CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 400

“Torinese del Sud”. 2022: corre l’“anno leviano”

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Proseguono alla “Fondazione Giorgio Amendola” di Torino, in occasione dei 120 anni dalla  nascita di Carlo Levi, gli incontri dedicati al poledrico artista “torinese del Sud”

Il prossimo appuntamento govedì 17 febbraio

Scrittura e arte. Cinema. Impegno politico e sociale. Su questi temi si incentrano gli incontri organizzati dallo scorso dicembre dalla torinese “Fondazione Giorgio Amendola”, in concerto con l’“Associazione Lucana in Piemonte” e in collaborazione con il “Centro Studi Piero Gobetti”, in occasione e a ricordo dei 120 anni dalla nascita di Carlo Levi  (Torino, 1902 – Roma, 1975). A corollario e in contemporanea alla suggestiva mostra dedicata  (fino al prossimo 4 marzo) sempre negli spazi della Fondazione di via Tollegno, a “I volti del ‘900 nei ritratti di Carlo Levi”, gli incontri – tesi a dare il giusto peso e valore nel panorama culturale del secolo scorso alla figura di uno scrittore, pittore, fervente antifascista e lucido uomo politico, iconizzato al Sud e troppo  spesso trascurato al Nord e nel suo Piemonte – riprenderanno il prossimo giovedì 17 febbraioper concludersi venerdì 4 marzo. Su “Carlo Levi e il cinema” tratterà ampiamente Elisa Oggero, il prossimo giovedì 17 febbraio (ore 16) mettendo in evidenza il fascino fortemente esercitato dalla “settima arte” su  Levi che, fra l’altro, collaborò al restauro di due storici film quali “Patatrac” realizzato nel ‘31 da Gennaro Righelli (fra i primi esempi italiani di cinema sonoro) e “Il grido della terra” (1949) di Duilio Coletti, oltre a produrre insieme a Carlo Mollino i bozzetti preparatori per  il “Pietro Micca” di Aldo Vergnano (1938), film perduto di cui restano solo cinque minuti conservati al “Museo Nazionale del Cinema” di Torino. A seguire altri due appuntamenti. Giovedì 24 febbraio (ore 17,30), saranno gli storici Cesare Pianciola e Giovanni De Luna a dialogare su “La formazione di Levi nella Torino di Gobetti e di Gramsci e il suo impegno in Giusizia e Libertà”. A chiudere il percorso, venerdì 4 marzo (ore 17,30), un dibattitto di sicuro interesse sul docufilm del 2019 “Lucus a lucendo. A proposito di Carlo Levi” di Enrico Masi e Alessandra Lancelotti, con interventi di Raffaele Benfante, Stefano Levi della Torre (pittore e nipote di Levi) e Pietro Polito, direttore del “Centro Studi Piero Gobetti”.

Tutti gli incontri sono ad  ingresso libero, con obbligo di “green pass”, fino ad esaurimento posti. Saranno anche occasione per visitare la mostra (di cui sopra) “I volti del ‘900 nei ritratti Carlo Levi”: un percorso per immagini (sono una quarantina i dipinti esposti) che raccontano un mondo legato a Levi da forti vincoli ideologici e di comune pensiero ed umana empatia, realizzato con tratti pittorici di assoluta essenzialità e di multiforme forza espressiva. Dal delicato silente “Autoritratto con cappello” del 1928 alla vigorosa tempesta di colori del “Ritratto di Leone Ginzburg con le mani rosse” del 1933.

Alla “Fondazione Giorgio Amendola” è possibile anche ammirare una preziosa riproduzione fotografica in formato reale (18,50 x 3,20 m.) del famoso “Telero Lucania ‘61”, cinque enormi pannelli in cui c’è tutto il “dolore antico” e il “coraggio di esistere” di quel Sud e in particolare di quella “sua” Lucania – dove nel ’35 fu esliato dal regime fascista e dove (nel cimitero di Aliano) oggi riposa – che Levi imparò ad amare e a farne voce di dolente eterna poesia nel suo epico “Cristo si è fermato a Eboli” del ’45. Dedicato alla memoria di Rocco Scotellaro, il sindaco poeta di Tricarico diventato suo fraterno amico, il “Telero” fu realizzato da Levi su invito di Mario Soldati per rappresentare la Basilicata alla grande mostra organizzata a Torino per il primo Centenario dell’Unità d’Italia ed è oggi custodito al “Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata”, sito a Matera in “Palazzo Lanfranchi”.

