CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 43

Mattarte partecipa alla XVIII edizione di Modenantiquaria

 

La casa d’Aste e Antiquariato piemontese

 

Modenantiquaria e Mattarte, un connubio vincente in quanto da diversi anni la casa d’Aste e antiquariato piemontese partecipa alla rassegna artistica e di antiquariato modenese.

Mattarte è  una realtà ben radicata sul territorio piemontese ma non solo, con sede a Verolengo, specializzata nella compravendita di Arte e Antiquariato. Fondata negli anni Cinquanta dal visionario Giovanni Matta, uomo di cultura,  appassionato e cultore di antiquariato, sensibile ai cambiamenti del mercato, ora l’attività è  arrivata alla quarta generazione, tramite Pinuccia Matta e Raffaello Lucchese, perito esperto d’arte del Tribunale di Torino.

Modenatiquaria rappresenta una manifestazione internazionale dedicata all’alto antiquariato e, giunta alla sua 38esima edizione, è l’unica rassegna antiquaria a vantare un numero così elevato di edizioni. La sua grande forza è consistita nella sua capacità di rinnovamento , interpretando il cambiamento culturale e sociale, sia a livello italiano, sia europeo, soprattutto nell’ultimo decennio. Non si tratta soltanto di una mostra -mercato a cui partecipano le gallerie italiane e straniere più  blasonate, con oggetti selezionati, ma è  anche una espressione culturale. Durante la manifestazione,  infatti, vengono realizzati gli ormai immancabili talk e simposi d’arte cui vengono invitati i direttori dei maggiori musei storici italiani e stranieri, i giornalisti e famosi antiquari. L’allestimento della mostra è curato da Ruggero Moncada di Paternò ed è  diventato uno dei maggiori punto di forza della manifestazione, insieme al modo in cui espongono gli antiquari. Collezionisti e visitatori vengono  a visitare la mostra non solo per acquistare, ma anche per apprendere una tendenza del gusto espositivo da replicare nelle proprie case.

Per info Modena Fiere 

dall’8 al 16 febbraio 2025

modenantiquaria.it

Mara Martellotta

“A te vicino così dolce” alla Fondazione Mirafiore

Particolarmente attesa, a Serralunga d’Alba, la presentazione del primo romanzo di Serena Bortone

Sabato 8 febbraio (ore 18,30)

Domenica 9 febbraio (ore 16) prosegue Teatro-Bimbi

Serralunga d’Alba (Cuneo)

Romana, da anni volto noto della Rai, giornalista e conduttrice televisiva capace di coniugare alla perfezione informazione e intrattenimento e, soprattutto, professionista non facile ai “compromessi” da qualunque parte vengano – in un settore in cui paiono vivacchiare e  prosperare sempre più alla grande – sarà Serena Bortone l’ospite del fine settimana, sabato 8 febbraio (ore 18,30), alla Farinettiana (leggasi: fondata da Oscar Farinetti) “Fondazione Mirafiore” di Serralunga d’Alba. Nel “Villaggio Narrante” in Fontanafredda, Serena non parlerà però (ma chi lo sa?) di giornalismo e delle sue prese di posizione di fronte a eventi, quantomeno “oscuri”, che l’hanno di recente coinvolta e che ha saputo trattare con coraggio e determinazione, ma presenterà, invece, il suo primo romanzo, storia di una generazione, dal titolo “A te vicino così dolce”. Libro edito da “Rizzoli” nell’aprile dell’anno scorso, al culmine di una carriera giornalistica nata nell’‘89 alla scuola, miracolosa per la Bortone come per tanti altri suoi colleghi/e, del grande Angelo Guglielmi (mitico direttore di quel terzo canale Rai che con lui divenne “non Tv-verità ma “Tv-realtà”, com’ebbe a sottolineare correttamente Corrado Augias) e nel tempo diventata “mestiere – contenitore” di svariati programmi di successo, da “Mi manda Raitre” (2007) ad “Agorà” (2017 – 2020) fino al gettonatissimo “Oggi è un altro giorno” (2021 – 2023), seguito, sempre nel 2023, da “Chesarà …”. Oggi Serena è tornata in radio con la trasmissione quotidiana “5 in condotta” su “Rai Radio 2”. Più su abbiamo parlato per lei di “coraggio e determinazione” (doti che sempre hanno caratterizzato la sua attività) in più occasioni. Tra queste, il cosiddetto “caso Scurati”. Ovvero, lo scorso anno, la sua decisione di leggere in diretta il monologo sull’omicidio Matteotti e l’antifascismo, “censurato” dai dirigenti Rai, che però avevano smentito “qualsiasi tentativo di imbavagliare la libera espressione e avevano giustificato la scelta con motivi di costi dovuti all’ospite”, lo scrittore, per l’appunto, Antonio Scurati. La polemica ha acceso, per un verso, “nefasti” riflettori sull’obiettività e la volontà di dialogo della trasmissione in oggetto, consolidando però, dall’altro, la reputazione di Serena Bortone come conduttrice “in grado di stimolare riflessioni e dibattiti anche su argomenti i più complessi”. Un’ottica e un impianto etico, su cui probabilmente si potranno trovare verità e conferme anche nel suo “A te vicino così dolce”. Il romanzo, presentato sabato prossimo alla “Fondazione Mirafiore”, riguarda una storia che nasce alla fine degli anni Ottanta, quando “Internet” non esisteva ancora e le informazioni transitavano solo attraverso le chiacchiere o i libri.

Al centro della narrazione, Serena e Vittoria, amiche inseparabili che condividono tutto dall’infanzia: versioni di greco e discoteche, fughe in motorino dal liceo prestigioso del “quartiere Trieste” di Roma e “brividi di libertà” vissuti durante i tanto attesi soggiorni studio a Londra. “Per entrambe, l’amicizia reciproca è salvezza e supporto rispetto al senso di inadeguatezza verso una società soffocante”. Vittoria appare “la più sicura e reattiva”, Serena “la più analitica e cerebrale”. Un’estate nella vita di Vittoria compare Paolo, si innamorano, ma sarà Serena che avrà il compito difficile di scoprire la verità su di lui, in una contrapposizione tra vittime e carnefici che scardinerà ogni certezza. “Tra complicità, tradimenti, colpi di scena e traumi – si è scritto – quello di Serena Bortone è un romanzo tenero e avvincente, ma anche doloroso e pieno di coraggio, su quanto siamo disposti a farci ingannare dall’amore … E ci consegna il ritratto di una generazione che scopre di non essere mai stata così libera come le hanno fatto credere”. Uno specchio “reale”, in cui molti/e sapranno ritrovarsi e fare, più o meno dolorosa, memoria.

