CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 462

Cinque fotografi torinesi per un “ritratto d’asporto”

“Stop selfie. Make a portrait” – www.ritrattidasporto.it

“Il selfie è l’istantanea di un pirla che immortala la sua vanità”: Vittorio Sgarbi dixit. E anche sulla bulimia da selfie (“slang” imperante dell’odierno mondo social, inserito perfino nel prestigioso “Oxford Dictionnary”), lo Sgarbi furioso – come sua consuetudine – va giù pesante e non le manda davvero a dire. Esagerato? Eccessivo? A ognuno il suo giudizio.

Certo è comunque, fatte salve le debite distanze dai folklorici eccessi del verbo sgarbiano, che con lui non si può non essere d’accordo nella denuncia di un marcato e palese “narcisismo” in quell’ossessiva filososofia che guida occhi e mani del bulimico popolo del selfie. Del “selfie ergo sum”, attento di più (inconfutabile dato di fatto) all’apparire che all’essere. E distante, proprio per questo, anni luce dal classico ritratto fotografico, firmato da fografi professionisti, dalla tecnica ineccepibile e attenti a cogliere l’intima essenza, la poesia e l’emozione duratura nel tempo del soggetto ritratto. A sottolinearlo è il progetto “Stop selfie. Make a portrait” ideato dal noto fotografo torinese Silvano Pupella (ultima mostra nello spazio più prestigioso in Italia per la fotografia, la casa dei “Tre Oci” a Venezia), insieme ad altri quattro colleghi ben intenzionati “a sfidare la modernità e a proporre, come nel passato, un ritratto artistico, frutto della passione e dell’esperienza”.

Basta (o per lo meno, calma) con i selfie. Fatti (fare) un ritratto! A dirlo, con Pupella, sono gli amici fotografi Gianni Oliva (reduce dal grande successo dell’ultima personale “Istanti donati” allo spazio d’arte “San Fedele” di Milano), l’eporediese Stefania Ricci, la giovane Federica Bertolino e Andrea Michelini. Immediata l’adesione all’iniziativa anche da parte di “ArtPhotò”, progetto messo in piedi a Torino nel 2016 da Tiziana Bonomo con l’obiettivo di proporre, organizzare e curare eventi legati al mondo della fotografia. Un vero e proprio ritratto “da asporto” (espressione super-citata, ahinoi, in questi tristi tempi di lockdown sanitario) è la proposta dei magnifici cinque. Un ritratto d’autore, stampato e firmato dall’artista-fotografo e consegnato all’istante, dopo lo scatto. Da portare a casa, “ per se’ stessi, per i propri famigliari o come regalo diverso dal solito e sicuramente originale e gradito in occasione soprattutto del periodo natalizio”.

L’iter per aderire a “Stop selfie. Make a portrait” è semplicissimo. Si va sul sito https://www.ritrattidasporto.it , dove è possibile visionare le opere dei fotografi coinvolti, si sceglie il preferito e si prenota telefonando al 351/5423240. Il set su cui si sarà invitati a posare è lo “Spazio Eventa” di via dei Mille 42, a Torino. Naturalmente nel rispetto di tutte le regole imposte dalle normative anti-Covid. “Ed è proprio in questi lunghi mesi di distanziamento sociale – dice Silvano Pupella – che il valore di un ritratto d’autore diventa forte più che mai per fissare un momento intimo di intensa emozionalità. Certo i selfie consentono di avere una grande quantità di immagini, ma di quelle immagini alla fine non rimane nulla se non nella memoria dello smartphone; mentre una fotografia di qualità, stampata come si deve, resta un ricordo che dura nel tempo e questo 2020 sarà un tempo sicuramente e tristemente da ricordare”.

“’ArtPhotò’ – spiega da parte sua Tiziana Bonomo – ha immediatamente aderito all’iniziativa perché crede nei fotografi, nella loro arte, nella loro creatività. La foto scattata da un professionista cela il desiderio di affidarsi a qualcuno che ci ritragga per come desideriamo essere visti e soprattutto ricordati. Per questa ragione ‘Stop selfie. Make a Portrait’ offre la possibilità di scegliere tra autori con occhi, sensibilità ed esperienze diverse in base a come si spinge il desiderio di essere fotografati. Inoltre il set di ‘Spazio Eventa’ è un luogo accogliente che mette a proprio agio anche i più intimiditi dalla macchina fotografica”.

Gianni Milani

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Nelle foto

– Gianni Oliva: “I 18 anni di Lucia”
– Silvano Pupella: “Ritratto con Charlotte”
– Stefania Ricci: “Tiziana per caso”
– Andrea Michelini: “La schiena di Anna”
– Federica Bertolino: “Ritratto uno”

Di nuovo online l’archivio storico de “La Stampa”

POGGIO: «ABBIAMO MESSO AL SICURO UN PATRIMONIO INESTIMABILE NEI TEMPI PREVISTI»

 

L’Archivio storico on line del quotidiano «La Stampa», sarà di nuovo consultabile dalle ore 12 di lunedì 15 febbraio all’indirizzo http://www.archiviolastampa.it dove sarà possibile accedere nuovamente ai contenuti temporaneamente sospesi dallo scorso 15 dicembre per alcuni lavori di manutenzione della piattaforma.

«Grazie all’intervento del CSI che ha aggiornato la piattaforma per renderla nuovamente consultabile – ha sottolineato l’assessore alla Cultura, Vittoria Poggioabbiamo messo al sicuro un patrimonio di inestimabile valore introducendo tra l’altro un criterio di indicizzazione degli articoli più aderente alle norme sulla privacy che tutelano in particolare quella riguardante il diritto all’oblio a tutela di chi non vuole più vedere riportato il proprio nome nelle cronache del passato».

L’intera raccolta conta quasi 150 anni di storia, 1.761.000 pagine, oltre 5 milioni di articoli, 4,5 milioni di immagini tra fotografie e negativi, dal 1867 al 2006: con il ripristino, sarà di nuovo possibile effettuare ricerche per data o per parole contenute nel testo degli articoli e visualizzare la riproduzione delle pagine del giornale per leggerle e sfogliarle come dal vero.

