CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 424

“La voce dei libri” A Chieri un progetto per gli ospiti delle RSA

La lettura, un volto e una voce narrante per alleviare la solitudine di quanti, più di altri, hanno provato e provano l’enorme macigno del “sentirsi soli” in questi terribili mesi di pandemia.

E’ rivolto a loro, agli ospiti delle RSA di Chieri, il progetto “La voce dei libri”, attivato dalla locale “Biblioteca Civica”, in collaborazione con le Case di Riposo “Orfanelle” e “Giovanni XXIII”.

L’iniziativa consiste nel trasmettere ai due istituti di cura per anziani , due volte alla settimana, video e audio, della durata di circa 15-20 minuti, nei quali un bibliotecario, per far compagnia agli ospiti, legge brevi racconti e, prossimamente, anche classici della letteratura, esposti in modo sintetico. “In considerazione del protrarsi del periodo di emergenza sanitaria e del conseguente isolamento a cui gli anziani ospiti sono costretti per preservare la propria salute – spiega Silvia Basso, direttrice della Biblioteca Civica- abbiamo pensato di far sentire la vicinanza della Biblioteca e della Città, proponendo una modalità di interazione sicura e, nello stesso tempo, utile a far sentire meno soli gli ospiti delle nostre strutture. Siamo felici che i rispettivi direttori dei due istituti, la dottoressa Paola De Nale e il dottor Federico Fenu, abbiano accolto con entusiasmo questo progetto”.
Videoletture ed audioletture potranno così essere proposte agli ospiti nei momenti più adeguati; sia durante i tempi di svago collettivo negli spazi comuni, sia per accompagnare le ore di solitudine dei soggetti costretti alla quarantena dopo il rientro da un ricovero. “ Si tratta di un progetto- commenta l’assessore alla Cultura e alla Biblioteca Antonella Giordano- che conferma l’attenzione dell’amministrazione nei confronti dei soggetti più fragili, come sono i nostri anziani. Le Rsa hanno pagato un prezzo drammatico alla pandemia, e tuttora, nonostante tutti gli ospiti e il personale siano vaccinati, permane l’isolamento rispetto all’esterno e la solitudine. Nelle scorse settimane abbiamo messo a disposizione delle due Rsa chieresi le ‘stanze degli abbracci’, ora, grazie ai nostri bibliotecari, portiamo la voce dei libri, sperando così di regalare loro serenità e speranza”. E di certo preziose “vitamine” per la mente. Che la lettura offre con ampia generosità. Diceva Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la Medicina 1986: “Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso che quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”.

g. m.

I libri più letti e commentati a Marzo

Le proposte più interessanti del nostro gruppo questo mese riguardano un romanzo grafico, premiato e già considerato un classico, come Asterios Polyp di David Mazzucchelli (Coconino Press); il romanzo storico Quando le anime si sollevano (Alet Edizioni), dello scrittore americano Madison Smart Bell, che racconta l’epopea del Napoleone nero Toussaint Loverture; ultima segnalazione per la splendida raccolta di Ann Sepolveda Favole moderne per crescere bambini intelligenti (Edicart), una lettura semplice ma stimolante e affascinante, in grado di piacere a piccoli e grandi.

La nostra guida alla scoperta delle case editrici indipendenti questo mese ci porta a conoscere LEF, acronimo di Libreria Editrice Fiorentina, fondata nel 1902 e da sempre punto di riferimento per la promozione di una cultura ecologista profonda, condivisa da cattolici e laici, identificata dal pensiero profetico di autori come Don Milani, La Pira, Fukuoka, Wendell Berry, Ivan Illich, Vandana Shiva; oggi più che mai LEF è all’avanguardia nella dinamica convergenza fra fede, spiritualità, ecologia, umanesimo e sacralità della natura sotto la guida di Giannozzo Pucci (QUI potete leggere l’intervista che ci ha rilasciato) che ha mantenuto l’impegno cattolico, sociale e fortemente ecologista senza tralasciare l’interesse per le tradizioni popolari:  dal 2004  LEF pubblica  “L’ecologist italiano“, redazione italiana di “The ecologist“, la prima rivista ecologista fondata da Edward Goldsmith nel 1970. La Lef ha mantenuto vivo lo spirito delle collane del suo passato che ne hanno fatto la storia e il prestigio rendendole attuali con un messaggio mai scontato o banale.

Tra i grandi nomi e i titoli fondamentali dell’editore si segnalano soprattutto le pubblicazioni di Giorgio La Pira e Don Milani, la collana di agricoltura naturale “Quaderni di Ontignano” diretta da Giannozzo Pucci (Masanobu Fukuoka, “La rivoluzione del filo di paglia” e altri), la collana teologica “Ricerca del Graal” che ha raccolto documenti di spiritualità universale.

 

Incontri con gli autori

Questo mese, in collaborazione con il sito  Novità in libreria.it, il nostro staff ha intervistato Giuseppe Scarimbolo che racconta ai lettori come è nata l’idea del suo romanzo  Tiflis – Un giorno di pioggiaCarlo Moiraghi, per parlare con lui di Giallo Indiano (Noi Edizioni), Teresa La Scala, autrice di Spruìgno e Paola Poli, che racconta la genesi di Le ventuno lune di Guna (Noi Edizioni).

redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Per questo mese è tutto,  vi invitiamo a venirci a trovare sul nostro

Sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Concerto di Pasqua online al Teatro Regio

Musica sacra, musica mirabile
Andrea Secchi dirige il Coro del Teatro Regio
Giulio Laguzzi al pianoforte

Il Regio online 2021
Streaming gratuito sul sito del Regio, da giovedì 1 aprile 2021 ore 20

 

Giovedì 1 aprile alle ore 20 sul sito www.teatroregio.torino.it, l’appuntamento in streaming è con il Concerto di Pasqua: Andrea Secchi dirige il Coro Teatro Regio Torino, accompagnato al pianoforte da Giulio Laguzzi. «Il concerto è gratuito e vuol essere augurio di rinascita per tutti da parte del Regio – sottolinea Andrea Secchi – l’arricchimento che può dare la musica è sempre fondamentale qualunque sia il momento difficile che si sta attraversando, ancor più in questo delicato periodo». In programma, un percorso nei secoli tra le pagine più ispirate e commoventi del repertorio corale religioso. Per l’occasione, il Coro si presenta con un organico di 63 artisti e si vedrà un’insolita disposizione: il pianoforte sarà posizionato dando le spalle al palco, mentre gli artisti saranno in platea occupando varie file per rispettare le regole del distanziamento.

