deciso di osare, affidando l’organizzazione del festival tramite un bando pubblico ed estendendo la programmazione su più giorni rispetto agli scorsi anni. È stata una scommessa e una corsa contro il tempo per promuovere e far conoscere gli eventi e ringraziamo la Fondazione Reverse per l’impegno investito nell’organizzazione. Questa nuova edizione rappresenta un banco di prova importante, che ci permetterà di migliorare ulteriormente la formula per i prossimi anni, ma la partecipazione di tanti appassionati, giovani e famiglie ci dimostra che la scelta di sperimentare è stata vincente. Da domani, il nostro impegno sarà rivolto a garantire che il Todays Festival continui a crescere, affermandosi sempre più come un punto di riferimento musicale e culturale per Torino e non solo”.

 

“Siamo molto soddisfatti di questa edizione di Todaysdichiarano Fabio e Alessio Boasi di Fondazione Reverse. – Lavorare a un progetto di questa portata è statoper noi una sfida stimolante. Il pubblico ha risposto in maniera positiva: abbiamo registrato un’ottima affluenza, con alcune date che hanno superato le nostre aspettative e altre che, come avevamo previsto, hanno attirato un pubblico più di nicchia. Ci siamo impegnati per portare agli spettatori una line up di altissima qualità e un’esperienza indimenticabile. Per questo abbiamo dato grande importanza alla location, ai servizi, all’impianto audio e alla sostenibilità, mettendo al centro il pubblico, grazie anche al lavoro in sinergia con la Città di Torino e la Fondazione per la Cultura”.

I 24 artisti del Main Stage hanno radunato un nutritopubblico di appassionati per uno degli eventi più attesi della stagione dei festival italiani. Dal rock all’elettronica, dal pop di matrice internazionale alle sonorità più urban, fino a quelle più sperimentali: una confluenza di musiche e culture, in una location – quella delParco della Confluenza – che sin dal nome ha ben racchiuso lo spirito del festival.

A inaugurare gli appuntamenti dei grandi live al Parco della Confluenza, domenica 25 agosto, JEREMIAH FRAITES, Bab L’Bluz, Addict Ameba e Sasso, per una prima giornata a ingresso libero ; lunedì 26 agosto sul palco LCD SOUNDSYSTEM con Nation of Language, Khompa feat. Akasha e Giulia’s Mother; martedì 27 agosto è st in ata la volta di ARLO PARKS che si è esibita dopo Tangerine Dream, English Teacher, Birthh e Giøve; giovedì 29 agosto sul palco gli OVERMONO, Yellow Days, C’mon Tigre; venerdì 30 agosto le performance di THE JESUS AND MARY CHAIN, Fast Animals and Slow Kids, Elephant Brain e Brucherò nei Pascoli; il 31 agosto l’headliner è stato MAHMOOD, che a Torino ha concluso il suo tour estivo, preceduto da Jupiter & Okwess e A Toys Orchestra; a chiudere in bellezza il festival, lunedì 2 settembre i MASSIVE ATTACK.

Per LCD Soundsystem, Arlo Parks e English Teacher, quella di TODAYS è stata l’unica data nel nostro Paese, mentre per The Jesus and Mary Chain e Overmonol’appuntamento è stato l’unico nel Nord Italia, a conferma dell’eccezionalità della line up del festival e dell’attesa da parte del pubblico per questa edizione.

Attraverso un questionario somministrato a campione agli spettatori (che comprendeva indicatori quali la mobilità, la provenienza geografica, l’esperienza generale in area concerti, la partecipazione agli eventi off) è emerso che quasi il 70% degli intervistati ha partecipato al festival per la prima volta quest’anno; il 60% circa degli spettatori proviene dalla città di Torino, mentre il restante 40% è arrivato a TODAYS dal resto della regione e da tutta Italia. L’esperienza del festival è stata positiva per la maggior parte delle intervistate e degli intervistati, con particolare gradimento per la location del Main Stage al Parco della Confluenza e dei suoi servizi, oltre che della line-up che si è alternata sul palco. Tra gli aspetti più interessanti di questa edizione, il dato sulla somministrazione di acqua gratuita per il pubblico, per un totale di 10mila litri, con un risparmio di oltre 5 quintali di plastica.

