CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 43

A Torino una serata in ricordo di Massimo Sacco, l’ultimo dei caratteristi

 

Si svolgerà giovedì 3 luglio alle 19 a Lombroso16 (via Lombroso 16, Torino) una serata omaggio in ricordo di Massimo Sacco, volto iconico dei film di Pupi Oggiano, scomparso un mese fa a soli 59 anni.

 

Massimo Sacco è stato l’ultimo caratterista, quell’attore che non ha mai un ruolo di primo piano in un film e interpreta quasi sempre lo stesso tipo di personaggio, quello che più si adatta al suo volto, alla sua fisicità, al suo modo di porsi. I caratteristi sono state figure fondamentali, capaci di cambiare il ritmo di un film, di fare da spalla al protagonista in scene spesso rimaste indimenticabili. Pensate a Bombolo o a Mario Brega, per dare due nomi tra i più noti.

Massimo Sacco è stato il caratterista dei film di Pupi Oggiano. Presente in 5 dei 6 film che compongono l'”esalogia della paura” di Oggiano, quel progetto tutto torinese che ha stravolto i canoni del cinema indipendente italiano, quel progetto che ha passato in rassegna i generi della paura, che ha esorcizzato la paura stessa, quel progetto i cui titoli letti uno dopo l’altro sono un manifesto imperdibile: “La paura trema contro: Ancora pochi passi Nel ventre dell’enigma E tutto il buio che c’è intorno Svanirà per sempre Contro un iceberg di polistirolo”.

Massimo Sacco è senz’altro uno dei volti più riconoscibili dell’intero progetto e nel corso della serata verrà ricordato da Pupi Oggiano e dagli attori che hanno lavorato con lui. Verrà inoltre proiettata una video-intervista omaggio inedita allo stesso Sacco realizzata da Alessandro Benna in collaborazione con Serena Guarnero, un modo per ricordarlo ancora più da vicino.

La serata sarà anche l’occasione per presentare al pubblico il dvd di “Contro un iceberg di polistirolo”, il film che chiude l’esalogia di Oggiano dopo oltre 6 anni di lavoro di squadra che ha coinvolto oltre 100 professionisti tra attori e tecnici.

L’ingresso alla serata di giovedì 3 luglio a Lombroso16 (sala HUB L16), via Lombroso 16, Torino, è libero. L’appuntamento è alle ore 19.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La vergogna di Osimo: Moro, Valiani e Spadolini – Le famiglie di un tempo – 25 Aprile e 2 Giugno – Lettere