E, in chiusura di settimana, domenica 9 febbraioalle 16, alla “Fondazione” di Serralunga d’Alba, l’attrice ed “acrobata aerea” Lara Quaglia presenterà “All’improvviso … la primavera”, per la “Rassegna Teatrale” dedicata ai bambini e alle loro famiglie. Ogni anno si ripete una magia: dopo la pausa dell’inverno tutto torna a fiorire! Sbocciano i fiori e crescono i germogli, gli animali escono dal letargo, gli uccellini cinguettando fanno il nido, api e insetti tornano al lavoro per impollinare e dare vita a nuove piantine, tutto si colora perché è tornata “Primavera”! “Per i bambini della ‘Fondazione Mirafiore’ una lettura animata alla scoperta di questa stagione, dei cicli della natura, degli animali che la abitano”. In occasione degli spettacoli l’“Osteria Disguido” sarà aperta per una “merenda speciale” pensata per i bambini e le loro famiglie.

Per info: “Fondazione Mirafiore”, via Alba 15, Serralunga d’Alba (Cuneo); tel. 0173/626424 o www.fondazionemirafiore.it

g.m.

Nelle foto: Serena Bortone e Lara Quaglia

BookLab, fino al 21 marzo i libri del Premio Strega Europeo

Scrittori, editori e traduttori presentano i libri del Premio Strega Europeo 2024 in 5 appuntamenti – gratuiti ed aperti al pubblico – dal 24 gennaio al 21 marzo 2025, presso Circolo dei lettori di Torino

 Ritorna per la quarta edizione l’appuntamento con il BookLab dell’APS Dynamis – Il luogo del pensiero. Dal 24 gennaio al 21 marzo 2025, presso la prestigiosa sede del Circolo dei lettori di Torino, si svolge la rassegna di cinque incontri dedicata ai libri del Premio Strega Europeo 2024. Gli incontri si terranno dalle 18.30 alle 20, in via Bogino 9, ogni due settimane a partire da sabato 24 gennaio 2025. I titoli protagonisti di questa edizione sono i cinque finalisti del Premio Strega Europeo 2024 e seguiranno il seguente calendario (N.B. non è prevista la presenza degli autori):

  • Sabato 24 gennaio – La mia Ingeborg di Tore Renberg, traduzione di Margherita Podestà Heir;
  • Sabato 07 febbraio – Di notte tutto è silenzio a Teheran di Shida Bazyar, traduzione di Lavinia Azzone;
  • Sabato 21 febbraio – Il canto del profeta di Paul Lynch, traduzione di Riccardo Duranti;
  • Sabato 07 marzo – L’educazione fisica di Rosario Villajos, traduzione di Roberta Arrigoni;
  • Sabato 21 marzo – Triste tigre di Neige Sinno, traduzione di Luciana Cisbani.

L’iniziativa, ideata nel 2021 dall’Associazione di Promozione Sociale DYNAMIS – Il luogo del pensiero, vanta il patrocinio della Fondazione Bellonci e del Salone Internazionale del Libro. Il progetto è promosso in collaborazione con la Fondazione Circolo dei lettori e con le Biblioteche civiche torinesi, con il contributo di Fondazione CRT.

La rassegna, che intende la letteratura contemporanea come strumento di riflessione sul mondo in cui viviamo, prevede gli interventi di editori e traduttori, affiancati da scrittori e scrittrici, giornalisti e professionisti della scrittura, in modo tale da offrire, anche, uno spaccato di quello che è il mondo del lavoro nell’ambito dell’editoria.

BookLab a scuola, il progetto dedicato agli studenti
Parte importante del progetto BookLab sono il ciclo di laboratori dedicati agli studenti e la produzione dei podcast di documentazione disponibili, per ogni stagione, sui canali web e social di Dynamis. Le scuole torinesi che partecipano, per questa IV edizione del BookLab a scuola – con il percorso PCTO (ex alternanza scuola-lavoro) – sono il Liceo Scientifico Galileo Ferraris, il Liceo Salesiano Valsalice e l’Istituto Erasmo Da Rotterdam. I gruppi di lettura si sono svolti dal 15 novembre 2024 al 17 gennaio 2025 presso il Circolo dei Lettori. Gli studenti che vi hanno partecipato saranno presenti agli incontri aperti per condividere le riflessioni maturate e saranno i protagonisti della realizzazione dei podcast dell’edizione 2025.

«Il progetto cresce ancora, a partire dalla sua prima ideazione nel 2021», dichiara Andrea Sola, presidente dell’APS Dynamis. «Questa quarta edizione sarà più ricca che mai, con una serie di ospiti importanti e una cinquina di libri davvero interessanti. Il numero degli studenti coinvolti è raddoppiato e di questo siamo molto orgogliosi: la nostra sfida è quella di revitalizzare – anche ai loro occhi – la funzione della lettura come percorso di maturazione personale».
«Per i ragazzi, è l’occasione di avvicinare testi di cui forse non si sarebbero mai interessati con strumenti davvero innovativi. Registrare un podcast insieme a loro sarà una bellissima avventura», aggiunge Pietro Collazuol, responsabile BookLab dell’APS Dynamis. «Sarà l’occasione di riscoprire tramite un “esercizio collettivo” il valore formativo e la dimensione civile della letteratura europea. Una tradizione, questa, di cui i ragazzi fanno inevitabilmente parte, spesso senza accorgersene».

Il dramma dei desaparecido e la intima “tragedia” di una donna

Io sono ancora qui” di Walter Salles

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

C’è molta allegria sulla spiaggia di Rio, a due passi dalla casa dei Facciola Paiva, una casa dove qualsiasi motivo è buono per festeggiare, dove si balla e si beve e si ride, accogliente e sempre aperta agli amici, la domestica che prepara piatti e tartine. Sotto il sole, sulla riva del mare, i ragazzi si buttano sulla pallavolo mentre le ragazze si bagnano il corpo di Coca cola per apparire più scure. A guardarlo così, sembra felice il Brasile, e ricco e innovativo. E libero di vivere. È l’inizio dei Settanta, nelle camere delle ragazze sono appese le locandine dei film dell’epoca, si gira in famiglia in super8, si cantano le canzoni di Caetano Veloso e di Gilberto Gil, il Cinema Novo si esprime attraverso i titoli di Glauber Rocha, anche l’architettura vive un periodo felice con le architetture e le innovazioni di Niemeyer. Ma in quella stessa capitale, come nel resto dell’immenso paese, tutto si fa scuro, regnano gli annientamenti e le sparizioni, la violenza e le morti di quanti sono contrari alla dittatura militare che nel ’64 aveva rovesciato un governo eletto democraticamente e che sarebbe rimasto al potere per più di vent’anni.