Ma non solo concerti al Main Stage del Parco della Confluenza: TODAYS è stato un vero e proprio festival diffuso in moltissimi altri luoghi e realtà della Città. I partecipanti registrati agli eventi off sono stati oltre 2500, oltre a quelli, non conteggiati, agli appuntamenti totalmente gratuiti organizzati negli spazi aperti dalla scuola di circo Flic.

 

Dagli eventi di preview TOnights Spirit curated by JAZZ:RE:FOUND, andati in scena a Le Roi Music Hall il 23 e 24 agosto, al coinvolgimento di numerosi altri partner:SEEYOUSOUND INTERNATIONAL MUSIC FILM FESTIVAL – che porta ogni inverno a Torino il cinema più audace e innovativo del panorama mondiale incentrato sul rapporto tra pellicola e musica – con proiezioni esclusive di film a tema musicale in scena al Teatro Monterosa (che mai aveva visto in agosto un’affluenza così nutrita)prima dei concerti del Main Stage; FLIC SCUOLA DI CIRCO con incursioni circensi e spettacoli; SOUNZONE, prima community di produttori musicali in Europa, con un contest, laboratori e panel; DOJO,collettivo nato nel 2017 con l’obiettivo di promuovere e sostenere la scena rap e hip-hop in Italia, punto di riferimento nel panorama musicale italiano, particolarmente nel circuito del freestyle con sede nella città di Torino, con i suoi format Regio Freestyle, NAV Vol.11 e Verbal Jungle Show; MOCAMBO che ha ospitato “Barriera (ri)ascolta”, dedicato agli artisti emergenti del quartiere e ha fatto conoscere ai giovani torinesi questa realtà cittadina appena nata.

(foto archivio Lori Barozzino)

AL Museo MIIT la personale di Paolo Mantegazza

 

 

Il Museo MIIT di Torino ospiterà dal 7 al 14 settembre 2024 la mostra antologica dedicata a Paolo Mantegazza, con inaugurazione sabato 7 settembre a partire dalle ore 18. In mostra una quarantina di opere tra scultura, grafica e dipinti. Moltissimi i materiali utilizzati nei suoi lavori, dal legno alla pietra, all’argilla, dal gesso al ferro. Nella pittura l’artista utilizza acquerelli, tempere, olio, smalto, vernici spesso uniti a materiali di recupero, assemblati e plasmati fino a ridare una seconda vita, proprio come recita il titolo della mostra, ad oggetti di uso quotidiano come materiale tecnologico, schede elettroniche, CD, tubi elettrici e tastiere.

