Venerdì 24 ottobre debutto nazionale all’Alfieri
Difficile immaginare come il palcoscenico torinese dell’Alfieri – da venerdì 24, tre repliche, in prima nazionale poi una lunga tournée sino a gennaio – possa contenere gli ampi spazi del Wyoming, le montagne e la ricca vegetazione e le mandrie, un’America rurale di metà degli anni Sessanta fatta di piccoli paesi e comunità non certo avanzate nella mentalità e nello stile di vita. Sono gli spazi raccontati dalla scrittrice Annie Proulx nel suo racconto breve “Brokeback Mountain”, uscito sulle pagine del New Yorker nel 1997, che il regista Ang Lee, originario di Taiwan, portò sullo schermo esattamente vent’anni fa: la stesura di una sceneggiatura e una pre-realizzazione contrastate, chiamando a interpretarlo e dirigerlo attori del calibro di Matt Damon o Mark Wahlberg o Joaquin Phoenix e registi come Gus Van Sant o l’europeo Pedro Almodòvar. Tema difficile e spinoso l’amore tra due giovani uomini, una vicenda chiusa a cui il pubblico ancora forse non era del tutto preparato, una proposta azzardata che sarebbe anche stata in grado di bloccare una carriera e nessuno accettò il progetto. Il film alla fine si fece, raggiunse guadagni che moltiplicarono ben più di dieci volte l’iniziale budget di 14 milioni di dollari, s’aggiudicò il Leone d’oro alla Mostra di Venezia, tre Oscar (su otto candidature) per la migliore regia, miglior sceneggiatura non originale e colonna sonora, quattro Golden Globe e altrettanti Bafta, ebbe critiche ovunque entusiaste, fu il vero trampolino di lancio per Jake Gyllenhaal (come Jack Twist) e lo scomparso Heath Ledger (come Ennis Del Mar).
Ma il racconto dei due mandriani che accettano un lavoro e un isolamento per mesi, che allontanati dal mondo vivono una storia d’amore nascosto e rivelato poi tra le ostilità di tutti, tra le pareti di casa innanzitutto, una storia che porta ad abbandoni e a ritrovamenti sino ad arrivare alla morte, non è soltanto fatto di belle visioni e di paesaggi che letterariamente e cinematograficamente toglievano il fiato: “Brokeback” è storia profonda di sentimenti e delle parole che li esprimono, di una coscienza di sé e di uno svelamento che prendono affermazione a poco a poco, lo scavo eccellente di comportamenti e psicologie, il terreno di un importante impatto emotivo, un luogo intimo di commozione che sin dal suo apparire ha sempre dimenticato la focalizzazione di uno spazio e di un tempo: un successo annunciato per molti versi, ma capace anche di ottenere parecchi ostacoli al suo apparire. Non solo la censura cinese o quella del Medio Oriente, anche una intera catena di cinema nello stato dello Utah annullò, senza nessuna spiegazione agli spettatori, le proiezioni del film, giustificando quella decisione in seguito con la presenza di qualcosa di molto sbagliato all’interno della vicenda.
Prendendo necessariamente altre strade, “Brokeback” è divenuto una “play with music”, una versione teatrale scritta da Ashley Robinson, con le musiche di Dan Gillespie Sells, che ha visto il proprio debutto a Londra nel 2023, con enorme successo di pubblico e di critica. Il milanese Teatro Carcano, con Altra Scena & GF Entertainment e Accademia Perduta Romagna Teatri, la propone al pubblico italiano per la versione e la regia di Giancarlo Nicoletti, le scene di Alessandro Chiti e i costumi di Giulia Pagliarulo. L’intera partitura musicale è affidata alla voce di Malika Ayane e alla live band capitanata da Marco Bosco al pianoforte, accompagnato da Giacomo Belli (chitarre) e Giulio Scarpato (basso e contrabbasso). Ha detto Nicoletti (di cui nel maggio prossimo il TST riproporrà al Gobetti la bella regia dei “Due papi”, già visto sul palcoscenico del Gioiello): “Portare ‘Brokeback Mountain’ a teatro è un esercizio di sottrazione e di fiducia. Fiducia nella potenza del racconto, dei personaggi e nella capacità del linguaggio teatrale, la vastità dei luoghi – così centrale nel racconto originale – viene allora affidata alla musica, ai giochi di luce, alla suggestione teatral/cinematografica (con l’utilizzo di videoproiezioni e camere live), in uno spazio in costante trasformazione, che si dilata e contrae, facendosi intimo e aprendosi all’orizzonte, in relazione con ciò che accade tra i corpi in scena.”
Nei ruoli dei protagonisti, Edoardo Purgatori, già visto in “Diamanti” di Ozpetek e “Siccità” con la regia di Paolo Virzì, e Filippo Contri, compagno di scena di Carlo Verdone nel televisivo “Vita da Carlo”.
Elio Rabbione
Nelle immagini, Edoardo Purgatori e Filippo Contri fotografati da Carlo Mogiani, e Malika Ayane, foto di Attilio Cusani.





Ribadisco il concetto che l’arte vada insegnata nel modo più concreto possibile, invitando i ragazzi a guardare le architetture dal vivo -nel limite del possibile ovviamente- e non solo sulle pagine dei libri o attraverso la LIM, convincendoli a toccare colori e materiali, e se anche se ci si sporca un po’ non è un problema. È così che mi piacerebbe poter spiegare alle mie classi il “Barocco”, portando i ragazzi a passeggiare per le vie del centro, fermandoci a commentare e a chiacchierare tra piazza Castello e Piazza Vittorio, desidererei poterli condurre alla Palazzina di Caccia di Stupinigi o alla Basilica di Superga, rendendo loro lo studio un’esperienza concreta e trasformando delle nozioni prettamente storico-artistiche in un autentico ricordo di vita.
Immaginiamo ora di prendere un pullman e di allontanarci dei rumori della città. La nostra direzione è la verdeggiante collina torinese, dove ci aspetta uno dei simboli della città subalpina. La Basilica di Superga, edificata tra il 1717 e il 1731, svolge una duplice funzione, essa è sia mausoleo della famiglia Savoia, sia edificio celebrativo dedicato alla vittoria ottenuta contro l’esercito francese nel 1706. L’edificio svetta su un’altura, la posizione è tipica dei santuari tardobarocchi, soprattutto di area tedesca. L’impianto centralizzato con pronao ricorda il Pantheon, la cupola inquadrata da campanili borrominiani, invece, si ispira a Michelangelo. Nonostante i modelli di riferimento, sono del tutto assenti quelle tensioni tipiche del Buonarroti o dell’arte barocca: il nucleo centrale ottagonale si dilata nello spazio definito dal perimetro circolare del cilindro esterno, perno di tutto l’edificio; da qui si protendono con uguale lunghezza il pronao arioso e le due ali simmetriche su cui si innestano i campanili. Quest’ultima parte è in realtà la facciata del monastero addossato alla chiesa che su uno dei lati corti fa corpo con essa. L’edificio si estende nello spazio e asseconda l’andamento della collina, e diventa un nuovo e interessante punto di osservazione per chi si trova a guardare verso le alture torinesi.