CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 43

“Salva la tua lingua locale”: piemontesi tra i finalisti e un vincitore

 

Un dizionario con i gallicismi siciliani, saggi in ladino di Fassa e in astigiano, poesie in bisiàc e in romagnolo, una tesi di laurea sul dialetto genovese, opere in dialetto sammarchese, venosino e griko, una canzone in friulano e un lavoro teatrale in dialetto napoletano. Sono i vincitori della dodicesima edizione del concorso letterario “Salva la tua lingua locale” premiati il 12 dicembre scorso nella sala della Protomoteca del Campidoglio a Roma. Composizioni che narrano di spaccati di vita quotidiana, leggende paesane, mestieri, riti e tradizione antiche, e che nella loro diversità linguistica, di espressioni e suoni uniscono l’Italia da nord a sud.

Ideato da Unpli, Unione Nazionale Pro Loco e da ALI Autonomie Locali Italiane del Lazio con l’obiettivo di promuovere i tesori culturali e linguistici del nostro Paese, il concorso dal 2013 a oggi ha raccolto oltre 3mila candidature e ottenuto prestigiosi riconoscimenti istituzionali, tra cui il patrocinio delle Presidenza della Repubblica, del Senato e della Camera dei deputati, della commissione italiana per l’UNESCO e del Ministero della Cultura.

Oltre 400 le opere pervenute in questa dodicesima edizione, novità di quest’anno, il premio speciale dedicato alla memoria di Luigi Manzi, scrittore, fondatore e organizzatore instancabile del Premio sin dalla sua prima edizione.

“L’alto numero di concorrenti e la varietà dei lavori presentati hanno reso il lavoro delle giurie estremamente complesso, ma hanno restituito un quadro ricco e articolato delle lingue locali ancora vive nel nostro Paese – ha commentato Antonino La Spina, presidente Unpli – L’antologia che raccoglie le opere dei vincitori e dei finalisti di questa edizione è un omaggio alla bellezza e alla pluralità delle espressioni linguistiche italiane”.

“Senza radici e senza passato è difficile immaginare un futuro. Credo che dialetti e lingue locali non debbano restare un ancoraggio del passato, ma possano rappresentare un punto di partenza per avere ben chiaro il percorso da seguire – ha dichiarato Luca Abbruzzetti, Presidente di ALI Lazio – Veder crescere questo Premio negli anni sia come partecipazione sia nella qualità delle opere è una grande soddisfazione e questa edizione”.

“Siamo felici della partecipazione piemontese: a dimostrazione del costante interesse per le lingue e le culture immateriali locali – ha detto Fabrizio Ricciardi, presidente Unpli Piemonte – ci auguriamo che per le prossime edizioni la partecipazione sia ancora più folta”.

I PREMI “TULLIO DE MAURO

Per la sezione saggi il primo premio è andato ex aequo a Fabio Chiocchetti con Letres da Larcioné edizione di lettere in ladino di Fassa e Lorenzo Ferrarotti, con Asti, 1521: una terra da solacz edizione critica delle opere in astigiano di Giovan Giorgio Alione.

Gli altri finalisti piemontesi sono stati Davide Boccia di Druento (To) e Francesco Granatiero di Torino. Inoltre una menzione speciale è andata alle Pro Loco di Oviglio (Al), Corsione (At) e Santena (To). Inoltre una menzione è andata alle associazioni piemontesi che promuovono le lingue locali: “E Keyé” di Fontana di Frabosa Sottana (Cn)Oratorio Campo Giochi (To)Compagnia Teatrale Fric Filo 2 (To)Parrocchia di San Giovanni Battista e Remigio (To)Casa editrice L’Harmattan Italia (To) e il Centro Studi Piemontesi (To).

La musica dei Vocal Blue Trains , diretti da Alessandro Gerini, nella chiesa di Santa Pelagia

Con il periodo delle Feste si moltiplicano gli appuntamenti con la musica gospel, ma nel caso del Vocal Blue Trains, cui tocca inaugurare la rassegna “Contatti sonori” della stagione concertistica di Santa Pelagia, si è di fronte a degli autentici fuoriclasse. Mercoledì 18 dicembre, alle ore 21, i Vocal Blue Trains terranno “Gospeltronic”, con direttore Alessandro Gerini,  insieme al coro della chiesa di Santa Pelagia di via San Massimo 21. L’ingresso è libero su prenotazione.

I Vocal Blue Trains sono un gruppo vocale polifonico di 33 cantanti musicisti, fondato e diretto da Alessandro Gerini, cantante e vocal coach. Si tratta di una realtà poliedrica che sposa l’impronta corale del gospel e della polifonia tradizionale con le moderne sonorità della musica elettronica e dell’ambient house. Sul palco portano una fusione innovativa che unisce la potenza e la profondità del gospel con l’energia pulsante della musica elettronica. In poco più di 5 anni hanno attirato l’attenzione a livello nazionale e internazionale grazie a importanti collaborazioni come Ultimo, Paul Phoenix, componente del gruppo a cappella vincitore del Grammy King’s Singers, l’attore e presentatore Gigi Proietti, il cantante soul americano Sergio Sylvestre e il gruppo Modà. Il progetto conta oltre 150 concerto tra Europa e Asia, e vanta prestigiose partecipazioni ad alcuni tra i più importanti festival internazionali come il Wien International Festival for Choirs and Orchestras, il Jeju International Choir & Symposium, il Concerto di Gala al Pantheon, il Pistoia Blues Festival e il Moscow Sounds Festival. Nei loro arrangiamenti originali la musica gospel si espande, trovando nuovi spazi sonori. I beat elettronici, i sintetizzatori e le texture digitali non fanno altro che amplificare l’energia di questo genere, creando un’atmosfera potente e avvolgente che è al tempo stesso futuristica e profondamente legata alla tradizione. Alla fine del 2022, il gruppo ha pubblicato il suo primo album omonimo.