Per info: “Fondazione Giorgio Amendola”, via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 o www.fondazioneamendola.it

g.m.

Nelle foto:

–         “Autoritratto con cappello”, olio su tela, 1928

–         “Ritratto di Leone Ginzburg con le mani rosse”, olio su tela, 1933

–         Particolare del “Telero Lucania ‘61”

Ultimi giorni e grande successo a“CAMERA” per Martin Parr

E intanto si aspettano i capolavori dal “MoMA” di New York

Fino al 13 febbraio

Inaugurata nell’ottobre del 2021, resta poco meno di una settimana, fino a domenica 13 febbraio, per visitare la mostra “Martin Parr. We Love Sports”, dedicata da “CAMERA-Centro  Italiano per la Fotografia” di via delle Rosine 18 a Torino, al grande fotografo inglese e ai suoi scatti (150 le immagini presenti in mostra) di spietata e divertita e divertente ironia, capaci di cristallizzare immagini del sociale in vere e proprie icone del nostro tempo. Quelle soprattutto dedicate al mondo dello sport. Un mondo visto da spettatore e fotografo assai curioso e originale. Con l’obiettivo attratto in particolare (come nell’esplorazione dell’umana quotidianità) da chi si accalca sulle tribune o a bordo campo, dall’universo della tifoseria più che dal gesto atletico, “capovolgendo così l’immaginario visivo dello sportivo- divo”. Il fotografo come spettatore narrante di spettatori. E come dimenticare allora le sue piccole e grandi folle vocianti a più non posso sugli spalti, i gadget vistosi e goliardici, le parrucche colorate in tinta con le divise della squadra del cuore, i travestimenti grotteschi, gli abiti eleganti e un po’ snob di chi assiste alle corse dei cavalli, così come alle parures kitsch sfoggiate con la naturalezza di una sana incoscienza fino a quella piacevole teoria di cappelli candidi a larghe tese, all’apparenza immobili come statue di gesso, al “Roland Garros” del 2016”? Mostra altamente apprezzata dal pubblico torinese, fors’anche per la concomitanza con le “Nitto ATP Finals”, che da ottobre a novembre scorsi hanno fatto di Torino la capitale internazionale del tennis. Fatto sta, fanno sapere da “CAMERA”, che la grande mostra dell’autunno-inverno 2021-2022 ha, fino ad oggi, conteggiato la presenza di oltre 10mila persone. Alti, benedetti numeri, cui altri se ne aggiungeranno, incrociando le dita, nei prossimi giorni. In una volata di grande euforia, se si pensa che il Centro di via delle Rosine ha già pronto un altro bell’ asso nella manica, di quelli destinati a sbaragliare il tavolo e per davvero a “fare storia”. In un passaparola New York-Torino che porterà a “CAMERA” la grande fotografia nientemeno che del “MoMA” newyorkese. L’appuntamento, su cui – com’è ben comprensibile – è notevole l’attesa, è dal 3 marzo fino al 26 giugno prossimi. Titolo, “Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York”, la mostra – curata da Sarah Hermanson Meister e da Quentin Bajac con il coordinamento di Monica Poggi e Carlo Spinelli– verrà presentata per la prima volta in Italia e ciò inorgoglisce la città e ovviamente i responsabili di “CAMERA” che sottolineano: “L’esposizione è una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolo, capolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi. Come i contemporanei Matisse, Picasso e Duchamp hanno saputo rivoluzionare il linguaggio delle arti plastiche, così gli autori in mostra, ben 121 tra nomi leggendari e sorprendenti scoperte, hanno ridefinito i canoni della fotografia facendole assumere un ruolo centrale nello sviluppo delle avanguardie di inizio secolo”. Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Max Burchartz, Karl Blossfeldt, Brassaï, Henri Cartier- Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione “Walther” valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre. Inoltre, accanto ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis) e del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troveremo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.

