CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 401

Al valdostano Forte di Bard il feroce ruggito di “Toni al matt”

“Antonio Ligabue e il suo mondo”

Fino al 9 gennaio 2022

Bard (Aosta)

Animali, in gran numero, esotici e domestici. E autoritratti. Tanti. Disarmante e geniale nella ricerca di un’autoviolenza atroce e distruttiva é l’“Autoritratto con mosche” realizzato nel ’57 e di certo fra i più interessanti e dolorosamente amari nel gruppone di quelli posti in mostra. Il volto come sempre di sguincio, nessuna  concessione alla benché minima positività, le mosche artigliate al collo e all’occhio destro che sembra trasudare sangue, il cranio malformato dal rachitismo sviluppato (insieme al “gozzo”) fin dall’infanzia, ogni singola imperfezione volutamente accentuata con pennellate di colore che calano sulla tela come sciabolate mortifere. In volo due corvacci, gracchianti dolorose cantilene foriere di oscuri presagi. Sofferenza. Dolore.  Compagnia assidua di una vita disperata. Di un’infanzia negata. Di continue entrate e uscite dai manicomi.”Questo è il mio volto, se volete non ‘gradevole’, ma questo io sono” sembra dire l’artista, impegnato a rendersi ancor più “sgradevole”, autolesionista all’eccesso in una sorta di autoironica rappresentazione, esorcizzante forse il suo profondo malessere interiore. Antonio Ligabue, al secolo Laccabue (dal cognome del patrigno che egli rifiutò per tutta la vita) si trovava allora a Gualtieri, nel Reggiano, dov’era arrivato nel ’19, dopo aver aggredito la madre adottiva durante una lite. Arrivava dalla Svizzera (era nato a Zurigo, nel 1899) e aveva già conosciuto l’affidamento adottivo, la vita randagia, le case di cura.

Il suo sfogo era tutto nella pittura, rudimentale, ingenua, i colori spenti con tinte ricavate da fiori e piante. Solo dal ’28, dopo il fortunato incontro con Renato Marino Mazzacurati (fra i più rappresentativi artisti della Scuola Romana), che gli insegna l’uso dei colori a olio, Ligabue decide di dedicarsi completamente alla pittura e alla scultura. Il successo e la fama prendono forma alla fine degli anni Quaranta. La prima mostra è del ’55 a Gonzaga in occasione della “Fiera Millenaria”. Da quel momento l’arte pare restituirgli tutto quello che la vita gli aveva negato. Almeno in parte. E quella vita e quel mondo sono oggi al centro della grande antologica a lui dedicata nelle  Cannoniere del “Forte di Bard”fino al 22 gennaio dell’anno prossimo. Curata da Sandro Parmiggiani, la rassegna ne ripercorre l’intera carriera artistica, dalla fine degli anni Venti al 1962 quando, a causa di una paresi, Ligabue fu costretto ad interrompere la sua attività, senza mai più riprenderla, fino al 1965, anno della morte. In esposizione troviamo 90 opere, fra cui circa 50 dipinti che sono autentici capolavori, una ventina di sculture, disegni e incisioni, provenienti da collezioni private, raccolte pubbliche e Fondazioni Bancarie. Due i filoni fondamentali che hanno interessato e coinvolto appieno Ligabue e che troviamo abbondantemente espressi in mostra: gli animali esotici e feroci, ma nondimeno quelli domestici o da pollaio, e gli straordinari autoritratti che “rappresentano un’esplicita, orgogliosa dichiarazione del suo valore d’artista e della sua identità di persona umana, spesso dileggiata ed irrisa”.

A Guatieri dove visse come “straniero in terra straniera” era, per tutti o quasi, “Toni el matt”, nonostante in alcune opere come nel superbo “Autoritratto con cavalletto”, egli ami raffigurarsi vestito di tutto punto mentre en plein air dipinge un trionfante gallo. Un Toni quasi irriconoscibile, come i “normali” lo avrebbero voluto. Ampio spazio è dedicato in mostra anche alla scultura (oltre venti opere in bronzo, soprattutto di animali) cui l’artista iniziò a dedicarsi fin dai primi anni di attività usando al principio la creta del Po, resa più malleabile attraverso una lunga masticazione e solo più tardi ricorrendo alla cottura.  E infine, altro filone ben narrato in mostra, quello dei paesaggi padani, dove sullo sfondo irrompono le raffigurazioni dei castelli e delle case, con le loro guglie e bandiere al vento, della natia e mai dimenticata Svizzera. Qui troviamo un velo di fanciullesca pittura “naive”. Ma solo un velo. Perché Ligabue fu soprattutto un grande “espressionista tragico” e, per certi versi, un “primitivo” alla Rousseau il Doganiere, pur se affascinato da van Gogh, non meno che da Klimt, dai “fauves” e dagli espressionisti tedeschi. Un artista diventato “mito”. Forse a sua insaputa. Mitizzato dall’attenzione dei rotocalchi degli anni Cinquanta fino a quella a lui ancor oggi riservata dal teatro (“Un bes” di Mario Perrotta) e dal cinema (dal recente “Volevo nascondermi”) di Giorgio Diritti. In mostra, a tal proposito, non mancano anche testimonianza dirette di autori, registi ed attori.

Gianni Milani

 

“Antonio Ligabue e il suo mondo”

Forte di Bard (Aosta), tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 9 gennaio 2022

Orari: dal mart. al ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19; lun. chiuso

Nelle foto

–         “Autoritratto con mosche”, olio su faesite, 1957

–         “Leone ruggente”, bronzo, 1936

–         Paesaggio svizzero”, olio su tela, 1957-‘58

Davide Quadrio è il nuovo direttore del Mao

Il Consiglio Direttivo della Fondazione Torino Musei annuncia la nomina di Davide Quadrio a Direttore del MAO Museo d’Arte Orientale di Torino.

Sono convinto che questa scelta garantirà al museo uno sviluppo che ne rafforzerà l’immagine a livello internazionale – dichiara Maurizio Cibrario, Presidente della Fondazione Torino Musei.

L’Asia è un continente culturale immenso, ricco di tradizioni ma anche di intuizioni culturali e sociali innovative e importanti. – dichiara il neoeletto direttore Davide Quadrio – Essere direttore del MAO è per me una grande opportunità per portare a Torino la mia esperienza trentennale in Asia. Ringrazio la Fondazione Torino Musei per la fiducia riposta in me per accompagnare il MAO in una dimensione museale ancor più internazionale.

