La mostra ospitata nella Sala degli Stemmi della stazione di Porta Nuova, protagonisti i murales dell’artista
Nella stazione di Porta Nuova è stata inaugurata una mostra dal titolo significativo “The world of Banksy – The immersive experience”, che presenta oltre novanta celebri riproduzioni dell’artista britannico noto per la sua arte dei murales. In mostra sono esposti anche trenta esemplari di murales a grandezza naturale realizzati da giovani street artist internazionali.
Alcune delle novanta opere esposte sono quelle intitolate “Girl with balooon”, “Rat and champagne” “Christ with shopping bag”, “Queen Guard Pissing “ e The umbrella girl”; non sono altro che opere realizzate da giovani street artist internazionali che riproducono quelle del misterioso artista britannico.
L’arte di Banksy approda a Torino dopo essere stata esposta alla stazione centrale di Milano a dicembre e, sempre nel capoluogo lombardo, al teatro Nuovo, e aver poi transitato per alcuni centri di rilievo quali Dubai, Barcellona, Praga, Parigi e Bruxelles.
La mostra è ospitata nella sala degli Stemmi, che prende il nome dalla presenza di oltre cento stemmi che ne decorano l’ampia volte a botte.
“Apre al pubblico la Sala degli Stemmi – spiega l’ Amministratore delegato di Grandi Stazioni Retail, Alberto Baldan – chiusa ormai da anni, con una mostra sicuramente interessante, pochi mesi di distanza dall’inaugurazione, avvenuta lo scorso dicembre, del Terrazzo con la nuova food lounge”.
“Siamo i primi – spiega il curatore della mostra Manu De Ros – ad aver proposto una mostra all’interno di una stazione. Bansky, che non autorizza mostre non da lui organizzate, tuttavia non le impedisce, incoraggiando, invece, chiunque desideri copiare il suo lavoro o a prenderlo in prestito. Le opere esposte sono di immediato impatto visivo e sono state realizzate dallo street artist su strade, ponti e muri provenienti da geografie diverse, da Israele alla Francia, dagli Stati Uniti a Cuba. Si tratta di lavori che invitano alla riflessione sulla società contemporanea, attraverso l’utilizzo di immagini provocatorie, metaforiche e percorse da una profonda vena poetica”.
Nessuno lo ha mai visto, nessuno conosce il suo volto, eppure Banksy è considerato tra i più grandi artisti del nuovo millennio, merito delle sue opere satiriche e di denuncia, eseguite con la tecnica dello stencil, capaci di toccare temi di grande attualità.
Nato a Bristol nel 1974, ora Banksy è un marchio registrato. A controllare e tutelare l’utilizzo del nome e l’immagine dell’artista è la Pest Control Office Limited. Le sue opere sono apparse in tutto il mondo, in Italia a Napoli, Venezia, dove ha rischiato di svelare la sua identità.
Considerato uno dei maggiori artisti esponenti della street art, a renderlo interessante è sicuramente, oltre alla forza delle sue opere, il fatto che nessuno conosca la sua vera identità, anche se circolano alcune ipotesi sulla medesima. Sebbene alcuni critici lo accusino di essere troppo commerciale, rimane un attivista impegnato non soltanto dal punto di vista politico; le sue opere presentano, infatti, uno sfondo satirico, e riguardano argomenti di grande sensibilità quali la politica, la cultura e l’etica. Le sue immagini inducono alla riflessione, compito fondamentale cui è chiamata la vera arte.
Mara Martellotta

Il primo incontro tra i due avvenne sette anni fa allorché Maurizio De Giovanni adattò per il palcoscenico “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Kesey, poi arrivò il successo del commissario Lojacono e dell’avamposto poliziesco dei “Bastardi di Pizzofalcone” (una sorta di 87° distretto newyorkese con stanza a Napoli), con le sue facce, con i drammi personali, con i casi da risolvere. Una collaborazione, fatta di amicizia e di desiderio di sperimentare su più fronti, quella nata tra Alessandro Gassmann e il giallista più acclamato di casa nostra (il pubblico che corre in libreria o punta gli occhi sulla tivù di casa per i casi del commissario Ricciardi, di Mina Settembre o dell’ex agente segreto Sara), da cui è nato “Il silenzio grande”, visto al cinema e giunto finalmente al Carignano per la stagione dello Stabile torinese.