Io sono ancora qui” è la storia di una famiglia e della scomparsa nel gennaio del ’71 di Rubens Paiva, marito e padre di cinque figli, ingegnere e attivista politico, ex deputato del Partito laburista del suo paese. È la storia che Walter Salles (“Central do Brasil”, “I diari della motocicletta” sulla gioventù del Che) ha tratto dal libro di memorie scritto una decina di anni fa dal figlio del desaparecido, Marcelo Rubens Paiva, premio per la miglior sceneggiatura a Venezia 2024, già Golden Globe per la migliore attrice in un film drammatico ad una immensa Fernanda Torres, in attesa della serata degli Oscar con le candidature per il miglior film, per il miglior film straniero e ancora per la protagonista. Una testimonianza che sembra arrivare tarda nei confronti della scomparsa di un uomo il cui corpo non venne mai ritrovato – le sepolture in fosse comuni e i lanci dagli elicotteri nell’oceano erano all’ordine del giorno – ma anche una necessità da parte di quello che fu un ragazzo in amicizia con i figli di quell’uomo e abituato a frequentare la loro casa. La casa dove irrompono, all’improvviso, oscurando immediatamente le finestre in un giorno di solare inverno, uomini che gli dicono di prepararsi, che li deve seguire per una semplice testimonianza e lui che dice tranquillo “un paio d’ore e sono di nuovo a casa”. Non lo rivedranno più. Anche la moglie Eunice e la figlia Eliana sono poco dopo prelevate e portate nelle celle di una caserma, questa per una notte soltanto, quella per dodici giorni, tra domande incessanti e tavolacci e formalità per cui non c’è da temere, tra le urla che provengono dalle stanze vicine e uomini che buttano secchiate d’acqua sui pavimenti a lavare il sangue. Al ritorno a casa, prima che i vestiti di Rubens siano dati via e prima che s’abbandoni quella casa che diventerà un ristorante, per cercarne una nuova a San Paolo, prima che si sia cancellata ogni speranza di un ritorno, non dovrà mai apparire la “tragedia”, i sorrisi di un tempo non dovranno mai scomparire, anche se lo chiede il regime che per una nuova immagine da distribuire vorrebbe tutti i superstiti almeno seriosi, no, rimarranno impressi quegli stessi sorrisi che abbiamo visto nelle tante fotografie che circolano nei tanti momenti, esposte o sfogliate o rimesse in grandi scatole, nulla deve cambiare, per la tranquillità sognatrice dei più piccoli, per la necessità di andare avanti, per la caparbietà che Eunice vive negli anni pur di arrivare a qualche risultato, pur di ottenere per il marito e per la famiglia un qualche riconoscimento, pur di coltivare una memoria che resti con tutto lo strazio intimo per sé, e per gli altri.

Sino all’ultimo festeggiamento, una fotografia anche lì da scattare, quando Eunice, ormai vittima dell’Alzheimer (è scomparsa nel 2018), rivede in un vecchio filmato che passa in televisione il volto del marito e i suoi occhi hanno un moto di felice stupore. Ogni attimo è trascorso incredibilmente su un percorso piano, rassicurante, aperto, dove le urla e la disperazione non hanno mai trovato posto. Salles ha voluto mantenere, tra storia privata e Storia pubblica, ogni tono sommesso, rinchiuso, lasciando alla macchina da presa, attraverso gli sguardi e i piccoli gesti, il compito di “accompagnare” un misfatto che non può non aver attraversato intere esistenze: le lacrime scorrono sulle guance, ma durano un attimo, vengono immediatamente cancellate, i singhiozzi e le urla e la disperazione stanno da altra parte. Forse questi silenzi non incontreranno i favori di molti dei giurati dell’Oscar, chissà, ma certo cominciamo fin da adesso a tifare per Fernanda Torres (negli ultimi fotogrammi Eunice è Fernanda Montenegro, sua madre nella vita e già indimenticabile interprete di “Central do Brasil”) che incarna e vive perfettamente, in ogni parte del corpo e della mente, nei piccoli segni premonitori della malattia e negli insperati traguardi, quella che fu la personale, richiusa “tragedia”, perché al fondo di tutto questo dire il termine deve essere comunque scritto, di Eunice Paiva.

Come “indigeni e forestieri” creano una autentica comunità

Un variegato calendario per il Balletto Teatro di Torino

Nelle parole di Viola Scaglione, direttrice artistica del Balletto Teatro di Torino, sta la presentazione di una stagione di danza ma soprattutto l’anima e le anime che abitano in una compagnia, la rivendicazione di aver fatto confluire, e continuare a farlo, “nel proprio processo creativo entità apparentemente distanti”, la padronanza e la bellezza di “un costante allenamento dello sguardo verso il mondo”, forse con quello che può sembrare una “forzatura di linguaggio” tra le pareti della Sala della Musica all’interno del Circolo degli Artisti, come dice qualcuno, la ricerca di “un intreccio tra indigeni e forestieri in grado di agitare le nostre acque creando una comunità che scorre, che si modella e cambia forma in continuazione e che non perde mai di vista l’analisi del contesto in cui opera”. Tutto questo quando, in un alternarsi di “intimità e distanza” si cerca con il passare delle settimane e dei mesi di arrivare alla certezza di “una casa comune” che abbracci uffici e sala di prove aperte e sede di spettacoli e che superi quello che può essere identificato come uno “spazio di passaggio”, una casa comune “dove sperimentare e allevare il pensiero, il modo di percepire e di percepirsi e non una ricerca sul consenso insieme agli artisti che incontrano le nostre progettualità ma una tensione costante verso il rischio per quello che non si conosce ancora”. Tutto questo quando, in uno sguardo unanime e in una necessità di progettualità diversificate, Matteo Negrin, in veste di direttore della Fondazione Piemonte dal Vivo in prossima uscita, sottolinea come il BTT abbia pieno merito di accrescere i propri scenari e la nuova stagione di danza contemporanea “Tensioni Temporanee” inserita nella stagione del teatro Marenco di Novi Ligure – di cui s’è parlato già qui nei giorni scorsi – vada a colmare un vuoto nel sud della regione, limando quell’80% di richiesta/offerta che è stanziato sul solo capoluogo. Tutto questo quando Rosanna Purchia, assessora alla Cultura di Torino, ribadisca come “è proprio l’inclusione e l’ascolto a fare di questo lavoro un lavoro a servizio della condivisione e sperimentazione, per attuare nuove e diverse prospettive artistiche anche indicate a chi del balletto è spettatore”.