Davide Quadrio è stato selezionato al termine della call lanciata dalla Fondazione Torino Musei per individuare il nuovo direttore del Museo.

Davide Quadrio è un produttore culturale, curatore e educatore che vive e lavora tra Asia e Italia. Ha fondato e diretto per un decennio il BizArt Center, il primo laboratorio artistico indipendente no-profit a Shanghai, nato per promuovere la scena artistica contemporanea locale. Nel 2007 ha creato Arthub, una piattaforma curatoriale dedicata alla produzione e alla promozione dell’arte in Asia e nel mondo. Gli archivi di BizArt e Arthub, attivi in Cina dagli anni 2000, sono stati presentati come una delle realtà culturali e risorse artistiche principali per la mostra “Art and China after 1989: Theatre of the World”, ospitata dal Guggenheim di New York e Bilbao. Quadrio è stato ospite presso il Shanghai Visual Art Institute (2011-2017), ha curato e prodotto il progetto monumentale City Pavilion per la Biennale di Shanghai del 2012.

Dal 2013 al 2016 ha curato la sezione di arte contemporanea dell’Aurora Museum di Shanghai, una delle collezioni di arte antica cinese più spettacolare al mondo.

Dal 2020 è professore d’eccellenza presso lo IUAV di Venezia.

 

Martedì 21 dicembre alle 11 è prevista la conferenza stampa di presentazione del nuovo Direttore, nella sala polifunzionale del MAO, via San Domenico 11 Torino.

Teatro, carcere e poesie: i vent’anni dell’associazione La Brezza  

Domenica 28 novembre lo spazio polivalente di Barriera di Milano accoglie la IX edizione del progetto Scambi di luce, in collaborazione con Vol.To

 

Sala Scicluna, spazio polivalente nel cuore di Barriera di Milano (via Renato Martorelli 78), accoglie all’interno della stagione culturale 2021/22 uno speciale evento che intreccia volontariato e teatro sociale.

Domenica 28 novembre l’associazione La Brezza ODV festeggerà nello spazio il suo ventennale con la nona edizione di Scambi di luce.

Il programma della giornata prevede, alle ore 15.30, la presentazione del testo Brezza venti, con la lettura di poesie e il racconto dei progetti realizzati dal 2001 a oggi. Alla sera, dalle ore 20.30, il pubblico potrà assistere ad Aria, performance teatrale nata dalla collaborazione tra La Brezza, alcune persone inserite in percorsi alternativi al carcere, la Gipsy Musical Academy di Torino e la cantautrice Anna Castiglia. Regia di Stefania Rosso, della compagnia Liberipensatori “Paul Valéry”. Un evento patrocinato da Vol.To – Centro Servizi per il Volontariato.

Ingresso libero con prenotazione obbligatoria tramite SMS o WhatsApp al numero 3474002314; posti limitati. Per accedere è richiesto il Green Pass; ingresso e fruizione nel rispetto delle normative da contenimento Covid-19 vigenti.

 

L’associazione d’ascolto La Brezza opera con i propri volontari all’interno della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno” di Torino e altri istituti penitenziari del Piemonte. L’obiettivo che si prefigge è di promuovere interventi finalizzati a sensibilizzare il territorio nei confronti del mondo carcerario, per far sì che il grande divario esistente tra la società e il carcere possa essere attenuato.

La Brezza nasce nel 2001, inizia a operare all’interno dell’ospedale Amedeo di Savoia rivolgendosi, con specifici spazi di ascolto, a persone sieropositive. Dal 2003 gli spazi di ascolto vengono dedicati anche ai detenuti delle Vallette. Durante uno degli incontri è nata l’esigenza di creare un ambiente in cui dare alle persone la possibilità di esprimersi liberamente senza nessuna forma di giudizio, scegliendo l’arte come strumento d’espressione e di ascolto.

 

Inaugurata nel 2017 da Katia Capato, direttrice artistica di Nuove Cosmogonie Teatro e presidente della neonata Associazione culturale Joseph Scicluna, Sala Scicluna nasce come atto d’amore e promessa mantenuta nei confronti di Joseph (alias Pino) Scicluna, attore, drammaturgo e regista maltese, suo compagno di vita, venuto a mancare due anni prima a seguito di una grave malattia. Ex carrozzeria, situata in un interno cortile, Sala Scicluna si presenta oggi come un’oasi riparata dal caos urbano, nuovamente fruibile al 100% della capienza da tutti coloro che ricercano quiete e bellezza nella musica, nel teatro, nelle mostre figurative o negli incontri a tema librario.

La programmazione, concepita volutamente come un cantiere in costruzione, è tuttora aperta a proposte dal territorio, con la volontà di arricchire lo scambio tra gli artisti e il presidio culturale.

Intenzione, azione, determinazione, non dare nulla per scontato, valutazione e scelta, presa di coscienza dei momenti difficili e, nonostante tutto, ancora una certa fiducia nel miracolo, nella serendipità, e nella benevolenza e creatività dell’universo e del genere umano. Con questo spirito Sala Sicluna riapre ancora una porta, portando avanti quel sogno e progetto che anni fa le ha permesso di prendere vita”. Così la direttrice Capato, che aggiunge: “In Barriera di Milano, quartiere ancora troppo spesso vittima di pregiudizi ma crogiolo di creatività, si realizza il sogno e la promessa. Sala Scicluna è una realtà totalmente autosostenuta. Il prezioso supporto del pubblico e di coloro che, riconoscendola quale oasi di bellezza e di sincero incontro, ne hanno chiesto in uso spazi e servizi, ne ha garantito la ripartenza in seguito ai lockdown della pandemia”.