Gianni Milani

“Martin Parr. We Love Sports”

CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, Torino, tel. 011/0881150 o www.camera.to

Fino al 13 febbraio

Orari: lun. merc. ven. sab. e dom. 11/19 – giov. 11/21

Luminosa polvere d’oro, l’ultimo libro di Giovanni Cordero

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

Lo scrittore ci parla del suo ultimo romanzo e dei suoi progetti futuri

Ascoltare Giovanni Cordero parlare delle sue esperienze e della sua vita, vissuta tra arte, storia, psicologia e biologia (la sua prima laurea) è stato davvero interessante e piacevole così come leggere il suo libro “L’impronta di cioccolato”, primo premio al concorso Nazionale “Mario Soldati” nel 2020.
Sono convinta che questi siano incontri importanti per arricchire le propria biografia, allargare lo spettro delle proprie conoscenze e immergersi in storie che, tra la realtà e la narrazione, sono capaci di rapirti e di sospendere il tempo.
Consigliere del Ministro Urbani per il settore arte contemporanea, membro del Comitato per la nuova Fondazione del Museo Egizio e della Fondazione De Fornaris presso la Gam di Torino, funzionario della Soprintendenza per Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Piemonte, Giovanni Cordero ha un curriculum professionale fitto di esperienze ed incarichi prestigiosi nell’ambito della cultura e dell’arte.
Ideatore di importanti eventi scientifici come “Esperimenta” e co-curatore di mostre e festival d’arte a Torino, dirige, inoltre, l’Istituto di Ricerca e documentazione europeo: arte, tecnoscienza e cultura.

La passione per scrittura è stata sublimata dalla pubblicazione di saggi, articoli e monografie artistiche in catalogo e, nel 2011, dal primo romanzo “Silenzi. Il destino alle 18”, Libreria editrice Psiche di Torino. Nel 2017 esce “ L’Albergo dei gatti” Editore Albatros e nel 2021 scrive il romanzo, “Luminosa polvere d’oro”, edito da Castelvecchi, una storia travagliata di un artista che dipingendo sfugge la sofferenza del mondo violento del riformatorio e del manicomio, come afferma l’autore, istituzioni totali, luoghi di ottusi rituali e obbedienza cieca. L’arte costituirà, per il protagonista del romanzo, un modo per salvarsi la vita, per sopravvivere ad un periodo funesto.

 

Professor Cordero cosa l’ha portata a scrivere il romanzo “Luminosa polvere d’oro”?

Sono stato contattato da un collezionista per una mostra antologica su Pietro Augusto Cassina, il protagonista del libro nato nel 1913 a Torino, il quale mi ha convinto ad esporre 40 dei suoi quadri al Museo Diocesano. Sono rimasto colpito dalla sensibilità che traspare dai suoi dipinti, dal suo stile e dalla sua capacità di imprimere una cifra personale molto forte. Mi hanno raccontato la sua storia e ho letto i suoi diari, scritti in calligrafia, che mi hanno rivelato il suo animo complesso e fragile, frutto della sua vita difficile e complicata. Attirato dalla sua biografia e dal suo riscatto sociale, grazie all’arte che gli ha fatto ritrovare anche uno spessore ed un equilibrio psicologico ed emotivo, ho deciso di scrivere la sua storia cercando di ritrarre gli avvenimenti di un artista autodidatta, di un uomo anticonformista segnato drammaticamente dagli eventi.

 

Cosa rappresenta per lei la scrittura?

Scrivere è stata una attività e una passione centrali nella mia vita, dai saggi agli articoli e i cataloghi d’arte, fino alle poesie. I romanzi sono arrivati dopo completando così un percorso che mi sta dando molte soddisfazioni, sapere di essere letto e apprezzato è un grande piacere.

 

Ci vuole parlare dei suoi progetti futuri?

“Luminosa polvere d’oro” si ferma ad un certo punto della vita del protagonista, io sono in possesso di diverso materiale che mi permetterebbe di continuare a parlare del suo percorso esistenziale. Sarebbe bello sviluppare la narrazione aprendo un altro capitolo della vita di Cassina, concentrandosi sull’aspetto storico, approfondendo vicende che ci rimandano all’epoca della seconda guerra mondiale e al fascismo.
Un altro progetto editoriale che intendo perseguire riguarda una casa che mio figlio ha ereditato ad Aglié dove ha vissuto Guido Gozzano; mi piacerebbe scrivere di questa dimora e del famoso poeta che l’ha visitata come ospite in quanto amico fraterno del proprietario, un’altra storia dedicata alla cultura del nostro paese, ad un personaggio che ne ha fatto parte.