I lavori sono avvenuti nei tempi previsti, rendendo l’Archivio Storico nuovamente utilizzabile: in particolare, il Consorzio si è occupato di sostituire il sistema di visualizzazione dei contenuti ormai obsoleto, Flash Player, con una equivalente soluzione in software libero.

Per valorizzare ulteriormente questo importante strumento, la Regione Piemonte è già al lavoro per avviare un percorso di riprogettazione complessiva in linea con i nuovi trend tecnologici e di design per la fruizione dei servizi pubblici.

«Siamo orgogliosi di aver lavorato a fianco della Regione Piemonte per rendere nuovamente consultabile questo importante strumento – ha sottolineato Pietro Pacini, Direttore Generale CSI Piemonte -. Un imponente archivio digitale che raccoglie un patrimonio storico straordinario che deve essere tutelato e valorizzato attraverso moderne tecnologie di cui il CSI si avvale per realizzare i progetti per la Pubblica Amministrazione, per i cittadini e le imprese».

Asinari di Bernezzo dona le foto al Centro Studi Piemontesi

E’ avvenuta la donazione al Centro Studi Piemontesi (https://www.studipiemontesi.it/) da parte di Vittorio Asinari di Bernezzo, di un importante fondo fotografico che documenta alcuni momenti della storia italiana tra le due guerre mondiali. In seno ad esso sono documentate, tra l’altro, con scatti di alta qualità, forza documentativa ed evocativa, visite effettuate in tempi diversi da Re Vittorio Emanuele III, accompagnato dal suo primo aiutante di campo generale, Giuseppe Mario Asinari di Bernezzo, in Tripolitania ed Eritrea. Di rilevante interesse sono anche gli album che documentano alcune visite del sovrano in Italia, specialmente a Roma, Casal Fogaccia (per assistere a un curioso esperimento finalizzato al miglioramento e risparmio energetico dei trasporti pubblici e privati) e a Forlì.

 

Del fondo e dei personaggi che lo hanno costituito si parla in un video pubblicato in questi giorni nel canale youtube del centro Studi Piemontesi. Tale video, per chi sia interessato a visionarlo è raggiungibile al link:

https://youtu.be/No9PZzFqzPo

Il Centro Studi Piemontesi, si è appreso, intende procedere, ultimata l’inventariazione, a procedere, non appena sarà possibile alla digitalizzazione  di tutto il materiale, rendendone possibile la consultazione  on-line

FONDO fotografico ASINARI di BERNEZZO

Si tratta di una raccolta costituita da alcuni membri della famiglia Asinari Rossillon di Bernezzo, personalità novecentesche  di primo piano: il Duca Generale Giuseppe Mario (1874-1943), primo aiutante di campo generale di Re Vittorio Emanuele III, decorato al V. M. e incaricato di importanti comandi e missioni;  il colonnello dell’Aeronautica Giacomo (1903-1990), decorato al V. M.; il maggiore dei carristi, poi colonnello degli alpini Germano (1905-1994), promosso per meriti di guerra, decorato al V. M.

Il fondo include foto di interesse militare, politico e di storia civile:

1 (riguardanti in particolare Germano), numerose fotografie perlopiù nei formati 12,5×8,5; 14×9; 9×14; 7×11; 6×10; 5×8

Riconquista della Libia 1928-1940; Alpi piemontesi 1931-1935: Africa Orientale Italiana 1936

In totale circa 130 fotografie di soggetto militare, ad eccezione di 26 che documentano l’esplicita bellezza delle donne dell’Africa Orientale, quai tutte corredate sul retro da note esplicative di estremo interesse.

2 Due album «Visita di S. M. il Re Imperatore al casale Fogaccia», 1936. Si tratta della visita alla borgata romana Fogaccia oggi corrispondente alla frazione Montespaccato di Roma) dove il Re inaugurò la villa di conti Fogaccia realizzata dall’arch. Piacentini e, soprattutto, presenziò alla presentazione della «Guidovia sperimentale della Borgata Fogaccia», ideata dall’ing. Gaetano Ciocca. La “Guidovia” che non incontrò il favore né dello Stato italiano né della Russia alla quale pure ne fu proposta l’adozione univa i pregi della ferrovia e della strada: con un minimo impegno di energia motrice poteva essere trainati lungo un binario centrale numerosi mezzi stradali pesanti, in grado di movimentare grandi quantitativi di merci e persone e di divenire di stazione in stazione indipendenti raggiungendo molteplici destinazioni. Il primo album è dedicato in special modo alla villa e borgata (interni ed esterni, 27 fotografie) e il secondo alla “Guidovia” (29 fotografie):

in totale 59 fotografie artistiche di altissima qualità in formato 18×24 cm.

3  Centinaia di fotografie in formati diversi riguardanti le visite del Re in Tripolitania (prima del 1931) e in Eritrea, 1932.

4 Un grande Album di cm. 36×49 rilegato in piena percallina con due targhe metalliche incise di soggetto araldico ed altra recante la scritta incisa «2-9 ottobre 1932.X» in cui è documentata giorno per giorno la visita di Re Vittorio Emanuele III accompagnato dal suo aiutante di campo, il generale Giuseppe Mario Asinari Rossillon di Bernezzo in Eritrea : 22 pagine di spesso cartone con incollate recto e verso complessivamente 139 fotografie in formato di cm 8,5×13,5 di ottima qualità.

5  Album Istituto Nazionale Luce Roma, cm. 24×34: copertina a stampa: «Il soggiorno in Italia del Feld Maresciallo von Blomberg, Ministro della Guerra del Reich, 2 – Giugno 1937 – XV», con indicazione in calce: «Omaggio del Marchese G. Paulucci di Calboli Barone Presidente dell’Istituto Nazionale Luce»: 48 pagine in cartoncino con altrettante eccellenti fotografie “Luce” di cm. 17×23,5.