Paolo Mantegazza (1934 – 2018) ha interpretato al meglio il suo tempo, restituendoci immagini del periodo della sua esistenza e della sua opera quali fossero documenti ufficiali del cambiamento profondo vissuto tra il Novecento e il nuovo millennio. Il Maestro fa tesoro delle sue esperienze di vita e di lavoro nelle trasformazioni epocali di cui la sua generazione, e anche parte di quella attuale, sono stati testimoni. Si è reso protagonista del passaggio da un’arte tradizionale a un’espressione concettuale di idea creativa, dall’utilizzo di materiali nobili della cultura pittorica, dall’olio alla tempera, all’acquerello, a quello sperimentale degli oggetti di uso quotidiano e, in particolar modo, di quelli provenienti dal mondo della tecnologia. Da tutti questi stimoli ha tratto il meglio personalizzando la sua visione attraverso un mestiere coltivato con passione fin da giovanissimo, confrontandosi con il modellato, con la percezione della forma nello spazio, con ricerche azzardate artistiche in cui l’idea diventa motore e fulcro di innovazione artistica e culturale. Fra tutti, il tema centrale della sua produzione, in particolar modo scultorea, è quello della maternità. Le linee morbide e sinuose dei modellati, l’osmosi tra la figura materna e quella del bambino, l’intreccio di mani, braccia, corpi fusi in un continuo sviluppo armonico di volumi, una metafora dell’attesa, della maternità, del concepimento, resa con grazia e sacrale devozione…sono tutti elementi che permettono al fruitore dell’opera di scoprire e amare la sua attenta interpretazione della vita. Nelle venature delle diverse essenze dei legni antichi utilizzati, ulivo, abete, pioppo, nelle tonalità più scure e più chiare, nel rapporto contrastante tra la malleabilità del legno e la durezza della pietra inserita nelle sculture si può leggere anche nei momenti vissuti dal Maestro: la leggerezza e la gioia dell’esistenza. Come pure la drammatica e metafisica sensazione di isolamento e, a volte, di solitudine e graffiante difficoltà esistenziale. Non mancano opere pittoriche di grafica ricche di fascino e cultura della tradizione che l’artista declina con linguaggio personale, affidandosi al colore, al segno rapido e preciso al contempo, mostrandoci una sensibilità particolare nel rapportarsi con il bello e la natura, tanto caro alla cultura italiana e artistica tra Ottocento e Novecento. Paolo Mantegazza diventa così un maestro del nostro tempo, un universo da scoprire che ha saputo anticipare tematiche fondanti della cultura del nuovo millennio e la visione lungimirante di un mondo che deve cambiare per potersi raccontare alle nuove generazioni.

Paolo Mantegazza nasce a Torino il 12 marzo del 1934 e muore improvvisamente il 28 marzo del 2018. La famiglia è originaria del vigevanese nei pressi di Tornaco e Gravellona Lomellina, paese natale della madre dove Paolo trascorse la sua infanzia nel periodo della guerra e vi rimase per due anni sfollato dal 1943. Paolo trascorrerà tutta la sua vita a Torino nella casa di Via Lancia, che i genitori costruirono quando si trasferirono a Torino in seguito alla crisi economica del 1929. Paolo costruirà lì il suo laboratorio. La casa, negli anni Cinquanta, sorgeva in mezzo ai prati, ai margini della città. Oggi è una delle case più antiche di borgo San Paolo. Vi visse con la moglie, la figlia e la mamma, scomparsa all’età di 110 anni, nel 2014. La sua capacità innata di lavorare il legno emerse da subito, fin dall’adolescenza. Fu costretto dalla famiglia agli studi tecnici, ma il suo desiderio era quello di fare il falegname. Da solo si costruì uno slittino di legno per scivolare sulla neve al parco Ruffini, davanti a casa, e costruì una casetta in legno per le bambole della cuginetta. È sempre stato un autodidatta, non ha frequentato scuole d’arte e si è dedicato all’apprendimento artistico nel suo tempo libero. Collezionista di libri d’arte e conoscitore di tutti gli autori e gli stili, cercò personalmente i materiali da scolpire, e diversi tipi di legno durante i viaggi in Italia e all’estero. Negli ultimi anni della sua vita lavora ore e giorni solo con se stesso, condividendo le proprie esperienze con le persone più care, famigliari e amici, non esponendo mai le sue opere ad eccezione di qualche mostra personale a Torino nel 1998, alla palazzina Liberty, e qualche partecipazione a mostre tematiche, come quella del 1998 a Santo Stefano Belbo, incentrate sulle tematiche di Pavese “La portatrice d’acqua”. Le sue ultime opere, che intitolerà “Seconda vita” si ispirano al riciclo di materiale tecnologico, schede, CD, tubi elettronici, tastiere, legni antichi in cui possono rivivere come sculture gli oggetti di arredamento. Il laboratorio è il luogo dove Paolo vive la sua seconda vita, lontano da un lavoro che non ama, dal rapporto conflittuale con la madre, dalla relazione dolorosa con la moglie, la cui malattia mentale divora a poco a poco il sorriso, l’amore e la dolcezza, al rapporto ambivalente con la figlia. Non a caso nelle sue opere si riconosce il tema centrale della maternità, rappresentata con colori, materiali e stili differenti, che la rendono una tematica controversa della sua vita, forse un bisogno mai risolto di quell’amore primigenio che ha sempre desiderato.

