CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 42

“Lemon Therapy”, l’adolescenza a San Sicario

Sette mesi di interviste e incontri con ragazzi trasformate in una commedia

 

 

Uno spettacolo sull’adolescenza: l’epoca delle passioni tristi, delle non scelte, dove la risposta a tutto è “boh!”, la stagione dove il desiderio è essere contemporaneamente come tutti gli altri e come nessun altro, quella fase precaria dell’esistenza dove l’identità appena abbozzata gioca tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna. Il tempo in cui si comincia a scoprire se stessi, a entrare in contatto con la propria sessualità e a sperimentarla. E’ questo “Lemon therapy” di Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, uno spettacolo della compagnia modenese Quinta parete in scena giovedì 7 agosto alle 21 al Teatro San Sipario, a San Sicario, frazione di Cesana (10 euro,  biglietti in vendita su www.ticket.it e alla cassa). Rientra nella stagione “Spettacoli di mezza estate… in vetta”,firmata dalla compagnia teatrale torinese Onda Larsen in collaborazione con l’Associazione Non Solo Neve, partner del progetto.

 

Diretto e interpretato da Enrico Lombardi e Alice Melloni, questo è uno spettacolo che nasce da un’indagine durata sette mesi fatta di interviste, incontri e laboratori con ragazzi dagli 11 ai 20 anni, i loro genitori e insegnanti. Un percorso che parte dai ragazzi, dalle scuole, luogo in cui si sente sempre più l’esigenza di affrontare un argomento spinoso come la sessualità e l’affettività in età adolescenziale, non in termini di prevenzione o dal punto di vista tecnico-scientifico ma in termini di relazione ed educazione. Utilizzando lo strumento teatro e mettendo al centro di questi incontri e laboratori il corpo, un corpo che sta cambiando, che pulsa, che chiede e cerca risposte, Enrico Lombardi e Alice Melloni sono riusciti a entrare in contatto con i ragazzi, a esplorare la loro sfera emotiva, aiutandoli ad esprimersi, a raccontare le loro emozioni, per arrivare a comprendere come i tempi sono cambiati, cosa provano oggi, quali sono i loro dubbi, le loro certezze e come vivono la loro sessualità.

 

Ci si è chiesto: esistono nodi intergenerazionali? La prima volta? L’attesa, la tensione, la sperimentazione, la scoperta di sè e dell’incontro con l’altro.  Chi sono? Come mi percepiscono gli altri? Come sono cambiato?

 

Nelle loro mani questo materiale è diventata una commedia in cui P., un trentacinquenne che ha rimosso completamente il ricordo della sua adolescenza, viene aiutato da  V., una psicoterapeuta con una “originale” terapia. Terapia in cui la Dottoressa, con provocatorie richieste, rompe più volte la quarta parete, rendendo il pubblico co-protagosta dello spettacolo che, intercettando le reazioni degli spettatori, si trasforma da una replica all’altra.

 

La scenografia firmata da Rewik Grossi fa emergere  la contrapposizione tipica adolescenziale di ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, una pianta di limoni viva e reale e uno schermo artificiale ne sono i simboli, come a volere riportare sul palco ciò che si scatena all’interno dell’animo di un adolescente: il contrasto tra il fingere di essere invulnerabile e la realtà di essere fragili.

E’ così che ha preso forma “Lemon Therapy”, una commedia leggera ma non superficiale, che non vuole solo far ridere, non pretende di dare risposte, lascia spazio alla riflessione e lancia provocazioni sul tema, senza scimmiottare o prendere in giro il mondo adolescenziale ma cogliendone l’ironia, la crudeltà e la tragicità.

 

La resa dell’Europa

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Traggo anche alcune riflessioni dal mio amico Carlo Saffioti, medico colto e politico lucido che ha mantenuto integra l’indipendenza di giudizio, che mi ha aiutato ad approfodire il tema della decadenza se non del tramonto dell’Occidente a cui la mia generazione resta profondamente legata e si distingue in questo dalle nuove generazioni che hanno scelto il mondialismo senz’anima, pensando nella loro ignoranza che la Russia appartenga all’Europa e che il mondo arabo sia compatibile con la democrazia occidentale, malgrado ne sia il nemico più astioso. Le nuove generazioni sono il frutto di una scuola inetta e di professori attivisti che hanno devastato i giovani a loro affidati, seguendo un disegno preciso volto a cancellare la nostra storia. L’Occidente ha abdicato a sé stesso ,abdicando alla “propria capacità di diffusione valoriale che è stata azzerata, se non addirittura  ribaltata  da correnti ideologiche  come il decolonialismo genuflesso, il relativismo culturale, una forma patologica di autocritica che diventa autofobia“.Il cortocircuito è perfetto. Noi rinunciamo ai nostri codici identitari per il timore di essere accusati di imporli e ci arrendiamo a vedere in Hamas un  movimento di liberazione. Siamo dilaniati da polemiche roventi pro Palestina e pro Russia e non capiamo che siamo diventati semplici e pallide  comparse in un mondo in cui non contiamo più nulla. L’Europa devastata non è neppure stata capace di resistere con un minimo di dignità  a Trump. Ma la resistenza che manca e’ anche e soprattutto  quella culturale e morale. L’Eurocentrismo è morto  forse già nel 1918 e sicuramente nel 1945,  ma la vigliaccheria è più viva che mai e ci porterà ad essere colonia di altri. Non è una nemesi storica, come sostiene qualche sprovveduto, ma la resa incondizionata all’anti-  Europa. Resto più che mai  disperatamente attaccato all’idea di Europa di Federico Chabod  che non è una sbrindellata bandiera azzurra con alcune stelle destinate a cadere come quelle del X agosto perché senza storia e senza dignità.