6  Album Istituto Nazionale Luce Roma, cm. 24×34: copertina a stampa: «S. M. il Re e Imperatore in Tripolitania, 20 Maggio – 3 Giugno 1938 XVI», con indicazione in calce: «Omaggio del Marchese G. Paulucci di Calboli Barone Presidente dell’Istituto Nazionale Luce»: 35 pagine in cartoncino con 49 eccellenti e suggestive fotografie di cm. 17×23; 11×16;19×14.

6 bis Album Istituto Nazionale Luce Roma, cm. 24×34: copertina a stampa: «S. M. il Re e Imperatore in Tripolitania, 20 Maggio – 3 Giugno 1938 XVI», con indicazione in calce: «Omaggio del Marchese G. Paulucci di Calboli Barone Presidente dell’Istituto Nazionale Luce»: 29 pagine in cartoncino con 41 eccellenti fotografie  di cm. 17×23,5; 19×14; 16,5×18.

7 Album Istituto Nazionale Luce Roma, cm. 24×34: copertina a stampa: «S. M. il Re e Imperatore a Forlì, 8 Giugno 1938 XVI», con indicazione in calce: «Omaggio del Marchese G. Paulucci di Calboli Barone Presidente dell’Istituto Nazionale Luce»: 26 pagine in cartoncino con altrettante eccellenti fotografie “Luce” di cm. 17×23,5.

 

Castello di Miradolo: riaprono le visite al grande Parco Storico

In programma anche la passeggiata di Carnevale e la Merenda di Sofia. Da martedì 16 febbraio, aperture in settimana. San Secondo di Pinerolo (Torino)

Dopo i mesi di obbligata chiusura imposta dall’emergenza sanitaria, torna ad essere visitabile, a San Secondo di Pinerolo (via Cardonata, 2), il grande Parco Storico del Castello di Miradolo, sede dal 2007 della “Fondazione Cosso”. Origini settecentesche e un’estensione di oltre sei ettari – con un patrimonio arboreo che supera i 1700 esemplari, cinque alberi monumentali e 70 specie e varietà botaniche diverse – il Parco riaprirà martedì 16 febbraio ed accoglierà i visitatori in settimana, dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 16, esclusivamente su prenotazione allo 0121/502761 o via e-mail a prenotazioni@fondazionecosso.it . Spiega la presidente della Fondazione, Maria Luisa Cosso: “Nei mesi di chiusura dovuti all’emergenza sanitaria la Fondazione Cosso ha continuato a prendersi cura del parco con passione e oggi sceglie di riaprirlo per permettere ai visitatori di ritrovare attimi di serenità a contatto con la natura e con la bellezza, nell’attesa di inaugurare la programmazione della primavera”.
Martedì 16 febbraio, alle 14.30, il Parco accoglierà inoltre una passeggiata in maschera e una merenda a tema per la ricorrenza di Carnevale. L’attività è dedicata alle famiglie con bambini dai 5 ai 12 anni. I partecipanti saranno guidati nel parco alla scoperta dei leggendari abitanti dei prati e dei boschi attorno al castello di Miradolo e chi parteciperà con un travestimento a tema, ispirato alla natura, riceverà un simpatico omaggio. Non sono consentiti coriandoli o stelle filanti ma le famiglie sono invitate a presentarsi mascherate. Costo dell’attività: 9€ a partecipante.
E per chiudere alla grande il mese di febbraio, venerdì 26, alle 14.30, la “Fondazione Cosso” si racconterà con la “Merenda di Sofia”: un esperto botanico sarà per l’occasione a disposizione del pubblico che potrà scoprire il Parco e ascoltare aneddoti e divertenti curiosità sulla storia del Castello di Miradolo e delle famiglie Massel-Cacherano, originari proprietari del Castello, nato nel XV secolo come “cascinotto di campagna” e definitivamente ristrutturato nel 1866 in perfetto stile neogotico. Al termine, inclusa nel pacchetto, merenda presso il “Bistrot del Castello”, in collaborazione con l’“Antica Pasticceria Castino” che proporrà le sue dolci delizie. Costo dell’attività: 12€ a partecipante.
Tutte le attività si svolgono in piena sicurezza, con il dovuto distanziamento, per un numero ridotto di partecipanti. Per tutte, la prenotazione è obbligatoria allo 0121/ 502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it.
g. m.

Nelle foto
– Il Castello di Miradolo, sullo sfondo il Monviso
– Maria Luisa Cosso

Lo straordinario mondo a colori nella fotografia di Robert Capa

In mostra a Torino a palazzo Chiablese 

Con la riapertura al pubblico dei musei italiani si può nuovamentegodere di una grande mostra che la Città di Torino offre ai suoi visitatori su uno dei più importanti maestri della fotografia del Novecento, Robert Capa. È ospitata a Palazzo Chiablese fino al 30 maggio prossimo.

L’esposizione,  che comprende una raccolta di oltre 150 immagini a colori dell’artista, appunti tratti dalle riviste e lettere personali, è nata sulla base di un progetto realizzato da Cynthia Young, curatrice della collezione presso il Centro Internazionale di Fotografia di New York, e si propone di illustrare il particolare approccio di Capa ai nuovi mezzi fotografici, oltre alla sua capacità, assolutamente straordinaria,  di integrare il colore nei reportage, che realizzò tra il 1940 e il 1954, anno della sua morte.

Robert Capa è considerato internazionalmente uno dei più grandi maestri della fotografia in bianco e nero, anche se fino alla morte lavorò anche con pellicole a colori. Alcune sue fotografie furono pubblicate sulle riviste dell’epoca. Protagonista di questa personale è l’opera  a colori di Capa, forse meno nota ma altrettanto interessante, accanto ai problemi tecnici di sviluppo e stampa e a quelli di reperibilità delle pellicole. Nella Relazioneannuale degli azionisti della Magnum del 15 febbraio 1952, Capua esprimeva il suo convincimento relativo a “un sicuro sviluppo verso il colore”. Le fotografie in mostra provengono da diapositive a colori realizzate tra gli anni Quaranta e i Cinquanta. Dopo la scansione i colori sono stati corretti a causa di piccole variazioni che hanno provocato un’alterazione a molte pellicole Ektachome.