 

 

Il programma completo della stagione di Sala Scicluna è consultabile sul sito www.nuovecosmogonieteatro.com

 

 

Futures moves to the city

5 TALENTI, 5 SPAZI INDIPENDENTI, 5 MOSTRE

Dal 24 novembre 2021 a fine marzo 2022, Torino

(Almanac Inn, Cripta747, Jest, Mucho Mas, Recontemporary)
 
 
Immagini ad uso stampa: https://we.tl/t-2AdxUiJuf9

 

CAMERA e la ricerca, i nuovi talenti e il territorio: sono queste le combinazioni di parole, e di significato, che hanno guidato e guidano il lavoro, oramai quadriennale, del progetto europeo FUTURES Photography del quale il centro torinese fa parte come unico membro italiano del board.
Eleonora Agostini, Matteo de Mayda, Leonardo Magrelli, Giulia Parlato, Silvia Rosi sono i cinque fotografi selezionati quest’anno e coinvolti nelle attività insieme ad oltre altri settanta artisti di diversi paesi europei: hanno partecipato a workshop con fotografi riconosciuti a livello internazionale, sono stati coinvolti in numerosi incontri professionali al festival Futures Photography Festival di Amsterdam e ora, grazie alla collaborazione con cinque spazi indipendenti di Torino, potranno esporre le loro opere da fine novembre a metà marzo 2022.
Le realtà coinvolte in tale processo di cooperazione e sinergia – Almanac Inn, Cripta747, Jest, Mucho Mas e Recontemporary – sono organizzazioni non-profit attive nella promozione di nuovi talenti e linguaggi del contemporaneo nel panorama artistico nazionale e internazionale. A ognuno di loro, CAMERA ha chiesto di ospitare una mostra personale, rispettivamente di Eleonora Agostini, Matteo De Mayda, Leonardo Magrelli, Giulia Parlato e Silvia Rosi, delegando alle singole realtà il rapporto con gli artisti, l’ideazione, lo sviluppo e la produzione dell’esposizione.
Nel corso degli ultimi quattro anni, grazie a FUTURES Photography, – commenta il coordinatore del programma Giangavino Pazzola – CAMERA ha individuato e coinvolto oltre venti giovani artisti non solo in mostre, studio visit e workshop, ma li ha anche connessi con le quindici istituzioni e festival di fotografia europei con i quali il centro torinese ha fondato la piattaforma. In qualità di coordinatore del programma, CAMERA si è dato l’obiettivo di dare spazio comunicativo ai talenti FUTURES e offrire loro occasioni di visibilità, nonché di concorrere alla coesione, crescita e promozione del panorama artistico locale.
Si riporta di seguito il programma e i contenuti delle cinque mostre

Leonardo Magrelli @ Jest

via Bernardino Galliari 15/D, 10125, Torino
Data: 24 Novembre 2021 – 23 Gennaio 2022
Jest è uno spazio dedicato alla cultura fotografica che opera attraverso organizzazione di mostre di autori nazionali e internazionali, corsi e attività didattiche, eventi e presentazioni. Punto di riferimento e luogo di scambio per tutti gli appassionati delle arti visive, Jest interpreta la fotografia sia come mezzo espressivo e narrativo, sia come linguaggio e strumento di comunicazione democratico per la costruzione di una società civile consapevole, critica e partecipe.
Leonardo Magrelli presenta in anteprima il suo lavoro più recente, The Plant, ancora in fase di espansione. La mostra rispecchia la natura potenziale del lavoro in evoluzione, adottando una formulazione aperta, frammentata e combinatoria, che invita lo spettatore a interagire con le immagini, ricomponendole all’interno di pubblicazioni personalizzabili e sempre diverse. Le fotografie perdono così la loro interezza e fissità, per approdare a una dimensione frastagliata dell’immagine, dove sono i singoli dettagli ad alternarsi tra loro, fin quasi all’astrazione.

Silvia Rosi @ Recontemporary

Via Gaudenzio Ferrari 12, 10124, Torino 
Data: 15 dicembre 2021 – 04 febbraio 2022
Nato nel 2018 per esplorare l’impatto delle tecnologie digitali nell’arte contemporanea, Recontemporary ha l’obiettivo di costruire una community attiva e partecipativa, rendendo così più accessibile il linguaggio audiovisivo. Attraverso le mostre, i workshop e i laboratori con le scuole, questa realtà culturale favorisce la collaborazione e il dialogo tra istituzioni e artisti nel panorama internazionale al fine di offrire una visione sempre più completa e aggiornata di una forma d’arte in continua evoluzione.
La mostra di Silvia Rosi presentata negli spazi di via Gaudenzio Ferrari, articolata in tre opere video, ripercorre un tema centrale della ricerca artistica della fotografa: l’esercizio della memoria come metodo di trasmissione di tradizioni, la riproduzione di movimenti, per stimolare il ricordo. Rosi analizza così le origini della sua famiglia e l’esperienza di migrazione dal Togo all’Italia, riprendendo in mano le memorie ancestrali delle sue radici.

Giulia Parlato @ Mucho Mas!

Corso Brescia 89, 10154, Torino 
date: 14 gennaio 2022 – 27 febbraio 2022
Mucho Mas! è un artist-run space fondato nel 2018 da Luca Vianello e Silvia Mangosio. Luogo di incontri e sperimentazione, condivisione e ricerca. Sin dalla sua apertura, Mucho Mas! ha avuto la possibilità di ospitare artisti emergenti e mid-career, nazionali e internazionali, riportando una visione trasversale e sperimentale dell’immagine contemporanea.
Diachronicles (2019-2021) è un progetto di Giulia Parlato che racconta l’assenza di memoria ed il ruolo centrale che l’archeologia, la fotografia e il museo assumono nella fabbricazione della storia collettiva. La mostra si concentra su un approccio più installativo, che racconta il mondo articolato e complesso che l’artista crea attraverso le sue immagini.

Eleonora Agostini @ Almanac Inn

Via Reggio 13, 10153, Torino
date: 4 febbraio 2022 – 27 marzo 2022 
Almanac Inn è un’organizzazione senza scopo di lucro che mira a sviluppare la ricerca artistica di artisti emergenti, promuovere l’arte come mezzo educativo e facilitare gli scambi tra giovani artisti internazionali, il pubblico locale, le istituzioni e i professionisti dell’arte. Fondata come programma parallelo ad Almanac Projects a Londra, la piattaforma viene fornita come una serie di residenze e mostre dirette dalla ricerca critica.
A Study On Waitressing è l’ultimo progetto in cui Eleonora Agostini utilizza la fotografia, il testo e le immagini in movimento come forme di esplorazione sul palco, nel backstage e nella performance. La figura della madre e il suo lavoro di cameriera servono come veicolo per affrontare le preoccupazioni sul visibile e sul nascosto nelle relazioni interpersonali, nonché i ruoli che svolgiamo nella nostra quotidianità.