La Stagione musicale dei concerti di Santa Pelagia è ormai diventata una tradizione attesa, un punto di riferimento per gli appassionati di musica e ricopre un ruolo di rilievo nel mondo musicale e culturale del nostro territorio. L’obiettivo è la promozione di eventi di qualità, equi ed inclusivi, che sappiano coniugare l’alto valore delle proposte artistiche e musicali alla massima fruibilità e accessibilità. Per questo, anno dopo anno, si pongono la sfida di provare a sorprendere il pubblico. La risposta sta nel costante rinnovamento, nella volontà di esplorare nuovi territori musicali, stupire, incantare pur mantenendo vivo il legame con la grande tradizione musicale. Concerti ed eventi in programma nel Coro di Santa Pelagia, dall’8 ottobre 2024 al 2 luglio 2025, offrono un ventaglio unico e originale di declinazioni sonore provenienti tanto dal repertorio classico quanto da quello contemporaneo, raccolte e approfondite in varie sezioni tematiche.

 

Coro e Chiesa di Santa Pelagia – via San Massimo 21, Torino.

Ingresso libero con prenotazione

 

Mara Martellotta

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

James McBride “L’emporio del cielo e della terra” -Fazi Editore- euro 19,00

McBride è nato a Brooklyn nel 1957, da madre ebrea polacca convertita al cristianesimo e padre afroamericano; è cresciuto in una famiglia poverissima con 11 fratelli, tra Brooklyn e Queens. Come dire un’importante palestra di vita.

Lui si è fatto strada nel mondo e ha messo a frutto le sue esperienze e il suo vissuto: giornalista nelle redazioni delle principali testate, musicista jazz, sceneggiatore per Spike Lee. Nella narrativa ha esordito nel 1995 con il memoir “Il colore dell’acqua”; ma il grande successo è arrivato 20 anni dopo con “The Good Lord Bird” vincitore del National Book Award nel 2013.

L’emporio del cielo e della terra” è del 2000, ora esce in Italia, dopo essere stato a lungo in testa alle classifiche americane, amato da Barack Obama e Spielberg che l’ha opzionato per farne un film.

Un magnifico affresco che supera le barriere del razzismo e offre invece una storia intrisa di bontà, amore, accettazione e tolleranza.

Inizia nel 1972 con il ritrovamento di uno scheletro in fondo a un pozzo a Pottstown, Pennsylvania. Per capire di chi sia e come sia finito lì, McBride risale a quanto accaduto all’epoca, tra anni 20 e 30 del secolo scorso, nel piccolo quartiere di case fatiscenti, strade sterrate e miseria di Chicken Hill. Microcosmo abitato da neri, ebrei e bianchi che non possono permettersi di meglio. Un interessante melting pot.

Protagonisti principali, attorno ai quali si muovono altri personaggi, sono l’ebreo rumeno Moshe, proprietario di un teatro e una sala da ballo e la bellissima Chona, americana di origini bulgare, penalizzata dalle conseguenze della poliomielite.

Chona è colta, idealista, generosa e disponibile ad aiutare tutti. Quando con il marito (che in realtà ne farebbe a meno) rileva “L’emporio del cielo e della terra” lo trasforma in un presidio di solidarietà. E’ lei a gestire questo negozio di alimentari facendo credito a chi ne ha bisogno. Lo trasforma in un crocevia di culture, gusti, etnie diverse, dove ci si incontra e si condividono chiacchere e opinioni.

La trama decolla quando Moshe e Chona (che non sono riusciti ad avere figli) decidono di aiutare il piccolo orfano 12enne, Dodo, diventato sordo dopo un’esplosione, e che alla morte della madre rischia di essere rinchiuso in istituto.

 

 

Richard Russo “La vita secondo me” -Neri Pozza- euro 24,00

Richard Russo è lo scrittore americano che ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2002 con il romanzo “Il declino dell’impero Whiting”. E’ nato il 15 agosto 1949 a Johnstown ed ha trascorso l’infanzia nella piccola cittadina di Gloversville. Si è laureato in letteratura all’Università dell’Arizona ed ha insegnato scrittura creativa in un college del Maine.

Quando ha ottenuto successo con i primi romanzi, ha abbandonato la carriera universitaria e deciso di dedicarsi solo più alla scrittura. La cifra principale della sua narrativa è la descrizione della realtà che avvolge le piccole cittadine americane. E’ abilissimo nell’attrarre i lettori con le sue trame ambientate in microcosmi che descrive in modo estremamente lucido, realistico e ironico.

La vita, secondo me” è tra le sue opere di maggior successo, pubblicato nel 1993, e racconta le vicissitudini e i pensieri del vecchio e scontroso Donald Sullivan.

E’ un operaio edile che vive nell’immaginaria North Bath, ha 60anni e tutta una serie di sfortune: dal ginocchio dolorante per l’artrosi all’ex moglie in sete di vendetta, passando per un’amante che non gli dedica particolari attenzioni.

Poi a rendere grama la sua esistenza intervengono contrattempi vari; per di più è circondato da una pletora di pseudo amici che rischiano di affossarlo ancora di più.

Sullo sfondo della storia c’è soprattutto il clima provinciale della sonnolenta cittadina termale nello Stato di New York, e le dinamiche che legano i personaggi, tutto raccontato da Russo in modo magistrale.