La vergogna di Osimo: Moro, Valiani e Spadolini
Nel 1975 il governo Moro – La Malfa , quello che ebbe, tra gli altri, come ministro dei beni culturali lo storico Spadolini (che sulla sua tomba volle scritta  con falsa modestia la  frase “Un Italiano”, la stessa che si legge sulla tomba di Mazzini), firmò alla chetichella l’infame trattato di Osimo che diede alla Jugoslavia de  iure un’ulteriore fetta di territorio italiano. Era ministro degli esteri Mariano Rumor, definito un untuoso  comunistello di sagrestia  di scuola dorotea, che si rivelò anche  fragile e inefficiente presidente del Consiglio.
Ad Osimo a trattare il governo mandò un oscuro funzionario del ministero dell’Industria. I triestini si sentirono traditi e dalla protesta nacque l’abbandono della Dc e la nascita della lista civica del “Melone” che ebbe la maggioranza dei voti ed espresse un sindaco. La Dc, che aveva perso il controllo della situazione, mandò a dirigere il “Piccolo”  di Trieste un vecchio partigiano giellista che  alla “Stampa” era rimasto per decenni  capo cronista ed ambiva a fare il direttore, Ferruccio Borio (di  cui fui amico) che  mi raccontò del suo invio a Trieste per “reprimere i conati fascisti e qualunquisti  attraverso una informazione corretta”. Traggo la citazione dal mio diario di allora. Già nel 1977, dopo i funerali di Carlo Casalegno quando  ci fermammo a prendere un caffè insieme, Borio  mi disse – da uomo onesto qual era – che il fascismo a Trieste non centrava nulla perché con Osimo la minoranza slava si sentì “padrona   della città”. L’avventura triestina di Borio doveva finire molto presto perché venne nominato direttore del “Lavoro” di Genova. Di cosa fu per davvero, cioè un cedimento vergognoso verso la Jugoslavia mi parlarono la poetessa esule da Zara Liana De Luca e lo storico antifascista Leo Valiani,  nato a Fiume, che mi  esortò ad agitare il problema delle foibe e dell’esodo, temi allora totalmente occultati dal conformismo degli storici comunisti e anche  democristiani. Moro, con il suo contorsionismo verbale con cui tento ‘ di portare i comunisti al governo, arrivò a definire con ipocrisia pretesca Osimo “una dolorosa rinuncia”. Certamente Spadolini per la prima volta ministro non aprì  bocca e una  volta quando cercai di chiedergli cosa pensasse di Osimo, durante una cena a due al ristorante Tiffany, cambiò subito discorso per ringraziare Giulio Einaudi che gli aveva mandato una bottiglia di dolcetto dei suoi poderi al tavolo. Continuò invece  il discorso con me, dicendomi che lui di solito non beveva, ma in questo caso non poteva non onorare il vino del presidente Einaudi; aggiunse che il dolcetto l’avrebbe fatto “dormire come un ghiro” nel vagone letto che lo avrebbe riportato a Roma. Ma su Osimo non pronunciò neppure una parola. Sarebbe diventato dopo poco tempo presidente del Consiglio, nominato da Pertini, notoriamente molto amico di Tito. Cosa mi disse Valiani, a sua volta diventato senatore a vita, del silenzio di Spadolini non lo rivelo anche se c’è memoria nei miei diari. Furono parole comunque molto aspre che non mi sarei mai aspettato. Fu un momento di ira, anche questa volta a cena all’allora notissimo ed apprezzatissimo da Leo, ristorante “Ferrero” tristemente chiuso da molti anni.
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Le famiglie di un tempo
80 anni fa i miei genitori si sposarono subito dopo la fine della guerra, il 26 maggio 1945 nella cappella del castello di Camerano Casasco . Io conservo le rose bianche raccolte in quella occasione. A celebrare le nozze fu il vescovo di Asti che risiedeva nella vicina villa San Giacinto sottostante al castello che aveva ospitato nell’800 Cesare Balbo, Silvio Pellico e Alessandro Manzoni.
Tra i testimoni il  mio futuro zio il barone Guglielmo Fusilli in divisa di capitano del “Nizza Cavalleria “ in alta uniforme  e il generale e scrittore Angelo Gatti. Una cerimonia semplice, adatte ai tempi, anche se mio nonno paterno volle un pranzo per il periodo davvero fuori ordinanza di cui conservo il menù.  A casa mia il 26 maggio  finché furono in vita i miei genitori, si fece ogni anno una gran festa con scambio di regali anche importanti. A volte indosso l’orologio con il cinturino d’oro che mia madre regalò  a mio padre in un anniversario. Fu un matrimonio riuscito: mia madre fu una donna virtuosa e fedele compagna di mio padre e mio padre seppe manifestare a lei tutta la dolcezza di cui era capace, anche se vissero momenti difficili. Mio nonno che era rimasto vedovo, venne ad abitare nella casa coniugale dei miei e mia madre raggiunse l’eroismo nel sopportare le sue  intemperanze autoritarie e libertine.  La nascita di due figli,sia pure a distanza di undici anni uno dall’altro, coronarono il matrimonio; scrivo dei miei genitori per indicare degli esempi anche educativi oggi molto difficili, anzi sicuramente giudicati superati. Ad esempio, mia madre mi segui’ quotidianamente negli studi fino al ginnasio e poi scelse per me come precettore lo   storico del Risorgimento  prof . Salvatore Foa che mi porto ‘ naturaliter agli studi che poi ho scelto.
Mio padre non si occupò dei miei studi , ma fu sempre presente nei momenti difficili. Quando dai Salesiani capitò che un educatore assistente, tale R.P. (pace all’anima sua) si fosse dimostrato particolarmente gentile con me, offrendomi un trattamento speciale con dolci e altri aiutini nei compiti di Quinta elementare, mio Padre capì subito di cosa si trattasse e con la sua autorevolezza pretese la cacciata dell’omosessuale, potenziale pedofilo, facendomi discorsi che sono rimasti scolpiti nella mia mente. Anche per questo non parteciperò mai ad un Pride a cui quest’anno ha aderito l’Ordine dei Medici. La vita dei miei  fu una vita esemplare, poche parole, ma tanti esempi di vita e di sacrificio per il loro prossimo, una moralità assoluta, una religiosità sentita, mai bigotta  e mai imposta, un amore profondo tra di loro e verso la famiglia. Mia madre che  proveniva da una agiata famiglia di imprenditori (mio nonno materno era stato nominato cavaliere del lavoro su proposta di Giolitti con cui era in stretti rapporti), attinse sempre al  suo patrimonio  personale per provvedere all’educazione dei figli. Fu per lei un piccolo trauma quando si vide declassata sulla carta d’identità post bellica  da “agiata” a “casalinga”, occupazione a cui non si dedicò mai, pur seguendo  con grande gusto la casa, il suo arredamento, i ninnoli  e ogni particolare con grande attenzione. Quando i miei andavano, dopo il mare a Bordighera, a Saint – Vincent per qualche giorno di vacanza mio padre non mancava mai di  dirmi che avrei dovuto in futuro  astenermi al gioco d’azzardo che poteva rovinare le famiglie.
L’hotel Billia dove scendevamo, era allora sede del Casinò, un luogo che lui  aborriva anche in Francia. Aveva visto un suo inquilino rovinarsi, malgrado il suo aiuto umano che consentì al poveretto  di mantenere un tetto. Mio padre mi diede un grande, ultimo  esempio di vita quando con la febbre alta (a causa della malattia che dopo ricoveri vari lo condusse alla morte dopo un calvario molto lungo) volle alzarsi dal letto per ultimare un lavoro che doveva consegnare. Questa era la sua tempra, rivelata in pace e in guerra, dove volle restare soldato, ma non volle essere partigiano perché le stellette, secondo lui , non lo consentivano.  Alzarsi dal letto e finire un lavoro avviato fu un grande insegnamento di stoicismo cristiano. Una volta mi citò Benedetto Croce che aveva conosciuto a Napoli e a Torino  e mi disse: “Non bisogna lasciarsi sedurre totalmente  dalla democrazia perché a volte è nemica della libertà,  dal moralismo nella politica, dall’umanitarismo demagogico, dall’internazionalismo che nega le patrie, dalla importanza che viene data alla gente comune”. Sono parole molto esplicite che fecero di Croce e di mio Padre dei conservatori. Mio padre, ancora in servizio, nel 1961, centenario del Regno e dell’Unità d’Italia, volle portarmi dal re Umberto II che di mia iniziativa incontrai più volte. Oggi una coppia  come quella dei miei genitori forse sarebbe cosa molto  rara, ma forse, secondo altre modalità, esistono coppie ancora oggi che non  seguono gli schemi di una società scristianizzata  priva di  valori anche laici , in cui l’edonismo fa  collezionare  amorazzi passeggeri e privi di ogni dimensione famigliare, una società dove esistono solo diritti e nessun doveri. All’età di 7 anni mio padre mi regalò copia dei “Doveri “ di Mazzini che nel 2022 pubblicai con Pedrini. Per i miei genitori la famiglia era sacra ed era una società naturale tra uomo e donna. Vissero con fastidio i primi vagiti di impostazioni ideologiche  che ritenevano  contro natura. Così la mia vita fu modulata su quegli esempi e su quelle idee , anche se  io non fui mai alla loro altezza .Ovviamente feci anche molte scelte che si discostarono dalle scelte dei miei famigliari. Quando fui candidato alle comunali , mio padre mi votò , malgrado detestasse la parte politica per cui fui candidato. Non disse nulla, ma il giorno dopo mi disse di avermi votato, criticando solo le mie ambizioni e il mio opportunismo,  tanto lontani dal nume famigliare Marcello Soleri.
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25 Aprile e 2 Giugno
Il 25 aprile ricorda la fine di una guerra terribile e la Liberazione. Ancora oggi è una data purtroppo  divisiva. Il 2 giugno che ricorda il referendum del 1946 tra Monarchia e Repubblica  e fu per alcuni anni una data altrettanto divisiva perché i monarchici in Italia furono oltre dieci milioni e l’esistenza di un partito monarchico (il PNM , perché gli altri furono partitini) portò necessariamente a tenere conto che le ragioni della Monarchia non potevano essere ignorate.
Così fecero i primi presidenti De Nicola ed Einaudi, ambedue monarchici come Croce. Il Re Umberto II partì  per l’esilio per evitare una guerra civile. Un atto che va ricordato come una gloria del suo breve Regno. Poi con la fine del partito monarchico, la morte inevitabile degli elettori monarchici del ‘46 e la inadeguatezza rispetto ad Umberto II dei suoi eredi hanno fatto sì  che la data divisiva sia diventata data unificante tra gli Italiani. A raggiungere questo obiettivo è stato decisivo Il presidente Ciampi, anticipato da Cossiga. Il 25 aprile una parte di Italiani, soprattutto del Sud ,dove non ci fu la guerra civile, lo sente estraneo. Molti giovani non sentono affatto nessuna delle due date.
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Lettere scrivere a quaglieni@gmail.com
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La fascia tricolore
Cosa pensa di Giuliano Amato che difende la sindaca di Merano che si è tolta la fascia tricolore ? A me sembra assurdo.  Anna Ferreri
Sono amico di Amato che so essere uomo di grande intelligenza . Mi stupisco che abbia definito “maschilismo“ il naturale passaggio della fascia tricolore dall’ex sindaco alla nuova sindaca. Così si fa da sempre. Forse Amato è mai stato consigliere comunale perchè subito  venne chiamato da Craxi come  parlamentare e ministro. Una piccola svista a cui il solo “Corriere” ha dedicato una notiziola di poche righe.
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Il vitalizio
L’ex governatore veneto ed ex ministro dei Beni Culturali Galan chiede di ripristinargli il vitalizio perché “privo di reddito”. La Regione Veneto  gli dice no. Lei cosa ne pensa?  Le colpe di Galan sono pesanti e accertate.  Luigi Lunardon
Mi dispiace che Galan non abbia redditi, ma i redditi, a mio modo di vedere, si producono anche e soprattutto con  il lavoro. Non voglio infierire, anche se le motivazioni delle condanne all’ex presidente Galan sono pesanti. Il vitalizio l’hanno  ridato all’ex presidente Formigoni, anche lui pluricondannato. Ricordo un episodio  curioso di quando era ministro: mi fissò un colloquio al ministero e, mentre stavo arrivando in Freccia Rossa a Roma, mi fece telefonare che il ministro aveva assunto un altro impegno e non poteva ricevermi . Non ne feci una tragedia e andai a cena  “Da Armando al Pantheon” dove verso le 22 entrò il ministro che mi “ricevette” mentre stava per mettersi a tavola con degli amici.