Matteo De Mayda @ CRIPTA747 

Via Catania 15/F, 10153, Torino
date: 4 febbraio 2022 – 28 febbraio 2022
Cripta747 è un’organizzazione non-profit a supporto della ricerca e dell’arte contemporanea fondata nel 2008 che opera all’intersezione tra pratiche artistiche e dibattiti culturali, offrendo un programma annuale di mostre, residenze, talks ed eventi pensati per favorire il dialogo e lo scambio tra arti visive e altri linguaggi espressivi e restituire al pubblico una visione autentica e inedita. I progetti realizzati negli anni hanno portato a Torino un nuovo modo di raccontare l’evolversi delle realtà contemporanee, attraverso il lavoro di artisti e curatori emergenti, ma anche di importanti figure storiche. Questo approccio fa di Cripta747 una piattaforma un luogo di incontro e di scambio aperto verso l’esterno e la collaborazione per sostenere e promuovere la produzione artistica.
Non c’è quiete dopo la tempesta è una ricerca a lungo termine di Matteo De Mayda che intreccia foto d’archivio e di reportage, immagini satellitari e al microscopio, testimonianze individuali e teorie scientifiche, con l’obiettivo di raccontare la storia della tempesta Vaia e delle comunità da essa colpite. Il progetto analizza quanto è accaduto, ne pondera cause, responsabilità̀, conseguenze, prospettive future, sensibilizzando il pubblico sul tema del cambiamento climatico.
FUTURES (EPP – European Photography Platform) è una piattaforma di ricerca sulla fotografia contemporanea sostenuta dall’Unione Europea e focalizzata nella mappatura e supporto di autori emergenti oltre i confini nazionali.  FUTURES è cofinanziato dal Programma Europa Creativa dell’Unione Europea.

Teatro Bossatis. Conferenza il femminile nelle fiabe di Paolo Battistel

Si terrà giovedì 25 novembre alle ore 21.00 a Volvera presso il Teatro Bossatis in Via Ponsati 69, all’interno delle iniziative per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne organizzata dal comune di Volvera, una conferenza dal titolo: Il femminile nelle fiabe – dee decadute e fanciulle in pericolo nel folklore europeo.

Ospite della serata lo scrittore, saggista e mitologo Paolo Battistel che riprendendo il suo ultimo libro ” La vera origine delle fiabe. Gli ultimi frammenti di un mondo perduto” (Uno Editori), analizzerà il tema del femminile nelle fiabe più note al pubblico d’ogni età. La conferenza sarà intervallata da narrazioni fiabesche a cura del gruppo culturale Storytelling Torino con le voci di Marco Pollarolo, Laura Ballesio e Manuela Pellati.
Le fiabe, che la società moderna ha rinchiuso a forza nella stanza dei bambini, sono molto più antiche di quello che possiamo lontanamente immaginare e nascondono un volto segreto: sono ciò che rimane di antichi miti precristiani diffusi in Europa durante l’antichità e il Medioevo. Queste narrazioni sopravvissute agli stessi popoli che le avevano generate vennero censurate ed epurate dalla cultura cristiana trasformandole in seguito in racconti per l’infanzia.
Paolo Battistel, studioso di miti e leggende, metterà in luce l’antico significato delle fiabe e il loro inscindibile legame con il femminile nella sua sacralità e pienezza. Figure come Biancaneve, Raperonzolo e Cenerentola hanno un significato antico e arcano ancora tutto da scoprire e riscoprire. Le fiabe ci incantano perché ritroviamo in esse i frammenti della nostra stessa anima, frammenti che ritenevamo perduti e che si risvegliano appena iniziamo a leggere “C’era una volta…”.
L’ingresso è libero con green pass. La prenotazione è obbligatoria.
Paolo Battistel, laureato in filosofia con tesi in mitologia, è profondo conoscitore dei miti e delle leggende precristiane. Vanta numerose collaborazioni con testate giornalistiche e trasmissioni televisive nazionali e locali. Ha scritto una raccolta di fiabe dal titolo Lu Barban, il diavolo e le streghe e un saggio di storia dal titolo Il mistero della Roccaforte dei Rosacroce. Insieme a Enrica Perucchietti ha pubblicato tre saggi d’argomento mitologico Il sangue di Caino, I figli di Lucifero e Il dio cornuto. Ha scritto inoltre il saggio letterario J.R.R. Tolkien, il lungo sentiero tra ombra e luce. Vive e lavora a Torino come scrittore, docente ed editor.
Per informazioni e prenotazioni:
info@artedellacommedia.com
Whatsapp: 3474336018
amicibossatis@gmail.com

“Passaparola dei libri”, Torino quinta città

Torino con 4.049 iscritti è la quinta città dei lettori

Un gruppo da primato: l’incredibile traguardo di Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri!

Chi pensa che “social network” sia solo sinonimo di disimpegno potrebbe ricredersi scoprendo che il gruppo FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri ha raggiunto, primo tra i gruppi in lingua italiana sull’argomento, il numero di 200.000 iscritti: duecentomila persone che ogni giorno entrano su fb per scambiarsi opinioni sui libri appena letti, chiedere consigli sulle future letture, confrontare pareri e cimentarsi nella difficile arte della recensione letteraria, il tutto senza influenze da parte di scrittori o editori, che nel gruppo non hanno la possibilità di promuovere alcuna iniziativa, ma possono partecipare soltanto in qualità di lettori.

Fondato otto anni fa da Claudio Cantini, il gruppo si è trasformato da piccola community dedicata agli scambi di consigli tra lettori in un’importante realtà digitale con una media di oltre un centinaio di post pubblicati ogni giorno, che spaziano dalle recensioni alle segnalazioni di nuove uscite fino ai sondaggi: gli argomenti culturali, trattati in modo informale e spigliato, riscuotono interesse ed entusiasmo smentendo la voce comune che vuole gli italiani un popolo di non-lettori.

Inoltre, l’attività del gruppo non è più limitata a FB poiché qualche anno gli amministratori che lo gestiscono (Claudio Cantini e Valentina Leoni) hanno aperto un sito internet ilpassaparoladeilibri.it nel quale dare maggior visibilità ai migliori contenuti provenienti dalle reti sociali e promuovere iniziative dedicate al mondo dei libri come presentazioni, eventi editoriali, interviste e articoli speciali ad autori, editori e librai, oltre alla pubblicazione a cadenza periodica di seguitissime rubriche dedicate alle novità in libreria, agli incontri con gli autori e una rassegna sui libri più letti e discussi; recentemente, poi, Un libro tira l’altro ha iniziato una proficua collaborazione con il sito novitainlibreria.it specializzato nella promozione e divulgazione di autori ed editori emergenti, indipendenti o comunque non legati ai circuiti della grande distribuzione.