Mara Martellotta

Film Commission Torino Piemonte alla Settimana Internazionale della Critica

Sono tre i progetti realizzati con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte presentati alla mostra del Cinema di Venezia: ‘Anywhere Anytime’ in concorso, il cortometraggio ‘Dark Globe’ in apertura di Sic@Sic e il cortometraggio “Domenica sera” di Matteo Tortone.

“Anywhere Anytime” è opera prima del regista torinese di origine iraniana Milad Tangshir e verrà presentato in anteprima mondiale alla 39esima settimana internazionale della critica, unico film italiano in concorso.

Il lungometraggio, realizzato a Torino interamente per 5 settimane nell’estate 2023, sarà uno dei 7 progetti della sezione autonoma e parallela del sindacato nazionale critici cinematografici italiani, nell’ambito della mostra internazionale d’Arte Cinematografica della biennale di Venezia, in programma fino al 7 settembre. Prodotto da Young Films, Vivo Film, RAI Cinema e realizzato con il contributo del PR Fers Piemonte 2021-2027, bando Piemonte film tv fund e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte ha un’ambientazione interamente torinese, impiegando sul set una troupe quasi interamente composta da professionisti e maestranze locali.

Protagonista della vicenda è un giovane immigrato di 18 anni di nome Issa, interpretato da un attore non professionista come il resto del cast, che perde il suo lavoro e trova un impiego finalmente come rider. Venendo derubato della sua bicicletta già il primo giorno si ritrova costretto alla ricerca in varie zone della città, tra Porta Palazzo e la periferia di Barriera di Milano, nella speranza di ritrovare il suo strumento di lavoro.

Ad aprire la 39esima Sic giovedì 29 agosto è stato un altro progetto piemontese, il cortometraggio “Dark Globe”, diretto da Donato Sansone, prodotto dalla torinese Base Zero di Enrico Bisi e Stefano Cravero, realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte Short Film Fund. Secondo il regista il progetto è un affresco del mondo di oggi e della follia globale, realizzato tecnicamente con disegno su carta e un’azione di stop motion verso la quale si sta sprofondando tra guerra, cambiamento climatico e sovrappopolazione.

Venerdì 6 settembre sarà la volta di ‘Domenica sera’ di Matteo Tortone, cortometraggio realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte-Short Film Fund, che chiuderà la settimana di critica cinematografica, raccontando la storia del giovane ultras Alex! Del suo incontro con la giovane rapper Nemy, delle loro solitudini che attraversano la città a bordo di un’auto rubata.

MARA MARTELLOTTA

San Giacomo di Stura, Abbazia dimenticata

Viandanti, mercanti, pellegrini e crociati affollavano le strade della penisola che portavano a Roma e ai porti d’imbarco per la Terra Santa.