Ersilia Zamponi, la scrittrice che insegnava l’italiano con i giochi di parole 

Ci ha lasciati Ersilia Zamponi, straordinaria insegnante, educatrice e scrittrice. Era nata a Omegna nel 1040, vent’anni dopo uno dei suoi grandi maestri, Gianni Rodari, anch’esso omegnese. Ricordarli insieme è un fatto naturale. E’ passato più di mezzo secolo anni da quel 1973 che vide la casa editrice Einaudi pubblicare la Grammatica della fantasia di Rodari. Un libro che, come dice il sottotitolo, rappresenta una “introduzione all’arte di inventare storie”. È l’unico volume che lo scrittore nato sulla sponda più a nord del lago d’Orta, non dedicò alla narrativa proponendo un contenuto teorico, dovuto alla paziente trascrizione a macchina da parte di una stagista di Reggio Emilia di alcuni appunti rimasti a lungo dimenticati. Gli appunti in questione, risalenti agli anni ’40, facevano parte della raccolta del Quaderno della fantasia. La Grammatica della fantasia era una sorta di manuale utile a stimolare la creatività. Un libro attuale e utilissimo, ricco di spunti, suggerimenti e strumenti per chi crede nella pedagogia della creatività e attribuisce il giusto valore educativo e didattico all’immaginazione. Partendo dalle parole o dalle lettere che compongono le parole stesse, Rodari suggeriva una quarantina di giochi attraverso immagini, nonsense, indovinelli e favole. Ogni gioco aveva un forte valore simbolico che apriva a un infinità di possibilità creative sia per il bambino che per l’insegnante, utilizzando come strumento la propria fantasia.

Leggendo il libro si apprende come le fiabe non siano intoccabili e come si possa giocare con esse, smontandole e ricreandole, coinvolgendo i bambini in prima persona nel loro processo formativo. La prova migliore che è possibile imparare l’italiano in un modo divertente e creativo attraverso i giochi di parole, in piena continuità con il lavoro di Rodari, venne offerta proprio da Ersilia Zampini con un libro molto bello, diventato ormai un classico: i Draghi locopei. Ersilia Zamponi, anch’essa concittadina del più grande autore italiano per ragazzi del Novecento,  pubblicò questo bellissimo testo nel 1986 da Einaudi,  quand’era docente di lettere presso la scuola media “Gianni Rodari” di Crusinallo, una delle frazioni di Omegna, esplicitando bene l’uso intelligente fantasioso dei giochi di parole (lo stesso titolo dell’opera non era che l’anagramma dell’espressione “giochi di parole”). Il piacere dell’invenzione linguistica, l’emozione dell’intuire e dell’indovinare, la trasgressione del nonsense, l’intelligenza dell’ironia venivano stimolate magistralmente, pagina dopo pagina. Scriveva Ersilia Zamponi: “Nei giochi di parole il gusto che si prova assume molteplici forme; può essere: la soddisfazione per una invenzione linguistica che piace, l’emozione dell’intuire e dell’indovinare, la sorpresa di una combinazione casuale, la sfida dell’enigma o la trasgressione del nonsense, la spensieratezza della comicità, l’intelligenza dell’ironia…Giocando con le parole, i ragazzi arricchiscono il lessico; imparano ad apprezzare il vocabolario, che diventa potente alleato di gioco; colgono il valore della regola, la quale offre il principio di organizzazione e suggerisce la forma, in cui poi essi trovano la soddisfazione del risultato”. Un modo strepitoso di raccogliere l’eredità di Rodari, facendola vivere e respirare. E un modo intelligente, quello di entrambi, di insegnare l’uso corretto di una lingua che oggi, troppo spesso e con leggerezza, viene sottoposta a quotidiane violenze e scempiaggini. Umberto Eco, nella presentazione del libro scrisse: ”Ci lamentiamo che i nostri ragazzi, spendendo ore e ore alla tv, non siano più capaci di parlare e usare bene la lingua. Basterebbe insegnargli che con la lingua si può anche giocare, e si divertirebbero persino ad andare a caccia degli errori sintattici dei presentatori tv”. E concludeva con una nota di speranza: “Coraggio ragazzi, malgrado i programmi ufficiali la scuola sopravvive”. Credo sia un modo corretto per ricordare Ersilia Zamponi, alla quale intere generazioni debbono esserle riconoscenti e grate.

Marco Travaglini

 

Il Libro del Mese. La Scelta dei Lettori

 

Il libro più discusso nel gruppo Un Libro Tira L’Altro Ovvero Il Passaparola Dei Libri nel mese di luglio è stato

Strani Disegni di Uketsu, un noir che parla il linguaggio del web, scritto da un misterioso streamer giapponese.

Letture per il mese di agosto, scelte dalla nostra redazione tra titoli e autori meno consueti.

E’ già uscito in Italia per Tunuè Un Anno Per Amarti, romanzo grafico di Gene Luen Yang e LeUyen Pham, vincitore alla recente edizione degli Eisner Award. Un libro che mette insieme il Capodanno lunare e San Valentino, due feste che spesso si sovrappongono, e usa questa coincidenza per parlare di amore, famiglia e delle difficoltà di chi cresce tra più culture.

 

L’Argine di Irene Solà (Mondadori), in libreria dal 26 agosto. Ada torna al suo villaggio dopo un soggiorno di tre anni a Londra, con l’intenzione di recuperare quel piccolo universo da cui era partita. Un romanzo composto dalla somma di piccole narrazioni che compongono il mosaico di un universo intimo e condiviso.

