La prima edizione di Piemonte Factory, contest per lo scouting di nuovi talenti under 30 del video making, ha raccolto la candidatura di 58 cortometraggi, tra i quali 9 sono stati scelti dal regista e direttore artistico del progetto Daniele Gaglianone per accedere alla fase di laboratorio di produzione cinematografica affiancati da professionisti del settore.
Il progetto ha coinvolto tutta la regione Piemonte nei cui capoluoghi di provincia sono stati realizzati 8 corti di finzione, mentre 1 documentario ha visto protagonista la Val di Susa. Questi lavori sono stati proiettati in anteprima assoluta al 39° Torino Film Festival, concorrendo al Premio Piemonte Factory Miglior Cortometraggio, annunciato sabato 4 dicembre durante la cerimonia di premiazione del festival torinese.
La giuria composta da ENRICA CAPRA, DAVIDE FERRARIO, ELENA FILIPPINI ha deciso all’unanimità di assegnare il Premio Piemonte Factory Miglior Cortometraggio (€2.500) a:
ESTATE IN CITTÀ di Lorenzo Radin e Samuele Zucchet
con la seguente motivazione:
Di fronte alla varietà di stili e tematiche dei film in concorso la giuria ha deciso di scegliere, come criterio di giudizio, la coerenza dello sviluppo delle opere rispetto alle premesse e alle intenzioni, nonché l’oggettivo risultato artistico e comunicativo. In questo senso, abbiamo deciso di premiare ESTATE IN CITTÀdi Lorenzo Radin e Samuele Zucchet per la sua descrizione realistica e insieme visionaria della condizione delle vite giovanili in periferia.
Menzione speciale: I PARCHI di Flavio Mastrillo
con la seguente motivazione:
Vogliamo altresì segnalare I PARCHI di Flavio Mastrillo che, con tutt’altra intenzione, riesce a costruire un suo mondo espressivo e narrativo di grande efficacia, rendendo la scarsezza di mezzi una forza invece che un limite.
Nei mesi a seguire, i 9 cortometraggi Piemonte Factory faranno un tour nelle residenze cinematografiche che hanno ospitato le troupe, per assegnare il Premio del pubblico (€500) e nei comuni che fanno parte della rete di Presìdi Cinematografici di Piemonte Movie. La data di apertura del tour sarà domenica 23 gennaio 2022 in Sala Cabiria al Cinema Massimo MNC di Torino.
Piemonte Factory è un progetto di Associazione Piemonte Movie, promosso da Regione Piemonte, Film Commission Torino Piemonte, Museo Nazionale del Cinema – Torino Film Festival, AGIS-ANEC. Tutti i corti sono stati realizzati in collaborazione con i Comuni capoluogo delle 8 province regionali che sono stati “residenza artistica” per questa nuova generazione di filmmaker.
Il progetto Piemonte Factory è a cura di Alessandro Gaido, con la direzione artistica di Daniele Gaglianone e la vice direzione di Elena Beatrice e Daniele Lince. Segreteria organizzativa: Roberta Pozza, Chiara Pellegrini, Ottavia Isaia; Segreteria amministrativa: Alessandra Cavone, Elisa Cabula, Laura Zaru; Social manager: Gabriele Diverio; Progetto grafico: Federica Zancato; Ufficio stampa: Mariapaola Gillio; Ufficio scuole: Serena Anastasi.
SCHEDA CORTO VINCITORE:
Estate in città (Italia, 2021, 8’, colore) di Lorenzo Radin e Samuele Zucchet – Tutor: Vito Martinelli.
Location in provincia di Torino: quartiere Vallette, Torino.
Sinossi: Luca, un ragazzo cresciuto in periferia, incontra Lorenzo, un ragazzo venuto a passare un’estate lì dove tutti, d’estate, provano a fuggire. Questo incontro cambierà Luca, avvicinandolo alla musica e dandogli modo di esprimere sé stesso. L’estate in città giunge al termine, Lorenzo se ne va e Luca dovrà affrontare il ritorno alla vita precedente.