Da buon giallista, anche in quella biblioteca che parrebbe immersa nella vivace linearità del racconto, De Giovanni trova modo di costruire inaspettatamente l’essere e l’apparenza, di unire il mondo dei vivi e quello dei morti (ma più non si può dire, scoprirà felicemente ogni cosa lo spettatore). La regia di Gassmann srotola a poco a poco lo svolgersi della vicenda, le cose mai dette, gli angoli dei sentimenti negati, a volte con piccoli particolari, con gesti o con giochi di luci, con gli attimi di un tempo impressi nel velo che divide il pubblico e la scena. Il teatro mette ancora più a fuoco l’ambiente claustrofobico che il cinema poteva spezzare in qualche respiro all’esterno, forse qui spinge il pedale della comicità ma senza mai interrompere il clima di drammaticità sottile che riempie il palcoscenico. Ha un prezioso alleato in Massimiliano Gallo, chiuso saldamente nel bozzolo di Valerio, nella sua moderna misantropia, nella propria ingenuità, nella volontà di voler rimanere intimamente ancorato al passato, e pronto a esplodere nelle verità che gli si concretizzano davanti, dialogo dopo dialogo, una prova davvero matura, giocata tra mille sfumature, dove l’attore attinge, nella parola e nei gesti, nel modo di muoversi attraverso la scena, al panorama eduardiano o a certi dialoghi spezzettati che ricordano da vicino il compianto Troisi. Accanto a lui, Stefania Rocca, Pina Giarmanà dalla schietta umanità, e i figli Paola Senatore e Jacopo Sorbini, capaci di costruire nei loro interventi due personaggi pieni di precisi, apprezzati chiaroscuri. Un vero successo alla prima. Repliche sino a domenica 6 marzo.
Conversazioni d’autore (sette per sei incontri): esperti d’arte, artisti, storici e collezionisti. Saranno loro i protagonisti degli appuntamenti di approfondimento sulle tematiche e sulle opere esposte nella rassegna “Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone” al Castello di Miradolo di San Secondo di Pinerolo, sede della “Fondazione Cosso” promotrice della mostra e degli incontri, a cura di Paola Eynard e Roberto Galimberti, in collaborazione con Enrica Melossi. Della rassegna dedicata a Pejrone – grande papà di “giardini felici” – già si è trattato in occasione dell’inaugurazione, nel maggio dell’anno scorso. Si tratta, come ribadiscono gli organizzatori, di un progetto espositivo immaginato come un cammino ideale lungo un anno (fino al 15 maggio prossimo), che “segue il corso delle stagioni e accompagna il trascorrere del tempo con le opere in mostra che cambiano con il variare delle stesse stagioni”. Intorno al concetto di “abbecedario”, in rigoroso “dis-ordine alfabetico”, si trovano i pensieri, i riferimenti, i dubbi e le speranze che hanno segnato gli oltre 50 anni di carriera dell’architetto paesaggista Paolo Pejrone in dialogo con opere d’arte, oggetti, fotografie, acquerelli, progetti, memorabilia, video e installazioni provenienti, per la maggior parte, da collezioni private e distribuite nelle sale storiche del settecentesco Castello e nei sei ettari di “Parco all’inglese” che lo circondano. In questo suggestivo e ben articolato scenario natural-artistico si terranno le sei “Conversazioni”, programmate dal prossimo sabato 26 febbraio fino al 2 giugno, sempre il sabato pomeriggio alle ore 15. Tutti gli incontri sono gratuiti, compresi nel biglietto di ingresso alla mostra ed aperti a visitatori, appassionati d’arte ed insegnanti (gli incontri sono infatti inseriti nel calendario del corso docenti del “Progetto Ulisse”, accreditato dal “MIUR” a livello regionale). Ad ogni appuntamento, alle 16,30, segue una visita guidata con i curatori della mostra e per renderne il più possibile accessibile i contenuti è prevista una registrazione audio e la successiva pubblicazione sul canale “Spotify” del Castello di Miradolo. Ad aprire il ciclo di appuntamenti, sabato 26 febbraio, saranno Francesco Poli (docente di “Storia dell’arte contemporanea” all “Accademia di Brera” a Milano e “Chargé de cours” all’“Université Paris 8”) ed Oscar Chiantore (docente di “Conservazione e Restauro dei Beni Culturali” all’Università di Torino). I due dialogheranno con il pubblico su: “Materiali naturali e materiali artificiali. Problemi di conservazione”. A seguirli, nei sabati successivi (programma dettagliato su