Era l’epoca della II Crociata, a metà del Duecento: si andava a combattere in Anatolia, Palestina e in Egitto mentre tanti altri pellegrini stipavano le galee per raggiungere la Città Santa, appena riconquistata dai crociati, per pregare nei luoghi santi del cristianesimo. Si partiva da ogni città dell’Europa occidentale, dalla Francia, dalla Germania, dall’Italia, il cammino era lungo e faticoso e non privo di pericoli. Lungo strade e sentieri si incontravano locande e piccoli ospedali che offrivano assistenza, cibo e cure. Una meta sospirata dai pellegrini dopo aver percorso centinaia di chilometri. Uno di questi luoghi fu individuato in un monastero-ospedale costruito dai monaci vallombrosani di San Benedetto di Piacenza al di là del fiume Stura nel torinese. Nel 1146 il giurista Pietro Podisio, appartenente a un importante famiglia torinese, donò ai religiosi dei terreni per edificare un “hospitalem”, fuori le mura di Torino, allora piccolo borgo di poche migliaia di abitanti, al fine di prestare assistenza e alimenti a chi si fermava per riposarsi in attesa di riprendere il cammino. Si diedero un gran daffare i monaci che oltre ad aiutare senza risparmio poveri e ammalati gestirono anche il servizio di traghetto sulla Stura ed è da qui che deriva il nome del quartiere torinese “Barca”. Nacque così un convento-ospedale situato lungo i tragitti della via Francigena diretti a Roma e verso i porti pugliesi dove ci si imbarcava per il Levante. Il complesso religioso è diventato l’Abbadia vallombrosana di San Giacomo di Stura, uno dei più importanti monumenti storico-artistici del Medioevo torinese la cui storia è raccontata nel libro “San Giacomo di Stura, la storia dell’Abbadia vallombrosana alle porte di Torino, vestigia “dimenticate” del Medioevo subalpino”, Neos edizioni, dal poeta, traduttore e medievista Roberto Rossi Precerutti. Il periodo di massima fioritura non durò molto e già nel XIII secolo iniziò il declino del monastero che nel Quattrocento fu unito alla mensa vescovile di Torino e poi nel Settecento divenne una parrocchia intitolata a San Giacomo. Nel Novecento la chiesa fu circondata da cascinali e fabbricati industriali sorti lungo la strada che mette in comunicazione Torino e Settimo. Danneggiata dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale fu dichiarata inagibile nel ’54 e negli anni Sessanta fu sconsacrata e ceduta ai privati. Nel giugno 1972, inoltre, un incendio distrusse la galleria del coro e gli affreschi. Oggi l’Abbadia di San Giacomo è assai mal ridotta e versa in stato di abbandono dagli anni Cinquanta. Resta la chiesa con il sagrato e il perimetro del chiostro. La speranza è che i lavori di restauro della chiesa e dello spettacolare campanile, alto 24 metri, iniziati alcuni anni fa, possano presto restituire alla comunità questa preziosa testimonianza storica medioevale. Il libro di Roberto Rossi Precerutti è accompagnato da una serie di tavole di Emilia Mirisola che illustrano lo splendore del monastero nei secoli passati.
Filippo Re

Pietro Micca, nel bronzo la storia di un eroe popolare

/

Nel 1863, dopo un primo e vano tentativo di fusione della statua, il fonditore francese Pietro Couturier portò a termine l’incarico assegnatogli; il Consiglio Comunale scelse quindi di innalzare la statua poco lontano dal luogo stesso dove un secolo e mezzo prima era successo il fatto, cioè di fronte al Mastio della Cittadella il quale, in onore dell’evento, venne opportunamente restaurato a carico del Ministero della Guerra

Il monumento è collocato all’angolo tra via Cernaia e corso Galileo Ferraris, nel giardino dedicato ad Andrea Guglielminetti. La statua ritrae Pietro Micca, posto sulla sommità di un alto basamento modanato, in posizione eretta con la divisa degli artiglieri presumibilmente nell’atto fiero e consapevole che precede lo scoppio delle polveri. Infatti, mentre nella mano destra tiene la miccia, la sinistra è serrata a pugno quasi a voler enfatizzare, unitamente alla tensione della leggera torsione, il momento decisivo che precede l’innesco delle polveri (in riferimento all’episodio eroico che lo rese celebre).

 

Pietro Micca nacque a Sagliano il 6 marzo 1677 da una famiglia dalle origini modeste. Arruolato come soldato-minatore nell’esercito del Ducato di Savoia, è storicamente ricordato per l’episodio di eroismo durante il quale perse la vita al fine di permettere alla città di Torino di resistere all’assedio del 1706, durante la guerra di successione spagnola.La tradizione narra che la notte tra il 29 ed il 30 agosto 1706 (e cioè durante il pieno assedio di Torino da pare dell’esercito francese) alcune forze nemiche entrarono in una delle gallerie sotterranee della Cittadella, uccidendo le sentinelle e cercando di sfondare una delle porte che conducevano all’interno. Pietro Micca, che era conosciuto con il soprannome di passepartout, decise (una volta capito che lui ed il suo commilitone non avrebbero resistito per molto) di far scoppiare della polvere da sparo allo scopo di provocare il crollo della galleria e non consentire il passaggio alle truppe nemiche. Non potendo utilizzare una miccia lunga perché avrebbe impiegato troppo tempo per far esplodere le polveri, Micca decise di impiegare una miccia corta, conscio del rischio che avrebbe corso. Fece allontanare il suo compagno con una frase che sarebbe diventata storica “Alzati, che sei più lungo d’una giornata senza pane” e senza esitare diede fuoco alle polveri.