Quindi se cercate consigli su una valida lettura o volete parlarci del vostro libro preferito, se volete rimanere aggiornati sulle novità in libreria magari anche quelle pubblicate da editori più piccoli e particolari, allora vi aspettiamo su Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri, il gruppo che sta dalla parte del lettore.

redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Premio Alessandro Marena: un ricordo a sostegno dei giovani artisti

Giunto alla quarta edizione, il Premio Alessandro Marena torna a supportare i giovani artisti dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino che hanno trovato presso l’Associazione Alessandro Marena una delle sedi formative ed espositive.

 

Abbiamo incontrato Franca Pastore Marena, mamma del compianto Alessandro e ideatrice dell’Associazione e del Premio in sua memoria.

 

Franca, il ricordo di Alessandro rimane vivo nelle moltissime persone che lo conoscevano e che hanno contribuito alla nascita di questa realtà che è l’Associazione Alessandro Marena. Come è nato questo progetto?

 

Alessandro è mancato il 7 luglio 2013, da questa data tragica è nata l’Associazione che porta il suo nome, da me fortissimamente voluta e caldamente sostenuta dai tanti amici vicini in quei terribili momenti.

La mission dell’Associazione intende continuare il progetto di Alessandro nel mondo dell’arte: dapprima nella galleria Marena Rooms Gallery e successivamente nell’Alessandro Marena Project. La galleria d’arte a tutti gli effetti, aperta insieme a me, e un secondo spazio, con installazioni e opere da lui volute, in un progetto più museale e di ricerca.

 

Si può dire quindi che l’arte è stata una passione tramandata di madre in figlio?

 

In un certo senso sì, fin da piccolino seguiva le mostre insieme a me. Andavamo per fiere, mostre e musei…

 

Quindi che attività svolge esattamente l’Associazione?

 

Oltre al Premio Alessandro Marena, con cadenza biennale, giunto oggi alla quarta edizione, l’Associazione organizza mostre ed eventi durante l’anno, per esempio in questi giorni – fino al 30 novembre 2021 – si potrà visitare la mostra “La valle dei pollini” di Theo Gallino a cura di Monica Trigona nel parco secolare di Villa Sassi, dove sono installate le sue monumentali opere in un perfetto connubio tra natura e arte.

 

Parliamo di questo Premio: un momento di ricordo, ma soprattutto uno spiraglio di speranza e di incoraggiamento per tanti ragazzi talentuosi, di cosa si tratta?

 

Il Premio Alessandro Marena consiste in un premio in denaro per consentire al vincitore o vincitrice di proseguire nella sua ricerca artistica e nel suo percorso formativo. L’impegno da parte dell’Associazione è quello di seguire la crescita artistica dei partecipanti.

 

Oltre al Premio Alessandro Marena 2021, quest’anno verranno assegnati altri due premi:

– il Premio conferito dai visitatori della mostra che darà l’opportunità al vincitore di esporre presso la sede dell’Associazione o presso un’altra sede selezionata
– il Premio Villa Sassi concesso dalla Presidente dell’Associazione Patrizia Reviglio che permetterà al vincitore di esporre una o più opere nella location storica.

Qual è stato il tema su cui gli artisti sono stati chiamati a riflettere e a produrre le proprie opere?

 

Quest’anno ho voluto fermamente, in accordo con la curatrice della mostra Francesca Canfora, che i partecipanti trattassero il tema della perdita nelle opere proposte. Nel 2013 io ho subito la perdita di un figlio, ma non sono la sola ad essere stata colpita da una perdita importante: la pandemia ha portato ognuno di noi a sentire la mancanza di qualcuno, sia dal punto di vista della perdita fisica causata dalla morte, sia dalla perdita dovuta all’interruzione dei rapporti umani, all’isolamento dalle persone. Ed ecco che i ragazzi hanno perfettamente recepito il concetto proponendo opere che si riferiscono ad ogni forma perdita.

 

Quanti ragazzi hanno partecipato quest’anno?

 

Ad ogni edizione cresce il numero di partecipanti: delle 56 candidature pervenute il nostro comitato scientifico ha selezionato i 23 artisti che meglio rispondevano al tema proposto nel bando “Missing Ties”.

 

Ricordiamo allora ai lettori i prossimi appuntamenti.

 

La mostra con le opere finaliste potrà essere visitata fino al 30 novembre dal lunedì al sabato dalle ore 16.00 alle ore 19.00 presso la sede dell’Associazione Alessandro Marena in Via dei Mille 40/A a Torino.

Il 30 novembre alle ore 17.00 si terrà un confronto/dibattito con esperti del settore dal titolo “Dall’accademia alla mostra: istruzioni per l’uso per artisti emergenti”, mentre alle 18.00 si potrà assistere alla premiazione finale.

 

Ringraziamo Franca Pastore Marena e rimaniamo in attesa di scoprire e comunicare i nomi dei vincitori.

 

Pietro Ruspa

Nuova vita, in via Massena a Torino, per il “Polski Kot”

Si riparte con la rassegna “Kobie To!”, in collaborazione con Arci Torino

Obiettivo: raccontare la condizione femminile nei Paesi dell’Est Europa. Rinasce, in quest’ottica, aderendo ad “Arci Torino” il Circolo Culturale “Polski Kot”.  Alla guida due giovani donne: la presidente Daria Anna Sitek, 28 anni, polacca, trasferitasi a Torino (dove si è laureata in “Lingue e Culture per il Turismo”) nel 2013 e Anna Mangiullo, vicepresidente, originaria della Terra d’Otranto e arrivata sotto la Mole nel 2014 per laurearsi in “Lingua e Letteratura Russa”, dopo aver trascorso periodi di studio in Russia ed aver vissuto per un anno in Ucraina. E Daria e Anna sono partite davvero in quarta con un’agenda di appuntamenti, da definire nei dettagli, ma tutti concepiti sotto il segno delle donne e della multiculturalità. Il primo appuntamento, realizzato con il sostegno della Città di Torino, è già fissato a partire da giovedì 25 novembre , in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ed ha per titolo “Kobie To!”, una fotografia e un’attenta riflessione (con ospiti di rilievo come scrittori, artisti e attivisti) sulla condizione femminile nei Paesi di area slava.  “Il nome del progetto, ‘KobieTo!’, rimanda – spiegano Daria e Anna – a un gioco di parole tra la lingua polacca e la città di Torino: in polacco, il termine per indicare la donna è Kobiéta. Kobieto è la parola declinata al vocativo: ‘Ehi, donna!’. Dunque, un nome scelto per richiamare l’attenzione sulle donne. Inoltre, l’ultima sillaba di ‘KobieTo’ è un chiaro riferimento a Torino, in cui il progetto si è sviluppato e a cui è rivolto”.