Le prime immagini del percorso espositivo risalgono alla seconda guerra mondiale e fanno da contraltare alle più note fotografierealizzate da Capa in bianco e nero. Una delle più celebri e belle,datata 1942, mostra un marinaio intento a fare segnali a un’altra nave di un convoglio alleato durante una traversata atlantica. Nella sezione intitolata “Stati Uniti” viene fatto un passo temporale indietro ed è possibile ammirare  alcuni scatti da lui realizzati per il servizio di Life intitolato “Life goes hunting at Sun Valley with the Gary Coopers band Ernest Hemingway”, comprendente il ritratto dello scrittore nella sua tenuta di Sun Valley, in Idaho, con la bottiglia di liquore in bocca, gli occhiali scuri calati sul naso, e il berretto con visiera e, di spalle la terza moglie Martha Gellhon.

Con il colore Capa sperimentò fino alla fine dei suoi giorni quando, in Indocina, perse la vita saltando in aria mettendo il piede su una mina, durante un servizio fotografico. Le fotografie scattate in Indocina certamente anticipano l’immaginario collettivo della guerra del Vietnam negli anni Sessanta. Gli scatti di Capa sono stati capaci di cogliere anche aspetti di vita comune, se vogliamo persino frivola, come quella di alcuni personaggi dell’alta società americana impegnati nelle loro vacanze invernali sulle Alpi svizzere, austriache e francesi.  Significativi anche i suoi ritratti a personaggi famosi, tra cui l’attrice Ingrid Bergman, durante le riprese del film “Viaggio in Italia”, diretta da Roberto Rossellini, quelli a Orson Welles e John Huston, ma anche quelli ad artisti, quali Pablo Picasso, fotografato in spiaggia con i figli.

“La verità è l’immagine migliore, la miglior propoganda”, affermò Robert Capa. Nelle immagini fotografiche scattate da questo fotografo, nativo di Budapest, non emerge mai alcuna posa, ma, al contrario, la sua straordinaria capacità nel misurarsi con la storia e i conflitti, in quel territorio dove solo la verità può esistere.

Mara Martellotta 

Palazzo Chiablese.

Il colore, l’ultimo amore del fotografo Capa

Aperta fino al 30 maggio 2021

Dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 19, chiusura biglietteria ore 18

San Valentino, l’antologia di poesie “Inno all’Amore”

“Comunque cambi, qualsivoglia forma assuma la storia d’amore sia essa vissuta o anelata, questo sentimento profondo che è vita, forza vitale, non si sottrae al gioco degli sguardi, quella magia che si fa sentire nel silenzio, alla forza devota, semplice dei versi che si trasmutano nei pensieri dell’altro e ne riconoscono l’esistenza tanto da guardare alla sua vita che non ci appartiene ma è essenziale”, si legge nell’introduzione di Bruno Mohorovich, curatore della raccolta di poesie ‘Inno all’Amore’, in occasione della festività di San Valentino dedicata agli innamorati.
Centodieci poeti, presenti nell’antologia, hanno voluto testimoniare questo.

‘Inno all’Amore’ è il primo volume di una trilogia edita da Bertoni Editore che comprenderà altre due antologie di prossima pubblicazione: ‘Inno alla morte’ e ‘Inno all’Infinito’.
“Il progetto ‘Inni’ curato insieme al professore Bruno Mohorovich è una raccolta di poesie che abbiamo pensato per tre iniziative importanti, la giornata di San Valentino, in collaborazione con il comune di Terni di cui il santo è patrono, un omaggio ad Ungaretti nella giornata mondiale della Poesia promossa dall’Unesco in collaborazione con il comune di Perugia e le giornate leopardiane a fine giugno in collaborazione col comune di Recanati” ha riferito l’editore Jean Luc Bertoni.

‘Inno all’Amore’ verrà presentato durante le giornate valentiniane. Attraverso questi versi, che sottintendono tanti incontri e storie vissute in prima persona scopriamo che l’amore con tante sfumature è la forza che muove ogni essere vivente, capace di alleviare le sofferenze e di farci sempre ritrovare la fiducia in noi stessi.
Quando veniamo al mondo siamo amore puro, guardiamo il mondo per la prima volta con stupore e non possiamo che provare una gioia immensa per ciò che ci è stato donato.
Purtroppo, però, crescendo ci allontaniamo da questa posizione. Nei nostri giorni la realtà è piena di sofferenza e difficoltà, e sono tante le delusioni piccole e grandi che incontriamo nel corso della nostra vita.

Il rischio è che tutto questo renda l’amore sempre più raro e difficile da comunicare alle persone che ci sono vicine, come avviene molto spesso.
Pertanto, si finisce per chiudere il nostro cuore, diventando insensibili per la paura di stare male nuovamente.
Per cui ben venga un’antologia di questo tipo che aiuta e sollecita a riconoscere l’amore che si irradia dalle persone, che brilla e che ci avvolge in un’aura luminosa.
Perché in fondo basta poco per riaccendere la nostra vita e quella di colui o di colei che amiamo.

L’amore è la forza più potente al mondo. È l’amore che ci guida nella giusta direzione e ci spinge lontano ed è attraverso l’amore che la nostra vita acquista davvero un senso.
E come dice Roberta Arduini, autrice e voce recitante de ‘Il Soffio della Nuova Vita’, spettacolo di Parole e Musica composto per la rinascita da Covid:”….perché in fondo la vita non è che un pezzetto di tempo per imparare ad Amare’.
L’amore viene dal cielo, attraverso tanti incontri e storie vissute in prima persona e questa antologia ci accompagna alla riscoperta del sentimento che muove il mondo e ci indica la strada per guarire le ferite e tornare ad aprire con fiducia il nostro cuore.