Morì travolto dall’esplosione mentre cercava di mettersi in salvo correndo lungo la scala che portava al cunicolo sottostante; era il 30 agosto del 1706.Il gesto eroico del minatore-soldato sarà riconosciuto in seguito durante tutto il Risorgimento come autentico simbolo di patriottismo popolare, sino ad essere ricordato ai giorni nostri.L’idea di celebrare con un monumento l’eroe popolare, nacque già nel 1837 dal Re Carlo Alberto alla morte dell’ultimo discendente maschile del soldato ‘salvatore’ della Città. Modellato dallo scultore Giuseppe Bogliani, il busto di Pietro Micca (rigorosamente in bronzo) ritraeva l’eroe con il capo coronato di gramigna con accanto una Minerva-guerriera seduta con una corona di quercia. Il monumento però non sembrava rispondere completamente al concetto di popolare riconoscenza con cui si sarebbe voluto ricordare Pietro Micca e così venne per così dire abbandonato all’interno dell’ Arsenale di Torino. Dopo circa vent’anni, nel 1857, da parte di uno scultore dell’Accademia Albertina di Belle Arti, Giuseppe Cassano, venne ripresa l’idea di ritrarre Pietro Micca.

Il Consiglio comunale, in seduta del 29 maggio 1858, approvò l’iniziativa ed il Re Vittorio Emanuele II espresse il desiderio che la statua del Micca venisse realizzata in bronzo ed eseguita nelle fonderie dell’Arsenale. In momenti differenti il Parlamento stanziò per il monumento L. 15.000 con le quali vennero pagate le sole spese di fusione; unitamente la sottoscrizione pubblica stanziò L. 2.200 (appena utili al rimborso dello scultore Cassano), L. 7.700 a Pietro Giani per la realizzazione del piedistallo e L. 2.000 per la posa in opera, arrivando così ad un costo totale di L. 26.900.

Nel 1863, dopo un primo e vano tentativo di fusione della statua, il fonditore francese Pietro Couturier portò a termine l’incarico assegnatogli; il Consiglio Comunale scelse quindi di innalzare la statua poco lontano dal luogo stesso dove un secolo e mezzo prima era successo il fatto, cioè di fronte al Mastio della Cittadella il quale, in onore dell’evento, venne opportunamente restaurato a carico del Ministero della Guerra. La sera del 4 giugno 1864 venne finalmente inaugurato il monumento ad onorare il gesto eroico del soldato-minatore di Sagliano.L’importanza dell’impresa di Pietro Micca è celebrata anche nel Museo che porta il suo nome, luogo dove è esposto il monumento a Pietro Micca del Bogliani del 1836.

 

Ed anche per questa volta la nostra “passeggiata con il naso all’insù” termina qui. Ci rivediamo per il prossimo appuntamento con Torino e le sue meravigliose opere.

 

Simona Pili Stella

I libri più letti e commentati del mese

Eccoci al consueto appuntamento con i libri più letti e commentati dalla community  Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di agosto   Come L’Arancio Amaro (Bompiani) di Milena Palminteri si conferma il libro dell’estate, letto e commentato con grande partecipazione, seguito da Domani, Domani (Nord) il nuovo romanzo di Francesca Giannone, che ribadisce la sua presa sui lettori italiani.

Infine: La correttricedi Emanuela Fontana (Mondadori) tratto da una storia vera, l’autrice si è basata su scambi di corrispondenza tra Emilia e Manzoni.

Incontri con gli autori

 

In agosto facciamo due chiacchiere con Cristina Guarducci, da poco tornata in libreria con Paul E Nina (Edizioni Creativa, 2024), una complessa storia d’amore dai risvolti tormentati, ambientata a Parigi, città dove la scrittrice ha vissuto molti anni.