Poco più di 700 pagine che hanno ispirato anche il cinema, con il film del 1994, interpretato da Paul Newman, regia di Robert Benton.

 

 

Federica Manzon “Alma” -Feltrinelli- euro 18,00

Alma” -con il quale la 43enne Federica Manzon si è aggiudicata il Premio Campiello 2024- può essere definito anche come libro di confine.

La scrittrice (nata a Pordenone) divide la sua vita tra Milano e Trieste, ed è proprio in questa città che ha ambientato il romanzo. Trieste unisce Occidente e Oriente, chi ci vive sa molto bene che non esiste un’identità monolitica e unica, piuttosto è il risultato di spostamenti e continuo divenire.

Il romanzo intreccia storia e geografia, e lo fa con una narrazione che oscilla tra passato e presente, mettendo a fuoco le traversie dei popoli di confine e della Jugoslavia; cambiata dai tempi di Tito e passata attraverso la sanguinosa guerra dei Balcani.

La protagonista Alma è una giornalista che vive a Roma, ma torna per 3 giorni a Trieste, città in cui ha trascorso l’infanzia e dalla quale è poi scappata per costruire altrove il suo futuro. Questo breve ritorno è l’occasione per fare i conti con il passato, i sentimenti e la memoria, e per raccogliere l’eredità di suo padre. Un uomo senza radici, in continuo andare e venire attraverso il confine che separa Trieste e il Carso da una parte e la penisola balcanica dall’altra.

Nella città dei suoi primi anni, Alma ritrova la casa dove ha trascorso l’infanzia con i nonni materni, custodi della tradizione mitteleuropea. I ricordi riaffiorano e incontra persone dalle quali aveva voluto allontanarsi. Primo fra tutti Vili, figlio di amici del padre, intellettuali di Belgrado, che era entrato in famiglia tanti anni prima.

Un romanzo che ruota intorno ai concetti di casa, famiglia, appartenenza. Alma, che molto sapeva delle origini benestanti, agiate e colte della famiglia materna, ora cerca di recuperare informazioni che l’aiutino a capire anche il padre e i punti oscuri della sua vita.

 

 

Aslak Nore “Il cimitero del mare” -Marsilio- euro 21,00

E’ uno scrittore decisamente interessante il 46enne norvegese Aslak Nore, nato nel 1987, cresciuto ad Oslo. Dopo gli studi in scienze sociali a New York, ha deciso di arruolarsi nei corpi speciali norvegesi stanziati in Bosnia. Ha vissuto in America Latina, ed è stato reporter di guerra in punti caldi del pianeta come Iraq e Afghanistan; oggi vive nella tranquilla Provenza.

Per scrivere questo romanzo si è ispirato a una vicenda vera, datata nel 1940. Al centro della trama ci sono i segreti di una potente famiglia di armatori, sullo sfondo di un complicato quadro geopolitico.

La matriarca dell’importante dinastia di armatori Falck, Vera Lind, si congeda dalla vita lanciandosi da una scogliera, dopo aver scritto una lettera alla nipote Alexandra, detta Sasha. Nella missiva lancia una sfida: precisa che i Falck sono a un bivio e invita la giovane a operare un’importante scelta. Stare dalla parte della verità oppure essere fedele al motto “familia ante omnia”, la famiglia prima di tutto.

Sconvolta dal suicidio della nonna, Sasha prende molto sul serio le sue ultime parole; ed è l’inizio di una trama intrigante. La narrazione alterna sapientemente passato e presente e conduce il lettore nelle intricate vicende dei Falck.

Tutto ha inizio nel 1940 epoca in cui la Norvegia era occupata dal Terzo Reich. Quell’anno una nave passeggeri – carica di civili e soldati tedeschi- era naufragata per un’esplosione a bordo, che l’aveva fatta colare a picco, con oltre 300 vittime. Tra queste c’era il marito di Vera, mentre lei si era salvata miracolosamente buttandosi nelle acque gelide con il neonato OlaV. Sarà lui a diventare capo indiscusso dell’impero Falck.

Una dinastia dagli interessi economici ramificati nei campi più redditizi e con agganci politici fondamentali. La trama si fa via via più coinvolgente.

Storie private, menzogne, amori e tradimenti, sullo sfondo degli avvenimenti della grande storia. Guerre, terrorismo, piani segreti e molto altro…….

 

 

Concerto di Natale al castello di Miradolo

Quest’anno, il concerto di Natale al castello di Miradolo chiuderà idealmente la mostra “Giorgio Griffa – una linea, Montale e qualcos’altro”. L’esecuzione è in programma la sera di mercoledì 25 dicembre nella serra neogotica, i cui 36 metri sono scanditi dalle 18 tele di un “Canone aureo”, numero irrazionale infinito per sua natura, metafora per l’artista nel compito destinato all’arte figurativa, la poesia e la musica fin dai tempi di Orfeo: sondare l’inconoscibile e dire l’indicibile. Questo duetto ideale, tra noto e ignoto, tra Orfeo e Euridice, è interpretato dal progetto Avant dernière pensée, con la creazione di due quartetti d’archi opposti nello spazio, in cui un violino e un violoncello, dal vivo, dialogheranno tra loro, e con un secondo violino e una viola virtuali. La distanza tra gli strumentisti, la relazione con il suono, ripercorre l’esperienza dei cori battenti della cattedrale di San Marco a Venezia di Andrea e Giovanni Gabrieli tra Cinquecento e Seicento, e condurrà il pubblico, grazie a un inedito sistema di ripresa e diffusione del suono, a trovarsi al centro dell’esecuzione in una esperienza immersiva, in cui lo spazio sarà protagonista dell’esperienza di ascolto.