s’accompagneranno alle immagini davvero importanti raccolte nella “veste invernale” della mostra e che serviranno a costruire un curioso dialogo immaginario con l’“abbecedario” di Pejrone “intessendo riferimenti e suggestioni e suggerendo letture e possibili interpretazioni del percorso di visita per costruire un cammino, oltre il giardino”. Dal “Concetto spaziale” di Lucio Fontana, al “Cardo e pesche” di Piero Gilardi, l’iter espositivo propone la messa in scena di opere di Giovanni Frangi (con quella delizia di “Urpflanze” del 2020) in cui l’artista milanese affronta il tema delle “ninfee” – magnifica ossessione di Monet – per proseguire con l’installazione “Venti Frammenti” di Giorgio Griffa, con il poster di Robert Rauschenberg dedicato alle celebrazioni della “Prima Giornata Mondiale della Terra” “Earth Day 22 April” (Anni ’70) e con la “Foglia”(Anni ’80) di Arrigo Lora Totino, fra i maggiori interpreti del movimento della “Poesia Concreta”. A ruota, i suggestivi “Erbari” di Mario Merz e Giuseppe Penone, indiscussi protagonisti dell’Arte Povera, i “116 Particolari visibili e misurabili di infinito” di Giovanni Anselmo, il “Senza titolo” (Anni ’70 – Oriente racchiuso in un fiore proveniente dalla Cina) del re della Pop Art Andy Warhol e la scultura sospesa “Verticale” creata appositamente per il Castello da Paola Anziché. Autentici grandiosi messaggi di arte contemporanea. Mostra nella mostra. In un contesto naturale e di storica ambientazione da far perdere il fiato. A completare l’esposizione, un’installazione sonora a cura del progetto artistico “Avant-dernière pensée”, con musiche di Rossini, Beethoven e una riscrittura di “Apartment House 1776” di John Cage.

Le sue opere sono realizzate con legni tinti e denotano una grande ricchezza di sintesi, in cui le forme geometriche paiono mosaici e vivono all’interno di una evoluzione di simboli e di un equilibrato rapporto prospettico, che non è mai fine a se stesso.
Tecnica ad olio e spatola su tela sono i due registri su cui si fonda l’opera di Davide Tornielli, che unisce diversi valori contenutisticia una gestualità dinamica e vivace, con le quale ottiene importanti risultati tecnici stilistici. Il segno è ben ritmato, graffiante, di larghe stesure, animato da una resa materica incisiva, capace di porre in risalto una creatività molto originale e una notevole libertà di forma. I soggetti sono prevalentemente naturalistici, in grado di assumere valori umano-sociali di grande ricchezza esistenziale. L’intonazione cromatica risulta estrosa, alternata al movimento scenico vitale e incisivo, arricchito di un importante aspetto simbolico.
Una venatura mistica è presente nelle opere di Gennaro Trematerra, in cui vive un’atmosfera densa di fascino e di magia. Si tratta di una pittura che evoca riflessioni ricorrenti in cui lo stile raffinato e l’impianto strutturale, di forte valenza formale, offrono al visitatore un’interpretazione narrativa molto significativa. Nelle opere di questo artista il colore risulta mutevole e crea innumerevoli effetti che si coordinano in una prospettiva spaziale suggestiva e ricca di simbolismo. Il linguaggio utilizzato da Gennaro Trematerra è rivolto a una profonda ricerca interiore e a un vero lirismo, dove l’aspetto delle immagini reali o irreali testimonia un’arte in cui la creatività si sposa allo spessore culturale. In queste opere emergono armonia cromatica e sapienti velature, in cui i giochi chiaroscurali e i movimenti materici raggiungono un enorme spessore tecnico e un’ampiezza altrettanto significativa.
Il percorso formativo di questo artista comunica allo spettatore una ricerca scandita da una descrizione di denso valore umano contraddistinta da una forma libera e da una personalità di ampio respiro. Egli usa un colore definibile quale “esoterico”, in grado di elevarsi in uno spazio illuminato da giochi di luce e da un’esecuzione tecnica ricca di continue vibrazioni. Il dialogo che instaura con lo spettatore è percorso da un profondo esistenzialismo e emerge in tutte le sue creazioni, evidenziando valori tanto visivi quanto contenutistici.
“ In via Principe Amedeo – spiega Paolo Mondazzi – è raccolto il fondo della collezione, che consta di oltre 1500 pezzi, fedeli copie di celebri statue che vanno da esemplari provenienti dall’antico Egitto a opere del Novecento, dal gigantesco David di Michelangelo a calchi di gemme e monete anche di pochi millimetri.
Alla morte del Gonetto nel 1975 (il Gilardini era scomparso già negli anni Trenta) la Gipsoteca di Torino passò alla gestione della famiglia Mondazzi, che proseguì nell’incremento delle opere, con l’acquisto, nei primi anni Ottanta, dei calchi e dei modelli della gipsoteca di Bologna, insieme ai rinnovati rapporti con la Gipsoteca nazionale di Firenze, per il tramite del professor Andrea Chiesi.