Avvicinandosi tra un paio d’anni quelli che saranno i cinquanta d’attività, un lungo percorso iniziato da Loredana Furno con passione e caparbietà e condotto in Italia e all’estero, il BTT è ancora una volta sostenuto da Ministero della Cultura, Regione Piemonte, Città di Torino e Fondazione CRT e composto attualmente da cinque danzatori/danzatrici, oltre alla figura ospite di Marta Ciappina. Guardando ai futuri progetti, sono in sviluppo di progettazione “Living Cabiria” risolto in una Realtà Virtuale, “Carmen – Nous sommes toutes des étoiles”, dovuto ad Anna Basti con la collaborazione critica di Ariadne Mikou e con la collaborazione di Piemonte dal Vivo mentre, realizzato in partenariato con Fondazione Egri per la Danza, si concretizza il progetto triennale IN.CON.TRA, che approfondisce la tematica legata al femminile (ovvero “Manifesto femminile per un corpo che re-ESISTE”), in collaborazione con CasaBreast, associazione che si sviluppa in seno alla BrestUnit dell’ospedale Cottolengo di Torino: ancora nella convinzione che “cresce sempre più la necessità per la compagnia di tornare a vivere la danza non soltanto come espressione artistica, ma come un rituale capace di connettere le persone al di là dei confini culturali, sociali e fisici, creando uno spazio esperenziale di condivisione”. Convinzioni e condivisioni che abbracciano altresì tra gli altri realtà che sono spazi scolastici come il DAMS e il Liceo Gioberti, l’Istituto Musicale Città di Rivoli “G. Balmas”, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

Venendo al cartellone vero e proprio, già scrivevamo in precedenza degli “Anni” di Marco D’Agostin, ricavato dal romanzo di Annie Ernaux e interpretato da Marta Ciappina (teatro Astra). Seguiranno alla Fondazione Re Rebaudengo, il 13 marzo (ore 21), e in occasione dei Giochi Mondiali Invernali Special Olympics Torino 2025, “Studio per Aliseo” – coreografia di Manfredi Perego, danzatrice Nadja Guesewell, “le intensità sono disegni di trasformazioni, modificano ciò che il corpo agisce mutando il paesaggio, esattamente come l’intensità del vento” -, in anteprima “Umingmak”, produzione BTT, ideazione e coreografia Mauro de Candia, danzatore Luca Tomasoni, “Noa” ancora in anteprima, produzioni BTT, coreografia di Jye-Hwei Lin e danzatrice Noa Van Tichel, dove “ogni gesto diventa un frammento di una narrazione non detta”, vero e proprio luogo d’incontro “tra chi crea, chi interpreta e chi osserva”. Terzo luogo è il Teatro della Lavanderia a Vapore di Collegno, dedicato a “Race” (9 aprile, ore 21), un intenso ritratto di vita quotidiano sotto i colori del Real Conservatorii Profesional de Danza “Mariemma” di Madrid, dieci danzatrici con le coreografie e i costumi di Victoria Miranda, immerse nelle musiche di Antonio Vivaldi, Menestra, Plastikman e Paco Osuna. A completare la serata Mauro de Candia propone “Tra” mentre José Reches porta dalla capitale spagnola “Galea”, dove sono uomini destinati a remare, dove è imposta una forma di schiavitù che priva di ogni libertà. Ancora sul palcoscenico dell’Astra, “Sista”, la coreografia è di Simona Bertozzi, le danzatrici sono Marta Ciapina e Viola Scaglione, e “White Pages”, con il coreografo Manfredi Perego le prove di Nadja Guesewell, Noa Van Tichel, Luca Tomasoni e Luis Agorreta.

e.rb.

Nelle immagini, momenti di “Studio per Aliseo”, “Race” e “Sista” (ph Serena Nicoletti)

Arteinfiera per una San Giuseppe “nazionale”

La San Giuseppe compie 76 anni e per la prima volta si fregerà del prestigioso
titolo di Mostra Nazionale a dimostrazione della notevole crescita avvenuta
negli ultimi anni
L’evento si terrà al Polo Fieristico Riccardo Coppo di Casale Monferrato dal
14 al 23 marzo 2025 organizzato dalla società D&N Eventi S.R.L. con il
patrocinio della Regione Piemonte, del Comune di Casale Monferrato, della
Provincia di Alessandria, della Provincia di Mantova, dell’Unione dei Comuni
della Valcerrina, e con la partnership di tante altre realtà territoriali.
In questo contesto torna un appuntamento che ormai è giunto alla
ventottesima edizione: si tratta di Arteinfiera , mostra d’arte contemporanea
curata dal critico ed artista monferrino Piergiorgio Panelli . Nell’edizione
2025,che avrà come sottotitolo “Ombre nell’ombra” saranno invitati sei artisti
con linguaggi e tematiche diverse e saranno : Marco Tulipani pittore di
Mortara, Gian Maria Sabatini di Olivola Monferrato, scultore della pietra da
cantone, Edo Ferraro di Casale Monferrato, fotografo, Francesco Berruti di
Casale Monferrato, Lucia Caprioglio Pittrice di Torino, Filippo Pinsoglio
pittore di Asti. Per l’occasione sarà stampato un depliant catalogo del
progetto.
Arteinfiera è uno degli appuntamenti qualificati che saranno inseriti nel
calendario fieristico che darà spazio al territorio e alla sua cultura,
all’ambietne, alle potenzialità della sua offerta turistica, il tutto all’insegna
del denominatore di FIERA NAZIONALE CULTURA TERRITORIALE
La Fiera Campionaria di Casale e del Monferrato, darà ampio spazio come di
consueto, alle categorie produttive del commercio, dell’agricoltura,
dell’industria e dell’artigianato, confermando la formula che negli ultimi anni
ha sempre portato a presenze di pubblico da record, peraltro di aumento di
anno in anno. Verrà ripetuta la ‘formula’ gradita da visitatori ed espositori:
ingresso gratuito e percorso obbligato a giornali alterni. E anche quest’anno
sarà visitabile il sabato mattina.
Sarà presente, come tutti gli anni, lo spazio dedicato alle “Eccellenze
Enogastronomiche” da sempre momento di grande attrazione in Mostra – con
la Piazzetta del Gusto, la Piazza del Vino, ospitanti le specialità
gastronomiche provenienti da tutta Italia.
A questi appuntamenti si aggiungeranno tante novità con particolare
attenzione alla cultura, al turismo, all’ambiente, nell’ottica della
valorizzazione delle ricchezze del territorio .
Nello stesso periodo in cui si svolgerà la Fiera, non mancherà neppure il
tradizionale Luna Park installato in piazza D’Armi, di fronte al Polo Fieristico
Riccardo Coppo, appuntamento molto atteso ogni anno da giovani e
giovanissimi
Per informazioni ed iscrizioni rivolgersi a
D&N Eventi S.r.l.
Cell. 335/7404114
info@mostrasangiuseppe.it
www.mostrasangiuseppe.it