 

 

Comedians made in Torino. Due talenti emergenti, un microfono, mezz’ora ciascuno e una location inedita

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TORINO COMEDY LOUNGE presenta ComEDIT: UNO + UNO Comedians made in Torino”

 

Il nuovo progetto ospitato presso

EDIT Torino

 

Mercoledì 16 febbraio

Piazza Teresa Noce 15/A

Ore 20.30

SOLD OUT

 

Due talenti emergenti, un microfono, mezz’ora ciascuno e una location inedita. Il collettivo Torino Comedy Lounge inaugurerà, mercoledì 16 febbraio 2022, “ComEDIT: UNO + UNO. Comedians made in Torino”, il nuovo progetto ospitato nella suggestiva realtà di Edit Torino, il più grande birrificio artigianale della città.

Gli spazi di piazza Teresa Noce si trasformeranno, così, in un nuovo punto di riferimento per la stand up comedy locale, accogliendo, ogni mese, talenti emergenti della scena sabauda, nell’ambito della quale hanno avuto l’opportunità di formarsi e affinare le proprie capacità.

A impreziosire il primo appuntamento vi saranno, infatti, Giulia Cerruti e Angelo Amaro, due tra i nomi maggiormente noti del panorama comico torinese. Già avvezzi ai palchi più importanti della città (e non solo), Cerruti e Amaro avranno l’onore di alzare il sipario del nuovo format con i loro monologhi taglienti e corrosivi, primi di una serie di ospiti che porteranno in scena il meglio della stand up comedy sabauda.

«In questi cinque anni – commenta Antonio Piazza, fondatore del Torino Comedy Lounge e ideatore di “ComEDIT” – ci siamo dedicati a portare la scena nazionale della stand up comedy a Torino, cercando di creare un “hub della comicità” che fosse di riferimento per l’Italia. Quest’anno, però, abbiamo deciso che è arrivato il momento di valorizzare anche le eccellenze del territorio, perciò siamo molto orgogliosi di presentare il nostro nuovo appuntamento mensile, interamente dedicato ai comedian che si sono formati sul campo (e anche ai nostri open mic) e che porteranno 30 minuti del proprio repertorio migliore presso la bellissima cornice di EDIT Torino.»

Giulia Cerruti, classe 1993, dopo aver frequentato il Corso propedeutico del Teatro Stabile di Genova nel 2015, si è diplomata, due anni dopo, alla Scuola di perfezionamento per attori Shakespeare School di Jurij Ferrini. Nel 2017 ha, inoltre, dato vita, in qualità di organizzatrice, al Festival “L’arte nel pagliaio” della Cascina Duc di Grugliasco, mentre nel 2018 ha fondato la compagnia Crack24 e nel 2021 lo Spazio Cristina.

Angelo Amaro, classe 1989, è diplomato in Sceneggiatura alla Scuola Holden di Alessandro Baricco. Alla carriera di copywriter ha affiancato, nel corso degli anni, la composizione di articoli satirici, sketch comici e cortometraggi. Nel 2020 ha vinto la menzione speciale al Premio Sonego grazie al corto Fuori luogo, ora in fase di produzione.

Informazioni:

Lo show inizierà alle ore 20.30. Ingresso gratuito e uscita a cappello a sostegno delle attività dell’associazione.