Apre il concerto: Crucifixus, del veneziano Antonio Lotti, per coro a otto voci a cappella: composto intorno al 1717, il brano fa parte di un Credo e ha sempre incontrato grandissimo apprezzamento per la sintesi ammirevole di drammaticità e cantabilità: le otto voci entrano partendo dalla più grave e risalgono via via verso l’alto, imitandosi, cozzando, sprigionando frammenti di commosso lirismo.

«Wir setzen uns mit Tränen nieder» è una pagina di alta spiritualità che conclude la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach: potente cattedrale sonora in cui due cori, ora echeggiandosi, ora sovrapponendosi, innalzano il loro compianto sulla tomba di Cristo. Nel tema principale, che torna più volte, gli accenti drammatici sono mitigati con una dolcezza da ninna nanna che si ribadisce nel frequente ripetersi dell’esortazione «ruhe», riposa. L’impatto emotivo di questa pagina ha suggerito a diversi registi di cinema di farne uso, e sempre con una finalità catartica, di pianto sulle sciagure umane: basti pensare a Pasolini in Accattone oppure a Martin Scorsese in Casinò.

Liberamente ricavata da un passo della lettera di San Paolo ai Filippesi, la preghiera del Christus factus est rientra nella liturgia specifica del triduo pasquale, precisamente nelle “tenebrae”, così dette perché a mano a mano che si svolgono vengono spente una dopo l’altra le quindici candele, finché la chiesa resta al buio. Questo mottetto per coro a quattro voci a cappella di Anton Bruckner si contraddistingue per l’attacco sommesso (Moderato misterioso) dal sapore delle polifonie rinascimentali. Poi, in un graduale crescendo, le voci arrivano fino a un fortissimo in corrispondenza delle parole chiave «super omne nomen», su cui la scrittura torna a rarefarsi.

La supplica sale al cielo con O salutaris hostia di Gioachino Rossini, inno composto nel 1857 per coro a cappella a quattro parti. Il brano ha una paternità letteraria illustre: secondo la tradizione lo scrisse Tommaso d’Aquino per la festa del Corpus Domini ed entrò poi nell’uso come benedizione eucaristica, come il «Tantum ergo».

Il concerto prosegue con le Laudi alla Vergine Maria da Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi. Eccezion fatta per il Requiem composto per la morte di Alessandro Manzoni fra il 1873 e il 1874, Giuseppe Verdi non era mai più tornato sul genere sacro, che pure aveva costituito una parte determinante del suo apprendistato giovanile a Busseto. In età avanzata ne fu invece di nuovo attratto in alcune, pur rare, occasioni – mai di circostanza, sempre scaturite da un impulso personale. Così compose le Laudi alla Vergine Maria, sopra i versi della preghiera «Vergine, madre, figlia del tuo Figlio» su cui si apre l’ultimo canto del Paradiso di Dante. Le Laudi, terminate nel 1889 nel periodo compreso fra Otello e Falstaff, alla prima esecuzione (a Parigi per la stagione dei Concert Spirituel, poi a Torino in prima italiana) furono accolte con tale entusiasmo che si dovette farne il bis.

Infine, quattro brani di Gabriel Fauré: En Prière, Cantique de Jean Racine e, dal Requiem, Agnus Dei e In Paradisum. En Prière, con la sua ricorsività semplice e dimessa, dà voce a un insolito Gesù Bambino in preghiera; il Cantique de Jean Racine, scritto da un Fauré appena ventenne, comincia al pianoforte col sapore di una romanza senza parole, su cui il coro spicca per la compattezza venata di cantabilità. Tratto dal suo capolavoro sacro, ossia il Requiem che accompagnò le esequie dello stesso Fauré, l’Agnus Dei è fra i momenti più drammatici di una composizione che si scosta per molti aspetti dal Requiem tradizionale, specialmente nella scelta di non musicare il Dies irae se non per i due versi conclusivi del Pie Jesu intonati da una voce bianca. Compare invece, come conclusione catartica del lavoro, la preghiera In Paradisum, col suo messaggio di speranza e l’immagine degli angeli che portano l’anima in cielo sopra l’affettuosa sollecitudine dell’accompagnamento.

Andrea Secchi si è diplomato a pieni voti in Pianoforte presso il Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze con Giorgio Sacchetti. Si è perfezionato con Paul Badura-Skoda, Joaquín Achúcarro e Maurizio Pollini; ed è stato allievo di Andrea Lucchesini all’Accademia Internazionale di Musica di Pinerolo e, per la Direzione d’orchestra, di Piero Bellugi. Si è esibito in Italia e all’estero riscuotendo ovunque unanimi e calorosi consensi per la sua personalità e passione interpretativa. Ha vinto oltre venti concorsi nazionali e internazionali ottenendo premi speciali per la migliore interpretazione di musiche di Bach, Mozart, Schubert, Schönberg e Beethoven. Nel 2003 si è distinto come miglior italiano nella prestigiosa Leeds International Piano Competition, raggiungendo la semifinale, ottenendo un notevole apprezzamento da parte di pubblico e critica e debuttando dunque alla Salle Cortot di Parigi. Vasta è la sua esperienza anche nel repertorio operistico. Dal 2006 al 2013 è stato Altro maestro del coro del Maggio Musicale Fiorentino; dal 2013 è stato Maestro sostituto e Altro maestro del Coro alla Den Norske Opera & Ballett di Oslo. Come maestro collaboratore è stato invitato alla Staatsoper di Vienna e al Teatro Regio dove, dopo una prima collaborazione nel 2012-2013, ha assunto dal 2018 il ruolo di Direttore del Coro.