Il virtuoso norvegese Leif Ove Andsnes nel recital della rassegna “I Pianisti del Lingotto”

A sei anni dall’ultima presenza

 

Il terzo appuntamento della nuova rassegna dei Pianisti del Lingotto, previsto venerdì 7 febbraio, vedrà protagonista il norvegese Leif Ove Andsnes, che il New York Times ha definito un pianista di eleganza, energia, introspezione magistrali, e il Wall Street Journal uno dei musicisti più talentuosi della sua generazione. Il suo ritorno, per il concerto di venerdì 7 febbraio alle 20.30 in sala 500, al Lingotto, è certamente gradito per il blasonato virtuoso scandinavo che, dopo il debutto del 2004 con il secondo concerto di Rachmaninov, è tornato a esibirsi al Lingotto Musica altre cinque volte: nel 2012 e nel 2014 alla guida della Mahler Chamber Orchestra per il progetto “The Beethoven Journey”. Nel 2015 e 2017 in recital all’Auditorium Giovanni Agnelli e, nel 2019, nel concerto in La minore di Grieg. L’omaggio al conterraneo Grieg, con la giovanile Sonata n.7, si unisce nel suo impaginato alle nostalgi.che melodie boeme della raccolta “Sul sentiero di rovi” di Janáček e all’amatissimo Chopin dei celebri Preludi op.28.

Vero maestro del tocco che combina I classici della mitteleuropa romantica con i profumi del profondo nord, Andsnes propone la Sonata in Mi minore op.7 di Edward Grieg, l’unica l’errore pianoforte scritta dall’autore, all’epoca ventiduenne, nel 1865. La dedica a Niels Gade, suo maestro al Conservatorio di Lipsia, sottintende un omaggio al Decano della grande scuola nordica, ma ad ogni pagina fanno capolino anche luoghi di pianista di Schubert e Schumann. Segue il ciclo “Sul sentiero di rovi”, composto da Leoš Janáč̣ek tra il 1901 e il 1908. La raccolta si intreccia alla composizione dell’opera “Jenůfa” e intimamente alle vicende biografiche del compositore ceco, fra cui la morte della figlia ventenne Olga. Colpisce di queste 10 minitaure la scrittura laconica, fatta di brevi accenni, emozioni trattenute che si carica di intensità romantica con squarci lirici improvvisi.

Chiudono la serata i celebri 24 Preludi op.28 di Chopin, scritti a Maiorca nel 1838, quando perseguire al rigido inverno parigino e alla curiosità suscitata dal suo legame con la scrittrice George Sand, si trasferì sull’isola in compagnia della donna. Organizzati nell’ordine normale delle scale, secondo le 24 tonalità, rappresenta un tributo pagato a Bach e al clavicembalo ben temperato che Chopin frequentava contemporaneamente.

Biglietteria presso gli uffici di Lingotto Musica al numero 333 9382545

Da lunedì a venerdì ore 10-12 / 14.30-17

E nel giorno del concerto presso il foyer di Sala 500, via Nizza 280/41, Torino

Dalle 19.30 alle 20.30

 

Mara Martellotta

“Cabiria Atlas”, immagini e immaginari intorno al più celebre colossal italiano

Due giorni di studi presso l’aula magna della Cavallerizza Reale in via Verdi 9

 

111 anni è l’età che ha festeggiato il primo colossal della storia, “Cabiria”, girato da Giovanni Pastrone e uscito nelle sale nel 1914, su soggetto di Gabriele D’Annunzio. Ancora oggi esercita un sorprendente fascino sugli amanti del mondo del cinema. Giovedì 6 e venerdì 7 febbraio prossimi, presso l’aula magna della Cavallerizza Reale, in via Verdi 9, si terrà il convegno di studi “Cabiria Atlas”, percorsi transdisciplinari tra immagini e immaginario intorno e oltre Cabiria, promosso dall’Università di Torino nell’ambito del progetto “Living Cabiria”, sviluppato all’interno dello Spoke 2 Creativity and Intangible Cultural Heritage nel partenariato esteso PE5 Changes-PNR, che affronta il film di Pastrone come un case study privilegiato per la valorizzazione del patrimonio culturale audiovisivo attraverso un approccio transdisciplinare e l’utilizzo di tecnologie innovative. Il convegno è curato da Giulia Carluccio e Silvia Alovisio, organizzato con il contributo di UniVerso, in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino e con il patrocinio della Consulta Universitaria del Cinema. L’iniziativa vuole rilanciare lo studio degli immaginari evocati da Cabiria, l’opera più celebre e influente del primo cinema italiano. L’evento vedrà la partecipazione di oltre 50 studiosi internazionali provenienti da discipline differenti, tra cui, oltre al cinema, storia, archeologia, architettura, estetica, cultura visuale ed etnoantropologia, rendendo l’incontro un momento di particolare interesse per la comunità accademica e per tutti gli appassionati. Due giorni di studi e approfondimenti culmineranno, dalle 20.30, nelle sale del Cinema Massimo, con proiezione a ingresso libero e gratuito. Il convegno prevede due proiezioni cinematografiche, entrambe a ingresso gratuito, presso il Cinema Massimo. La prima è “Occhi che videro”, un incontro toccante con la fondatrice del Museo Maria Adriana Prolo e le sue collezioni, realizzato dal grande documentarista Daniele Segre; venerdì 7 verrà proposta la proiezione di “Italia, il fuoco, la cenere” di Olivier Bohler e Céline Gaileurd, un poetico viaggio lungo trent’anni di Cinema muto italiano. Cabiria costituisce uno dei più importanti film della storia del cinema, e la sua lezione è stata determinante per lo sviluppo della settima arte a livello internazionale. Da decenni è oggetto di ricerche approfondite che ne hanno esaminato le molteplici componenti, dal gigantismo scenografico alla recitazione, dagli effetti speciali innovativi alla mobilità del punto di vista con l’invenzione del carrello, dall’uso coreografico delle folle al ruolo della parola dannunziana, fino alla sua ricezione critica e culturale. L’obiettivo del convegno è quello di esplorare nuove prospettive concentrandosi sugli immagini ari che hanno influenzato Cabiria e che il film stesso ha contribuito a generare. L’evento intende proporre un’analisi che si sviluppa in un’ottica aperta e trasversale, considerando Cabiria come un atlante di immagini in grado di evocare temporalità stratificate e interazioni culturali molteplici, e di generare nuove visioni, ancora inesplorate. Il film di Pastrone sarà così analizzato come un sistema dinamico di influenze, riconfigurazioni e rielaborazioni culturali, la cui vitalità continua a risuonare nel tempo presente. Si tratta di un approccio che invita a superare i confini tradizionali della ricerca accademica, promuovendo un’immagine innovativa sull’eredità visiva e culturale del film. Quando lo scorso ottobre il regista Martin Scorsese è stato ospitato a Torino, è rimasto affascinato dal mondo della riproduzione del Moloch, presente proprio nel capolavoro di Pastrone e collocato nell’Aula del Tempio della Mole Antonelliana, dimostrazione che Cabiria è amato anche dai grandi registi internazionali.