 

Infine, consigliamo ai nostri lettori di recuperare quanto più possibile i volumi editi da Logos Edizioni: la casa editrice specializzata in romanzi grafici di autori contemporanei italiani e internazionali ha annunciato l’imminente chiusura e non è probabile che il suo intero catalogo venga recuperato a breve.

 

Consigli per gli acquisti

 

Questa è la rubrica nella quale diamo spazio agli scrittori emergenti, agli editori indipendenti e ai prodotti editoriali che rimangono fuori dal circuito della grande distribuzione.

Siamo felici di segnalare il ritorno in libreria di Marina Manco che con Le Voci della Città (Bookabook 2025) dà finalmente un seguito all’apprezzato Alleria.

 

Chiara Albertini L’Amore Non Ascolta Il Tempo (Pontevecchio, 2025). Un romanzo che racconta la storia di due fratelli rimasti orfani di madre durante l’infanzia…Tra echi letterari musicali.

 

Incontri con gli autori

Sul nostro sito potete leggere le interviste agli scrittori del momento: questo mese abbiamo scambiato due chiacchiere con Stefania Galardini, esordiente di Alba (Phasar, 2025) una particolare autobiografia spirituale che è anche un percorso di conoscenza e affermazione di se’; Sara Bruni che nel 2025 ha pubblicato L’Idea Di Te (Auto-pubblicazione, 2025), un romanzo, delicato ma potente, che offre una chiave per mettere in guardia chiunque dal pericolo di una relazione tossica.

 

Per rimanere aggiornati su novità e curiosità dal mondo dei libri, venite a trovarci sul sito www.ilpassaparoladeilibri.it

 

Spadolini: il mito infranto e la storia che stenta ad arrivare

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Il 4 agosto 1994 moriva Giovanni Spadolini . Ero in vacanza a Bordighera e andai ai suoi funerali a Roma con un certa difficoltà agostana, legata al disagio dei treni liguri. Non mi  ricordavo più di quell’anniversario caduto nel dimenticatoio, ma a ricordarlo su Facebook è una pagina “Giovanni  Spadolini” espressione forse  della omonima fondazione fiorentina presieduta dal segretario e pupillo di Spadolini, Cosimo Ceccuti. Quest’ ultimo si è già prodigato al massimo per celebrare Giovannone, come lo chiamava Sartori, nel centenario della nascita che cade quest’anno. Il fatto di ricordarlo oggi  con ritagli di articoli usciti nel 1994 può essere suggestivo, ma è l’esatto opposto di un ricordo storico che andrebbe scritto oggi, dopo che gli anni hanno  totalmente ridimensionato il mito del segretario fiorentino. Fare un collage di articoli del 1994 può essere addirittura mistificante, specie se consideriamo che nel 2025 non è finora stato ristampato un solo libro della vastissima produzione giovannea. C’è da domandarsi il perché di questo oblio editoriale. Finora, in quest’anno, si sono avuti solo piccoli convegni celebrativi, in uno di questi il ministro della cultura Giuli ha soprattutto evidenziato le radici fasciste e repubblichine del giovane Spadolini che esaltava Gentile, mentre poi, a Liberazione  avvenuta, diceva di se’ stesso che andava nei retrobottega delle librerie fiorentine a comprare i libri messi al bando  di Gobetti. Il suo giovanile fascismo può essere giustificato dalla morte del padre pittore sotto un bombardamento  alleato, ma non può essere ignorato, come avrebbe voluto l’interessato che nel testamento rinnegò gli scritti giovanili senza farne una abiura motivata. Leggere adesso l’articolo del 1994 del segretario del PRI  Giorgetto La Malfa che avverso ‘  molto Spadolini, fa apparire come l’ipocrisia fosse prevalsa già allora in modo quasi imbarazzante.
Spadolini e Quaglieni

 

Nel settembre del 1994 ricordai Spadolini insieme a Leo Valiani a Torino, poi, a cinque anni dalla sua morte, lo ricordai nella Sala Rossa del Consiglio Comunale di Torino con il senatore Mauro Marino e lo stesso Ceccuti. Furono atti di gratitudine dovuta ad uno che mi fu amico, generoso e affezionato che quando era a Torino veniva a cena con me al “Gatto nero”. Ma se oggi dovessi parlare di lui, metterei in discussione la sua figura di statista e anche quella di storico: la politica assorbì i suoi interessi senza lasciare più spazio per la ricerca storica.
Certo, se si paragona la politica odierna con Spadolini egli appare quasi un gigante, ma se il confronto è con gli statisti italiani del ‘900 si stenta a trovare un posto di rilievo per  lui. Leo Valiani parlò di lui come di  un continuatore del Risorgimento e in effetti certe sue  fotografie a fianco di quadri di Garibaldi con la spada sguainata, possono avvalorare a priori la tesi sostenuta da Valiani in morte di Spadolini . Lo stesso Valiani che era un uomo libero e sincero, anni dopo, mi disse di aver ripensato alle cose scritte e dette  su Spadolini.
Addirittura Margiotta Broglio, l’allievo prediletto di Jemolo, scrisse che egli fu “uno storico che voleva unire le due sponde del Tevere“ sol perché aveva dedicato un libretto ai rapporti tra Stato a Chiesa che oggi sarebbe impossibile riproporre se non con una introduzione amplissima che contestualizzi il testo spadoliniano più giornalistico che storico. La storiografia era in effetti un’ altra cosa : era quella di Chabod e di Romeo che più che mai oggi sono sorgenti di pensiero storiografico sempre vivo.  C’è un titolo del 1994 che lascia sorpresi perché evoca quasi il linguaggio usato per il duce:” Il ragazzo  chiamato ad alti destini“. Forse sono proprio questi esaltatori acritici ad aver impedito una riflessione storica su Spadolini ,alternativa all’oblio come reazione alla retorica esagerata e perfino fastidiosa per un laico che non avrebbe dovuto tollerare agiografie. La vanità egocentrica di Spadolini era immensa e temo molto che Spadolini risorto applaudirebbe alle sue celebrazioni orchestrate dal prode scudiero Ceccuti. Con tutti questi distinguo, ho apprezzato il recente libro su Spadolini opera di Federico Bini e Gian Carlo Mazzucca edito da Rubettino che  ho letto con piacere. Incomincia il processo di storicizzazione e finisce quello della sua canonizzazione.