Giulio Laguzzi si diploma in Pianoforte con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio di Cuneo, e successivamente in Composizione al Conservatorio di Alessandria. Dal 1990 ha collaborato con il Teatro Carlo Felice di Genova, il Teatro San Carlo di Napoli, l’Arena di Verona: con l’orchestra dell’Arena ha eseguito, in veste di solista al pianoforte, Rhapsody in blue di Gershwin. Dal 1997 lavora al Teatro Regio, dove ricopre il ruolo di Direttore musicale del palcoscenico, e dove ha diretto l’orchestra in alcuni concerti e in opere per ragazzi. In qualità di pianista accompagnatore si è esibito in numerosi concerti in Italia e all’estero. Con il Primo violino ed il Primo violoncello del Teatro Regio costituisce il Trio Highlights, che ha tenuto numerosi concerti in Italia ed in Giappone.

Link per lo streaming gratuito del Concerto di Pasqua:
www.teatroregio.torino.it/regio-online-2021-2021/concerto-di-pasqua

Per informazioni: www.teatroregio.torino.it

Francesca Lavazza è la nuova Presidente del Castello di Rivoli

Il Cda ha votato all’unanimità l’imprenditrice torinese al vertice dell’Ente

 

Francesca Lavazza è la nuova Presidente del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea: lo ha stabilito l’Assemblea dei Soci dell’Ente, riunitasi questa mattina in videoconferenza assieme con l’assessorato regionale alla Cultura.

«Esprimo grande soddisfazione per la scelta di Francesca Lavazza – ha sottolineato l’assessore alla Cultura, Vittoria Poggio – un profilo di grande competenza e di spessore, propedeutico per lo svolgimento delle attività di questo Ente a cui la Regione conferma fiducia e sostegno per allargare il ventaglio dell’offerta culturale verso un pubblico sempre più internazionale».

Francesca Lavazza succede a Fiorenzo Alfieri recentemente scomparso e rimasto in carica dal 2019 al 2020.

«Sono felice di accettare l’incarico di Presidente del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea – ha detto Francesca Lavazza – e, nel farlo, permettetemi di ringraziare tutti coloro che hanno calorosamente sostenuto la mia candidatura. Ricoprire il ruolo che è stato di Fiorenzo Alfieri e proseguire il lavoro svolto fino ad ora tenendo salda la rotta da lui segnata in ambito culturale, così importante per visione e portata, è per me un enorme privilegioUna cultura di rete, una propensione internazionale, un’arte narrata e condivisa che ritrovo nel percorso intrapreso con Lavazza in questi anni, fondato proprio sul concetto di attrattività e stimolo per un pubblico eterogeneo nel quale le generazioni più giovani giocano un ruolo fondamentale e ispiratore. Insieme al Direttore Carolyn Christov-Bakargiev e a tutto il gruppo di lavoro del Castello di Rivoli, lavoreremo per confermare questo nostro orizzonte: costruire cultura con impegno e visione, nella speranza che si possa tornare presto a riaprire gli spazi del Museo».

Oltre il Muro. Un libro per capire il mondo trent’anni dopo il 1989

Oltre il Muro 1989-2019  è il secondo libro pubblicato  nella collana Attraversare il tempo edita da Falsopiano e promossa dall’Isral, l’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea di Alessandria.  La pubblicazione, curata da Luciana Ziruolo – direttrice dell’Istituto e storica – raccoglie le suggestioni e i temi sviluppati durante la giornata di studi svoltasi  il 6 novembre 2019 nella Sala Convegni della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona.

Con la caduta del Muro nel 1989 e la dissoluzione dell’Urss nel 1991 si sovvertì il quadro geopolitico mondiale. Finiva della Guerra fredda e tramontava l’arduo equilibrio del bipolarismo, l’intero ordine mondiale si dissolveva dopo una lunga e logorante guerra di nervi e diplomazie, segnata dalla folle ricorsa tesa a rafforzare arsenali bellici sempre più distruttivi e sofisticati che non potevano essere usati pena lo sterminio nucleare. A trent’anni di distanza ci si trova di fronte ad una complessa  disarticolazione dell’ordine internazionale che rende sempre meno convincenti e possibili le premesse di un mondo pacificato. Sulle pagine de Il Corriere della Sera, lunedì 1 luglio 2019, lo scrittore triestino Claudio Magris che ha affrontato il tema delle frontiere in molte sue opere di narrativa e saggistica, riflettendo sui nuovi muri che si stavano erigendo nel mondo, scriveva “quando ero ragazzino la frontiera, vicinissima, non era una frontiera qualsiasi, bensì una frontiera che divideva in due il mondo , la Cortina di ferro. Io vedevo quella frontiera sul Carso, quando andavo a passeggiare e a giocare. Dietro quella frontiera c’era un mondo sconosciuto, immenso, minaccioso, il mondo dell’Est”. Un mondo che, come in un grande gioco del domino, cadrà pezzo su pezzo dopo il crollo del muro che divideva Berlino Est da Berlino Ovest. Una transizione di portata vastissima, quasi sempre incruenta a parte ciò che avvenne in Romania, unico paese del Patto di Varsavia nel quale la fine del regime di Ceausescu avvenne in modo violento.