Piemonte longobardo

Andare per il Piemonte longobardo è da oggi più facile e più affascinante grazie alla guida storica di Elena Percivaldi, medievista, ricercatrice e collaboratrice di riviste storiche che ci porta nei tanti luoghi della nostra regione dove abbondano le tracce del passaggio del popolo che 1500 anni fa cambiò la Storia della penisola.
Con il suo libro “Sulle tracce dei Longobardi nell’Italia settentrionale”, Edizioni del Capricorno, l’autrice ci accompagna all’interno di chiese, abbazie, monasteri e necropoli che hanno fatto la storia longobarda nell’Italia del nord. Un testo agile e ben illustrato di 160 pagine che conduce i lettori, soprattutto quelli appassionati di archeologia e storia, alla scoperta di questo popolo e della sua preziosa eredità, dal Piemonte al Friuli fino all’Emilia Romagna. Nel 568 d.C. i Longobardi di re Alboino, giunti dalla Pannonia, l’odierna Ungheria, penetrarono nell’Italia del nord governata dai Bizantini e conquistarono gran parte della penisola. Varcato il confine occuparono il Friuli e dilagarono in Veneto e da qui entrarono in Lombardia per spingersi fino in Piemonte, Emilia e Toscana. Molte importanti città italiane caddero nelle loro mani. Il loro regno durò poco più di due secoli fino alla conquista di Carlo Magno nel 774, salvo il Ducato di Benevento che sopravvisse fino all’arrivo dei Normanni alla metà dell’XI secolo. Un capitolo del libro riguarda il Piemonte. Torino fu governata da diversi duchi longobardi tra i quali Agilulfo, futuro re e marito della regina Teodolinda, Arioaldo, Garipaldo e Ragimperto ma in città non è rimasta nessuna traccia del Palazzo dei duchi longobardi. Sono emersi invece resti di abitazioni, tombe e lapidi come la lapide funeraria di Ursicino, vescovo di Torino (562-609), morto a 80 anni dopo quasi 50 anni di episcopato, rinvenuta a metà Ottocento durante gli scavi nel Duomo e murata su una parete della cattedrale. I numerosi frammenti di epoca longobarda, provenienti da edifici abbattuti e recuperati durante gli scavi moderni, sono esposti nel Museo d’Arte Antica a Palazzo Madama, nel Museo diocesano e nel Museo di Antichità che conserva anche il corredo della “Dama del Lingotto”, una ricca donna longobarda del VII secolo sepolta con orecchini e altri gioielli scoperti all’inizio del Novecento scavando un pozzo in via Nizza. Anche ai confini di Torino le presenze longobarde sono numerose, dalla zona del Lingotto a Sassi, dal Fioccardo a Rivoli. Ma sono le necropoli longobarde le scoperte più stupefacenti. Da quella di Carignano con tombe nobiliari e sepolcreti a quelle ben più preziose di Collegno con 157 tombe del VI-VIII secolo e di Moncalieri-Testona con 350 sepolture. Per qualità e numero dei reperti si possono considerare tra le più importanti d’Italia. Gli oggetti di corredo rinvenuti a Collegno e a Testona, composti da fibbie di cintura in bronzo dorato e in ferro, fibule a staffa, piccole croci d’oro, coltellini, armi, monili e ceramiche, sono in mostra al Museo di Antichità di Torino.
Oltre alle necropoli i longobardi ci hanno lasciato anche formidabili strutture difensive emerse tra Torino e le vie di comunicazione verso la Francia come le “chiuse” di Susa, Aosta, Bard e Chiusa San Michele dove si svolse la celebre battaglia tra i Longobardi e i Franchi di Carlo Magno nel 773 anche se oggi resta ben poco della possibile fortificazione longobarda collocata tra il monte Pirchiriano, dove sorge la Sacra di San Michele, e il monte Caprasio. Proseguendo il nostro tour sulle orme dei longobardi in Piemonte raggiungiamo la necropoli di Borgomasino vicino all’antico ducato di Ivrea con oltre 90 tombe di uomini armati e sepolti con i loro cavalli. All’epoca longobarda, nel ducato di Asti, si fanno invece risalire chiese e monasteri come Sant’Anna, una parte della cripta della chiesa di Sant’Anastasio, strutture superstiti nei sotterranei di Palazzo Mazzetti e la cripta della Collegiata di San Secondo.
Ma la più grande necropoli della penisola è stata individuata dieci anni fa a Sant’Albano Stura, nel cuneese, con oltre 800 tombe riportate alla luce durante i lavori dell’autostrada Asti-Cuneo lungo il torrente Stura. Non ci sono resti ossei ma corredi anche molto ricchi e numerose monete. Il sito è stato ricoperto per consentire i lavori autostradali e una parte dei reperti è esposta al Museo civico di Cuneo. L’itinerario proposto dalla Percivaldi ci porta infine sull’isola di San Giulio, sul lago d’Orta, in provincia di Novara, ritenuta la roccaforte di un ducato longobardo, quello di San Giulio, fondato ai tempi di Alboino. Il libro si chiude con “dieci mete longobarde imperdibili” e tra queste spiccano il Museo di Antichità nei Musei Reali in via XX Settembre a Torino, l’Abbazia di San Colombano a Bobbio piacentino, le chiese di San Michele Maggiore e San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, il Tempietto longobardo a Cividale del Friuli, il Duomo di Monza e Santa Giulia a Brescia.
Filippo Re