Verranno eseguite composizioni di Philip Grass, Arvo Pärt, Steve Reich e John Cage. Questi brani costituiscono l’installazione sonora che ha accompagnato le diverse sezioni della mostra di Giorgio Griffa, e riflettono, ciascuno secondo differenti declinazioni, nuove possibilità e ricerche del linguaggio musicale della seconda metà del Novecento, dal silenzio a una nuova relazione con la musica. Un’ora prima del concerto è in programma una guida d’ascolto guidata da Roberto Galimberti, ideatore del progetto artistico e violinista. Al violoncello vi sarà Marco Pennacchio, per l’audio e la supervisione tecnica Marco Ventriglia. Il concerto verrà replicato giovedì 26 dicembre alle 18.30, con guida all’ascolto alle 17.30.

Biglietti: intero 25 euro – 15 euro ridotto under 30 – bambini fino a 6 anni ingresso gratuito

 

Mara Martellotta

Rock Jazz e dintorni a Torino: Antonello Venditti e Ute Lemper

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Inalpi Arena arriva Gianna Nannini. Al teatro Colosseo si esibisce Giovanni Allevi.

Martedì. Al Jazz Club è di scena il Fabrizio Florio Duo. All’Inalpi Arena si esibisce Antonello

Venditti. Al teatro Colosseo l’ Ensemble Symphony Orchestra presenta “Alla scoperta di Morricone.”

All’Hiroshima Mon Amour concerto evento di raccolta fondi a favore del rifugio Massi con :Africa United, Gran Bal Dub, Luca Morino e Tate Nsongaw, Modena City Ramblers, Punkreas, Persiana Jones, Willie Peyote, Yo Yo Mundi.

Mercoledì. Al Conservatorio G. Verdi recital di Ute Lemper. Al Jazz Club “The Chicago Blues Jam!”.

Al teatro Colosseo il Dream Gospel Choir.

Giovedì. Al Blah Blah suonano gli Est Egò. Al Magazzino sul Po si esibiscono Santoianni+ Dimaggio.

Al Jazz Club è di scena il Gerotto Viviani Duo. Alla Divina commedia i Limentra rendono omaggio a Francesco Guccini. All’Osteria Rabezzana si esibisce il Vana Gierig Trio.

Venerdì. Al Jazz Club è di scena Viale Mazzini. Al Circolo Sud suonano i Mao Funk. All’Hiroshima si esibiscono i Dov’è Liana. Alla Divina Commedia sono di scena i Frankie & friends. Al Folk Club suonano Stefano Valla , Daniele Scurati e Fabio Rinaudo. Al Blah Blah è di scena Morino De West Combo3 (Mau Mau).

Sabato. Alo Ziggy suonano Ozone Dehumanizer + Golem of Gore. Al Blah Blah si esibiscono i Fucktotum. Al teatro Colosseo sono di scena i Nomadi. Al teatro Concordia di Venaria arriva Vinicio Capossela. Al Jazz Club suonano i Godfather of Soul. Alla Divina Commedia si esibiscono i QUEENtessenza. Allo Spazio 211 sono di scena i Three Second Kiss.

Domenica. Alla Divina Commedia suonano i RMN-Risonanza Magnetica. Al Jazz Club suona Enzo Ferraro Band.

Pier Luigi Fuggetta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: “Benito” di Guerri – Il soldato Balbis , un vero patriota – “Copie d’autore”, una mostra molto speciale – Lettere

“Benito” di Guerri
Il nuovo libro di Giordano Bruno Guerri, “Benito, storia di un italiano” sta avendo grande successo. Guerri è uno storico a 24 carati che ha indagato a lungo il fascismo e alcuni gerarchi come Bottai  e Ciano con quel distacco critico che esige la storia. Nel mare magnum degli ideologi preconcetti e dei tuttologi antifascisti, Guerri rappresenta un’altera pars senza la quale la storia diventa  misera propaganda politica alla maniera di Scurati. Guerri ha realizzato un libro fatto anche di fotografie che consentono di  cogliere il contesto nel quale Mussolini seppe muoversi, ottenendo il consenso soprattutto delle masse e del mondo intellettuale, mentre la borghesia fu più impermeabile alle sue seduzioni. Il “figlio del fabbro” fu il primo richiamo alla sua persona fin da quando era un leader socialista rivoluzionario di fronte a cui il capo della Cgil attuale  Landini è un semplice imitatore.
Guerri parla anche di una definizione di sé stesso da parte di Mussolini di un certo fascino intellettuale che lo allontana dall’uomo del manganello e dell’olio di ricino. Amava usare lo pseudonimo “l’uomo che cerca” che indica, come bene colse De Felice, che il potere non gli aveva dato alla testa. Gli italiani, secondo Guerri, più che fascisti divennero mussoliniani. La biografia aiuta a capire il perché si fosse via via determinato il culto del duce. Per capire la differenza tra la storia di Guerri e la “vulgata” basterebbe ricordare che lo storico del Medio Evo tuttologo Barbero citò la frase volgare con cui gli operai torinesi definivano Mussolini: “Monsu’ Cerutti, cul ch’a lu fica ‘n cul a tuti”, che coglie solo una parte di dissenzienti che senza pagare dazio si divertivano alle spalle del duce, andando poi regolarmente alle adunate in camicia nera. Guerri racconta  che i figli della lupa segnarono un futuro sinistro: come Romolo uccise il fratello Remo, così quelli che furono figli della lupa si scannarono in una sanguinosa guerra civile tra il ‘43 ed il ‘45. Abituati ai vari libri, figli monotoni di un pregiudiziale antifascismo, apprezziamo il tentativo che Guerri fa di capire prima di giudicare. E’ il discorso di Bloch. E il testo fotografico diventa di fondamentale importanza per capire una storia complessa come quella di oltre un ventennio in cui non ci possono essere solo ombre. La fotografia ci aiuta a capire come in parte Mussolini finì per ipnotizzare parte degli italiani. E a capire oltre le visioni settarie.
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Il soldato Balbis , un vero patriota
Alassio ha ricordato il capitano Franco Balbis, fucilato al Martinetto 80 anni fa , membro del Comitato militare del CLN piemontese comandato dal Generale Perotti,  anche lui condannato a morte nel 1944.
Balbis aveva combattuto eroicamente ad El Alamein e per fedeltà al giuramento al Re, come il generale Perotti, aveva offerto la sua esperienza militare alla Resistenza che senza l’apporto di militari come lui avrebbe fatto ben poco.
Gli smargiassi dell’antifascismo parolaio hanno avuto grandi celebrazioni torinesi, Balbis nulla. Perchè? Ad Alassio è stata celebrata una Messa in suffragio suo  e  dei suoi commilitoni caduti in Africa che Balbis chiese di celebrare ogni anno nella sua lettera di addio ai genitori.
Dieci anni fa fui io a ricordare Balbis nella basilica torinese di Maria Ausiliatrice. Ieri è stato ricordato nella chiesa salesiana dell’istituto Don Bosco di Alassio che lo vide allievo in liceo.
Un allievo davvero fuori ordinanza che forse i dirigenti dell’Istituto alassino oggi  non considerano abbastanza. Sta a ricordare Balbis ad Alassio una grande piastrella che onora un eroico soldato e un cristiano autentico fedele e coerente fino alla fine.
Ieri abbiamo onorato i soldati caduti ad El Alamein, come voleva lui prima di morire.Valdo Fusi in “Fiori Rossi al Martinetto “ ha scritto in modo mirabile  dell’epopea di “Francis”.
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“Copie d’autore”, una mostra molto speciale