La rassegna, s’è detto,  partirà giovedì 25 novembre, ospite Anna Zafesova, giornalista de “La Stampa”, analista politica per il “Foglio” e “Linkiesta”, esperta di Russia e spazio post-sovietico, nonché traduttrice dal russo, che parlerà di donne e diritti (dimenticati) nella Russia putiniana.  L’appuntamento è nella sede dell’associazione, in via Massena 19/A a Torino, alle 20: nella stessa sede e allo stesso orario si svolgeranno anche le conferenze successive.

Sabato 4 dicembre sarà la volta di Magda Górecka, attivista polacca e membro del movimento “Ogólnopolski Strajk Kobiet (OSK, Sciopero delle Donne Polacche)”: suo il focus sulle proteste che hanno alimentato la Polonia lo scorso anno. Venerdì 10 dicembre microfono a Azra Nuhefendić, giornalista bosniaca residente a Trieste, corrispondente per l’“Osservatorio Balcani e Caucaso” mentre domenica 11 dicembre, l’appuntamento è con Alessandro Ajres, fondatore del “Polski Kot”, professore all’Università di Torino e Bari, che racconterà le proteste polacche attraverso un’analisi linguistica.

Infine, domenica 19 dicembre, un’iniziativa performativa (che si svolge eccezionalmente al “Magazzino sul Po” – partner del progetto) con Urszula Gabriela Bertin. Parallelamente verrà allestita la mostra “Nigdy nie będziesz szła sama” ( “Non camminerai mai sola”) della fotografa polacca Anna Krenz e di Karol Szafranski.

La conclusione nel 2022: il 16 gennaio con Marta Lempart, avvocato e attivista polacca presidente del movimento “OSK” (Ogólnopolski Strajk Kobiet/All-Poland Women’s Strike). “E questa – precisa la presidente Daria Anna Sitek – è solo la prima iniziativa organizzata dal ‘Polski kot’, la cui traduzione letterale italiana è ‘gatto polacco’, anche se sarebbe meglio chiamarlo ‘Polski kąt, ossia angolo polacco”.

Il “Polski kot” è nato nel 2010 da un’idea di Alessandro Ajres, docente di lingua polacca e traduttore. Inizialmente è stata solo un’associazione culturale che faceva da vetrina alla Polonia e alle realtà culturali slave. Un anno dopo, il 17 febbraio 2011, si è trasformata in Circolo Culturale, organizzando corsi di lingue slave, presentazioni di libri, mostre, concerti, workshop, aperitivi, degustazioni a tema ed eventi culturali di vario genere. Dal 2015, il “Polski Kot” ha dato vita al “Festival Slavika”, primo festival italiano interamente dedicato alle culture dell’est Europa. Da quando esiste, il Circolo, ogni anno, accoglie ospiti italiani e stranieri: fra questi, ha avuto il premio Nobel per la letteratura Olga Tokarczuk, i poeti polacchi Adam Zagajewski e Tomasz Różycki, la scrittrice croata Dubravka Ugresič, il cantautore bosniaco Damir Imamovič e decine di altri personaggi del più vario mondo culturale. Nel tempo, ha anche avviato collaborazioni importanti con MOSTKioskUnione Culturale Franco AntonicelliTo je ToEastJournalRadio Beckwith Evangelica e Russia in Translation. Essenziale è stato anche il patrocinio della cattedra di Slavistica dell’Università di Torino.

g.m.

Nelle foto

–         Daria Anna Sitek e Anna Mangiullo

–         Anna Zafesova

–         Magda Gòrecka

Il Palazzo dei Conti di Bricherasio si apre al pubblico

Una serie di iniziative in programma nel suo parco all’inglese

 

All’ingresso della ridente e accogliente cittadina di Bricherasio si incontra il Palazzo dei Conti di Bricherasio, attualmente appartenente alla famiglia Calleri di Sala, che ha vantato anche esponenti in famiglia di grande valore quali Edoardo Calleri conte di Sala, sindaco di Bricherasio dal 1951 al 1960, successivamente assessore regionale all’Urbanistica e primo Presidente della neonata Regione Piemonte.

“Il palazzo dei Conti di Bricherasio – spiega Guido Calleri di Sala, attuale proprietario – venne costruito tra Seicento e Settecento ai piedi delle colline del castello, nel luogo in cui sorgevano le fortificazioni che furono distrutte durante l’assedio del 1594 in cui Bricherasio, occupata dai Francesi, fu riconquistata dalle truppe dei Savoia dopo quaranta giorni di bombardamenti. Ancora oggi conserviamo nel parco una testimonianza storica di quell’assedio, in una porzione di mura”.

“In questo palazzo – aggiunge Guido Calleri di Sala – ebbe i natali, nel 1706, Giovan Battista Cacherano di Bricherasio, comandante delle truppe piemontesi e austriache che, il 21 luglio 1747, sconfissero i francesi nelle celebre battaglia del Colle dell’Assietta. A questo episodio si fa risalire la nascita del detto piemontese “bogianen”, che rappresenta la fusione delle parole “bogia” e “nen”. In italiano si traduce letteralmente con “non ti muovere”. Per cercare di contenere l’avanzata degli eserciti francesi e spagnoli, Carlo Emanuele III fece costruire, infatti, oltre ai forti di Exilles e Fenestrelle, lungo l’Assietta e il Grand Serin, piccole opere difensive in cui i soldati piemontesi si sarebberopotuti schierare in attesa del nemico. La situazione stava diventando difficile ma, nonostante tutto, le truppe non vollero ritirarsi e il loro comandante rispose alla richiesta di ritirata con le parole  “Nojautri bogioma nen”, “noi non ci muoviamo”.

“Il secondo personaggio che ha frequentato questa dimora storica– precisa Guido Calleri di Sala –  è stato Emanuele Cacherano di Bricherasio, fondatore dell’Accomandita Ceirano, dell’Automobile Club d’Italia e ideatore della Fiat. Un dipinto di Lorenzo Dalleaniritrae, infatti, la firma dell’atto di fondazione della Fiat e il conteEmanuele Cacherano di Bricherasio seduto al centro, vestito di bianco”.