Bio registi: Lorenzo Radin e Samuele Zucchet, nati e cresciuti rispettivamente a Venaria Reale (TO) e Concordia Sagittaria (VE), si incontrano per la prima volta frequentando il DAMS di Torino. Da lì inizia la collaborazione legata alla produzione di contenuti video, lavorando a vari progetti personali, sviluppando un linguaggio filmico legato all’estetica del commercial, del fashion film e del videoclip, tutti ambiti su cui lavoreranno rapportandosi con varie realtà del territorio piemontese e non. Per la laurea nell’anno accademico 2020/2021 presentano una tesi sperimentale, producendo il trailer di Estate in Città
L’agile libretto edito dalla novarese Segni e Parole propone trentasei composizioni di questo poeta, pittore, scultore, gastronomo e designer nato a Omegna, sulla punta settentrionale del lago d’Orta. Una miscela di sensazioni, ricordi, visioni che si inseguono secondo un ordine alfabetico che non offusca l’anarchica originalità, la fantasiosa irriverenza o la malinconia struggente, spaziando dai luoghi in cui è nato a lidi più lontani anche se ,come una falena attratta dalla luce, ritorna sempre a specchiarsi nelle acque del lago d’Orta, rese cangianti dai riverberi delle luci delle albe, dei tramonti e delle notti di luna. Ci accompagna sul sentiero delle carline all’alpe Devero per poi scendere verso la sua casa di Crusinallo dove, nella notte di San Lorenzo, scruta il cielo alla ricerca delle stelle cadenti “dove la grande mano dell’universo sparge negli occhi di sognatori bambini illusioni di caramello”. Omaggia la memoria di Alda Merini che aveva un rapporto molto stretto e personale con Omegna (“Quando i poeti se ne vanno è come l’esaurirsi di una sorgente..”) e non manca di elogiare con i suoi versi in rigoroso dialetto la mitica moka, eccellente caffettiera nata nella città dove vide la luce anche Gianni Rodari, fedele compagna che elargisce il primo caffè del mattino (..”gh’è mia un ‘auta machineta…gnanca cula dal George Clooney c’la batt cula dal Bialett”). In Ode del suicidio lacustre riecheggia la stessa intensità dei versi cari del poeta ortese Augusto Mazzetti (“Oh, lago, lago, lago! Sciogliermi infine con te, per essere un giorno pescato come un antico luccio”) e il legame indissolubile con le acque del Cusio quando scrive “come piatto ciottolo, esaurita l’energia del braccio, scenderò dondolando dolcemente nella profondità ”. Cita sovente le onde, il profumo di quella terra tra lago e montagne, il fiato grigio delle brume che se ne stanno sospese a fior d’acqua in certe stagioni. Sotto l’antico tiglio ricorda riti antichi, musiche e baldorie popolari, scampoli d’infanzia mentre le primule, declinate anch’esse in dialetto omegnese, fanno ripensare al giallo del risotto alla milanese rievocandone profumo e sapore. Ogni poesia nasconde frammenti di storie, memorie vicine o lontane, narrate con parole essenziali e asciutte. Una poesia ci ricorda che ci stiamo affacciando sulla soglia dell’inverno e s’intitola Al buio nell’aria della notte. Eccola: “Ho sentito il profumo della neve. Che non è il profumo del pane appena sfornato, delle rose di maggio, della pelle di una donna, del fieno appena tagliato, dell’uva della toppia, del mio lago, del calicantus d’inverno, dell’olea fragrans d’autunno, dei narcisi di primavera, della sigaretta e del caffè del mattino, del profumo del pelo delle mie cagne bagnato, della stufa che và a legna. E’ il profumo dell’innocenza”. In poche righe svela le sue radici. Ci sono tratti della personalità di questo artista eclettico, figlio di una tradizione popolare e dei “poeti maledetti” del lago d’Orta, Ernesto Ragazzoni e Augusto Mazzetti. Onde, Ondine, Onde anomale regalano, centellinandolo come il buon vino, l’incanto delle parole, il gusto dei versi. Privarsene sarebbe uno sbaglio, un imperdonabile errore.
Paolo Poma è una di quelle tante persone che ogni giorno possiamo incontrare nelle strade o fingere di non vedere. Vive al Balon e cerca di campare vendendo oggetti al tipico mercato della zona. Spesso non sa dove dormire e la sua dipendenza dall’alcool è l’unica via di fuga che gli è rimasta da quella sofferenza che si porta dentro. Se lo incontrereste per strada probabilmente lo giudichereste senza nemmeno sapere che quell’uomo una volta aveva una casa e si era costruito una famiglia. La storia di Paolo potrebbe essere quella di ciascuno di noi, piccola o grande che sia la ferita che ci portiamo dentro. Ed è grazie alla documentazione della sua storia, attraverso gli occhi del regista, che veniamo condotti in un viaggio introspettivo personale ma, allo stesso tempo, comune alla condizione umana. Un viaggio fatto di ingiustizie, sofferenze, coraggio e speranze. Un viaggio alla ricerca di una rivincita nei confronti di un destino subito e di un’identità perduta, perchè se è vero che i fatti del passato non si possono cambiare è pur sempre vero che i ricordi del passato, racchiusi dentro di noi, si possono curare. Ed è da questo viaggio di cura che nasce la voglia del regista di vivere da vicino la vita di Paolo, di tuffarsi a capofitto in quel dolore per trovare una strada che lo conduca sempre più in profondità dentro di sé, alla ricerca del senso della sofferenza umana.