Aperto il Sestriere Film Festival, il cinema a 2035 metri di altitudine

Sabato 2 agosto ha preso avvio il “Sestriere Film Festival”, giunto alla sua quindicesima edizione  a 2035 metri di altitudine, al cinema Fraiteve, la sala cinematografica più alta d’Europa.
Promosso dall’Associazione Montagna Italia e sostenuto dalle autorità locali, il festival si pone come scopo la promozione e la celebrazione della montagna attraverso film, documentari, cortometraggi e fiction. L’avvio riprende una tradizione ormai consolidata: dopo i saluti istituzionali, alle 21,  il concerto della Fanfara della Brigata Alpina Taurinense, un evento voluto dal Museo Nazionale del Cinema e proposto in anteprima assoluta. Verrà  proiettato il film storico “Sul tetto del mondo. Viaggio di S.A.R il Duca degli Abruzzi  al Karakorum”, girato nel 1910 e musicato dal maestro Michel Catania.
Il primo film in concorso si intitola ”Abriendo Camino. Vol II. Groenlandia”, realizzato da Juan Miguel Ponce, racconto di un’emozionante spedizione che ha condotto all’esplorazione delle montagne lungo la costa orientale della Groenlandia.
Domenica 3 agosto sono iniziate alcune passeggiate che  effettuate con l’accompagnamento delle guide di Sestriere, con ritrovo alle ore 9.30 presso l’Ufficio Turistico del Sestriere  in via Pinerolo 7/b. Alle 21 il festival celebrerà una ricorrenza istituzionale, i cento anni dalla morte di Pier Giorgio Frassati con il film “Verso l’alto” di Daniela Gurrieri.

Terziario domenicano e membro della San Vincenzo de’ Paoli, beatificato nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II, le sue spoglie riposano dal 26 luglio scorso non più nel Duomo di Torino, ma a Roma, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, di fronte al Pantheon.
Il Festival promuove anche un bando cinematografico internazionale aperto a registi e produttori che abbiano dedicato i loro lavori alle “Terre alte del mondo”.
Il 9 agosto ci saranno le premiazioni delle pellicole in concorso, domenica 10 agosto alle 11.30 il rifugio Alpette ospiterà il concerto finale Magic Miles con i musicisti Fabio Brignoli, Francesco Chebat e Stefani Bertoli, che interpreteranno alcuni dei brani più celebri del noto trombettista americano Miles Davis.

Mara Martellotta

Mercalli e Oliva alla Fiera del libro di Sauze d’Oulx

Prima lo storico Gianni Oliva con il suo primo romanzo “Il pendio dei noci”, poi il climatologo Luca Mercalli che, nonostante l’infortunio a un piede, provocato da una banale caduta in casa e non su un ghiacciaio ha raggiunto ugualmente Sauze d’Oulx per presentare, senza papillon, il suo libro “Breve storia del clima in Italia”. Folla e successo di pubblico alla tradizionale Fiera del libro di Sauze che terrà aperti i battenti fino al 24 agosto al Parco giochi in centro paese. Si tratta della nona edizione della rassegna promossa dall’Associazione culturale IncercadiAmici,Unione librai delle bancarelle, Panassi librerie, edizioni Susalibri, con il patrocinio del Comune di Sauze. Nei prossimi giorni interverranno, tra gli altri, Mauro Minola, Angelo Toppino, Paola Arnaldi, Alice Basso e Luisella Ceretta.  Fr

L’isola del libro. Da un romanzo… all’Australia

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

 

 

Alexandra Lapierre “L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin” -edizioni e/o- euro 22,00

In queste 460 pagine c’è tutto quello che occorre per un incantevole romanzo (potrebbe essere anche un film epico) dove si amalgamano magistralmente: la bravura dell’autrice, una protagonista che non si scorda più, avventura, spazi infiniti, eventi storici e molto altro ancora.

Innanzitutto è un’assoluta garanzia la firma di Alexandra Lapierre (figlia del famoso Dominique Lapierre, autore di “La città della gioia”); autrice di biografie che restituiscono il giusto rilievo a donne spesso trascurate dalla storiografia, ma che hanno vissuto esistenze eccezionali e raggiunto grandi primati.

Questo libro è il frutto di 4 anni di minuziose ricerche; Alexandra Lapierre ha scandagliato gli archivi sparsi agli angoli del mondo e si è messa sulle tracce della protagonista, visitando di persona i luoghi del suo passaggio.

Franklin Stella, Miles, (nome maschile di un avo che, alla nascita, le diedero per ultimo e poi diventerà il suo marchio) è la prima di 7 tra fratelli e sorelle. Nasce nel Bush interno australiano, in una fattoria in crisi, Stillwater (acqua cheta).