Pinocchio! al Torino Fringe Festival

Domenica 1 giugno, ore 17

CineTeatro Baretti, via Baretti 4, Torino

 

 

Per Igor Sibaldi le avventure di un burattino sono un romanzo teologico

 

 

Per l’ultimo appuntamento della XIII edizione del Torino Fringe Festival 2025, Igor Sibaldi con Pinocchio! racconta un Collodi sorprendente perché le sue Avventure di un burattino sono un romanzo teologico. La storia di un essere misterioso che vuole diventare un bambino, nella casa di un falegname chiamato Giuseppe, per gli amici Geppetto. Un’incarnazione, un sequel dei Vangeli, con morte e resurrezione, ma anche con la Qabbalah, l’iniziazione egizia e la mistica ebraica.

 

Igor Sibaldi è scrittore, studioso di teologia e storia delle religioni. Narra argomenti di teologia, mitologia, psicologia, filosofia, storia della letteratura, Qabbalah. Conduce seminari e conferenze in tutto il mondo. Tra i suoi libri più celebri: la trilogia de I Maestri InvisibiliLibro degli Angeli e Il codice segreto del Vangelo. Ha scritto e messo in scena alcuni testi teatrali: Francesco e i burattiniDionisoElogio dell’impossibile. Negli anni Novanta, ha tradotto Guerra e pace e molte altre opere di Tolstòj.

Info:

Domenica 1 giugno, ore 17-19

CineTeatro Baretti, via Giuseppe Baretti 4, Torino

Pinocchio!

Igor Sibaldi

Costo: 20 euro

Posti limitati

Prenotazione online su www.tofringe.it

Oltre la musica: Willie Peyote e il senso del vivere

Parlare con Willie Peyote non è mai un esercizio di routine. È un’esperienza che va oltre l’intervista, oltre la promozione: è uno scambio autentico, diretto, profondamente umano. Reduce dal successo sanremese con il brano “Grazie ma no grazie”, l’artista torinese conferma di essere rimasto fedele a se stesso. Nessuna posa da divo, nessuna distanza dal pubblico: solo la coerenza di chi continua a comunicare senza filtri, con lucidità e passione. Lo ha dimostrato ancora una volta durante un incontro d’eccezione al Salone del Libro di Torino, in dialogo con il filosofo e divulgatore Rick DuFer, in occasione della presentazione del suo ultimo libro Nessuno parla a nessuno (Cairo Editore). Ma definirlo semplicemente un “talk” sarebbe riduttivo. È stato un confronto vibrante, profondo, quasi iniziatico, che ha toccato corde delicate come il senso del fallimento, la perdita, l’importanza dei legami e la responsabilità di lasciare una traccia nel mondo. Un’ora di parole che hanno sfidato il rumore di fondo del nostro tempo. Un dialogo che ha avuto il sapore del rito: intenso, necessario, irripetibile. Con Willie Peyote, ogni conversazione è un invito a pensare — e soprattutto a sentire.

Willie, tra le tematiche che avete toccato nell’incontro c’è stata quello della perdita. Uno dei tuoi brani più intimi è stato “Sempre lo stesso film“, un brano dedicato a Libero Di Rienzo, regista e attore e tuo amico scomparso nel 2021. Un pezzo molto personale, ma che ha colpito tantissime persone. Te lo aspettavi?

Sono contento, e sinceramente non pensavo che così tante persone potessero rivedersi in un testo tanto intimo. Quella canzone è nata come una lettera a Libero. Avevo bisogno di dirgli delle cose che non ero riuscito a dirgli, soprattutto in quell’ultima telefonata a cui non ho risposto. Scrivere quella canzone mi ha costretto ad andare in profondità, a fare i conti con un dolore vero. È come se avessi fatto un riassunto dell’anno trascorso, rivolgendomi direttamente a lui. Certe persone restano importanti anche se non sono più con noi. E lo capisci solo dopo.

È un evento che ha segnato anche il tuo percorso artistico?