Il fascino dell’arte abbraccia la nostra vita da sempre e la potenza della bellezza arriva nel profondo dell’anima ,diceva Thomas Mann. Davanti ad un’opera pittorica spesso possiamo ritrovarci, sentire, condividere sentimenti profondi. I grandi classici suscitano sempre forti emozioni: meraviglia e calore. Poterli ammirare è un dono che facciamo a noi stessi.  Risvegliare il  brivido emotivo, ammirando opere  di grandi pittori del passato è lo scopo di questa bella esposizione unica nel suo genere che viene allestita a Torino, ad ARTE, da Marco Giordano, pittore e musicista, nel suo atelier in corso Francia 169.

Si tratta di “COPIE D’AUTORE”: vengono proposte in copia opere di grandi maestri come Vincent Van Gogh, Modigliani, Jean Baptiste Corot, Michelangelo Merisi “Caravaggio”, ed altri. Le opere selezionate, ad olio, sono un percorso di studio, dedizione, amore e tecnica realizzate da diversi autori di alto livello formativo. Se non si può arrivare all’intoccabile opera dei grandissimi maestri, ci sono le copie d’autore. VENERDI’ 20 DICEMBRE ore 17- 21 potremo ammirare in anteprima la mostra che rimarrà aperta fino al 27 febbraio 2025, martedì, giovedì, venerdì, sabato e domenica ore 17-21. Marco Giordano è ‘ un artista di grande valore e di grandi meriti con un curriculum esemplare . che merita l’attenzione dovuta ad un uomo libero che vive per l’arte, senza arzigogoli politici, facendone la passione della sua vita.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

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Ricordare Tortora!
La proposta di legge che intende riconoscere una giornata alle vittime della mala giustizia che hanno pagato con il carcere dei vistosi errori giudiziari. Una  di queste vittime è  stato Enzo Tortora. Ebbene l’associazione dei magistrati si dice contraria alla giornata perché indurrebbe “sfiducia” verso l’operato dei giudici. In più la data dell’arresto di Tortora , il 17 giugno, è considerata improponibile per lo stesso motivo del discredito. Il Pd si asterrà sulla proposta, dimostrando una concezione giacobina della giustizia. Siamo in un regime!  Susanna Tirozzi
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E’ vergognosa l’opposizione dell’associazione magistrati che dovrebbe tacere perché quei fatti di mala giustizia gettano di per sé discreto sui magistrati come il Caso Palamara,  quello che Cossiga definiva un tonno. Circa l’astensione del Pd va detto che il Partito è  pieno zeppo di magistrati intoccabili e anche faziosi. Ricordare le vittime della mala giustizia e anche i magistrati che non hanno mai pagato per i loro comportamenti, è un dovere civile. Basta alla impunità dei giudici!
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Tolte le sanzioni  ai no vax
L’idea di togliere sanzioni a chi in modo incivile e socialmente pericoloso davanti ad una epidemia si è sottratto al dovere della mascherina e dei vaccini, appare un colpo di spugna che viola le più elementari regole della giustizia. Questo fatto ci fa capire i personaggi che invece di dimostrare disciplina solidale si sono lasciati andare ad un ribellismo
ignobile come i leghisti e fratelli d’Italia.  Jacqueline Lupo
Mascherine coronavirus
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Togliere le sanzioni giustamente comminate a tutela della salute pubblica è un atto di barbarie che disonora chi ha promosso questa operazione davvero ingiusta che offende anche la memoria di chi la combattuto la pandemia e di chi è morto per il covid.