 

Mara Martellotta

5 Febbraio 1994, la strage del mercato di Sarajevo

ACCADDE OGGI

Vječna Vatra è la “fiamma eterna” al centro di Sarajevo, all’angolo tra la Maršala Tita e Fehradija, la via pedonale principale del centro storico. Si racconta che quella del memoriale alle vittime della seconda guerra mondiale e ai partigiani è l’unica fiamma che non si è mai spenta, nemmeno durante gli anni dell’assedio. La lapide ricorda la data del 6 aprile 1945, il giorno della liberazione della capitale bosniaca dall’occupazione nazista e della vittoria dell’esercito partigiano di Tito.  Rappresenta la memoria visiva di una lotta comune, segnata dall’antifascismo  degli slavi del sud. Muovendo dalla Vječna Vatra si risale verso Markale, il mercato. La strada è breve, pochi passi e compare la piazza con i banchi di ferro e di legno del coloratissimo mercato della frutta e  della verdura. Come in tutti i mercati c’è un via vai di gente. Donne anziane e ragazze si aggirano con le loro sporte tra cassette colme di patate, cetrioli e zucchine, peperoni rossi e verdi, sedano, mele e pere, gialli limoni e lunghe carote di un’arancio sfolgorante, melanzane dai riflessi violacei, cipolle e lunghe trecce d’aglio. Per non parlare dei funghi e delle varietà di frutta secca. Si rimane storditi dall’effluvio di profumi e dall’esplosione dei colori.

Il vociare fitto è la colonna sonora di questo luogo d’incontro dove si chiacchiera, si ascoltano gli inviti dei venditori a comprare i loro prodotti, le domande curiose di chi, prima di scegliere, vuol sapere, soppesare, valutare la convenienza tra la merce e il prezzo. Nei mercati c’è vita e questo, tra i più antichi di Sarajevo, non fa eccezione. Non si dovrebbe far molta fatica ad immaginare cosa poteva essere questo luogo d’incontro durante l’assedio, con le poche cose offerte a prezzi da mercato nero, pagate a prezzo d’oro o scambiate per sigarette o medicinali. Negli occhi dei più anziani si nota ancora quel velo di tristezza e di dolore accumulati durante gli anni degli stenti e della guerra. In fondo al mercato, lungo la parete, una lunga lapide rossiccia ricorda i caduti delle stragi di Markale. Il plurale è d’obbligo, poiché per due volte le granate serbe massacrarono i civili in questo mercato, nel cuore antico della città. La prima volta, il 5 febbraio del 1994: 67 morti e 142 feriti. La seconda, il 28 agosto 1995, quando l’ultimo di cinque colpi di mortaio causò la morte di 37 civili e il ferimento di novanta. Adriano Sofri si trovava lì, in quel freddo giorno di febbraio del 1994. Così lo raccontò: “Arrivammo in mezzo alla strage, cominciavano appena a raccattare i corpi e i feriti. C’ era un rumore terribile di pianti, di urla, di richiami concitati, di auto caricate alla rinfusa che sgommavano via. C’ era una gamba artificiale, staccata e diritta sul suolo. C’ erano scarpe, è incredibile come le scarpe si spandano nelle carneficine. C’ erano uomini grandi e grossi che soccorrevano e piangevano a dirotto. Toni Capuozzo si buttò nella falcidie, io non seppi fare niente. Da giorni avevo adottato, e viceversa, una banda di ragazzini che faceva capo a quella piazza del mercato. Avevo appuntamento con loro là, ogni giorno fra le tre e le quattro. Conoscevo ormai quasi una per una le persone del mercato, le vecchie che vendevano calzettoni fatti a mano e bacche selvatiche, il bambino che vendeva a malincuore un gallo, i vecchi che vendevano rubinetti e distintivi e medaglie, le fioraie: ero il più prodigo compratore di fiori della città. Anche quando mancavano il pane e le candele, a Sarajevo le case avevano voglia di fiori; e poi tutti avevano qualche tomba fresca alla quale destinare un fiore. I morti di Markale furono 68, i feriti nessuno li ha contati”. Per conoscere è necessario raccontare qualcosa in più, oltre il sangue, l’odore della morte, il fumo tra le macerie. E’ la storia di una seconda violenza, quella del tentativo di rimuovere, nascondere, negare. Quello del mercato di Sarajevo va annoverato tra i casi più clamorosi. Bisogna tener conto, innanzitutto, che quella guerra fu seguita dai media come mai era accaduto prima e come mai, fino ai giorni nostri e alle guerre aperte, accadde poi. Per diverse ragioni, quella bosniaca fu una guerra che entrò direttamente nelle case di tutti e in tutto il mondo. Le immagini erano in presa diretta, senza filtri. I giornalisti potevano documentarla fino nei minimi particolari sia con i mezzi moderni della tecnologia sia con quelli tradizionali degli inviati che, taccuino alla mano e reflex al collo, rischiavano la loro pelle sulla front line.