Ci penso, ed è giusto che sia così. Ma non direi che ha influenzato il mio percorso artistico nel senso tradizionale del termine, perché – come dicevo anche durante l’incontro con DuFer – io non vedo una separazione tra l’artista e la persona. Quella perdita mi ha colpito come essere umano, prima ancora che come musicista. Il vero dispiacere è non poter fare insieme tutte quelle cose che ci eravamo promessi. Però da eventi così tragici può nascere qualcosa di buono, se riescono a renderti una persona migliore. Allora sì, acquistano un valore.

Tra i temi che hai affrontato con Rick DuFer c’è stato anche quello del fallimento, e in un’intervista su Rolling Stone ti hanno definito “il re dei fallimenti” per la tua capacità di trasformare ciò che è scomodo in qualcosa di raccontabile. Che rapporto hai con il fallimento?

Non ho paura di parlarne, ma certo che ne ho paura come chiunque altro. Sarebbe ipocrita dire il contrario. Però non ha senso far finta che non esista: se un fallimento non diventa una spinta a migliorarsi, allora sì che diventa un vero fallimento.

Nel tuo caso non sembra mai essere stato così.

Perché cerco sempre di riflettere su quello che accade, anche quando fa male. Credo molto nel valore dell’ammissione della debolezza. La vera forza, secondo me, non è fingere di essere invincibili, ma sapere ammettere la propria fragilità. Nasconderla è la vera forma di debolezza. Affrontarla, invece, è forza.

Valeria Rombolà

Un restauro che fa importante “memoria” della nostra storia

Presentato, in Palazzo Pralormo, il restauro del “Ritratto” del conte Saluzzo di Monesiglio, generale e grande chimico. Autore, Pietro Ayres?

Nato a Saluzzo nel 1734 e scomparso a Torino nel 1810, Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio fu uno dei più illustri esponenti militari, Generale di Artiglieria, del Regno di Sardegna, ma soprattutto un grande “chimico” (fra i primi studiosi italiani di chimica dei “gas”), co-fondatore, insieme a Joseph-Louis Lagrange e a Gianfrancesco Cigna, di quella “Società Privata Torinese” che, dopo aver acquisito il nome di “Società Reale” fu trasformata, grazie all’approvazione di re Vittorio Amedeo III, in “Accademia Reale delle Scienze” (25 luglio 1783), oggi al civico 6 – priva ovviamente del titolo di “Reale” – dell’omonima via, a Torino. Il suo nome, ancora oggi, è legato in modo particolare a un tipo di “bottiglia” di sua invenzione, la “bottiglia di Monesiglio”, usata nelle esperienze di “pneumatica” per lo studio dell’anidride carbonica, mentre la Città di Torino gli ha dedicato, fin dall’ ‘800, la “via Saluzzo” (nome e date si sono, in parte, perse nel tempo durante il periodo fascista) nel quartiere di San Salvario.

Dunque, il suo, è uno (e purtroppo in buona compagnia) dei grandi nomi della storia piemontese ingiustamente trascurato e raramente ricordato in tutto il suo prestigio e in tutta la sua valenza storico-sociale.

A farne doverosa e lodevole ammenda, è oggi l’“A.N.Art.I. – Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia”, nella sua sezione torinese, cui si deve il progetto (approvato e sostenuto dallo “Stato Maggiore” dell’Esercito e dal “Ministero della Difesa”) che ha permesso di selezionare, tra la Collezione di dipinti dedicati ai personaggi militari di rilievo per la storia locale e conservati al “Museo Storico Nazionale di Artiglieria” di Torino, proprio l’ottocentesco “Ritratto” del Conte Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio, cui l’“Associazione” ha inteso dedicare un’importante “opera di restauro”.arte, storia

L’evento, rilevante sotto l’aspetto non solo storico ma anche artistico, è stato presentato nei giorni scorsi, presso il “Circolo Unificato dell’Esercito – Palazzo Pralormo” di corso Vinzaglio a Torino, alla presenza del Generale Luigi Cinaglia (Consigliere della Sezione Provinciale “A.N.Art.I.”) e di Lorenza Santa e Lucia Rossi, rispettivamente curatrice delle Collezioni dei “Musei Reali” di Torino e restauratrice con specifiche competenze nel settore dei “beni storico-artistici”.

“L’iniziativa rappresenta – ha precisato il Generale Cinaglia – un’occasione imperdibile per approfondire la storia e il recupero di un’opera che testimonia il prestigio e la memoria della tradizione militare piemontese e che sicuramente rappresenta un ‘tassello’ fondamentale del patrimonio artistico e identitario torinese”. Resta, però, il dubbio della sua attribuzione. Chi, l’autore del “Ritratto”? In merito, si sono espresse Lucia Rossi e Lorenza Santa: “Nell’ambito della sua valorizzazione la riscoperta del dipinto ottocentesco – hanno sottolineato le due studiose – ha riscosso un immediato interesse per le somiglianze con un analogo ritratto, esposto presso la ‘Galleria del Daniel’ dell’‘Appartamento di Rappresentanza’ del ‘Palazzo Reale’ di Torino, eseguito dal saviglianese ritrattista di corte Pietro Ayres nel 1840 ed anch’esso recuperato a seguito di un intervento conservativo con fondi ‘Art bonus’”.

“I restauri di entrambe le opere – hanno concluso – consentiranno ora di studiare approfonditamente i ritratti dedicati al grande scienziato piemontese, di indagare sulla committenza del re Carlo Alberto di Savoia Carignano e proseguire le collaborazioni scientifiche tra i Musei coinvolti”.

Dunque, il progetto, fatto partire, nei mesi scorsi, ha ancora un importante tragitto da compiere, al fine di dare un nome all’autore dell’opera presentata al termine del restauro. E che, se davvero fosse attribuibile a Pietro Ayres (Savigliano, 1794 – Torino, 1878) andrebbe a rinfoltire la già numerosa serie di “ritratti” d’impronta neoclassica dedicati da Ayres (cui si deve anche un album dei “costumi” e delle “armi” del Regio esercito di Carlo Alberto) a numerosi membri della famiglia reale.

Il tutto con buona (e giusta) pace per il “Ritratto”, per lo stesso Ayres e per il  grande conte, generale e indimenticato chimico, saluzzese!