Marsala, il destriero di Giuseppe Garibaldi

L’isola di Caprera fa parte dell’arcipelago di La Maddalena a nord-est della Sardegna, al largo della costa Smeralda. L’isola, abitata da poche decine di persone (la maggior parte degli abitanti risiede nel borgo di Stagnali) è raggiungibile grazie a un ponte che la collega all’Isola Maddalena, e fa parte integrante da più di vent’anni dell’area protetta dell’Arcipelago della Maddalena. Caprera è famosa per essere stata il buen retiro di Giuseppe Garibaldi che giunse per la prima volta sull’isola il 25 settembre del 1849. Tra varie peripezie vi tornò spesso e vi visse a lungo fino alla morte. L’eroe dei due mondi si spense nel tardo pomeriggio del 2 giugno 1882 e nella sua casa l’orologio fu fermato mentre i fogli di un grande calendario non vennero più staccati segnando per sempre l’ora e il giorno della sua morte.

Le spoglie di Giuseppe Garibaldi riposano da allora in un’area dell’isola che prende il nome di compendio Garibaldino. Lì, nel piccolo cimitero di famiglia, il sepolcro del comandante dei Mille si trova sotto un grande masso di granito con delle grosse maniglie sui lati. A poca distanza dalla sua sepoltura c’è anche un cippo abbandonato, coperto dai rovi, dove si può leggere a malapena l’incisione voluta dallo stesso eroe: “Qui giace la Marsala che portò Garibaldi in Palermo, nel 1860. Morta il 5 settembre del 1876 all’età di 30 anni”. Marsala era l’inseparabile cavalla bianca di Garibaldi. Aveva 14 anni quando gli venne regalata dal marchese Sebastiano Giacalone Angileri che, raggiunto Garibaldi e i suoi Mille sulla spiaggia di Marsala, tenendola per le briglie, disse: “Generale, questo è un dono per voi”.

E così, in sella alla sua adorata cavalla, Garibaldi entrò a Palermo il 27 maggio 1860. E con lei affrontò l’intera campagna militare nel regno delle Due Sicilie, affezionandosi a tal punto da portarla con sé il 9 novembre 1860, quando salpò per Caprera. Sull’isola, la cavalla, rimase con lui fino alla morte, nel 1876, quando aveva ormai trent’anni, età avanzatissima per questi quadrupedi. Lo storico Giuseppe Marcenaro, nel suo libro Cimiteri. Storie di rimpianti e di follie, citandone la storia, scrive che a Marsala in via Cammareri Scurti una lapide collocata nel maggio del 2004 su iniziativa del Centro Internazionale di studi Risorgimentali Garibaldini ricorda il giorno del “regalo”. Recita, l’epigrafe: “Sebastiano Giacalone a Giuseppe Garibaldi donò l’anonima bianca giumenta che ribattezzata Marsala uscì da questo portone e corse le vie della gloria a Calatafimi, a Teano, a Caprera con l’invitto Generale unificatore della patria italiana”. Così, come Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, Asturcone, il destriero di Giulio Cesare o Marengo, il piccolo stallone arabo di Napoleone, anche Marsala è giusto che abbia il suo posto nella storia.

Marco Travaglini

 

“Museo in libera uscita” alla Biblioteca civica Alberto Geisser

Inaugura, nella giornata di sabato 14 dicembre, il progetto voluto e creato da ARTECO e MAET: “Museo in libera uscita”

 


Sabato 14 dicembre, alle ore 11, presso la Biblioteca civica Alberto Geisser, inaugura il “Museo in libera uscita”, un progetto curato da ARTECO e MAET – Museo di Antropologia ed Etnografia del Sistema Museale di Ateneo (SMA) dell’Università degli Studi di Torino, con la collaborazione della rete delle Biblioteche Civiche Torinesi, realizzato grazie al contributo di Circoscrizione 8 – Città di Torino.
L’iniziativa è volta a valorizzare il patrimonio culturale custodito dal MAET attraverso l’affissione di tre grandi manifesti sulle facciate esterne delle tre biblioteche della circoscrizione 8, “Alberto Geisser”, “Natalia Ginzburg” e “Dietrich Bonhoeffer”. La mostra diffusa outdoor presenta una selezione di alcune opere provenienti dalla collezione etnografica del museo, frutto di un processo partecipato che ha visto il coinvolgimento di un gruppo composito di cittadini e cittadine della Circoscrizione 8, la fotografa Francesca Cirilli e il contributo grafico di Studio Grand Hotel.
Il progetto ha avuto l’obiettivo di invitare alcuni cittadini e alcune cittadine a farsi portavoce di un patrimonio sommerso, da riscoprire e condividere, rendendolo così in parte accessibile al pubblico, nonostante la chiusura del museo da più di quarant’anni.
Il MAET, nato nel 1926, ospita un importante archivio di oggetti, composto da reperti antropologici egizi, una collezione di Art Brut proveniente dagli ex ospedali psichiatrici torinesi, a cui si sono aggiunte, nel corso del Novecento, raccolte etnografiche provenienti da diverse parti del Mondo.

Da questo nucleo eterogeneo, i partecipanti hanno selezionato i tre oggetti “in uscita”: una Maschera a casco Egungun della cultura Yoruba (Nigeria, XIX sec.), usata nei riti Gelede per simboleggiare protezione e fertilità; uno Xilofono dell’orchestra gamelan (Giava, XX sec.), parte di un complesso musicale di origine indonesiana; e Spilloni decorativi in piume colorate di Ara (Mato Grosso, Brasile, XX sec.), utilizzati dalla comunità Bororo in cerimonie tradizionali. Entrati a far parte delle collezioni del MAET negli anni Settanta, sono il risultato di donazioni derivanti da ricerche e viaggi e di acquisti da antiquari, e oggi rappresentano per la città di Torino una testimonianza delle storie, delle pratiche e della cultura di differenti popoli.