L’amore viene dal cielo, e ritorna al cielo che lo benedice, come recita Roberta Arduini nella conclusione della sua poesia dal titolo ‘L’ Amore ritorna al Cielo’, a pagina 18 dell’antologia: “……..E dimmi, chi può portarci via questo Amore puro che dal nostro terrazzo scocca l’unica freccia e trafigge le Stelle per arrivare sulla Volta Celeste che ci benedice mano nella mano”.
Cosa possiamo fare per accrescerlo, per vederlo davvero, e per essere felici?
Questa opera letteraria, vuole essere un contributo, ben riuscito per risvegliarci l’emozione, il desiderio e il bisogno di amare e aiutarci a soddisfarlo.
Le copie dell’antologia ‘Inno all’Amore’, saranno ordinabili dal sito della Bertoni Editore www.bertonieditore.com.

Vito Piepoli

“I mondi di Mario Lattes # 1”: non solo online

Apre al pubblico la mostra alla Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba. Fino a data da definirsi, in base alla situazione pandemica. Monforte d’Alba (Cuneo)

Inaugurata online, causa emergenza sanitaria, il 22 dicembre scorso, la rassegna dedicata dalla “Fondazione Bottari Lattes” alle opere “recuperate” dell’eclettico artista torinese è stata aperta al pubblico, a seguito del passaggio del Piemonte in “zona gialla”, il 10 febbraio scorso presso le sale della stessa “Fondazione” nata nel 2009 a Monforte d’Alba per volontà della moglie Caterina Bottari Lattes proprio con lo scopo primo di mantenere viva la memoria del marito, pittore ma anche scrittore editore e fra i nostri più prestigiosi intellettuali del secondo dopoguerra.
Ferma restando comunque la possibilità di visitarla anche in digitale sul sito www.fondazionebottarilattes.it, assaporata in presenza la mostra permette di entrare con maggiore, quasi tattile, fisicità in un universo, quello di Mario Lattes (Torino, 1923-2001) che, in ogni parte ti giri o rigiri riesce sempre a intrappolarti, attraverso passi larghi dalla realtà alla fantasia all’intima visionarietà, la mente e l’anima. In parete, troviamo così i “soggetti onirici” e le sue “figure archetipe” popolanti atmosfere surreali condivise da oggetti e presenze simboliche (la farfalla, la conchiglia, l’uovo, la mano) messe lì a far memoria dolorosa in un bagno profondo di risentito e amaro umorismo; al pari delle sue “marionette” e dei suoi “alter ego” tutt’altro che giocosi e rassicuranti insieme alle nature morte con “cianfruscole” o cianfrusaglie che il pittore amava collezionare e agli studi di volti e personaggi dai tratti scultorei ed essenziali nella geometrica astrazione delle forme.
Una quarantina le opere esposte: dipinti figurativi, ma con valenze fortemente “visionarie” e surreali, dai tratti marcatamente espressionistici (con forti richiami ai mondi pittorici del francese Odilon Redon o del belga James Ensor), realizzati da Lattes nell’arco temporale che va dal 1959 al 1990. Sono opere mai finora esposte, facenti parte delle nuove acquisizioni recuperate dal fondo di collezionisti privati per accedere al prezioso patrimonio della pinacoteca a lui dedicata nelle sale espositive al primo e al secondo piano della “Fondazione”, accanto ai molti lavori già in essa presenti. Lavori che raccontano, nella quasi totalità, il viaggio nei “mondi di Mario Lattes”, come recita il titolo dell’attuale rassegna con l’aggiunta di quell’ “# 1” , teso a connotarsi come prima tappa di una complessa esplorazione che verrà arricchita nel tempo attraverso ulteriori recuperi, resi disponibili al pubblico a più riprese.
Articolata in quattro sezioni su progetto di Caterina Bottari Lattes, curata da Alice Pierobon con Chiara Agnello e accompagnata da un testo critico di Vincenzo Gatti, la mostra ci racconta, ancora una volta (ma ogni volta è sempre un cammino nuovo, inatteso e coinvolgente come non mai) il tormento, sospeso, gravante ma ampiamente accettabile, di dipinti che – al pari dei romanzi e racconti pubblicati da Lattes fra il 1959 ed il 1985- ampiamente risentono delle vicende e delle ferite dell’anima derivate dal suo essere parte ben senbile e partecipe, sia pure nell’ottica di una laicità mai negata, di quel popolo ebraico vittima di un abominio storico senza pari, sul quale è impossibile calare la fronda dell’oblio. Nell’iter espositivo spiccano alcuni oli su carta intelata, come “Il cardinale” e “Il Re” del ’69, dove il segno anarchico e graffiante pare quasi voler irridere con sarcastico umorismo le immagini del potere; così come quelle “Marionette e manichino” del ’90 che raccontano non di squarci gioiosi legati all’infanzia ma di ricordi che “sono cicatrici di memoria” o come quella figura femminile (?) avvolta nel gorgo di un’umbratile nuvola grigiastra che non ci sembra abbraccio carezzevole ma misteriosa pur se suggestiva prigione del cuore. Dice bene Vincenzo Gatti: “L’accesso ai mondi di Lattes è insidioso.
Occorre adeguarsi alle sue luci e alle sue ombre, intuire l’indefinito pur sapendo che esiste un lato oscuro che non potrà disvelarsi… La complessa trama pittorica che mostra e nasconde, che lamenta e afferma, indica strade segnate dalla conoscenza del dubbio e l’artista, indifferente alla prassi, manipola materie grafiche e pittoriche per giungere a una vertiginosa discesa nelle profondità dove le forme affondano e riemergono mutate”.
La mostra è realizzata con il sostegno di Regione Piemonte.
Gianni Milani
“I mondi di Mario Lattes #1
“Fondazione Bottari Lattes”, via Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo); tel. 0173/789282 o www.fondazionebottarilattes.it
Fino a data definirsi, relativamente alla situazione pandemica
Orari: merc., giov. e ven. 14,30/17
Nelle foto
– “Senza titolo”
– “Il cardinale”, tecnica mista su carta intelata, s.d.
– Il Re”, tecnica mista su carta intelata, 1969
– Figura con nuvola”, tempera e china su carta intelata, 1970

Gianduia, il volto “ridanciano” di Torino

Capiterà presto di vederlo, un gentiluomo un po’ panciuto, con una lunga giacca marrone bordata di rosso, un panciotto giallo, delle vistose calze rosse e delle “brache fustagno”. Si tratta di ‘Gioan d’la douja’, meglio conosciuto come Gianduia, un contadino arguto e simpatico, sempre allegro, perennemente con un boccale di vino in mano (“douja”, in dialetto piemontese).