Per info: “A.N.Art.I. Torino”, corso Luigi Kossuth 50, Torino; tel. 011/8170560 o

https://anartitorino.blogspot.com/?m=1

Gianni Milani

Nelle foto: La presentazione del “Ritratto” restaurato; il “Ritratto” del conte Saluzzo di Monesiglio

Una giornata dedicata alla memoria di Giorgio Amendola

 

 

Giovedì 5 giugno prossimo sarà una giornata speciale dedicata alla memoria di Giorgio Amendola, tra le personalità più influenti della storia italiana del XX secolo e alla storia della Liberazione di Torino. Nel 45esimo anniversario della sua scomparsa, la Fondazione Giorgio Amendola, da sempre protagonista nei percorsi di riqualificazione urbana e nell’organizzazione di manifestazioni artistiche e culturali nel quartiere Barriera di Milano, apre le porte della sua sede di via Tollegno 52 per un evento che unisce memoria, scuola, cultura e cittadinanza attiva, realizzato con il patrocinio del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio Regionale del Piemonte e della Città di Torino.

Insieme agli studenti della scuola Aristide Gabelli e dell’istituto Bodoni-Paravia saranno celebrati i valori della Costituzione e il coraggio di chi ha lottato per la libertà di tutti. I ragazzi presenteranno i loro progetti e riceveranno una copia della Costituzione. Dopo la cerimonia colazione per tutti nella sede della Fondazione.

Per capire, approfondire, e raccontare la storia di Giorgio Amendola e di altri grandi protagonisti della Resistenza interverranno Domenico Ravetti, vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte e Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione; Rosanna Purchia, assessora alla Cultura della Città di Torino; Claudio Della Valle, già docente ordinario di Storia Contemporanea all’Università degli Studi di Torino, Giovanni Cerchia, direttore scientifico della Fondazione Amendola; Giuseppe Iglieri, presidente Iresmo (Comitato Scientifico Fondazione Amendola) e Prospero Cerabona, presidente Fondazione Amendola.

Giorgio Amendola (Roma 1907-1980) partigiano, scrittore e politico italiano figlio dell’antifascista liberale Giovanni Amendola e dell’intellettuale lituana Eva Kuhn, dopo l’uccisione del padre da parte dei fascisti, si iscrive al Partito Comunista. Trascorre tutta la sua giovinezza tra clandestinità e esilio e confino. Durante la Resistenza ricopre incarichi rilevanti prima nel CLN romano e poi, dopo la Liberazione della Capitale, in quello torinese. Ricopre un ruolo fondamentale nella liberazione di Torino. Dopo la liberazione continua l’attività politica nel PCI come deputato e dirigente del partito.

Mara Martellotta

Luca Beatrice: Lo spazio vuoto dell’arte italiana. Intervista a Paolo Amico

Artista e testimone del legame umano e creativo con il celebre critico scomparso

Torino. Parlare del critico d’arte prematuramente scomparso è difficile per chi lo ha conosciuto. È una voce che si rompe tra la commozione, le lacrime e la paura di una solitudine nel mondo dell’arte quella di Paolo Amico, giovane artista siciliano, per alcuni anni trasferitosi a Torino alla ricerca di una nuova visione, di un’evoluzione per la sua creatività. Una città che, anche grazie alla presenza di figure come Luca Beatrice, ha potuto dare una svolta decisiva alla sua carriera.

Lo incontriamo oggi per raccogliere un ricordo personale, intimo, che restituisca a Luca anche la sua umanità più profonda.

Paolo, chi era Luca Beatrice per te?

Luca era una figura di riferimento, non solo nel mondo dell’arte, ma nel mio percorso umano. Un critico appassionato, un pensatore lucido, un uomo capace di guidare e – a volte anche di deviare – il linguaggio artistico contemporaneo. Per me è stato un faro, un sostegno, un giudice severo e un sostenitore sincero. La sua scomparsa ci lascia un vuoto enorme, e una domanda che mi tormenta: chi prenderà il suo posto? Esiste un dopo-Luca?

Ricordi il primo incontro con lui?

Sì. Era il 2014. Partecipai a una collettiva da lui curata alla Galleria Zabert. Si presentò con un atteggiamento freddo, distante. Io ero giovane, forse troppo per catturare davvero la sua attenzione. Eppure mi volle nella mostra. Per me, che lo vedevo come irraggiungibile, fu un segnale potente. Anni dopo mi ritrovai al suo tavolo, a parlare di arte e visioni. Ancora oggi mi sembra irreale.

 

C’è un episodio che ti ha segnato particolarmente?

Uno in particolare, sì. Ricordo quando disse: “Ogni artista, nella sua vita, realizza tre o quattro grandi opere.” Lo disse guardando la mia opera “L’incendio di Notre Dame”. In seguito scoprii che aveva pronunciato le stesse parole anche davanti a “La follia”, parlando con una curatrice e collezionista con cui collaboro. Quelle parole mi scossero. Mi diedero fiducia, ma anche una responsabilità: se davvero ho ancora due grandi opere da realizzare, devo farlo con consapevolezza, con cura.

 

Hai accennato a un progetto in cui Luca ti ha sostenuto. Vuoi parlarcene?

Si tratta di “Fototessere 2.0”. Luca lo apprezzava molto. Mi chiese più volte di ritrarre persone a lui care. Mi diede anche l’opportunità di presentarlo in uno studio prestigioso a Torino. La sua stima era concreta, si toccava. E quei gesti, oggi, li porto nel cuore come una medaglia invisibile.

 

Di recente hai partecipato alla presentazione del suo ultimo libro, presentazione postuma di quello che aveva appena concluso. Che cosa hai potuto apprendere?

La memoria di Luca è davvero come appariva lui, pieno di energia. La cultura, la vitalità, la passione di Luca trasparivano da ogni parola. Si è parlato di pop, di bellezza, ma soprattutto di libertà di pensiero. Luca è apparso a tutti, soprattutto nelle memorie di chi è intervenuto,come una persona che non si piegava mai ai poteri forti, non li ostacolava nemmeno, li rispettava. Ma con la sua visione li metteva in discussione, li costringeva a cambiare prospettiva. Era questo il suo anticonformismo: non era ribellione sterile, ma capacità di spostare il punto di vista, di rendere il sistema più intelligente, più umano. In quella presentazione, ho rivissuto un uomo pienamente consapevole del proprio ruolo, della propria voce. Ed oggi è per sempre apparirà ancora come una persona capace di stupire.

 

Che tipo di rapporto avevate fuori dal lavoro?

Negli ultimi tempi parlavamo spesso di moto, della Versilia, del tempo da dedicare a se stessi. Volevamo fare un giro insieme, una cosa semplice, vera. Parlava spesso del suo desiderio di passare più tempo a Pietrasanta, in mezzo alla bellezza, alle persone vere. Lo sentivo sereno, in equilibrio. E questo rende ancora più dolorosa la sua assenza.