Il “Museo in libera uscita” si inserisce all’interno di una serie di iniziative che dal 2018 intendono rilanciare il MAET in qualità di punto di riferimento culturale per la città di Torino, promuovendo inclusione e partecipazione e favorendo un dialogo attivo con la cittadinanza.

Roberto Cigolini, Bice Fubini, Claire Gardner, Daniela Lenzi, Nadia Pugliese, Silvana Renzelo, Amelia Rivetti, Sonia Sezzani e Mirjam Struppek sono tra i partecipanti che hanno dato vita al progetto.

 

Mara Martellotta

“Premio Gianmaria Testa”. Bando aperto fino al 31 gennaio 2025

Manca poco più di un mese per partecipare alla V edizione del Premio dedicato al grande cantautore cuneese, “poeta in musica” scoperto dalla Francia

Moncalieri (Torino)

Diventato in pochi anni importante punto di riferimento per cantautori nazionali ed internazionali, ritorna, promosso dalla “Città di Moncalieri” e dal “Circolo Culturale Saturnio” (in collaborazione con “Produzioni Fuorivia”), il “Premio Gianmaria Testa – Parole e Musica”, sezione speciale dello storico “Premio Letterario Internazionale Città di Moncalieri”.

Giunto alla sua V edizione, il bando di partecipazione è aperto fino al 31 gennaio 2025 ed è rivolto a cantautori under 38 di qualsiasi nazionalità. Gli artisti potranno presentare uno o due brani originali, che siano inediti o pubblicati da non più di sei mesi. I cinque finalisti, selezionati da una giuria d’eccezione (presieduta dal cantautore Eugenio Bennato, insieme a figure di spicco della musica e della cultura e alla moglie e produttrice di Testa, Paola Farinetti) avranno l’opportunità di esibirsi dal vivo il 9 marzo 2025 presso le “Fonderie Teatrali Limone” di Moncalieri. Durante la serata, non solo interpreteranno i propri brani in gara, ma renderanno omaggio a Gianmaria Testa eseguendo una sua canzone, portando sul palco un dialogo tra passato e presente, tra tradizione e innovazione. Tra i premi in palio, il vincitore assoluto riceverà un riconoscimento economico di 1.500 euro, accompagnato da una targa e un diploma, oltre alla possibilità di esibirsi in prestigiose rassegne musicali piemontesi. Un premio speciale di 800 euro sarà assegnato alla miglior esibizione “live”. Come ulteriore riconoscimento, i brani dei finalisti verranno raccolti in un album prodotto da “Incipit Records” e “Produzioni Fuorivia”, distribuito da “Egea Music”. La serata finale del “Premio” sarà arricchita – come da tradizione – dalla presenza e dalla partecipazione di un grande artista che si esibirà sullo stesso palcoscenico dei cantautori finalisti. Per questa quinta edizione Stefano Bollani, geniale pianista e compositore, accanto a Gianmaria Testa nel mitico spettacolo “Guarda che luna!” (2002), dedicato a Fred Buscaglione (con la collaborazione di Enrico Rava), sarà in scena insieme a Valentina Cenni, attrice e performer dalla creatività poliedrica. I due artisti, uniti da una straordinaria sintonia sia personale che artistica, freschi reduci dalla trasmissione televisiva di Rai 3 “Via dei Matti n.0”, sapranno creare senza dubbio una serata magica, in cui il pianoforte di Bollani dialogherà con la voce e la presenza scenica di Valentina Cenni. Non mancheranno di certo loro personali interpretazioni di brani di Gianmaria.

Nato nel Cuneese a Cavallermaggiore nel 1958 e scomparso ad Alba il 30 marzo del 2016, Gianmaria Testa, il “poeta  in musica” (come fu giustamente definito per la sua capacità di intrecciare in note musicali la piccola verità del quotidiano con l’alta magia del racconto poetico), fino al 2007 svolse (già attratto dalla musica e dallo studio della chitarra) la professione di ferroviere, per la precisione di capostazione allo scalo ferroviario principale di Cuneo. Il successo in ambito musicale arriva con la vittoria del “Premio Città di Recanati”, dedicato ai nuovi talenti della “canzone d’autore” nel 1993. La classica “botta di fortuna” arriva per lui nel ’94, quando incontra Nicole Courtois, produttrice francese, che ne comprende il talento e ne produce il suo primo disco intitolato “Montgolfières” (1995). Da allora è un continuo susseguirsi di lavori discografici e successi (del 1996 è l’esibizione, dopo una serie di concerti in Germania, all’“Olympia” di Parigi); successi che, nel 2003, registrano un nuovo balzo in tutta Europa con l’album di poesie e canzoni “Il valzer di un  giorno”. Nel 2007 riceve con “Da questa parte del mare” (prodotto dalla moglie Paola Farinetti con la direzione artistica di Greg Cohen) la “Targa Tenco” come miglior album dell’anno. Andando a larghi balzi, arriviamo al 2011 e alla più che felice esperienza teatrale con il debutto al “Teatro Carignano” di Torino di “18mila giorni–il pitone”, testo di Andrea Bajani che vede Gianmaria protagonista insieme a Giuseppe Battiston per la regia di Alfonso Santagata. Sempre nel 2011 esce il suo ultimo lavoro discografico di inediti, il cd “Vitamia”, una sorta di bilancio di vita personale e sociale, seguito, nel 2013, da un secondo disco live “Men at work”, frutto di una lunga tournée, con il suo quartetto, in Germania. E’ un mercoledì, il 30 marzo del 2016, quando il “poeta in musica” lascia questa vita, all’età di soli 58 anni. Il 19 aprile dello stesso anno esce postumo il suo libro “Da questa parte del mare” (ed. Einaudi), con la prefazione dell’amici Erri De Luca. E ancora a proposito del “Premio” a lui dedicato, afferma Antonella Parigi, “Assessora alla Cultura” della “Città di Moncalieri”: “Il prestigio della giuria e l’importanza dell’ospite d’onore certifica la nostra volontà di investire su questa manifestazione, che non solo è un tributo al grande artista piemontese, ma anche un importante tassello nel percorso che stiamo costruendo verso la candidatura di Moncalieri a ‘Capitale Italiana della cultura 2028”.