 

Ma se lo incontrate, non commettete l’errore di giudicarlo un banale signorotto “avvinazzato”, poiché egli è in realtà un galantuomo, capace di dimostrare coraggio e buon senso. Gianduia porta sul collo della camicia un fiocco verde e un ombrello della stessa tinta e, soprattutto, lo contraddistingue la capigliatura, egli tiene i capelli raccolti in un codino legato all’insù con un nastro rosso, e in testa indossa un “tricorno” scuro. Gianduia, come ogni maschera che si rispetti, è innamorato, precisamente di Giacometta, che lo accompagna nei momenti di festa e lo affianca nelle visite ai bisognosi che si trovano negli ospedali o negli ospizi, oppure lo sostiene nelle chiacchierate scolastiche, durante le quali spiega ai ragazzi l’importanza di mantenere viva una tradizione tanto antica quanto bella.

Stiamo parlando della maschera tradizionale torinese; “Gioan” si inscrive nel vasto gruppo costituito da altri altrettanto celebri personaggi provenienti da altre zone italiane, quali il campano Pulcinella, il ligure Capitan Spaventa, l’emiliano Dottor Balanzone, il lombardo Meneghino, i toscani Stenterello e Burlamacco o ancora i famosi Arlecchino, Pantalone, Colombina, Rosaura e Brighella dall’inconfondibile accento veneto.
È arrivato quindi il momento di “buttare all’aria la città”, per dirla con la versione disneyana di Clopin Trouillefou, il quale, con un allegro brano musicale, racconta buffamente come nel giorno di Carnevale tutto venga messo “sottosopra”. Così, mentre i bambini canticchiano e iniziano a memorizzare concetti che studieranno meglio a scuola, noi adulti ci limitiamo a ricordare di quando anche noi ci travestivamo da personaggi delle favole o dei cartoni animati. Oramai chi pone attenzione a queste sciocchezze? Chi ha il tempo per fermarsi a ponderare sul vero senso della festa? La società dei consumi ci vuole rapidissimi compratori di “gadget” per i più piccoli, e di certo non lascia a nessuno nemmeno un secondo per riflettere sul fatto che le antiche tradizioni popolari sono molto più di banali occasioni per “spendere” e “comprare”.
Nello specifico, il Carnevale è una festa tipica dei paesi di religione cristiana; la parola “carnevale” è di origine incerta, anche se l’ipotesi più accreditata è che derivi dall’espressione latina “carnem levare”, ossia “eliminare la carne”, in riferimento al banchetto del martedì grasso, che chiude i festeggiamenti precedenti la Quaresima, ovvero i quaranta giorni di penitenza in attesa della Pasqua cristiana. Eppure le origini di tale festività non vanno ricercate solamente nel Cristianesimo, bensì nel mondo greco e latino, precisamente nei “Saturnalia” romani e, prima ancora, nelle “Dionisiache” greche.

Nel periodo classico, durante tali festività si assiste ad un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie, avviene dunque un rovesciamento dell’ordine prestabilito e si lascia liberamente spazio agli scherzi e, in alcuni casi, anche a momenti di dissolutezza. Le feste qui prese in esame, così come il Carnevale che da esse trae origine, si caricano di un significato rituale, diventano cioè “rinnovamento simbolico”: il caos, per un tempo limitato, sostituisce l’ordine riconosciuto, quando questo riemerge è rinvigorito e rinnovato, nuovamente garantito per un ciclo temporale valido fino al successivo festeggiamento, ossia per tutto un anno solare.
Nel mondo romano vi è anche un’altra ricorrenza con caratteristiche riconducibili alla tradizione carnevalesca, è la celebrazione in onore della dea Iside, divinità egizia importata nell’Impero Romano: durante la festa si aggirano gruppi di persone mascherate, come racconta Lucio, il protagonista delle “Metamorfosi” di Apuleio (8, XI), il grande retore latino del II secolo d.C.
Il Carnevale si inserisce in un ampio contesto che ruota attorno ad una visione mitologica, secondo la quale in tale periodo gli spiriti possono circolare liberamente tra il cielo, la terra e gli Inferi. Da un punto di vista filosofico e metafisico il Carnevale invita l’uomo a pensare al proprio destino, ai possibili cambiamenti, anche drastici, che ciascuno di noi è chiamato a concretizzare per perseguire i propri obiettivi di crescita personale; in questi giorni gli individui sono stimolati a riflettere sulla propria esistenza e quasi a “rinascere” dalle difficoltà, esattamente come fa la Terra in primavera, che rifiorisce dopo le intemperie dell’inverno. In questo particolare contesto festivo vi è l’abitudine di travestirsi e soprattutto di mascherarsi; le maschere infatti hanno funzione apotropaica, perché con tutto quell’andirivieni di spiritelli non si sa mai quale si possa incontrare!