Achab e re Lear, nella riscrittura di Orson Welles, intelligenza e grandezza teatrale

Al Carignano “Moby Dick alla prova” nella stagione dello Stabile torinese, per la regia di De Capitani

“Questo spettacolo è l’ultima pura gioia che il teatro mi abbia dato”, confessò – più a se stesso che al pubblico – Orson Welles che da tempo inseguiva quella “magnifica ossessione” di portare in scena il “Moby Dick” di Herman Melville: in una serata di grande successo, era il 16 giugno 1955, un anno prima che John Houston portasse sullo schermo il titolo omonimo, sulle tavole del Duke of York’s Theatre di Londra, poteva dare vita ad un sogno. Un palcoscenico che ogni sera è la cornice del “Re Lear” shakesperiano ma pure il luogo della volontà irruente di un capocomico di provare una riduzione in due atti dell’opera dello scrittore americano, la ritrosia iniziale e i dubbi di alcuni degli attori, le domande sulla fattibilità dell’operazione, l’incanalarsi progressivo dentro uno scritto da testare ma pronto a prendersi una forma concreta e definitiva. La macchina del teatro, il mestiere dell’attore, la scrittura offerta a poco a poco, le luci e le ombre che solcano la distesa più nera che azzurra.

I due testi passo dopo passo si accavallano, l’uno entra nei solchi dell’altro, i passaggi e le contaminazioni continue tra un padre e un uomo di mare gettano dei ponti, l’amore bugiardo e profittatore di Goneril e Regan e quello sincero di Cordelia, il ricordo del fool che si specchia in Pip, l’ostinazione che le tante traversie raddrizzeranno nell’animo di Lear, la tracotanza smoderata e senza fine, senza redenzione di Achab. Una occasione di teatro nel teatro, un lavoro in fieri che si compone e si scompone – alla prova come “I promessi sposi” di Testori o “Il gioco delle parti” mentre irrompono in sala i sei personaggi nel tentativo di farsi rappresentare da una vera compagnia. Un gioco filtrante tra realtà e rappresentazione, tra vita e finzione: lasciando un felicissimo spazio alla mente dello spettatore, all’immaginazione – il mare, il “monstrum”, la nave avvolta dalle onde burrascose del mare grande, grande e definitivo come quello dell’Ulisse dantesco.

Quelle onde le vedi e le tocchi, riempiono il palcoscenico, quelle vele che s’ingrossano e si gonfiano ti trasportano da una parte all’altra dell’oceano, quei suoni (dovuti qui alla maestria e ai tanti strumenti di Mario Arcari, ad essi s’aggiungano i cori con cui gli attori irrobustiscono le parti della vicenda; come non si possono dimenticare le suggestioni che offre la “musicalità” degli oggetti che occupano la scena, ritmicamente intensi, faticosi e affaticati, ostinati segnali di lotta e di odio) ti fanno sentire libero a sovrastare la scena. Sarà una riscrittura, una rappresentazione dei momenti più salienti o che maggiormente interessano Welles, l’incipit di Ismaele (“Chiamatemi Ishmael”), l’incontro con padre Mapple prima di imbarcarsi sulla “Pequod”, la caduta in mare di Pip, l’avvistamento della “Rachele”, l’altra baleniera, necessariamente la lunga sfida del capitano contro l’animale che in un viaggio precedente lo ha privato di una gamba, lo scontro finale, titanico e mortifero, con la balena bianca.