Giulio Natali, scrittore marchigiano che, dopo essersi cimentato nel racconto, esordisce nella narrativa con il romanzo Sotto Il Diluvio (Castelvecchi, 2024), che descrive una lotta di potere nella quale tutto è ammesso.

 

 

 

Per questo mese è tutto. Vi invitiamo a seguire Il Passaparola dei libri sui nostri canali sociali e a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

La triste e sfortunata vita di Emilio Salgari

L’incontro con Emilio Salgari, il papà di Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e del Corsaro Nero avvenne tanto tempo fa. E fu un amore improvviso, intenso. I primo due libri furono “I misteri della Jungla Nera” e “Le Tigri di Mompracem”, nelle edizioni che la torinese Viglongo pubblicò negli anni ’60.

 

Vennero letteralmente divorati. Toccò poi all’intero ciclo dei pirati della Malesia e a quelli dei pirati delle Antille, dei Corsari delle Bermude e delle avventure nel Far West. Mi recavo in corriera da Baveno a Intra, da una sponda all’altra del golfo Borromeo del lago Maggiore, dove – alla fornitissima libreria “Alberti” – era possibile acquistare i romanzi usciti dalla sua inesauribile e fantasiosa penna. Salgari, nato a Verona nell’agosto del 1862, esordì come scrittore di racconti d’appendice che uscivano su giornali  a episodi di poche pagine, pubblicati in genere la domenica ma, nonostante un certo successo,visse un’inquieta e tribolata esistenza. A sedici anni si iscrisse all’Istituto nautico di Venezia, senza però terminare gli studi.

 

Tornato a  Verona intraprese l’attività di giornalista, dimostrando una notevole capacità d’immaginazione. Infatti, più che viaggiare per mari e terre lontane, fece viaggiare al sua sconfinata fantasia, documentandosi puntigliosamente su paesi, usi e costumi. Scrisse moltissimo, più di 80 romanzi e circa 150 racconti, spesso pubblicati prima a puntate su riviste e poi in volume. I suoi personaggi sono diventati leggendari: Sandokan, Lady Marianna Guillon ovvero la Perla di Labuan, Yanez de Gomera, Tremal-Naik, il Corsaro Nero e sua figlia Jolanda, Testa di Pietra e molti altri. Nel 1900, dopo aver soggiornato alcuni anni nel Canavese ( tra Ivrea, Cuorgnè e Alpette) e poi a Genova, si trasferì definitivamente a Torino dove cambiò spesso alloggio, abitando nelle vie Morosini e  Superga, in piazza San Martino ( l’attuale piazza XVIII Dicembre, davanti a Porta Susa, nello stesso palazzo all’angolo nord dove De Amicis scrisse il libro “Cuore“), in via Guastalla e infine in Corso Casale dove, al civico 205 una targa commemorativa ricorda quella che è stata l’ultima dimora del più grande scrittore italiano di romanzi d’avventura. Schiacciato dai debiti contratti per pagare le cure della moglie, affetta da una terribile malattia mentale, con quattro figli a carico, si tolse la vita con un rasoio nei boschi della collina torinese.

 

Era il 25 aprile 1911. Ai suoi editori dell’epoca, che stentavano a pagargli i diritti, lasciò questo biglietto: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna“. Ai quattro figli scrisse: “Sono ormai un vinto. La malattia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni di miei ammiratori che per tanti anni ho divertito e istruito provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire, più un credito di lire 600… Mantenetevi buoni e onesti e pensate, appena potrete, ad aiutare vostra madre. Vi bacia tutti col cuore sanguinante il vostro disgraziato padre“. I suoi funerali passarono quasi inosservati perché in quei giorni Torino era impegnata con l’imminente festa del 50° Anniversario dell’Unità d’Italia. La sua salma fu successivamente traslata nel famedio del cimitero monumentale di Verona. Un tragico e amaro epilogo per l’uomo che, grazie alle sue avventure, fece sognare tante generazioni di ragazzi.

Marco Travaglini