Trent’anni fa i giornalisti erano più liberi di fare il proprio lavoro, non eranoembedded come al giorno d’oggi. Embedded è un termine anglofono che, applicato ai giornalisti, equivale a dire che quest’ultimi sono “incastrati” nell’esercito, che si muovono solo con le truppe, con l’impossibilità di informarsi da fonti che non siano quelle dei comandi militari (in uno studio di una università americana, su quasi un migliaio di articoli presi in esame le fonti in “divisa” rappresentavano l’unica voce nel 93% dei casi).  Risulta evidente come questo voglia dire che oggi, agli inviati di guerra, è concesso di vedere, sentire, filmare e trasmettere solo quello che conviene alle gerarchie militari che li hanno autorizzati. In Bosnia, invece, la realtà stava lì, sotto gli occhi di tutti. C’erano prove palesi, visibili a occhio nudo, sanguinanti e urlanti. Nessuno poteva dire di non sapere. “In centinaia sono andati in Bosnia Erzegovina come inviati di guerra”, scriveva Azra Nuhefendic, giornalista e scrittrice bosniaca naturalizzata italiana che vive a Trieste dal 1995Giravano ovunque pareva loro, guardavano, toccavano, filmavano, registravano, vivevano con gli accerchiati, soccorrevano le vittime, entravano nelle città assediate, brindavano con i criminali, dibattevano con presidenti, ministri, generali, osservavano i bombardamenti dalle posizioni di tiro. A Sarajevo alcuni giornalisti si appostavano nei luoghi dove, solitamente, i cecchini uccidevano i passanti, o dove si faceva la fila per qualcosa. Sapevano che prima o poi potevano filmare la morte in direttaA volte addirittura veniva offerto “un assaggino”, come è successo al mio collega e amico che lavorava per l’agenzia AP a Belgrado. Mi raccontava che, quando visitava le posizioni dei serbi sopra Sarajevo, gli offrivano grappa e anche, se gli faceva piacere, di “sparare un po’ sulla città”. Nonostante l’enorme mole di testimonianze dei sopravvissuti, un’infinità di libri, le innumerevoli fosse comuni scoperte e aperte, le tonnellate di documenti sui quali si sono basate le sentenze del Tribunale dell’Aja che condannarono all’ergastolo i principali criminali di guerra, c’è ancora chi cerca di negare tutto, di ricostruire le vicende con la menzogna, di distorcere le verità documentate. Un cumulo di menzogne per tentare, in modo maldestro ma insidioso, di ricostruire la storia, modificando i fatti e ribaltando le responsabilità. Per molto tempo è girata la macabra leggenda– di matrice serba e cetnica – secondo cui i bosniaci musulmani “si uccidevano da soli”. Un teorema assurdo che venen spesso utilizzato parlando del massacro al mercato di Markale. Le autorità serbe negarono ogni responsabilità, accusando il governo bosniaco di aver bombardato la propria gente per suscitare lo sdegno internazionale e il possibile intervento della NATO. Nel caso della seconda strage, l’allora presidente della Republika Srpska, Radovan Karadžić ( condannato all’ergastolo insieme al generale Ratko Mladić) affermò che a Markale era “stato tutto una messa in scena e una frode.” Non solo. Inviò una lettera ai presidenti di Russia e Stati Uniti, Eltsin e Clinton, affermando: “Dalle immagini TV si vede chiaramente che i cadaveri sono stati manipolati, e che tra i cadaveri ci sono anche pupazzi di stoffa e plastica.” Un giornalista serbo bosniaco, Risto Džiogo, andò oltre, ricostruendo in modo vergognoso lo scempio del mercato. Nello studio della televisione di Pale, dove lavorava, mise per terra dei pupazzi di plastica e di stoffa sdraiandovisi accanto e fingendo di essere uno dei serbi morti che sarebbero stati utilizzati nella messa in scena a Markale. Già all’indomani delle prime granate venne avviato il martellamento del regime di Slobodan Milošević e dei media serbi contro “il complotto bosniaco”, producendo “spiegazioni” e svelando i “retroscena” del massacro. Ovviamente, autoassolvendosi. Nel marzo del 1995, il ministero dell’Informazione della Repubblica di Serbia produsse un documento intitolato Dossier Markale Market nel quale gli autori spiegavano che la “auto-vittimizzazione” dei musulmani proveniva dalla stessa “mentalità islamica” e che faceva parte dell’assioma per cui “è un onore morire per l’Islam”. Puro razzismo e spregevole menzogna, ovviamente. Ma, a forza di menzogne e di propaganda, s’insinuava il tarlo. Si citarono documenti segreti, si pubblicarono “prove storiche”. Venne chiamato in causa un testimone ( rigorosamente anonimo) , pronto a giurare che  “la notte prima del massacro sul mercato sono stati portati i cadaveri, e che la maggior parte dei feriti musulmani proveniva dai campi di battaglia di Mostar e Vitez”. Sempre Azra Nuhefendic ricordò “come a cerchi concentrici queste affermazioni, ripetute varie volte, aumentavano e si diffondevano nel tempo e nello spazio”. Un quotidiano di Belgrado, Kurirnel 2009,  scriveva che i servizi segreti albanesi del Kosovo possedevano una copia del piano dei bosniaci che provava la teoria secondo cui la strage di Markale fu tutta una messa in scena del governo di Sarajevo. Il Presidente della Repubblica Serba di Bosnia, Milorad Dodik, non ha mai nascisto il suo pensiero, ripetendo, di tanto in tanto, che “la strage di Markale è stata una messa in scena, come anche la strage dei giovani a Tuzla”. Persino Radovan Karadžić, nel suo processo davanti al Tribunale dell’Aja, non perse l’occasione per sostenere quello che diceva all’epoca in cui guidava il governo di Pale: “Il massacro al mercato di Markale 2 è stato organizzato dalle forze governative bosniache, e la maggior parte dei corpi ritrovati erano vecchi cadaveri e manichini“. Ma davvero i “bosniaci si sparavano da soli”? Già in quegli anni, in un rapporto sulla seconda strage di Markale, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite concludeva che “tutti e cinque i proiettili erano stati sparati dall’esercito della Republika Srpska”. Davanti al Tribunale dell’Aja venne documentato come, nel caso della prima strage, il colpo di mortaio venne sparato dalle posizioni dell’esercito dei serbi bosniaci. L’ex capo degli affari civili delle Nazioni Unite in Bosnia, David Harland, davanti alla corte internazionale dell’Aja , testimoniò che lui personalmente aveva suggerito all’allora comandante delle Nazioni Unite, Rupert Smith, “di fare una dichiarazione neutra” per non allarmare i serbo bosniaci, che sarebbero stati in questo modo avvisati degli imminenti attacchi aerei della NATO contro le loro posizioni. “Se avessimo puntato il dito contro i serbi, le truppe dell’UNPROFOR, stazionate nel territorio sotto il controllo dell’esercito serbo bosniaco, potevano essere esposte ad attacchi di rappresaglia”, spiegò Harland.