Anche se con rammarico, è opportuno che mi fermi qui con la mia “tiritera” sul Carnevale, festa che mi sta decisamente a cuore e che tutt’ora mi affascina come quando ero piccina e mi travestivo da Lady Oscar. Tuttavia mi preme intrattenermi sul “nostro” caro Signor Gianduia, anche lui relegato ad una serie di scontati stereotipi commerciali che lo assimilano al cioccolato, al vino e a quel sorridente viso “paciarotto”. Egli in realtà è una figura assai complessa, così come lo è la sua storia; lo sa bene Alberto Viriglio che così descrive la maschera piemontese ne “Torino e i Torinesi” (1898): «Gianduja non è una maschera, è un carattere», sostiene, e continua che, sotto l’apparente ingenuità, il personaggio cela un’astuzia e una prontezza di riflessi non comuni. È dotato di una grande sensibilità «sembra spaventato da un grillo» … «piange allo spettacolo dell’innocenza oppressa» ma è anche provvisto di coraggio «lotta col diavolo, non senza prima presentare le proprie ragioni»; con noncuranza «scherza col boia che lo vuole impiccare» … «è pronto alla picchiata e picchia sodo».
Se dovessimo definire una data e un luogo di nascita per Gianduia, questi potrebbero essere il 1808 e Callianetto, nell’astigiano. Ad inventare il personaggio sono stati Giambattista Sales torinese e Gioacchino Bellone di Racconigi.
Antenato di Gianduia è Gironi, altro personaggio popolare piemontese, già noto fin dal 1630, le cui caratteristiche estetiche e caratteriali si ritroveranno pressoché invariate nel suo successore.
Gironi, nel corso della seconda metà del Settecento, è uno dei protagonisti indiscussi degli spettacoli ambulanti del marionettista Umberto Biancamano (omonimo del conte di Savoia), meglio conosciuto come “Giôanin d’ij ôsei”. Secondo la storia, il giovane Sales segue con assiduità gli spettacoli di Biancamano, fintanto che un giorno decide di esibirsi anche lui nei cortili del capoluogo piemontese. Il giovane è ben conscio della bravura del “maestro” marionettista, così decide di spostarsi con il suo teatrino nelle province, lontano dalla concorrenza. Sales trova un decisivo aiuto economico nell’amico Bellone, con cui inizia un’assidua collaborazione e insieme al quale inventa il personaggio di Gerolamo. I due ottengono un discreto successo e riescono a portare lo spettacolo fino a Genova, dove però al tempo vi è il Doge Gerolamo Durazzo (1739-1809), il quale non apprezza per niente che la marionetta irriverente porti il suo stesso nome (Gerolamo): Sales e Bellone vengono espulsi dalla città con l’accusa di “lesa maestà”. I due tornano a Torino, ma anche qui si imbattono in un altro Gerolamo, re Gerolamo di Westfalia, fratello minore di Napoleone Bonaparte, il quale ordina di imprigionarli per lo stesso reato di cui erano già stati accusati. Una volta liberati, Sales e Bellone si affrettano a fare una cosa: cambiare il nome al loro personaggio di legno. I due marionettisti ricominciano ad esibirsi proprio a Callianetto, all’epoca un piccolo paesino circondato da boschi e osterie; lo stesso Sales è solito mostrarsi con un “tricorno” sul capo e i capelli legati in un codino, tutto allegro ordina un boccale di terracotta ricolmo di vino e prima che qualcuno se ne possa accorgere il marionettista e la marionetta si fondono in un’unica maschera: “Giôan d’la dôja”. È opportuno ricordare inoltre che negli anni Gianduia diviene un personaggio molto noto, tanto che da “villano sempliciotto”, protagonista di spettacoli ambulanti, si fa volto satirico, come dimostrano le apparizioni della maschera su giornali quali il “Fischietto” e il “Pasquino”; attraverso tali testate Gianduia entra nel vivo della scena politica, anche grazie alle illustrazioni di autori prestigiosi. Gianduia acquista in breve tempo una seconda identità, autonoma rispetto alla precedente, la marionetta va via via incarnando lo spirito onesto e ligio al dovere del popolo piemontese all’alba dell’Unità d’Italia. Tra le varie raffigurazioni spiccano la “Via Crucis di Gianduja” di Silla e “Da Torino a Roma” di Teja.

Con il passar del tempo la figura di Gianduia si lega intrinsecamente a Torino, ne segue i mutamenti e i cambiamenti più significativi: la città diviene un principale centro industriale e la maschera piemontese si associa alle “galuperie” dolciarie. Nel 1866 viene fondata la “Società Gianduia” che insieme al Circolo degli Artisti promuove un’operazione del rilancio del Carnevale piemontese nel segno della nuova direzione industriale.
I carnevali servono a ridare importanza alla città ma relegano la figura di Gianduia all’aspetto prettamente commerciale delle festa: la marionetta inizia a dimenticare le sue complesse e multiformi origini e si trasforma nell’immagine stereotipata che abbiamo oggi.
Ma non tutto è perduto: Gianduia, l’autentica maschera, sopravvive proprio nel luogo che lo ha visto nascere e crescere, ossia nei teatrini ambulanti, grazie a marionettisti quali Lupi, Razzetti, i Rame, i Burzio, i Marengo, i Niemen, o i Gambarutti. Lo stesso Lupi, nel 1941, così scrive per il suo/nostro Gianduia che continua a vivere per sempre: “Giandoja mòrt? L’é nen la prima vòlta /ch’a l’han cantaje ij funeraj an rima,/ma pen-a ’l mond a l’ha virà na svòlta,/l’é torna arsussità, pì svicc che prima!”
Negli spettacolini l’ indole satirica e politicizzata della maschera è sempre percepibile: nel quotidiano satirico di metà Novecento “Codino Rosso”, si legge “Rosso, ma Codino. Codino, ma Rosso”, un chiasmo che tutt’ora richiama la vera essenza di Gianduia, per dirla citando Alfonso Cipolla “Gianduja è rivoluzionario ma conservatore, conservatore, ma rivoluzionario.”
Capiterà dunque di vederlo tra la folla, il nostro amico Gianduia, ridanciano e con i “pumin rus”, un signorotto come tanti, che come molti si porta sulle spalle una storia complessa e inaspettata, e allora incrociamo il boccale con lui, facciamoci contagiare dalla sua indole allegra e spensierata. Ascoltiamo la verità di Gianduia: troviamo il coraggio di non prenderci sempre così sul serio e, per una volta, mandiamolo “sottosopra” questo mondo ipercinetico, sia mai che a furia di scuoterlo lo facciamo tornare un po’ più a misura d’uomo.