Adora il padre, uomo sensibile e buono, ma pessimo negli affari. Invece, per lo più, è in rotta di collisione con la madre, che discende da una ricca e colta famiglia; donna intelligente ed energica, ma rassegnata al ruolo tradizionale di moglie e madre, che prospetta anche alla figlia.

Stella-Miles ama gli sconfinati spazi del Nuovo Galles del Sud, dove adora cavalcare libera; è rude con i giovanotti affascinati dalla sua audacia; i limiti della società vittoriana le vanno stretti. Ha deciso: non si sposerà, e mai diventerà la serva di marito e figli. Il suo orizzonte è decisamente più ampio…anzi, sconfinato.

Ha talento nella scrittura, la sua maestra ne intuisce il potenziale e la incoraggia. Così inizia a germogliare il seme della futura: scrittrice, femminista, volontaria, attivista e donna straordinaria, protagonista del 900, Stella-Miles Franklin.

Piccola di statura (appena 1metro e 53 cm) -dentro è un gigante- occhi chiari leggermente a mandorla, una cascata di riccioli bruni raccolti nella lunga treccia. Non ha paura di nulla e nessuno.

Ingaggia la prima sfida scrivendo “La mia brillante carriera”, ispirato alla vita in famiglia e agli altri abitanti della zona; senza risparmiare descrizioni acute e spietate degli angusti orizzonti della società dell’epoca.

Il romanzo viene pubblicato a Edimburgo ed è immediato successo in tutto l’Impero. Purtroppo però ha firmato un contratto capestro e non ricava alcun profitto.

All’inizio subisce il disappunto di chi la riconosce e si sente messo sotto accusa nelle sue pagine. Le cose cambiano quando, grazie ai riconoscimenti della critica, diventa famosa ed il libro è considerato il primo capolavoro che, finalmente, mette in risalto la letteratura australiana a livello mondiale.

Decide di andare a Sidney, senza un soldo in tasca, ma sperando di stipulare contratti vantaggiosi con altri editori. Ormai è il personaggio del momento e le dame dell’alta società se la contendono come ospite d’onore nei loro salotti. Purtroppo non conclude nulla di quanto sperava; in compenso, conosce alcune femministe e sono incontri importanti.

Torna a casa per scrivere il libro inchiesta sull’esperienza da infiltrata -come domestica- nelle famiglie benestanti di Sidney: ha documentato i maltrattamenti inflitti metodicamente dai datori di lavoro e scritto “Quand’ero Mary Ann, una schiava”. Peccato venga rifiutato dagli editori.

Ma lei è indomabile e coraggiosa, con l’aiuto della madre -che le offre la chance a lei negata- spicca il volo.

E’ l’avvio di una vita avventurosa in America, dove trova solidarietà nella suffragetta Vida Goldstein e nelle femministe che lottano con lei, delle quali Stella condivide gli ideali.

Sostiene lo sciopero delle operaie a Chicago, lavora come cavallerizza in un circo in Colorado, nel 1907 arriva a San Francisco distrutta dal terremoto.

Scrive tutte le esperienze che vive nei suoi reportage, sotto pseudonimi vari.

Si barcamena sempre in ristrettezze economiche, ma nulla la ferma.

E durante la Prima guerra mondiale si offre volontaria in un ospedale da campo nei Balcani.

Poi decide di approfondire le ricerche sui primi fondatori galeotti dell’Australia, rintanandosi tra i preziosi documenti conservati negli archivi della London Library.

E’ allora che l’assale una struggente nostalgia del Bush, dove decide di tornare.

Ricomincia nella terra delle sue radici, dove conduce un’esistenza semplice e con pochissimi mezzi.

Dal 1929 scrive splendidi romanzi di carattere storico e li firma con lo pseudonimo Brent of Bin Bin. Il successo è travolgente.

E anche se scrivere è la profonda passione che la anima, persiste nel non voler rivelare la sua vera identità; agli occhi del mondo, la scrittrice Miles Franklin continua ad essere scomparsa da 35 anni.

La svolta è nel 1936, quando riceve l’S.H.Prior Memorial Prize che la consacra gloria letteraria nazionale e restituisce finalmente a Miles Franklin il posto che le spetta da sempre di diritto.

Nonostante la fama, lei non cambia stile di vita, tantomeno si monta la testa; molto più semplicemente e con esemplare coerenza, continua a vivere modestamente.

Fino a quando il suo cuore si ferma per le complicanze di una pleurite; il 19 settembre 1954, a poche settimane dal compiere 75 anni.

Ha disposto che la notizia non appaia sui giornali e le sue ceneri siano disperse nelle acque del Jounama Creek, fiume che dalle montagne scorre a sulle terre di Talbingo e che la riporta dritta agli anni dell’infanzia.

La sorpresa piomba mesi dopo, all’apertura del testamento. Quando il più grande dei suoi misteri è svelato: in banca aveva accumulato una fortuna da destinare a un premio letterario annuale, che porti il suo nome e sia degno del continente australiano.

Una giuria di 5 persone deve assegnarlo all’opera che meglio rappresenta la vita in Australia, sotto qualsiasi aspetto e in qualunque epoca.

Convinta della necessità di dare risalto alla letteratura nazionale (e svincolarla dalle influenze inglesi e americane) Stella aveva sempre rinunciato a tutti gli agi e al superfluo, mettendo da parte un tesoro immenso.

Il Miles Franklin Literary Award oggi è uno dei premi più ricchi del pianeta, nonché quello letterario più prestigioso ed ambito del Commonwealth.

Il primo scrittore australiano ad ottenerlo, nel 1957, è stato Patrick White, in seguito vincitore anche del Premio Nobel per la letteratura.