 

Hai mai ricevuto da lui una critica dura?

Eccome. Quando proposi “La città segreta”, con installazioni artistiche nei centri cittadini, avevamo in mente una location di grande prestigio. Luca fu diretto: “Non sei all’altezza per un palcoscenico del genere.” Aveva ragione. Non ero pronto. Ma quelle parole, come i suoi consensi, mi hanno fatto crescere. Mi hanno insegnato che la credibilità si costruisce, e che lui – anche nel criticare – lo faceva per spronarti, non per abbatterti.

C’è un ricordo in particolare che oggi ti strappa un sorriso, nonostante il dolore?

Sì, uno in particolare. Ricordo che, in un messaggio mandato ad una terza persona, Luca scrisse: “È un bravo artista. È pure simpatico.”
Mi fece sorridere allora, mi fa riflettere oggi. Una battuta, certo, ma piena di quella leggerezza intelligente che solo lui sapeva usare. In quelle tre parole, c’era tutto: il riconoscimento dell’artista, ma anche dell’uomo. Per me, è stato uno dei complimenti più belli. Diretto, affettuoso, privo di sovrastrutture. Tipico di Luca.

 

Cosa resta oggi di Luca Beatrice?

Resta tutto. Resta la sua voce nelle nostre teste, i suoi giudizi nei nostri gesti, la sua visione nei nostri progetti. La domanda che mi perseguita è se ci sarà una nuova primavera per l’arte italiana, o se ci aspetta un lungo inverno. Ma una certezza c’è: Luca non sarà dimenticato. La sua eredità è viva. Dentro il sistema dell’arte e, soprattutto, in noi che lo abbiamo conosciuto. Per chi, come me, ha intrapreso il proprio cammino artistico da semplice sognatore, lui resterà per sempre un riferimento, anche ora che è diventato silenzio.

Grazie, Luca.

Pietro Ruspa

I grandi suoni di fine Primavera. Appuntamento alla Reggia di Venaria

La  grande musica internazionale di “Late Spring Music Festival”

Dal 30 maggio al 2 giugno

Venaria Reale (Torino)

Torneranno a volteggiare e a riecheggiare nell’aria, fra le suggestive “Sala di Diana” e la “Cappella di Sant’Uberto”, attraversando, lievi ma imponenti, i grandiosi “Giardini”, la maestosa “Galleria Grande” e gli spazi esterni del “Castello della Mandria”, le sontuose note di “Late Spring Music Festival”, l’innovativo progetto musicale di “fine primavera” ideato per dare voce e suoni (attraverso epoche e stili che dal Seicento arrivano, passando per i grandi del Classicismo e del periodo Romantico, alla musica contemporanea) agli imponenti e straordinari spazi barocchi della Residenza sabauda, “Patrimonio UNESCO dell’Umanità” dal 1997. Giunta alla sua terza edizione, la rassegna, ideata dal “Consorzio delle Residenze Reali Sabaude” e dall’artista in residence, il torinese Claudio Pasceri – tra i più apprezzati violoncellisti italiani e già direttore artistico di Festival prestigiosi – propone, da venerdì 30 maggio a lunedì 2 giugno, un programma musicale particolarmente intenso e sfaccettato in giornate che vedranno il susseguirsi di concerti, approfondimenti, momenti di incontro fino ad appuntamenti dedicati ai più piccoli: dai “matinée-concerto” agli “incontri del pomeriggio”, che offriranno percorsi creativi al pubblico, fino a “I Suoni della Sera”, (concerti dalla durata più significativa e dal programma più articolato), con artisti di prestigio internazionale che si esibiranno nei luoghi più iconici del complesso venariese.

“Una pacifica invasione in musica”, questa terza edizione del Festival “è stata ideata – sottolineano gli organizzatori – con l’intento di porre al centro il rapporto tra cittadino e collettività, tra espressione individuale e consapevolezza sociale, contribuendo all’inclusività di un luogo straordinario e sorprendente qual è la ‘Reggia di Venaria’”. Nell’arco delle programmate quattro giornate, la “grande musica” prenderà quindi a braccetto il pubblico più vario, più o meno musicalmente erudito e appassionato, nonché donne e uomini di ogni età: i bambini delle scuole elementari del territorio saranno protagonisti dell’opera “Twice Upon” di Luciano Berio, in occasione del centenario della nascita del Maestro e in una straordinaria prima esecuzione italiana; la pianista concertista veneta Gloria Campaner proporrà, con la sua narrazione musicale, una “palestra di emozioni” aperta a tutti; l’orchestra della “Filarmonica TRT- Teatro Regio Torino”, oltre all’esibizione concertistica, si presterà a far scoprire l’organismo “orchestra” ai bambini presenti in Reggia con i propri genitori, attraverso l’ormai collaudato format “La Voce degli strumenti” per finire con gli “ensemble” di musicisti amatori, selezionati attraverso il bando “La Repubblica della Musica”, che avranno l’occasione di esibirsi pubblicamente nel giorno della “Festa della Repubblica”lunedì 2 giugno, interpretando le  pagine di musica che più li appassionano e li ispirano.

Numerosi saranno, anche quest’anno, gli ospiti di prestigio e di diverse provenienze. Dalla Finlandia giungono il pianista Olli Mustonen ed il “Meta4 Quartet”, dalla Svizzera il raffinatissimo sassofonista Marcus Weiss, mentre tedesche sono le straordinarie Antje Weithaas e Danusha Waskiewicz, francese il virtuoso del violoncello Romain Garioud, bulgara la violinista Yana Deshkova ed estone Jone Kaliunaite. Tra gli artisti italiani, figurano nomi di primo piano come quelli del violoncellista Enrico Bronzi, della pianista Gloria Campaner e del direttore d’orchestra Francesco Bossaglia. Italiano, anche il compositore Matteo Franceschini – già “Leone d’argento” alla Biennale di Venezia nel 2019 e autore delle musiche del film “Vermiglio”, candidato agli Oscar 2024 – che, come già nelle precedenti edizioni del Festival, ha scritto un brano su commissione della “Reggia” che vedrà sabato 31 maggio la prima esecuzione assoluta.

Da non perdere, infine, i “Racconti attorno alla Musica”, momenti di incontro pomeridiani, tenuti da voci di assoluto valore del mondo musicale, ma non solo. Tra questi, il direttore d’orchestra Marco Angius, i direttori artistici della “Filarmonica Romana” e di “ARTONOV” di Bruxelles, Domenico Turi e Vincenzo Casale affiancati dall’antropologo Daniele Luzzo.