L’intento del  libro è di  provare a decifrare e a interpretare il 1989 e il suo portato, una questione che non riguarda solo l’Europa centro-orientale dell’ex blocco sotto il dominio sovietico  ma che attraversa l’intero spazio europeo e mondiale. Un lavoro importante che si avvale dei contributi di storici e ricercatori come Antonio Brusa, Luigi Bonanate, Alberto De Bernardi, Antonella Ferraris, Carla Marcellini, Dario Siess e la stessa Luciana Ziruolo.

Corredato da interessanti rimandi bibliografici e sitografici e un apparato di mappe e immagini che aiutano i lettore a capire meglio ciò che accadde a partire da quell’anno che cambiò la storia fino ai giorni nostri, dal momento che vennero  ridisegnate le carte geografiche e i confini mentali, si riunì l’Europa ( iniziando dalla Germania) fino alla sfide democratiche dell’oggi, all’idea di unione europea e di democrazia con le quali facciamo i conti tutti i giorni, non senza difficoltà. Di grande interesse anche la parte delle proposte dedicate al mondo della scuola, con i lavori impostati sulle immagini, i film ( dal Cielo sopra Berlino di Wenders a Good Bye,Lenin fino a Il ponte delle spie di Spielberg), la playlist musicale con Lou Reed e il suo concept album Berlin, i Pink Floyd del celeberrimo Another brick in the Wall, l’indimenticabile David Bowie di Heroes e i nostri Battiato di Alexanderplatz e i CCCP di Ferretti e Zamboni con il live in Pancow.

Marco Travaglini

La Banda Cavallero, ricordi di una brutta storia in Barriera

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COSA SUCCEDEVA IN CITTÀ

Il 28 settembre del 1967 ci svegliammo  in Barriera di Milano con la consapevolezza che dei mostri abitavano nelle nostre vie

A 10 anni e vedendo il telegiornale conobbi l’esistenza di Pietro Cavallero. Si autodefiniva comunista.
Guardai mio padre che non ebbe dubbi nel rispondermi: un poco di buono,  ed abbiamo fatto bene buttarlo fuori dal Partito. Molto conosciuto in Barriera.  Soprattutto tra piazza Crispi e le case Snia a ridosso della ferrovia. Per tutto corso Vercelli. Via Desana , in particolare. Solo anni dopo ho capito fino in fondo. C’era chi diceva che era solo un semplice iscritto,  chi segretario della sezione 32 o 9,  e chi addirittura funzionario di Partito. Nessuno ne parlava volentieri. Tanta era la vergogna perché qualcuno sapeva o perlomeno sospettava. La banda Cavallero operò per almeno 5 o 6 anni. Romoletto ex partigiano,  tanto fegato e cervello da gallina.
Alla sua prima rapina fu preso il minorenne Lopez. Sante Notarnicola che per tutta la vita cerco’ di darsi un alibi di rivoluzionario. Diventantando in qualche modo un’icona del terrorismo rosso. Dimostrazione che la stupidità umana non ha colore politico. Considerato un povero disgraziato raccontava di quanto rubo’ un camion di scarpe solo sinistre. Un’allegoria per significare la sua nullità. Capo indiscusso Pietro Cavallero. Cinico,  indubbiamente intelligente,  sicuramente un esaltato.
17 rapine con tanti, troppi morti,  sono tante, sono troppe. Cosa faceva la polizia?  Non capiva da dove arrivassero le armi. Già,  proprio cosi , da dove arrivavano le armi per fare le rapine?
Raccontata oggi può sembrare l’uovo di Colombo, ma non lo era 60 anni fa. Pietro Cavallero raccoglieva soldi tra i compagni di Barriera. Compero’ armi per i patrioti algerini contro l’occupazione Francese. Effettivamente consegno’ le armi , tenendosene una minima parte per se’. Dunque? Qualcuno sapeva e tacendo ne è  diventato in qualche modo complice. Sapeva tutto? Forse no, anzi quasi sicuramente no,  ma era ed è altrettanto chiaro che qualcosa non tornava.
Orbene,  non credo di aver letto o sentito tutto ciò che è stato raccontato sulla banda Cavallero. Nessuno,  che io sappia ha raccontato,  ad esempio,  questo episodio sulle armi. Poi nessuno,  sempre che io sappia,  di Barriera,  nato e/o vissuto in Barriera ha scritto della Banda. Niente da dire se non che , si tende a raccontare ciò che è bello. La Storia della Banda Cavallero non ha nulla di bello  e Barriera solo la vergogna di aver dato i natali a queste persone. Ma anche questa è Storia. Ed anche ricordarcelo fa parte delle nostre Vite. Della nostra memoria,  del nostro voler sapere per potere capire fino in fondo. Il più delle volte il male è limitrofo al bene. Saperlo non è cosa da poco per essere,  ancora,  dei genitori,  che hanno ancora qualcosa da raccontare ai propri figli.
Anche le cose brutte,  anche il male,  per poter essere  sempre  dalla parte del giusto.

Patrizio Tosetto 

Film Fund, la Regione sostiene cinema e tv

La Regione ha confermato anche per quest’anno il sostegno al programma «Piemonte Film Tv Fund» dedicato alle imprese di produzione audiovisiva, cinematografica e televisiva con una dotazione di 1,5 milioni di euro. La delibera, approvata questa mattina dalla Giunta, porta la firma degli assessori alle Pmi, Andrea Tronzano e alla Cultura, Vittoria Poggio: entro metà aprile sarà pubblicato sul sito della Regione l’avviso con i criteri e i requisiti per partecipare alla selezione.

L’ASSESSORE ALLA CULTURA, VITTORIA POGGIO: «SEGMENTO IN ESPANSIONE CHE HA PRODOTTO RICADUTE DI 21 MILIONI NEGLI ANNI PRECEDENTI»

«In questi anni il consumo di prodotti televisivi e cinematografici da parte delle famiglie è aumentato moltissimo – ha sottolineato l’assessore Poggio – In questo periodo sono presenti in Piemonte numerose troupe impegnate nella realizzazione di riprese per il cinema e per la tv. Si tratta, quindi, di un segmento in grande espansione da sostenere come industria a cui dare valore per aiutare le aziende e allo stesso tempo per mantenere viva la cultura audiovisiva e cinematografica nata proprio a Torino assieme con la Rai».