Ed ora c’è anche lo Stella Price, premio da assegnare alla migliore opera dell’anno scritta da una donna

 

Miles Franklin “La mia brillante carriera” -elliot- euro 17,50

Dietro il nome apparentemente maschile si cela proprio lei, la più grande scrittrice australiana, Stella Maria Sarah Miles Franklin; potremmo anche definirla, mecenate delle patrie lettere post mortem.

La prima ad aver posto le basi di una letteratura che scandaglia e fa conoscere al mondo intero il cuore più autentico e profondo del suo sconfinato e spettacolare paese.

Ha iniziato a scrivere questo romanzo a 16 anni, l’ha finito a 20 e pubblicato a 22, nel 1901.

Protagonista è il suo alter ego, Sybilla Melvyn, che le somiglia praticamente in tutto: tipo di famiglia, il Bush nel quale vive, la passione per la scrittura, l’anelito alla libertà, il rifiuto dei rigidi canoni dell’epoca vittoriana, la ricerca di un femminismo molto personale (quando il movimento non era ancora neanche nato).

Sybilla è la figlia dell’affascinante Richard Melvyn, proprietario terriero e allevatore, “uno che conta”, e dell’aristocratica Lucy Bossier di Caddagat.

La piccola è cresciuta nel Bush, ama cavalcare e non sa cosa sia la paura.

Poi il padre ha dovuto fare i conti con l’allevamento poco remunerativo, si è dedicato alle aste del bestiame e le cose sono andate di male in peggio.

Nel romanzo tocchiamo quasi con mano la fatica di vivere cotti dal sole, logorati dalla fatica, la strenua lotta contro la siccità e gli altri ostacoli di una terra bellissima, ma che lancia sfide continue.

E’ questo lo sfondo su cui cresce la protagonista, che si ribella alle due sole opzioni che si profilano all’orizzonte di una ragazza: matrimonio o insegnamento.

Una svolta c’è quando, per alleggerire la famiglia di una bocca in più da sfamare, Sybilla viene ospitata nella tenuta della nonna.

Ed è lì che, grazie all’affetto e alle attenzioni soprattutto della dolcissima zia Helen, la giovane trova poco a poco più sicurezza in se stessa ed impara un nuovo modo di affrontare la vita.

Non è bella secondo i soliti canoni, ma ha il fuoco dentro, e per chi sa vedere più in profondità, traspare; è questo a renderla particolarmente affascinante.

Sicuramente lo pensa l’attraente e ricco proprietario terriero Harry Beecham, che la corteggia.

Sybilla non gli è indifferente; ma quando lui le propone di sposarlo, ecco l’amletica scelta tra un rassicurante futuro convenzionale oppure la brillante carriera che sogna da sempre.

Da questo famoso classico della terra dei kangaroo è stato tratto l’omonimo film diretto da Gillian Armstrong, nel 1979, interpretato da Sam Neil e Judy Davies, sullo sfondo di incantevoli scenari tipici dell’Australia; che incantarono pubblico e critica quando la pellicola concorse al 32 Festival di Cannes.

 

Robert Hughes “La riva fatale” -Adelphi- euro 23,00

A lungo, per i cartografi, l’Australia non è esistita; o meglio, si sapeva di un continente australe, ma è solo con una spedizione nell’Oceano Pacifico che si apre una nuova frontiera.

Il capitano Cook nell’aprile del 1770 sbarca nell’odierna baia di Sidney ed accerta una volta per tutte la reale presenza di quella sconfinata terra.

Però dopo la scoperta dell’Australia da parte dell’Impero Britannico, per quasi 20 anni la Corona sembra dimenticarsene.

Di fatto, la storia dell’Australia inizia il 26 gennaio del 1788, con l’arrivo della flotta di 11 vascelli inglesi, che gettano l’ancora a Botany Bay. A bordo ci sono1030 persone, ma poiché 800 di loro sono galeotti in catene, possiamo considerarle una sorta di tante arche di Noè della criminalità.

Le oltre 700 pagine di questo libro –tra romanzo storico e saggio- raccontano una storia di grande sofferenza e dolore; di fatto, l’espulsione di interi gruppi di persone “indesiderabili”. Non esattamente un bell’inizio, ma da quello è sorta una strabiliante nazione.

L’ultima nave di deportati sbarcherà nel 1868. E nell’arco di tempo tra i due approdi, l’Australia si configura come immenso penitenziario; sede del primo esperimento di deportazione di massa, attuato dal mondo cosiddetto civile.

E’ dalla scoperta dell’America nel 1492 che l’Inghilterra esiliava i suoi delinquenti a scontare le pene nelle colonie oltreoceano.

In Australia, secoli dopo, l’opera sarà più massiccia e cruenta.

Soprattutto, trasformerà un intero continente inesplorato in una prigione dove scaricare 200.000 “pezzi da galera”.

In questo modo i tribunali britannici escogitarono il “sistema” per ripulire la società da chi ritenevano: derelitto, irrecuperabile, rifiuto umano.

Le pene più severe –incluse le condanne a morte tramite impiccagione- vennero convertite nella deportazione dall’altra parte del globo.

Inoltre l’Australia era anche la colonia ricca di nuove materie prime preziose. Le cose poi non furono tanto facili; a partire dalla natura stessa dei luoghi, rivelatisi spesso impenetrabili, difficili ed irti di pericoli.

Nel corso degli anni il paese si configurò come gigantesca prigione a cielo aperto. I condannati sopravvissuti al durissimo viaggio finivano in campi simili a lager; dov’erano sottoposti a duro lavoro, privazioni e torture di ogni genere.