Per ulteriori informazioni e per accedere al bando, è possibile visitare il sito ufficiale del “Circolo Culturale Saturnio”: www.saturnio.it

g.m.

Nelle foto: Gianmaria Testa (ph. Pierre Terrasson); Stefano Bollani e Valentina Cenci

La lezione di Olivetti nei suoi discorsi per il Natale

“In questo periodo il desiderio di rinnovamento e di salvezza raggiunge una più grande intensità, e la luce di un’epoca nuova per un ordine più giusto e più umano si accende come una fiamma che ci è stata consegnata e che bisogna alimentare e proteggere, perché le speranze dei nostri figli non vadano deluse”. Era la sera della vigilia di Natale, il 24 dicembre 1955, quando Adriano Olivetti concludeva così il suo discorso augurale ai lavoratori della ICO, della OMO, della Fonderia e dei Cantieri, cioè le intere maestranze della Olivetti. Era uno dei tre “Discorsi per il Natale” raccolti e pubblicati dalle Edizioni di Comunità, scritti da Adriano Olivetti per le feste di fine anno tra il 1949 e il 1957. Sono discorsi che fotografano tre dei momenti più importanti della storia della fabbrica di Ivrea offrendo, in una mirabile sintesi, il pensiero e il profilo morale di questo imprenditore che va annoverato — a tutti gli effetti — tra le figure più singolari e straordinarie del ‘900. Le idee innovative e comunitarie in campo sociale, ancora attualissime, ne testimoniano pienamente la capacità visionaria. Adriano Olivetti fu capace di portare l’azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca, trasformando la città canavesana “dalle rosse torri” nella capitale dell’informatica. Il suo era un sogno industriale che logicamente mirava al successo e al profitto, ma proponeva anche un progetto sociale che implicava una relazione del tutto nuova e compartecipata tra l’impresa e gli operai, oltre a un rapporto qualitativamente alto e molto stretto tra quella che era stata la “fabbrica in mattoni rossi”, la città degli eporediesi e l’intera realtà canavesana. Tornando al libro, nel primo discorso datato 24 dicembre 1949, l’erede di Camillo racconta i primi anni del dopoguerra per condividere il sollievo e l’orgoglio della compiuta ripresa dell’azienda dopo la difficile esperienza del fascismo e del conflitto mondiale. Nel secondo, sei anni dopo, il 24 dicembre 1955, Adriano Olivetti rievoca proprio quel discorso per ripercorrere i nuovi traguardi della fabbrica, che ha assunto ormai una dimensione internazionale ma non ha mai perso di vista le proprie radici morali, memore degli insegnamenti del fondatore Camillo. E dice, tra le altre cose: “Tutta la mia vita e la mia opera testimoniano anche — io lo spero — la fedeltà a un ammonimento severo che mio padre quando incominciai il mio lavoro ebbe a farmi: “Ricordati” — mi disse — “che la disoccupazione è la malattia mortale della società moderna; perciò ti affido una consegna: devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano a subire il tragico peso dell’ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro”. Una straordinaria lezione morale alla quale, nei fatti, accompagnò il suo agire concreto di imprenditore illuminato. In questi discorsi di Natale emerge la volontà di ringraziare tutti i lavoratori della fabbrica per la loro partecipazione a qualcosa di più grande, a una comune dimensione di riscatto del lavoro che, per usare le stesse parole di Olivetti, “non si esaurisce semplicemente nell’indice dei profitti”. Nell’ultimo discorso della breve raccolta, pronunciato in occasione del Capodanno del 1957 alla vigilia del cinquantesimo anniversario dello studio del primo modello di macchina per scrivere italiana ( l’Olivetti nascerà ufficialmente il 29 ottobre 1908) l’augurio dell’imprenditore di Ivrea, ormai all’apice del successo, è quello di non perdere mai di vista, nell’anno e negli anni a venire, quel senso di giustizia e di solidarietà umana che è alla base di ogni vero progresso e rappresenta il valore più profondo e ultimo di tutta l’esperienza olivettiana. Vi è l’orgoglio per quello che lui stesso definisce “lo spirito della fabbrica” e una potente visione di futuro. La città di Ivrea venne resa una realtà all’avanguardia da Adriano Olivetti che commissionò anche una serie di architetture uniche nel panorama di città industriali del Novecento, tanto da essere poi – nel 2018 – riconosciuta dall’Unesco come città industriale del XX secolo. Leggendo i discorsi resta però il rammarico per ciò che potevano diventare l’Olivetti, l’industria italiana e il modello sociale del paese se l’utopia di Adriano non si fosse spenta dopo la sua improvvisa e tragica morte, nel febbraio del 1960, quando non aveva ancora compiuto sessant’anni. Olivetti sosteneva che “un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”. Peccato che quel sogno venne affossato dai tanti, troppi che avevano una concezione gretta del presente e una pressoché inesistente visione del futuro.

Marco Travaglini