“Dal secondo dopoguerra questo palazzo – aggiunge Guido Calleridi Sala – è  diventato una residenza estiva e, grazie all’impegno e alla passione di mio padre ( Edoardo Calleri di Sala), ha visto la progettazione  dell’architettura del parco, che ha un’estensione di quasi quattro ettari. Esso conta una cinquantina di specie arboree e almeno venti arbustive. Lo stile, elaborato anche grazie all’aiuto di un architetto, è  quello dei giardini all’inglese. Questo parco è stato protagonista di una più ampia apertura al pubblico rispetto a quella consueta domenicale di fine mese, vale a dire a fine settembre del 2020, quando abbiamo promosso l’evento dal titolo “Cibo  e territorio, un racconto continuo”, diventato  il fil rouge di un intero  weekend a Villa Calleri di Sala. Abbiamo scelto il cibo come elemento centrale di connessione con il territorio, consapevoli del fatto che natura e ambiente debbano essere centrali nella vita quotidiana di ognuno di noi”.

“Per la prossima primavera – precisa Guido Calleri di Sala – desideriamo aprire il parco ancor più al pubblico e renderlo ancor più un protagonista attivo della sua vita. Abbiamo constatato che piace molto al pubblico visitare e conoscere le specie arboreepresenti. Agli incontri organizzati lo scorso anno sul tema del legame tra cibo e territorio aggiungeremo la prossima primavera delle conferenze, ospitate nel parco, di presentazione di libri. Il primo testo che verrà presentato sarà l’ultimo volume scritto dal professor Pier Franco Quaglieni, fondatore, insieme a Mario Soldati, del Centro Pannunzio, dal titolo “La passione per la libertà”, in cui cinque pagine del volume sono, tra l’altro, dedicate a mio cugino Paolo Macchi. Il secondo libro che verrà presentato è quello scritto dal giornalista torinese Luca Rolandi dal titolo “Quando vinceva il Quadrilatero”, un romanzo del pallone, dedicato agli anni d’oro del calcio della provincia piemontese,periodo in cui questo sport era pionieristico ma nobile, e in cui furono riportate le vittorie di alcune squadre di calcio quali la Pro Vercelli, l’Alessandria, il Novara e il Casale; in questa occasioneverrà anche presentato il libro di cui è  autore Giorgio Merlo, dal titolo “I Granata”.

Il terzo appuntamento verrà dedicato a due volumi che saranno illustrati al pubblico nel parco della villa, entrambi dedicati alla chiesa di Santa Maria, uno frutto di una tesi di laurea sulla chiesa di Santa Maria di Volvera e uno sulla chiesa omonima sita a Bricherasio”.

La villa Calleri di Sala fa parte del circuito delle Dimore Storiche Italiane, che sono 4500 in Italia, e delle Dimore Storiche del Pinerolese, che contano, in totale, tredici proprietà storiche. Aderisce alle giornate aperte promosse dall’Associazione e è  vincolata alla Soprintendenza dei Beni Culturali del Piemonte.

Mara Martellotta 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Mary S. Lovell   “Côte d’Azur”     -Neri Pozza-    euro 22,00

Questo libro -che si legge come un romanzo ed è accompagnato da foto d’epoca- ci porta nell’allure e nei fasti della Riviera Francese tra gli anni 20 e 60. Ripercorre il passaggio e i vezzi di personaggi della caratura di Winston Churchill, i Duchi di Windsor, Rita Hayworth, lo scrittore Somerset Maugham e tanti altri.

Epicentro del bel mondo della Cote d’Azur fu lo Château de l’Horizon, palazzo bianco adagiato sull’acqua (tra Cannes e Juan les Pins). Maestosa dimora modernista costruita dall’architetto americano Barry Dierks nel 1932 per l’attrice Maxine Elliot. Attrice e manager teatrale di leggendaria bellezza, ricchissima grazie alla sua abilità in borsa e anche all’amicizia (probabilmente pure alle dritte giuste) del finanziere John Pierpont Morgan.

 

Il suo magnifico e opulento palazzo ospitò personaggi di alto livello e fu per anni l’epicentro del Jet Set  Internazionale, con abbondanti dosi di glamour, ma anche stravaganze e ostentazione. Lo Château de l’Horizon fu teatro di un periodo smagliante della Riviera, in cui tutto ruotava intorno a circoli super esclusivi nei quali eri accettato solo se ricchissimo, di nobili natali e divertente fino allo spasimo. Fu una sorta di santuario, meta e rifugio per un eclettico gruppo di artisti, pittori, musicisti e scrittori, tra i quali Picasso, Scott e Zelda Fitzgerald, Dorothy Parker.

Una sorta di dolce vita, luogo d’incontro eletto dal gotha internazionale anche politico che si trastullava tra notti folli, teste coronate o che la corona l’avevano persa per amore –vedi Edoardo VIII che aveva appena abdicato, stregato dall’avventuriera americana Wally Simpson- lusso sfrenato ed eccessi vari.

 

Nel 1948 il castello fu acquistato dal Principe playboy Aly Khan, figlio maggiore ed erede dell’Aga Khan III. Il luogo fu l’epicentro delle cronache e della stampa mondiale quando il 27 maggio 1949 lì si sposarono Aly e l’atomica rossa Rita Hayworth, considerata una delle donne più belle del pianeta e divorziata da Orson Welles.

Gustatevi i capitoli che ricostruiscono l’incontro della diva e Aly, il corteggiamento, l’inseguimento dei paparazzi ovunque la coppia andasse, poi i primi tempi felici del matrimonio destinato però a finire.

E comunque nelle stanze dello Château trovarono rifugio e conforto anche altri famosi, tra i quali i Kennedy in crisi, Elisabeth Taylor, Gianni Agnelli e Cecil Beaton….

 

Nel 1979 l’erede al trono saudita, il futuro Re Fahd ha acquistato lo Château de l’Horizon e negli anni ha continuato ad aggiungere altri edifici a quello originale…e non è più lo stesso. Oggi appartiene alla famiglia reale saudita che vi soggiorna pochissimo e quando arriva lo blinda.

 

 

 Hilary Mantel  “I fantasmi di una vita”    -Fazi Editore-     euro  18,00

Questa autobiografia della scrittrice inglese è del 2003, ora grazie a Fazi è arrivata in Italia ed è un documento prezioso. Un memoir in cui racconta la sua infanzia nell’Inghilterra rurale del dopo guerra e svela lutti, dolori e malattie che hanno segnato la sua vita.