«Un comparto quello delle attività audiovisive – aggiunge l’Assessore Tronzano – che esprime, come ho potuto verificare di persona nel corso delle visite alle aziende, professionalità eccellenti nel nostro territorio, con un numero multiforme di micro piccole e medie imprese che operano con grande qualità. Piemonte Film Tv Fund si conferma uno strumento valido per favorire lo sviluppo economico e professionale del settore della produzione cinematografica e televisiva.

Il provvedimento rientra nel pacchetto di misure a sostegno del comparto della Cultura. Il progetto «Piemonte Film Tv Fund» già avviato negli anni precedenti ha dato origine a ricadute economiche di 21 milioni di euro a fronte dei 4 assegnati dalla Regione a titolo di contributo.

«L’esperienza di “Piemonte Film Tv Fund” – ha aggiunto l’assessore Poggio – nel triennio 2018-2020 è stata molto positiva: a fronte di 27 opere finanziate e di 4 milioni di euro di contributi a fondo perduto concessi alle imprese, vi è stata una ricaduta in termini complessivi sul Piemonte tra personale, beni e servizi e strutture ricettive superiore ai 21 milioni di euro».

Questo settore, soltanto per quanto riguarda la filiera cinematografica tra produttori, distributori, industrie tecniche, esercenti, produttori di apparecchi cinematografici genera un giro d’affari di circa 4 miliardi di euro in Italia e vede attive oltre 2.000 aziende, in prevalenza di piccole dimensioni il 97% delle quali è sotto i 10 milioni di fatturato.

Il lato artistico del “Dantedì”: quando l’arte incontra Dante

Da poco è passato il “Dantedì”, ossia la giornata nazionale dedicata al “Sommo Poeta”. La data -25 marzo- è stata approvata in vista del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, avvenuta il 14 settembre 1321, e in corrispondenza dello stesso giorno del 1300 in cui, secondo tradizione, l’autore fiorentino si smarrisce “nella selva oscura”.

È stata di Paolo di Stefano, giornalista e scrittore, l’idea che il padre della lingua italiana avesse un giorno “tutto suo” sul calendario, così come James Joyce (1882-1941) ha il proprio “Bloomsday”. Per James Joyce si tratta della commemorazione annuale dello scrittore irlandese, che si tiene ogni 16 giugno ed è sentita in particolar modo a Dublino; la data scelta rimanda agli eventi dell’ “Ulisse”(1922), che si svolgono tutti nel medesimo dì, proprio il 16 giugno del 1904.

Come docente di Arte, quest’anno ho partecipato attivamente al ricordo dantesco con le mie classi, e, avvalendomi dell’indiscusso potere delle immagini, ho preparato una lezione dedicata a “Dante nell’arte”, per riflettere con i miei studenti su quanto l’autore preso in esame abbia ispirato l’immaginario collettivo.
È la “Commedia” di certo l’opera che è stata maggiormente ripresa da pittori, scultori, illustratori ma anche da registi teatrali e cinematografici, soprattutto per quanto riguarda l’ “Inferno”; la narrazione dantesca degli Inferi, con le sue terrificanti atmosfere e i suoi suggestivi personaggi, si presta forse più facilmente delle altre due cantiche (“Purgatorio” e “Paradiso”) a rielaborazioni suggestive e turbanti.
Lo ammetto, ho usato lo stesso “escamotage”.
Ogni argomento necessita di una contestualizzazione, senza entrare nei dettagli e sempre con supporto iconografico, ho ripercorso brevemente per i miei studenti la struttura dell’opera dantesca e ho richiamato alla mente alcuni concetti essenziali. Per tale introduzione ho proiettato sulla superficie della LIM le illustrazioni dal carattere didascalico che Botticelli eseguì tra il 1480 e il 1495 su richiesta della famiglia Medici.

Dopo il debito preludio esplicativo, finalmente sono entrata nel vivo della lezione. Mi sono soffermata volutamente sull’iconografia legata all’“Inferno” e ho mostrato alla classe diversi dipinti e alcune sculture dal carattere alquanto inquieto e orrorifico, sia per ottenere l’attenzione, sia per dimostrare da subito che la lezione dantesca non ha limiti temporali e ancora oggi vi sono artisti viventi che si rifanno ai suoi versi.
Come non cominciare chiamando in causa “Caron dimonio, con occhi di bragia” (III,109), nella specifica incisione di Gustave Doré (1832-1883), pubblicata nel 1861, sicuramente una delle interpretazioni che ottenne più riconoscimenti in Europa e che resta tutt’oggi una delle immagini maggiormente conosciute.
Siamo nel Canto III dell’ “Inferno” (vv. 82-111), e per illustrare il mostruoso traghettatore il Doré si attiene con precisione al testo dantesco; Dante riprende l’aspetto di Caronte dalla descrizione presente nel libro VI dell’“Eneide” virgiliana, accentuandone però i tratti demoniaci. Nell’incisione il mefistofelico nocchiero appare come un vecchio nerboruto, con lunghi capelli e barba bianchi, intento a battere violentemente con il remo le anime che indugiano (“batte col remo qualunque s’adagia”, v. 111).
Innumerevoli sono coloro i quali hanno voluto cimentarsi nella rielaborazione dell’immaginario del “Sommo Poeta”; tra le rivisitazioni più conosciute troviamo, oltre a quella del Doré come sopra indicato, l’interpretazione di William Blake- a cui accennerò più avanti – né va dimenticata la versione surrealista del 1957 di Salvador Dalì (1904-1989).
Non è questa la sede, ma è chiaro che la “Commedia” ha influito sull’attività creativa di molti artisti, già a partire da Michelangelo (1475-1564) e Signorelli, (1441-1523), per quel che concerne la raffigurazione del “Giudizio Universale”; Eugène Delacroix, (1798-1863), che dipinge “La barca di Dante”, o ancora Giuseppe Frascheri (1809-1886) che raffigura “Francesca da Rimini”. Tempo dopo, rimanendo sulla tematica del giudizio delle anime, Auguste Rodin, (1840-1917), realizza la “Porta dell’Inferno”, opera “maledetta” a cui l’artista dedica gli ultimi trent’anni della sua vita, non riuscendo comunque a completarla. I versi di Dante, ricolmi di creature mostruose, colpiscono anche la fantasia di autori fiamminghi, come dimostra il colossale “Trittico del giardino delle delizie” (1503–1515) di Hieronymus Bosch (1453-1516).
Non mi soffermo sulle celebri incisioni di Doré, tanto meravigliose quanto conosciute, né sulla particolarissima rivisitazione di Dalì, che richiederebbe un’analisi a sé stante proprio per la sua unicità, al contrario vorrei spendere qualche parola sul lavoro di uno dei massimi esponenti della pittura inglese.