Stessa sorte toccò agli abitanti autoctoni, gli aborigeni australiani che, come i nativi nord americani, furono decimati e spodestati.

Nel testo di Hughes sono documentate le condizioni dei deportati, molti dei quali erano bambini.

Le donne, a loro volta, erano prigioniere dei prigionieri; ma, peggio di tutti furono trattati gli aborigeni, soprattutto i tasmaniani che, da veri padroni del continente precipitarono all’ultimo livello della scala sociale, considerati meno di nulla.

Chi ce la faceva, come gli ex carcerati, dopo aver scontata la pena, si inseriva nella società dei coloni “senza macchia” e in un sistema conservatore, improntato a uno snobismo di stampo provinciale.

Per esempio si scimmiottava la tradizionale caccia alla volpe della madre patria; solo che, in mancanza della fulva preda britannica, si rincorrevano gli australiani dingo.

Dunque, per i primi 80 anni dopo l’arrivo degli inglesi l’Australia fu sostanzialmente un pozzo nero, la cui fine fu decretata dall’approdo dell’ultima nave nel 1868.

Nel frattempo, era cresciuta una florida nazione in cui gli scambi erano stati continui, l’economia in piena crescita e sviluppo.

Tuttavia, l’Australia moderna sembrava voler dimenticare le origini, intrise di sangue e dolore; quasi si vergognasse delle sue radici che ramificavano nelle lontane galere inglesi.

Nel 1987 sarà proprio un australiano a pubblicare “La riva fatale”, mastodontico libro sull’insediamento e la costruzione dell’Australia. Lo scrittore, critico d’arte e storia, documentarista televisivo, Robert Hughes (nato a Sidney nel 1938, morto a New York nel 2012).

Ha fatto ricerche approfondite e vastissime in più campi: dall’economia alla politica, dalla storia militare alla zoologia, passando per le antiche tecniche di costruzione delle navi e il supporto di documenti importantissimi.

Si è avvalso di centinaia di testimonianze, dati e fonti che hanno restituito voce ai tanti disgraziati che furono i primi bianchi a vivere sul suolo Australiano.

Dunque un testo fondamentale –di scorrevole lettura, nonostante la mole- per chi vuole conoscere a fondo questo immenso ed affascinante angolo di mondo.

 

 

Patrick White “L’esploratore Voss” -Mondadori- euro 15,00

Patrick White è ritenuto il fondatore del romanzo australiano moderno, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1973 (uno dei più misconosciuti tra i Nobel, e neanche lo ritirò di persona).

Era nato a Londra il 28 maggio 1912 e dopo solo 6 mesi la famiglia tornò in Australia; la sua infanzia fu segnata da una grave forma di asma che lo costrinse ad una forzata solitudine e contribuì a formare il suo carattere schivo ed introverso.

Sviluppò una notevole immaginazione; l’isolamento fu sopportabile perché leggeva, scriveva, esplorava e scopriva l’amore per il teatro.

Crescendo non si distinse negli studi, avrebbe preferito dedicarsi solo alla scrittura; in seguito per un po’ fece l’allevatore di pecore e bovini.

Alla morte del padre, ebbe la fortuna di ereditare una somma che gli permise di mantenersi e dedicarsi tranquillamente alla sua vera passione.

L’esploratore” del 1957 è considerato il suo capolavoro, ma va ricordato che White è stato un intellettuale controverso. Aveva fama di uomo burbero, scostante, autore difficile che scriveva in modo criptico, per lo più troppo indecifrabile e faticoso da leggere.

L’esploratore” narra proprio la storia di un esploratore tedesco, Johann Ulrich Voss, deciso ad intraprendere la pericolosa scoperta dell’entroterra australiano.

L’opera trae ispirazione dalla seconda perlustrazione realmente effettuata nel 1848 dall’esploratore tedesco Ludwig Leichardt all’interno del continente australiano, e di lui si persero le tracce.

Nel romanzo, il protagonista Voss risulta un personaggio bizzarro, complesso, megalomane, spinto non solo dalla curiosità di scoprire terre e natura nuove, selvagge e inesplorate. La sua spedizione, più che geografica, trascende l’elemento fisico ed insegue piuttosto una connessione spirituale.

Il suo si configura prima di tutto come viaggio interiore, cammino di sofferenza verso la crescita come persona e sconfina in ricerca del senso dell’universo.

Importante sarà l’incontro e la comunicazione spirituale con la sensibile Laura Trevelyan. Ma non è previsto il lieto fine. Piuttosto nel romanzo emerge la spettacolare ambientazione australiana; la natura selvaggia e la storia della sua esplorazione.