La Mantel è stata due volte vincitrice del Booker  Prize, considerato il Nobel della letteratura in lingua inglese, e la sua trilogia di Cromwell ha venduto oltre 2 milioni di copie solo  nel Regno Unito, per non parlare delle traduzioni in altri paesi.

 

Il titolo originale è “Giving Up the Ghost” ed è proprio dei fantasmi rappresentati da ricordi, dolori e rimorsi che intende liberarsi nel libro. Via le zavorre che l’hanno indebolita, come l’endometriosi che le ha stravolto il fisico e la vita.

Ci sono i ricordi lontani di quando aveva solo tre anni e stava in braccio alla nonna che era diventata operaia a soli 12 anni; analoga sorte era toccata alla mamma della scrittrice.

 

L’ infanzia della Mantel è stata in salita. Quando aveva 6 anni i genitori lasciano la casa dei nonni per trasferirsi in un’altra che Hilary detesta. Poi al posto del padre arriva un patrigno e le difficoltà aumentano.

La sua vita è stata costellata dolori costanti, diagnosi errate, disinteresse dei medici, persino assurdi  trattamenti psichiatrici e l’intervento chirurgico che ha definitivamente asportato le sue chances di maternità.

 

Oggi la scrittrice 69enne, -sposata due volte con lo stesso uomo, il geologo Gerald McEwan-  vive sul mare dell’Inghilterra occidentale, sulle scogliere del Devon, a Budleigh Salterton. E questo libro è l’intimo racconto di un calvario fisico, a cui fanno da contraltare immaginazione, genio e una maestria di scrittura fuori dal comune.

 

 

 Matteo Trevisani  “Il libro del sangue”     -Blu Atlantide-  euro   16,00

Questo libro chiude una trilogia iniziata con “Il libro dei fulmini” del 2017  e proseguita con “Il libro del Sole” del 2019. L’autore nato a San Benedetto del Tronto nel 1986, ora in pianta stabile a Roma, ha intrecciato le ricerche genealogiche sulla sua famiglia con una storia in cui miscela destino, avventura e segreti.

“Il libro del sangue” ha due trame  principali che si intrecciano.

Nella prima Trevisani da anni svolge ricerche sul passato della sua famiglia e scopre che soprattutto il ramo paterno è stato funestato da un incredibile numero di morti in mare. Il grande segreto del suo albero genealogico era annidato nella storia dei naufragi poiché «In tutte le generazioni della nostra famiglia, ogni primogenito di ogni linea di sangue doveva morire annegato».

Nell’approfondire gli studi si lega al genealogista Alvise, studioso di grande esperienza, coadiuvato dalla figlia Giorgia che gli fa da assistente.

 

Scatta così questo romanzo raccontato in prima persona da un narratore sovrapposto allo scrittore, protagonista che si occupa di araldica e scrittura.

Un decennio dopo, quando Alvise è ormai morto, Matteo riceve via email un albero genealogico della sua famiglia in cui, oltre alle date di nascita e morte dei suoi avi, viene riportata anche quella della sua scomparsa imminente, il 21 settembre ovvero a meno di una settimana di distanza.

 

Ed ecco il secondo piano narrativo del libro in cui il protagonista – il tempo sta sfuggendo di mano- si mette alla ricerca del fantomatico mittente dell’albero della sua famiglia, per venire a capo della misteriosa profezia che lo riguarda.

Aspettatevi un racconto visionario, in cui vita, morte, destino e tragedia si rincorrono e si intrecciano. Pagine che assemblano magia, misticismo, eventi personali e tratti di esoterismo, che fanno riflettere sulle infinite coordinate della vita, del passato, e sul mistero del destino e della  morte.

 

 

Asher Colombo   “La solitudine di  chi resta”    – Il Mulino  Saggi-    euro  18,00

La morte è l’evento che tutti temiamo sopra ogni altra cosa, e con la strage causata dal Covid 19, è diventata ancora più devastante.

In questo libro l’autore –docente di  Sociologia Generale all’Università di Bologna, presidente dell’Istituto Cattaneo ed autore di importanti saggi- analizza il lutto durante la pandemia, e mette a fuoco come questa abbia sconvolto i paradigmi di una società che si considerava di individui sani  e sempre più longevi.

Una forte impreparazione emotiva alla morte, diventata improvvisamente e inaspettatamente così vicina.

A complicare le cose si sono aggiunti le drastiche misure di emergenza per le degenze ospedaliere e la cancellazione del rito del commiato; provvedimenti ai quali non eravamo preparati e che hanno generato gravi ripercussioni psicologiche e collettive.

 

Colombo ha analizzato più materiale: interviste a medici e impresari funebri, annunci mortuari, necrologi e manifesti murali, storie raccolte da chi il Covid l’ha vissuto da molto vicino, grafici e dati vari, procedure di cremazione e inumazione….tutto per scandagliare il nostro rapporto con la morte durante la pandemia.

Emerge così che ci siamo trovati e abbiamo impattato senza alcuna preparazione contro il senso della nostra fragilità e la morte vissuta in solitudine, incombente più che mai.

 

La morte e la sua ineluttabilità sono sempre stati difficili da metabolizzare, ma con il terrore del contagio abbiamo dovuto fare i conti con dinamiche inedite.

Innanzitutto i malati venivano allontanati da parenti e amici, scomparivano, blindati in terapie intensive dove regnava la loro dolorosa solitudine.

Negato il conforto degli affetti più cari, così come l’ultimo straziante saluto.

E dopo il decesso l’ulteriore tragedia dell’annullamento del rito funebre; sostituito da sepolture frettolose e senza parenti, cremazioni imposte ….e nessuno potrà più dimenticare le file di camion carichi di bare destinate a crematori lontani.

 

Di colpo sono stati stravolti i rituali a cui eravamo abituati, completamente scalzata la consueta dinamica del cordoglio e la società si è dimostrata inadeguata a fronteggiare un simile terremoto.

Lo strappo del legame con i propri defunti è stato devastante.

 

Ci sono state alcune eccezioni a tanto isolamento fisico ed emotivo: funzionari delle camere funebri e chi per professione accudisce i cadaveri, che hanno ricavato spazi appositi per il commiato dei familiari, optato per sacchi bianchi anziché neri per alleggerire le emozioni, cerniere dei body bags aperte velocemente per un ultimo sguardo.  Tutte testimonianze di come i vivi abbiano disperatamente cercato di alleviare un peso emotivo insostenibile.