L’emblematico William Blake(1757-1827), si dedica a partire dal 1824 a uno studio sistematico della “Commedia” dantesca; ha sessantacinque anni quando inizia la sua opera illustrativa, purtroppo muore pochi mesi dopo aver cominciato l’impresa, lasciando il lavoro incompiuto. Egli studia con attenzione le varie cantiche, le rielabora secondo la sua personalissima visione e concretizza settantadue tavole per l’”Inferno”, venti per il “Purgatorio” e dieci per il “Paradiso”. Sono ovviamente i versi dell’”Inferno” a colpire maggiormente la fantasia onirica dell’artista, le immagini dedicate a tale parte si succedono in una sequenza serrata, un unico canto viene illustrato anche con più disegni, mentre per il “Purgatorio” e il “Paradiso” i disegni si riferiscono a canti sparsi ma ben precisati.
La raccolta alterna illustrazioni in cui è evidente un preciso riferimento ai versi danteschi, come nella tavola raffigurante la boscaglia del settimo cerchio, dove si trovano le Arpie e le anime dei suicidi, e disegni decisamente più visionari, in cui emerge l’immaginazione teatrale dell’artista, come nella tavola dedicata al trentunesimo canto, in cui Dante e Virgilio sono calati “lievemente” dal Gigante Anteo sul ghiaccio del Cocito.

Torniamo ora ad un discorso più generico: come abbiamo appurato tutta la “Commedia” affascina e colpisce, ma vi sono alcuni personaggi che rimangono più impressi di altri.
Un esempio per tutti: il Canto V dell’”Inferno”. Dante e Virgilio si sono lasciati alle spalle il Limbo e si trovano ora nel secondo cerchio; qui incontrano il terribile Minosse, giudice infernale che secondo il numero degli avvolgimenti della sua coda, stabilisce il cerchio in cui i peccatori devono scontare la propria pena. È in questo canto che troviamo alcuni dei versi più famosi, “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare”, espressione di cui si avvale più volte (“Inf.”, V, 22-24; VII, 10-12) Virgilio per rammentare a chi si oppone all’incedere di Dante che il “fatale andare” del poeta è voluto da Dio. I peccatori che si trovano nel V canto sono i “lussuriosi”, travolti e tormentati dalla “bufera infernal che mai non resta” (v.31), tra di essi si trovano tra gli altri Didone, Cleopatra, Elena e Tristano. Nella schiera di Didone si distinguono due anime che procedono unite e sembrano volare così leggere nell’infuriare del vento: si tratta di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini.
Francesca, sposata con Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, zoppo e deforme, si innamora di Paolo, detto “il bello”, fratello del marito. Entrambi scontano con la morte l’adulterio: vengono sorpresi e uccisi da Gianciotto. È appurato che la vicenda dei due cognati abbia un fondamento storico, anche se la documentazione rinvenuta riporta pochi dati effettivamente riscontrabili.
Nella narrazione dantesca la coppia si specchia nelle vicende d’amore di Lancillotto e Ginevra, narrate nel libro “galeotto”, la cui lettura conduce Paolo e Francesca al cedimento amoroso: “Quando leggemmo il disiato riso/ esser baciato da cotanto amante, /questi, che mai da me non fia diviso, / la bocca mi baciò tutto tremante” (vv. 133-136).

Mentre Paolo piange, Francesca racconta, sottraendo l’impulso primo del peccato ad una responsabilità individuale per trasferirlo sul piano della forza trascendente e irresistibile di Amore.
L’episodio letterario ha larga eco e diventa uno dei soggetti prediletti in ambito artistico, soprattutto durante l’Ottocento. I pittori romantici non possono resistere alle tematiche della passione, del binomio “eros” e “thanatos” e del dramma che caratterizzano la triste storia di Paolo e Francesca.
È opportuno sottolineare come ogni pittore decida di rappresentare uno specifico segmento narrativo della vicenda; tale scelta definisce il messaggio di cui l’opera si fa portatrice, messaggio che si adatta intelligentemente alla sensibilità del pubblico e del comune senso del pudore, entrambi in perenne mutamento a seconda dei diversi periodi storici.
Anselm Feuerbach, (1829-1880), pittore tedesco neoclassico, per esempio, sceglie di rappresentare un momento di dolce tranquillità apollinea, egli realizza una struttura composta, in cui l’intensità emotiva risulta contenuta, se non quasi assente. Nel quadro “Paolo e Francesca”, (1864), i due innamorati si presentano senza alcun ardore, essi sono immersi in un giardino fiorito, non si guardano nemmeno, al contrario ambedue sono assorti nel testo che li porterà a non leggere più oltre (“Quel giorno più non vi leggemmo avante”, v. 138).