Per info su programma dettagliato e biglietti: “Reggia di Venaria”, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (Torino); tel. 011/4992300 o www.lavenaria.it

g.m.

Nelle foto: “I suoni della Reggia”, ph. Valentina Vannicola; Claudio Pasceri, Pavel Beliaev, Andrey Pushkarev in concerto, ph. Luigi De Palma; “Filarmonica TRT”; Antje Weithaas, cr. Marco Borggreve

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

Black Bag – Doppio gioco – Thriller. Regia di Steven Soderberg, con Cate Blanchett, Michael Fassbender e Pierce Brosnan. George Woodhouse, agente segreto di Sua Maestà, è incaricato di una difficile missione: dovrà, in una sola settimana, per ordine del suo diretto superiore Meacham, scoprire il colpevole della fuga di notizie al cui centro è un software conosciuto con il nome in codice Severus. Cinque gli agenti sospettati, tra i quali Kathryn, la moglie di George. Durante una cena in comune, l’agente dovrà smascherare che è il traditore del gruppo. Alla morte, quella stessa sera, di Meacham, ecco che George vede crescere i propri sospetti nei confronti della moglie. L’uomo si ritrova questa volta diviso tra l’amore per lei e il dovere nei confronti del suo paese. Durata 93 minuti. (Nazionale sala 5)

Black Tea – Drammatico. Regia di Abderrahmane Sissako, con Nina Melo. Una storia d’amore, che supera i limiti geografici e le frontiere, attraverso le distese sconfinate dell’Africa fino ad arrivare nelle cerimonie del tè in Cina. Racconta il film la storia di Joice, una giovane donna africana, trentenne, che nel giorno del suo matrimonio dice “no” e decide di lasciare la Costa d’Avorio per raggiungere il quartiere africano di Guangzhou, in Cina, e crearsi una nuova vita. Qui inizia a lavorare in un negozio di tè, apprendendo tutti i rituali delle cerimonie cinesi. Durata 110 minuti. (Classico V.O.)

Divertimento – Drammatico, musicale. Regia di Marie Castille Mention Schaar, con Oulaya Amamra e Niels Arestrup. 1195, sobborghi di Parigi. Zahia, 17 anni, sogna di diventare direttrice d’orchestra, mentre sua sorella gemella Fettouma è già un’affermata violoncellista. Cresciute immerse nella musica classica, entrambe desiderano condividerla con tutti, rendendola accessibile a chiunque e ovunque. Ma il loro sogno si scontra con le difficoltà di essere giovani donne di origine algerina ai margini della società. Da questa determinazione nasce “Divertimento”, un’orchestra che vuole abbattere ogni barriera e offrire a tutti l’opportunità di fare musica. Durata 100 minuti. (Eliseo)

Fino alle montagne – Drammatico. Regia di Sophie Deraspe, con Antoine Duval e Solène Rigot. Mathias, giovane agente pubblicitario di Montréal, decide di lasciare la sua frenetica vita di città per seguire il desiderio di riconnettersi con la natura e diventare pastore nel sud della Francia. Arrivato in Provenza senza alcuna esperienza, Mathias si scontra presto con la dura realtà del mondo pastorale, che lo costringe a mettere in discussione la sua visione romantica della professione. L’incontro con Elise, una giovane impiegata che sceglie di lasciare il lavoro per seguire il ragazzo, porta una nuova luce nel percorso formativo di Mathias, che riacquista così fiducia in se stesso e nel proprio obiettivo. I due, dopo aver ottenuto l’affidamento di un gregge di pecore, partono per la transumanza, compiendo un viaggio negli incantevoli paesaggi montuosi delle Alpi di Provenza, dove si confronteranno con sfide e incontri che li condurranno verso un nuovo stile di vita in montagna. Durata 113 minuti. (Romano sala 3)

Francesca e Giovanni – Regia di Simona Izzo e Ricky Tognazzi, con Ester Pantano e Primo Reggiani. Ci sono l’amore e l’intesa. L’impegno e il sacrificio in un paesa in tempo di guerra. Ci sono gli amici e i nemici, le battaglie e i processi, la vita quotidiana e una parte importante della nostra storia, interrotta improvvisamente quel tragico giorno di maggio del 1992, oscurato dalla strage di Capaci. Al centro della scena è una donna, Francesca Morvillo, in all’uomo con cui ha scelto di vivere accanto fino all’ultimo: Giovanni Falcone. Le loro vite si intrecciano nella stagione più difficile del conflitto tra lo Stato e Cosa Nostra. Francesca è figlia, sorella, moglie di giudici e magistrato a sua volta. Giovanni lancia la sfida più ambiziosa alla mafia insieme ai giudici del pool. Durata 90 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse)

Fuori – Drammatico. Regia di Mario Martone, con Valeria Golino, Matilda De Angelis, Elodie, Corrado Fortuna e Stefano Dionisi. Goliarda finisce in carcere per un furto di gioielli, cinque giorni di carcere, ma a Rebibbia l’incontro con alcune giovani detenute diventa per lei un’esperienza di rinascita. Una volta uscite di prigione, in una torrida estate romana, le donne continuano a frequentarsi. In questo tempo che sembra sospeso, Goliarda stringe una relazione profonda e decisiva per la sua vita, un legame autentico e trascinante che nessuno, lì fuori, riuscirà a comprendere. Questo film racconta un momento della vita di Goliarda Sapienza, scrittrice, una storia di amicizia, di amore e di libertà. Unico film italiano in concorso a Cannes, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani con la seguente motivazione: “Abbandonando qualsiasi ambizione biografica per raccontare l’estate di due amiche che si sono incontrate in carcere e decidono di lasciarsi andare alla deriva, Mario Martone trova non solo l’approccio giusto per raccontare un personaggio complesso come Goliarda Sapienza, ma anche la chiave per arricchire di sfumature il suo approccio realista, rimescolando i piani temporali e disallineando le immagini mentali. Grazie anche alla straordinaria prova delle sue attrici.” Durata 117 minuti. (Massaua, Eliseo Grande, Ideal, Nazionale sala 1, Reposi sala 5, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Mission Impossible – The Final Reckoning – Azione. Regia di Christopher McQuarrie, con Tom Cruise, Hayley Atwell, Vanessa Kirby, Hannah Waddingham e Ving Rhames. Ultima tappa del lungo percorso iniziato nel 1996 da Ethan Hunt e le sue mirabolanti imprese. L’eroe con l’intero suo gruppo è impegnato ad affrontare una nuova pericolosa minaccia: sarà suo compito scoprire due chiavi che possono sbloccare un sistema di intelligenza artificiale, in grado di far esplodere disastri e distruzioni a livello mondiale, entrando in circuiti bancari come gettando nel caos migliaia di chilometri di reti elettriche. Dovranno superare la sfida che gli tende Daniel, misterioso individuo chiuso nel passato di Ethan, anch’egli alla ricerca delle due chiavi. L’impresa sarà quella di impossessarsi del codice sorgente da un sottomarino affondato. Durata 165 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi anche V.O., The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