Questa versione venne confermata dal generale Rupert Smith davanti allo stesso tribunale e in un suo libro. Smith sosteneva che già allora (ndr. 1995) aveva una relazione tecnica secondo la quale “al di là di ogni ragionevole dubbio” a sparare erano stati i servi che assediavano Sarajevo. E sui musulmani che si sparavano da soli? Confermando di aver sentito quelle voci, dichiarò che “nessuno mai mi ha dato una prova di ciò”. Ovviamente, verrebbe da dire. Due generali serbi, Dragomir Milošević e Stanislav Galić, vennero processati e condannati, rispettivamente a 33 anni di carcere e all’ergastolo, per l’assedio e il bombardamento di Sarajevo, comprese le stragi di Markale. Eppure c’è ancora chi, trent’anni dopo, si ostina a falsare la verità dei fatti. Ignoranza, indolenza nel voler cercare la verità, menefreghismo, voglia di rimuovere tutto perché tanto i morti sono morti ? Può darsi. Ma chi ha responsabilità  pubbliche, chi fomenta il  nazionalismo, chi insiste sulle falsità a sei lustri di distanza non lo fa per ignoranza, ma per uno scopo ben preciso. La Nuhefendic, in un articolo, parlando di questi fatti, citava George Orwell: “Il linguaggio politico è progettato per rendere la bugia veritiera, l’omicidio rispettabile, e per dare al vento un aspetto solido”. Il mercato, come tutti i giorni dopo le 17.00, si sta svuotando. I banchi sono tristi, senza la merce. Un vecchio ritira le sue patate in una cassetta e un altro – avranno la stessa età? – rovista tra gli scarti della verdura alla ricerca di qualcosa da buttar in pentola. E’ un’istantanea della città che ha fatto immensi sforzi per tornare alla normalità ma che sente sulle spalle la fatica e la stanchezza del passato.

Marco Travaglini

 

“A/R”… ma qui “Poste Italiane” non c’entrano affatto

“Salone Internazionale del Libro” di Torino e “Gruppo FS Italiane” lanciano la terza edizione del concorso letterario per “racconti di viaggio” inediti

Bella trovata il titolo! “A/R Andata e racconto. Appunti di viaggio”. Dove quell’“A/R” nulla ci azzecca, per carità!, con la “stampigliatura” significante, come ben si sa, “Avviso di Ricevimento” (tramite “ricevuta di ritorno”) adottato da “Poste Italiane” nella corrispondenza postale. E del resto la possibile confusione subito si dissolve con quell’“Andata e racconto. Appunti di viaggio” che va a seguire.

Trattasi, invece, del titolo dato con brillante ironia, alla terza edizione del concorso letterario organizzato dal “Salone Internazionale del Libro” di Torino e dal “Gruppo FS Italiane”, riservato a scrittrici e scrittori esordienti, dai diciotto anni in su, che non abbiano mai pubblicato alcun testo o romanzo edito da una casa editrice italiana e distribuito in libreria. Il concorso nasce per stimolare la scrittura attorno ad un tema, quello del “viaggio”, che fin dall’antichità – il “mito di Ulisse” insegna – ha sempre affascinato e sempre è stato suggestiva fonte di emozione per l’essere umano. Nello specifico, questa nuova edizione del concorso suggerisce, quale linea guida, il “Viaggiare con leggerezza: istruzioni per l’uso” e tanti sono, in proposito, i percorsi che possono essere raccontati, nero su bianco, attraverso la lente della leggerezza, quella dell’anima o quella ambientale, quella relazionale o quella comunitaria”. Spiega il “visual” del concorso: “La ricerca della leggerezza in letteratura è una reazione al peso di vivere in tempi complicati. Viaggiare leggeri è il racconto di una nuova avventura, mentre si guarda fuori dal finestrino di un treno o di un bus, fluttuando con la fantasia”. Quante volte ci è capitato? Quante volte abbiamo fantasticato, creando storie più o meno probabili oltre quella finestra accesa, l’unica finestra accesa, che appare e scompare nel battito di pochi secondi al passaggio del treno o del pullman su cui osserviamo il succedersi delle “cose”, di paesi, di campagne, di un vecchietto che arranca lento in un sentiero scavato nei campi sulle due ruote di una vecchia bicicletta, di un bimbo che saluta oltre le sbarre abbassate di un passaggio a livello o di un compagno o compagna di viaggio che ci racconta la sua storia mescolandola alla nostra. Incontri fortuiti, a volte prodigiosi a volte insignificanti a volte di cui avremmo volentieri voluto e potuto fare a meno. Viaggi reali che ti invitano alla descrizione puramente “fisica” o “geografica” del veduto o percorsi mirabilmente in grado di trasformarsi in viaggi del sogno, della memoria, della pura fantasia.

Insomma, ce n’è di che scrivere. E a iosa, per chi si diletta a “raccontare”, per sé e per gli altri. I giochi sono aperti. Per scrittori, più o meno, in erba e aspiranti scrittori. Ricordiamo che il “Bando” del concorso è aperto da alcuni giorni e scaricabile su: www.salonelibro.it e www.fsnews.it

Sono ammessi racconti inediti con una lunghezza compresa tra le 15 e le 20mila battute (spazi inclusi). Una prima commissione tecnica, nominata dal “Salone Internazionale del Libro”, selezionerà una rosa di quindici racconti finalisti, le cui autrici e autori riceveranno una “carta regalo” di Trenitalia del valore di 100 euro. I quindici testi finalisti saranno sottoposti al giudizio di una “Giuria finale”, composta da otto scrittrici e scrittori – il torinese Guido Catalano, la scrittrice e sceneggiatrice barese Antonella LattanziLorenza PieriMatteo Nucci, l’italiana-singalese Nadeesha Uyangoda e Simona Vinci – nonché da un rappresentante del “Gruppo FS” il quale selezionerà i tre racconti vincitori, che saranno premiati a maggio nel corso del “Salone Internazionale del Libro” di Torino e verranno pubblicati in una “Antologia cartacea” o “ebook”, insieme ai testi originali di scrittrici e scrittori facenti parte della “Giuria finale”. La casa editrice sarà selezionata da “Ferrovie dello Stato Italiane” .

La partecipazione al concorso è gratuita e la consegna del racconto deve avvenire, seguendo le indicazioni presenti nel regolamento, entro e non oltre le ore 12 del 21 marzo 2025.

Info: www.salonelibro.it e www.fsnews.it.

g.m.

Nelle foto: immagine-guida del concorso e le due scrittrici facenti parte della “Giuria” , Antonella Lattanzi e Nadeesha Uyangoda