Totalmente differente è l’interpretazione di Ary Scheffer, (1795-1858), intitolata “Dante e Virgilio incontrano le ombre di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta nell’Oltretomba” (1855). Il pittore incentra il suo quadro su un senso di erotismo dolce e disperato, egli decide di esaltare la permanenza della passione fisica e spirituale che “ancor non m’abbandona”(v.105) -dice Francesca – rifacendosi al concetto tanto caro ai romantici dell’amore che sopravvive alla morte. I corpi nudi e candidi di Paolo e Francesca emergono da uno sfondo scuro, dove si intravvedono le figure di Dante e Virgilio; elemento centrale della composizione è il lenzuolo bianco, che avvolge i giovani e che rimanda sia al giaciglio amoroso, sia al mortale sudario.
Jean-Auguste Dominique Ingres, (1780-1867), invece, nell’opera “Francesca da Rimini e Paolo Malatesta” (1819), propone una versione puramente narrativa della vicenda e non inserisce elementi interpretativi. L’atmosfera è tipica della commedia teatrale, gli innamorati sono caratterizzati da una purezza quasi infantile ed è assente ogni rimando ad una dimensione sensuale. Inoltre, come assistessimo “ad un colpo di scena”, da un lato si intravvede Gianciotto, rappresentato proprio nell’atto di sguainare la spada per colpire entrambi.
Passa il tempo e l’approccio al racconto muta, come si evince dalle due tele che Gaetano Previati realizza tra il 1887 e il 1909. La prima, “Paolo e Francesca” del 1887 presenta ancora dei rimandi romantici: i protagonisti sono raffigurati trafitti dalla medesima spada mentre giacciono ai piedi di un letto che richiama la “liaison erotica”. Vent’anni dopo è invece evidente l’influsso del Futurismo: Paolo e Francesca sono gettati nel turbinio del vento e i loro corpi sono visibilmente caratterizzati da una forte energia, quasi attraversati dal fremito della corrente elettrica.
“Il sogno di Paolo e Francesca” di Boccioni è ormai tutto futurista, non vi è traccia della narrazione dell’episodio, i due soggetti perdono la loro storica identità, e si trasformano in una “lux aeterna”, tutta la scena non è altro che un abbraccio elettrico fonte di calore e di energia.

È opportuno sottolineare che non solo l’ambito pittorico si è interessato alla rappresentazione del tragico amore, anche il mondo del teatro si dimostra un più che adatto contesto per continuare a narrare il mesto e meraviglioso episodio dantesco.
Nel 1901 D’Annunzio scrive “Francesca da Rimini” per la bella e “divina” attrice Eleonora Duse, che successivamente diventerà sua amante. Si tratta di una tragedia in versi e suddivisa in cinque atti. La prima rappresentazione avviene al tetro Costanzi di Roma, il 9 dicembre dello stesso anno; l’opera viene poi eseguita nel 1914 al Teatro Regio di Torino, in quest’occasione musicata da Riccardo Zandonai.
Il cartellone pubblicitario deve attrarre il pubblico: Paolo e Francesca sono rappresentati come innamorati appassionati, l’illustrazione deve enfatizzare l’aspetto tragico e peccaminoso della vicenda, così come il sottotitolo “Storia di sangue e di lussuria”. D’Annunzio per l’occasione mette in scena usi, costumi e scenografie che possano rimandare al XIII secolo, elementi che però risultano più leziosi che storici, secondo il tipico gusto “revival neogotico” che caratterizza il finire dell’Ottocento. La Duse riceve un’ottima critica, forse motivo per cui di lì a poco viene scritta un’opera omonima per la sua rivale Sarah Bernhardt, “étoile” dei teatri parigini.

Dalla pittura al teatro e dal teatro al cinema, nonostante il trascorrere del tempo il pubblico pare ancora interessato alla vicenda. Sappiamo che nel 1906 viene prodotto un primo film italiano sul tema, di cui però non resta alcuna traccia; nel 1908 invece compare sul grande schermo un film dal discreto successo di cui viene realizzata una riedizione l’anno successivo. La protagonista della pellicola è nuovamente la Duse, che ancora raccoglie i frutti delle sue mirabili interpretazioni teatrali. Mi piace ricordare, in tempi relativamente più recenti, “Paolo e Francesca” di Raffaello Matarazzo, distribuito nelle sale nel 1950 e l’omonimo lungometraggio del 1971, diretto da Gianni Vernuccio.
Va tuttavia precisato che un anno particolarmente sentito per la cinematografia dantesca è stato il 1911, quando in Italia vengono distribuiti “Visioni Infernali” della Helios Film e “Inferno” della Milano Film, entrambe le pellicole chiaramente ispirate alle incisioni di Dorè, per quel che riguarda composizione e struttura scenica, forme e atteggiamenti ricorrenti dei personaggi.
L’”Inferno” dantesco viene ovviamente ripreso nel corso degli anni e ciò si evidenzia soprattutto nell’emblematica figura di Lucifero, presentato con le medesime caratteristiche che ormai è difficile modificare.