One to One: John & Yoko – Documentario. Regia di Kevin Macdonald e Sam Rice Edwards, con john Lennon e Yoko Ono. Vita della celebre coppia durante la permanenza nel Greenwich Village a New York tra il 1971 e il 1973, ricostruita attraverso immagini di repertorio, registrazioni di conversazioni telefoniche e un montaggio di filmati carpiti dalle trasmissioni tv dell’epoca. Il titolo si riferisce all’unico concerto completo tenuto da Lennon dopo lo scioglimento dei Beatles: un evento nato per raccogliere fondi per la Willowbrook State School, luogo di ricovero per disabili minorenni in condizioni di forte disagio. Durata 100 minuti. (Greenwich Village V.O.)

Paternal Leave – Drammatico. Regia di Alissa Jung, con Luca Marinelli e Juli Grabenhenrich. La giovane Leo, quindicenne, vive in Germania e non ha mai conosciuto il padre. Venuta a sapere della sua esistenza, decide di andare alla sua ricerca, arrivando al mare della Romagna e a un chiosco chiuso per l’intera stagione invernale. Paolo è sconcertato e confuso da quell’arrivo che riapre momenti che lui ha tentato di dimenticare, vorrebbe disfarsi di quella ragazzina, non essendo facile venire incontro alle domande che Leo fa: nei giorni successivi, tra padre e figlia si creano situazioni e interessi che prendono a renderli sempre più vicini. Ma non tutto nella convivenza risulterà facile. Durata 113 minuti. (Nazionale sala 4 V.O.)

Per amore di una donna – Drammatico. Regia di Guido Chiesa, con Ana Ularu e Marc Rissmann. Anni ’70. Esther, un’inquieta quarantenne americana, alla morte della madre riceve una lettera: deve trovare una donna vissuta negli anni Trenta in Palestina, – all’epoca sotto mandato britannico – che nasconde un segreto sulla sua vita. Arrivata in Israele, Esther è aiutata nella sua ricerca da Zayde, un professore dal passato ingombrante. Anni ’30. Un villaggio di coloni, l’atmosfera di un mondo nuovo. Il contadino Moshe, rimasto vedovo con due bambini, chiama a dargli una mano una giovane donna, Yehudit, che sconvolge la sua vita e quella di altri due uomini, il sognatore Yaakov e il commerciante Globerman. Intrecciando i fili che legano passato e presente, Esther e Zayde scopriranno una sorprendente verità sulle proprie vite. Durata 117 minuti. (Romano sala 2)

Questa sono io – Drammatico. Regia di Michal Englert e Malgorzata Szumowska, con Joanna Kulig e Mateusz Wieclawek. Aniela, fin dall’infanzia, si riconosce donna anche se alla nascita sia stata riconosciuta maschio con il nome di Andrej. Sposa Izabela e ha due figli, continua la vita di sempre ma sempre di più comprende che la sua esistenza non è quella che la sua autentica identità denuncia. Inizia il suo percorso d’affermazione di genere, un percorso fatto di difficoltà dettate nel privato come nel pubblico, continuamente ostile, anche da parte del governo del suo paese, la Polonia dove è nata, un governo avverso a riconoscere un diverso genere, attraverso anni di burocrazia e di intralci. Anche in famiglia le cose non sono facili, se genitori, figli, moglie e fratello si oppongono alla sua decisione. Durata 132 minuti. (Centrale anche V.O., Fratelli Marx sala Chico)

Scomode verità – Commedia drammatica. Regia di Mike Leigh, con Marianne Jean Baptiste. Pansy, una casalinga schiacciata dalle sue paure e in conflitto costante con il marito e il figlio, si richiude sempre più in se stessa. Sarà il confronto con la sorella Chantelle, più solare e indipendente, a riaprire vecchie ferite, ma anche a offrirle una possibilità di rinascita. Durata 97 minuti. (Nazionale sala 3)

La trama fenicia – Commedia drammatica. Regia di Wes Anderson, con Benicio del Toro, Mia Threapleton, Michael Cera, Tom Hanks, Scarlett Johansson, Charlotte Gainsbourg e Bill Murray. Sopravvissuto a un incidente aereo per la sesta volta in tutta la sua vita, il magnate internazionale Zsa-Zsa Korda tenta di ricucire i rapporti con sua figlia Liesl, nel frattempo diventata suora, che non vede da troppo tempo. Durata 102 minuti. (Eliseo, Fratelli Marx sala Harpo anche V.O., Massimo V.O., Nazionale sala 2 anche V.O., The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco, Uci Moncalieri anche V.O.)

L’ultima regina – Storico, drammatico. Regia di Karim Aïnouz, con Alicia Vikander e Jude Law. Nell’Inghilterra dei Tudor intrise di sangue, Catherine Parr cerca di destreggiarsi nella politica inglese quando diventa la sesta (e ultima) moglie di Enrico VIII. Verrà nominata reggente mentre lui è fuori a combattere, quando il sovrano tornerà sarà costretta a fronteggiare non soltanto il suo terribile carattere – causa della fine di tutti i matrimoni precedenti, alcuni sfociati nelle morti sanguinose delle regine – ma anche l’intransigenza contro chiunque abbia simpatia per i protestanti. Evidentemente intenzionate a non edulcorare lai il proprio racconto, adattato dal libro “Queen’s Gambit” scritto da Elizabeth Fremantle, Ainouz racconta con stile asciutto e senza risparmiare dettagli cruenti e raccapriccianti una storia di corte che è al tempo stesso un thriller psicologico sulla violenza patriarcale, dentro e fuori le mura domestiche. Un titanico Jude Law è un collerico e delirante Enrico, sovrappeso, in tutti i suoi tratti shakespeariano. Durata 121 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Greenwich Village sala 3, Lux sala 3, Romana sala 1, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)