Emanuele Marini, marchigiano classe 91, è il regista del documentario “I giorni del destino” in concorso alla 39° edizione del TFF. Emanuele è il tipico esempio di chi, senza imparare il mestiere in modo accademico, riesce a farcela da solo contando sulle proprie risorse interiori e sul poprio talento.
In principio (era il 1728, forse la prima commedia musicale della storia?) fu John Gay con la sua “Beggar’s Opera”, in seguito, due secoli esatti dopo, Bertolt Brecht e Kurt Weill diedero alle scene “L’opera da tre soldi”, che oggi, a quasi cent’anni di distanza, Fausto Paravidino riscrive, rendendola indefinita (“Un’opera da tre soldi”) e con la temperatura della nostra epoca, approfondendone e contemporaneizzandone le dinamiche, le forme violente, i meccanismi del denaro. Mette al centro della rilettura – non più il “Moritat” o altro, trovano posto in mezzo alle parole nuove microfoni, chitarre elettriche e le musiche di Enrico Melozzi – Peachum, portandolo a divenire l’emblema di una vera e propria società di mercato, “dipende dal denaro senza neanche prendersi la briga di esserne appassionato, non è avido, non ambisce a governare il denaro, è governato dal denaro”, così il nuovo autore definisce il proprio protagonista. Vigila attento sulla sua proprietà, lui, il vecchio re dei mercanti, divenuto un venditore (chiamiamolo trafficante) di borse griffate, una tribù a formare quanti fanno mercato per lui e lui nel proprio negozio ad alzare i prezzi e a vendere per un bel po’ di euro. Ma qualcosa un giorno, come nelle vecchie fiabe o nelle antiche tragedie, qualcosa non va più per il verso giusto, gli viene portata via la figlia. Una parte della sua proprietà. Inizia qui la strada dell’agguerrito Peachum per riagguantare quanto è suo, avventure e disavventure s’uniscono, tra consorti che pensano soltanto allo shopping e alle sedute nel centro benessere con le amiche, tra scagnozzi che vanno e vengono non sempre al meglio della fiducia, tra sindaci (anzi, è una sindaca) che flirtano e strizzano l’occhio alla mala, tra figlie che hanno deciso la rivoluzione perché innamorate perse del malavitoso. Un strada che mostra la miseria dietro l’angolo, in ogni sua forma, dei poveri e di chi si vuole arricchire, la guerra dei ricchi contro i poveri che mette la maschera del nuovo millennio.
Peachum vorrebbe mantenere un ordine, secondo la sua volontà e la sua visione, Mackie Messer con la sua banda di naziskin (pronti a tradirlo nel momento in cui il capo sembra prendere altre strade) non può invadere quella prestabilita e ben governata “proprietà”, vuol dire sovvertire quell’ordine. Come non può alterarla la sindaca, messa un giorno ad hoc per salvaguardarla, se gli equilibri si rompono spetterà a Peachum giocare quel gioco che li ricomporrà. Tra siparietti da strada e abbozzi di interni borghesi (scene di Laura Benzi), Paravidino autore e regista porta avanti linearmente e sfacciatamente il proprio discorso e le proprie convinzioni, Rocco Papaleo è un Peachum dalla bella concretezza, moderno e filosofico. Tra le nuove idee e la miseria serpeggiante, da appassionarsi con gusto al ritratto che di Polly, la figlia ribelle del re dei mendicanti, costruisce scena dopo scena Romina Colbasso. Repliche al Carignano per la stagione dello Stabile di Torino sino a domenica. Quanti poi volessero fare dei confronti tra ieri e oggi, youtube può offrire scene delle repliche e soprattutto le prove al Piccolo milanese dell’edizione dell’”Opera” di Strehler e dei suoi attori, Milva e Santuccio e Tedeschi in testa, tanto per vedere quanto è cambiato il teatro.