La strafottenza di un ciociaro

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Internet ha ripreso la figura di   A n a c l e t o   V e r r e c c h i a   diventato per l’occasione persino aforista, malgrado l’irruente verbosità ciociara di quello che su Wikipedia è  definito addirittura filosofo. Capisco che, come diceva Tolstoj, tutti i morti sono belli , ma a distanza di 13 anni dalla morte va usato un metro di giudizio almeno veritiero, se non del tutto distaccato. Mi fecero conoscere V e r r e c c h i a  i professori Francesco Prestipino e Paolo Rocc , suoi colleghi in  una scuola media torinese di Borgo Vanchiglia. Quindi il dato biografico che andrebbe ricordato è che fu insegnante di materie letterarie nella scuola media. In tempi successivi ottenne di insegnare nelle scuole italiane all’estero, che erano spesso in sedi disagiate  Insegnò nella scuola italiana di Vienna, ma l’incarico di addetto culturale è cosa totalmente diversa perché riservata al personale diplomatico. Gli unici non diplomatici erano e sono i direttori degli istituti italiani all’estero, ma  V e r r e c c h i a  non è mai stato direttore di istituti italiani all’estero. Non so dove e come si laureò in Germanistica. Credo che si fosse laureato in materie letterarie forse al Magistero o alla Facoltà di lettere. Una volta parlai incautamente  di lui a due germanisti  universitari -tra cui  il grande Cesare Cases  – si dissero  indignati nell’ apprendere che  V e r r e c c h i a  si presentasse come un germanista. Le sue opere, sempre a metà strada tra la storia, la letteratura e qualche reminiscenza filosofica, dimostrano che saltello’ in modo disordinato e dilettantesco da Nietzsche  di cui scrisse dell‘impazzimento torinese, suscitando critiche negativissime da Vattimo e da Navarro) a Giordano Bruno, a Schopenhauer,  per giungere perfino a Wagner. Volendo nobilitarlo,  V e r r e c c h i a  fu un poligrafo, spesso superficiale, quasi  sempre settario perché il suo anticristianesimo  e il suo greve anticlericalismo di stampo primo Novecento erano sufficienti a screditare in termini scientifici  i suoi scritti. Non bastava dirsi anti cristiani per essere seguaci di Nietzsche, mi disse una volta Oscar Navarro  che mi citò ironicamente  la signorina Felicita che Gozzano mise in versi,  facendo rimare insieme le camicie da stirare  con Nietzsche.  V e r r e c c h i a  non  venne mai invitato a convegni scientifici e i suoi lavori sono meramente divulgativi. Non ci sarebbe nulla di male nel divulgare. Anch’io
faccio anche  il divulgatore, ma la sua supponenza che rasenta, a volte persino il comico, rende intollerabile il personaggio.  Cito  tre suoi  aforismi: “Un Dio crocifisso è paradossale, un Dio circonciso è ridicolo“. “Il cervello degli italiani è impastato male“. “Cimiteri: discariche umane“. Tre esempi bastano e avanzano. Per valutare V e  r r e c c h i a  applicherei a lui un suo aforisma che condivido : “Il modo migliore di saggiare la sostanza dei libri sarebbe quello di metterli in infusione ,così come si fa con certe erbe“. Dopo “l’infusione” i suoi libri non si trovano neppure più sulle bancarelle e nessuna enciclopedia seria ha scritto di lui. Il “germanista“ si definiva amico di Prezzolini per averlo intervistato e avrebbe voluto far  credere di esserne addirittura  l’erede. Prezzolini in persona negò questa amicizia, quando io andai a trovarlo a Lugano. Il direttore de “ La Stampa” Gaetano Scardocchia, che gli fece scrivere qualche articolo, si accorse di aver preso una cantonata e il suo successore Paolo Mieli troncò la breve collaborazione. Potrei ancora continuare, ma mi fermo, augurandomi che questo articolo, scritto in un momento di pausa feriale, possa evitare in futuro beatificazioni  immeritate e inadatte ad un “Anticristo”. Nessun editore oggi ripubblicherebbe i suoi libri datati, oltre che superficiali, composti di facili battute più che di ragionamenti pacati e documentati da letture approfondite e  adeguate.

 Bardonecchia, linguaggi artistici multidisciplinari con “Narrazioni parallele”

Lunedì 4 agosto, al palazzo delle Feste di Bardonecchia,  si aprirà la prima edizione di una nuova voce nei festival itineranti estivi con “Narrazioni parallele”, un evento innovativo che fonde linguaggi diversi, quali la danza, il circo contemporaneo, le arti visive, la musica e il teatro, su diverse latitudini, tra montagne e città.
Per tre giorni, dal 4 al 6 agosto, il Palazzo delle Feste sarà  il cuore pulsante del Festival. Lunedì 4 agosto alle 21 il festival debutterà con “Virtual Reality”, il nuovo spettacolo dei Dekru, i mimi ucraini eredi spirituali di Marcel Marceau. Con un notevole virtuosismo fisico capace di commuovere, i Dekru esplorano il rapporto tra la componente corporea e quella digitale. Garantito il divertimento, attraverso gag che fanno uso esclusivo del corpo, lo show associerà l’arte del mimo, molto antica, alle nuove espressioni del XXI secolo, quali le storie su Instagram o i balletti su Tik Tok.

Martedì 5 e mercoledì 6 agosto si terrà il debutto nazionale assoluto della celebre compagnia francese Les Farfadais, un valido punto di riferimento nel panorama europeo del nuovo circo. Il loro spettacolo, dal titolo “Envol” accompagna gli spettatori in un universo onirico, rappresentato da un cantiere incompiuto, popolato di creature magiche, misteriosi suoni e giochi di luce. Si prospettano acrobazie spettacolari e invenzioni sceniche straordinarie, che hanno fatto riscuotere a Les Farfadais un successo con oltre 150 repliche in tutta Europa.

‘Narrazioni parallele’ si trasferirà poi a Fenestrelle, dove il 10 agosto la cantautrice Cristina Donà sarà accompagnata dal polistrumentista Saverio Lanza e insieme all’antropologa Elena Dak darà vita alla serata dal titolo “La Musa e l’orizzonte”.

L’11 e il 12 agosto andranno in scena I fantasmi di Fenestrelle e una  lettura inedita tratta dal Macbeth di Shakespeare, che diventerà il monologo “Lady Macbety- God Save the Queen”.

La chiusura del festival avverrà  a Torino e sarà affidata alla Fondazione Merz, con diversi eventi di teatro subacqueo, performance musicali il 19 e 20 settembre prossimi.

Mara Martellotta