Alessia Cagnotto

Il Museo del Cinema propone “Backstage. Incontri con i conservatori”

Ingresso ridotto per tutti, museo gratuito per gli under 26 e incontri con i conservatori. mercoledì – giovedì – venerdì, dalle 10:00 alle 18:00

ACQUISTO DEL BIGLIETTO ONLINE https://www.ticketlandia.com/m/museo-cinema

Il 10 febbraio ha riaperto il Museo Nazionale del Cinema alla Mole Antonelliana e fino al 5 marzo 2021 sarà aperto nei giorni di mercoledì, giovedì, venerdì dalle 10:00 alle 18:00 e il biglietto sarà ridotto per tutti:

Museo Nazionale del Cinema   9 € – gratuito under 26
Ascensore panoramico   6 €
Museo Nazionale del Cinema + Ascensore 12 €

È sempre possibile effettuare delle visite guidate a pagamento (max 10 persone per gruppo) con prenotazione obbligatoria.

Prosegue fino all’11 aprile 2021 la mostra cinemaddosso i costumi di Annamode da Cinecittà a Hollywood, a cura di Elisabetta Bruscolini, che celebra la straordinaria Sartoria Annamode, eccellenza del Made in Italy che dagli anni Cinquanta a oggi ha realizzato abiti per grandi produzioni cinematografiche nazionali e internazionali.

 

Ogni giorno dalle 15:00 alle 17:00, e fino al 5 marzo, il Museo Nazionale del Cinema propone la nuova iniziativa Backstage. Incontri con i conservatoriapprofondimenti gratuiti della durata di 20’ con i curatori di alcune sezioni del museo.

Il mercoledì ci sarà Roberta Basano, responsabile della Fototeca, il giovedì Nicoletta Pacini, responsabile Manifesti e memorabilia, mentre il venerdì sarà la volta di Raffaella Isoardi, responsabile Apparecchi e collezioni di precinema.

Per la prima volta sarà possibile conoscere e riscoprire la ricchezza e l’importanza del patrimonio del museo dalla voce diretta di chi tutti i giorni lo gestisce e preserva. Un’occasione unica per approfondire la conoscenza di un settore, apprendere dietro le quinte, aneddoti e curiosità.

La prenotazione obbligatoria fino a esaurimento posti.

“Questa apertura del museo è importante non solo per gli appassionati di cinema ma per tutto il pubblico – sottolinea Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema. Non nascondo che è un sacrificio economico che il museo fa volentieri, a sottolineare l’importante valenza sociale della cultura”.

“Le collezioni di un museo sono patrimonio della collettività e per questo vanno mostrate –afferma Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema. Riaprire i nostri spazi proponendo gli incontri con i curatori è un’occasione unica per scoprire il patrimonio del museo, ben oltre i materiali esposti alla Mole Antonelliana”.

Backstage 

Incontri con i conservatori del Museo Nazionale del Cinema

Mercoledì – ore 15:00; 15:30; 16:00; 16.30

La fotografia storica, nascita di una collezione

Incontro con Roberta Basano, responsabile Fototeca

La raccolta fotografica del Museo conta oggi oltre un milione di immagini: una collezione preziosa che racconta non solo il cinema ma anche la storia della fotografia.

Raro caso esistente al mondo di Museo del Cinema e della Fotografia, il patrimonio raccolto ripercorre le origini e gli sviluppi della fotografia. Perché nasce la collezione fotografica? Come conservarla e valorizzarla? Quali sono i tesori conservati nei depositi? A queste domande e ad altre curiosità, risponderà Roberta Basano.

Giovedì – ore 15:00; 15:30; 16:00; 16:30

Il cinema di carta

Incontro con Nicoletta Pacini, responsabile Manifesti e memorabilia

Che cosa c’è dietro una collezione di più di 535.000 manifesti e materiali pubblicitari? Uno sguardo dentro un mondo di fogli di carta colorati che, nati per essere affissi sui muri o nei cinema per poche settimane, trovano invece un posto definitivo nel mercato del collezionismo, nelle aste, nei libri, nei musei. Una conversazione con Nicoletta Pacini che vi racconterà come si conservano, si espongono, si acquisiscono i manifesti cinematografici: un piccolo viaggio in un grande mondo colorato, imprescindibile testimonianza della storia del cinema.

Venerdì – ore 15:00; 15:30; 16:00; 16:30

Conservare ed esporre l’Archeologia del Cinema

Incontro con Raffaella Isoardi, Responsabile Apparecchi e collezioni di precinema

Conservare, valorizzare ed esporre sono le parole chiave di ogni museo: una passeggiata al piano dell’Archeologia del Cinema per conoscere la genesi di un allestimento, i presupposti per esporre un’opera e per preservarla. Una conversazione con Raffaella Isoardi per scoprire le sfide da affrontare nella conservazione di un patrimonio molto eterogeneo (più di 500 diverse tipologie di oggetti di epoche diverse) e le curiosità su opere non esposte.

‘La Classe’ sonda i bassi istinti dell’umanità

Dalcher sul suo ‘La Classe’: “Perché mai dovremmo essere proprio noi quelli immuni all’estremismo?”

In un’epoca di intrecci già letti e solo rielaborati Christina Dalcher con il suo nuovo romanzo La Classe‘, edito da ‘Nord ci regala un cameo destinato ad entrare di diritto nell’olimpo dei capolavori visionari della letteratura internazionale. Era veramente difficile riuscire a costruire un libro più innovativo e avvolgente rispetto al suo precedente lavoro ‘Vox‘, recensito nei mesi scorsi proprio dal nostro portale, eppure Dalcher ci è riuscita in modo magistrale e proprio per tale ragione le abbiamo chiesto di poterci confrontare sulla trama de ‘La Classe‘ e sulla sua visione del mondo, una visione dove l’umanità si trova sempre a doversi confrontare con i suoi istinti più bassi e pericolosi.

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