Per sottolineare la trasversalità dell’insegnamento del Sommo Poeta vorrei citare ancora alcuni esempi artistici che esulano dai campi fino ad ora presi in esame: il viaggio di Dante all’ “Inferno” ispira l’Album musicale di Clever Gold e Murubutu del 2020, intitolato non a caso “Infernum”, mentre nel mondo della danza sono due scenografici e spettacolari musical a risentire dell’influsso del padre della lingua italiana: il musical “La Divina Commedia” di Manolo Casalino, Maurizio Colombi e Marco Frisina, ospitato all’Arena di Verona nel 2010 e la seconda parte della trilogia “Divina Commedia: dall’Inferno al Paradiso” della No Gravity Dance Company, portata in scena al Teatro Open Air Giuseppe di Stefano di Trapani nell’agosto del 2019 e l’anno successivo.
L’arte continua ininterrottamente a ispirarsi all’opera dantesca, ne è un chiaro esempio la mostra che si è appena conclusa “Verso il 2021. Dante nell’arte contemporanea italiana”, promossa dalla Società Dante Alighieri con il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo in collaborazione con il Comune e il Comitato Dantesco di Foligno. L’esposizione propone i lavori di quindici artisti contemporanei esponenti della Transavanguardia, della Scuola di San Lorenzo, dell’Anacronismo e dell’Ipermanierismo, tra cui Mimmo Paladino, Enzo Cucci e Emilio Isgrò. L’iniziativa non si limita a proporre “semplici” illustrazioni di un Aldilà che è stato già largamente descritto, al contrario propone una doppia riflessione, sugli eterni temi presenti nella “Commedia” e sulle infinite suggestioni che ancora possono colpire gli artisti di oggi.
Arrivata a questo punto, è certo che il discorso potrebbe dilungarsi ancora di un bel po’, esattamente come la lezione che ho svolto a scuola sarebbe potuta durare ben più a lungo, ma non sto scrivendo un saggio né voglio tenere una conferenza.
Questo mio pezzo vuole solo avere lo stesso scopo delle lezioni che tengo a scuola: proporre spunti di riflessione, mostrare “cose” che magari non si conoscevano e dare a ciascuno la possibilità di aprire la propria mente e imparare a guardare da diverse prospettive e angolazioni. D’altronde credo sia questo il “sommo” scopo della cultura.

Alessia Cagnotto

 

Quelle lettere dal passato che riaprono la storia

“Lettere dal Confine Orientale” è l’ultima fatica letteraria della scrittrice torinese Maria Teresa Rossitto, edita per Parallelo45

Segue la sua prima opera, il libro di racconti ‘Vite Sospese’ del 2011 ed il romanzo ‘Schopenauer 24’ nel quale una teoria del filosofo tedesco viene ad essere il fondamento principale del movente di un giallo ambientato nella Torino bene del quartiere Crocetta.

‘Lettere dal Confine’ orientale, invece, è una storia di fantasia ma che si muove sullo sfondo reale del dramma del dopoguerra causato dell’esodo degli istriani, giuliani e dalmati. Vengono narrate le vicende di una profuga istriana che vive per moltissimi anni tra Bologna e Ferrara senza conoscere le origini de suoi genitori. Ad un certo momento, negli anni Novanta del secolo scorso, viene chiamata a Lubiana per un’apertura di un testamento e in quella occasione apprende di avere un padre sloveno, notaio, ed una madre, profuga di Pola. Pertanto ritorna nella città della mamma, riscopre tutta la vicenda degli esuli e quello che alla madre era capitato. Troverà in quello che resta della vecchia casa delle lettere e da lì riuscirà a capire. Il romanzo si conclude con due capitoli molto forti, nei quali l’autrice ricostruisce due vicende vere. E’ un libro che vuole cercare di coprire il vuoto di conoscenza sul dramma degli istriani e aiutare ad ampliare la memoria di quel difficile periodo storico. “L’idea di parlare dell’Istria – dice Maria Teresa Rossitto – mi è venuta avendo una forte suggestione vedendo un video sulla città di Pola e da lì ho approfondito la vicenda degli istriani e di quanto era accaduto”, un ricordo storico che non è di destra, né di sinistra ma un fatto accaduto dal quale non si può prescindere. E’ sicuramente un romanzo interessante, ricco di suggestioni, ben scritto che merita senza’altro di essere letto ed è occasione di meditazione su alcune brutture della storia.

Massimo Iaretti

 

“Human Craft Machine”, contaminazione artistica collettiva

Nasce nell’ambito della casa editrice torinese Gian Giacomo Della Porta la collana editoriale “Human Craft Machine”, contaminazione tra esponenti di diverse arti

 

Nasce una nuova collana editoriale dedicata alla sperimentazione, alla contaminazione e al sostegno tra artisti di ogni provenienza e settore. Il suo nome è “Human Craft Machine”, la collana editoriale fa parte della Gian Giacomo Della Porta Editore, la casa editrice torinese nata nel novembre del 2020 per volontà di Gian Giacomo della Porta, scrittore e autore di poesie, a sua volta punto di riferimento per tanti artisti e scrittori già affermati o ai primi passi nel mondo letterario. Il progetto vede la collaborazione dell’artista Fabrizio Santona di Arti Democratiche.

“Il nome della collana editoriale “Human Craft Machine” – spiega Giacomo Della Porta –  potrebbe sembrare insolito per un’iniziativa editoriale, ma è stato volutamente scelto per rappresentare il significato di quella che sarà  questa collana, una pubblicazione mensile di 15 artisti provenienti dal mondo della poesia, della narrativa, delle arti visive e della musica, che avranno la possibilità di confrontarsi e dar vita a una proficua e reciproca contaminazione artistica, partecipando ad un’opera collettiva basata su di un tema specifico che varierà di mese in mese.

“Ciò che differenzia questo da un semplice progetto editoriale – prosegue Gian Giacomo Della  Porta – sarà la possibilità data agli artisti di promuovere i loro lavori attraverso gli eventi “Live HCM”, che verranno indetti dalla stessa casa editrice in ogni città italiana, appena i tempi potranno consentirlo.

Questo movimento è stato voluto dall’artista Fabrizio Santona e da sostenuto dalla mia casa editrice. Nasce dalla necessità di unavolontà di riprogettare un futuro solidale e innovativo, in cui tuttipossano sentirsi parte integrante, favorendo la crescita in un’ottica di condivisione umana e artistica”.

Mara Martellotta 

Gian Giacomo Della Porta Editore

Sito www.giangiacomodellaporta.com