Sopra tutto e sopra tutti, sovrasta imperiosa la figura del capitano Achab, con la sua presunzione, con la propria tracotanza, con la violenza ardita che usa nel confronto degli altri e di se stesso, Nei confronti della natura: e quanto si dimostri attuale il testo lo testimoniano le tragedie che l’uomo ha saputo costruire attorno a sé. Elio De Capitani, riprendendo dopo decenni il testo wellesiano mai più rappresentato e creandone un capolavoro (in special modo nel secondo atto c’è da inchinarsi alla poesia – crudele sì, sanguigna, ma sempre poesia – che invade il palcoscenico del Carignano per questa produzione targata Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale, nella traduzione in versi sciolti di Cristina Viti, in replica sino a domenica 20), ricopre, come già l’autore, quattro ruoli (Achab, Re Lear, padre Mapple e il capocomico), uscendo dall’uno per entrare nell’altro, in una immedesimazione che è uno dei punti più alti dello spettacolo, in un suggestivo alternarsi di parole e di azioni, di rabbia e di sentimenti, di correzioni e di nuovi indirizzi interpretativi. “Continuiamo a generare odiatori, novelli Achab”, sottolinea De Capitani: forse l’area di pace la si può ritrovare nel teatro, sulle tavole di un palcoscenico, “adesso potete tirare chiudere il sipario”.

Con lui, un gruppo d’attori in vero stato di grazia, tutti a ricoprire più ruoli e a farsi all’occorrenza tecnici di scena; tra gli altri Cristina Crippa, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Marco Bonadei cui si devono anche le maschere; e Angelo Di Genio che è un accorato Ishmael e soprattutto Giulia Viana, leggera e caparbia e amorevole nel ricoprire il semplice ruolo di giovane attrice come quelli di Cordelia e di Pip. Uno spettacolo da non perdere, da “ricercare” in ogni suo momento, esempio da ricordare a lungo di intelligenza e di grandezza teatrale.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Marcella Foccardi

Annullati i concerti di Baglioni

I concerti che Claudio Baglioni doveva tenere: stasera al Teatro Regio, domani al Palais di
Saint Vincent (Ao) e il 17 al Teatro Alfieri ad Asti, sono stati annullati a causa di una
laringite che ha colpito l’artista. I concerti verranno posticipati a data da destinarsi . Nei
prossimi giorni si sapranno le nuove date.
Pier Luigi Fuggetta

‘L’età dell’oro’ del pittore analitico Gianfranco Zappettini

Protagonista della personale che si apre il 15 febbraio alla galleria d’arte Mazzoleni

Gianfranco Zappettini è il protagonista della personale che la galleria d’arte Mazzoleni ospita da martedì 15 febbraio al 7 aprile prossimo nella sua sede torinese di piazza Solferino 2.
La mostra, intitolata “The golden age”, segue e completa, a due anni di distanza, la presentazione della produzione recente dell’artista esposta nell’omonima mostra londinese, durata dal febbraio all’aprile del 2020 e curata da Martin Holman.
Cofondatore negli anni Settanta del movimento internazionale della pittura analitica, Gianfranco Zappettini è considerato uno tra i più importanti artisti astratti italiani viventi. La sua evoluzione artistica ha seguito, in parallelo, il suo percorso di ricerca interiore e spirituale snodandosi, a partire dagli anni Novanta e Duemila fino ai primi anni del 2010, per approdare, infine, ai recenti dipinti in color oro.
La pittura per questo artista risulta esercizio spirituale, operazione rituale capace di tradursi nella distribuzione di diverse campiture di colore, che scandiscono la tela, e nella stratificazione di materiali che sono di origine comune o industriale, ma sempre lavorati con una grande maestria artigiana e un notevole rigore alchemico.
Nato a Genova nel 1939, Gianfranco Zappettini si è orientato, così, nella sua arte pittorica, verso mezzi poveri, scartando a priori quelli tradizionalmente più nobili, “affinché – affermava l’artista negli anni Settanta – il suo fare, abbandonata ogni possibile condizione di privilegio, assumesse il carattere di anonimita’- lavoro. Mentre la pennellata tende alla gestualità, alla connotazione autobiografica, il rullo non produce un oggetto, ma un “movimento” impersonale non riconoscibile”.
L’artista iniziò a esporre all’inizio degli anni Sessanta e a metà decennio le sue opere prima accolsero vari colori, poi si ridussero alla dualità del bianco e del nero. In quegli anni emerse anche la sua vicinanza alle opere degli anni Cinquanta di Mario Nigro ma, soprattutto, alla lezione dell’architetto tedesco Konrad Wachsmann, che ne accentuò l’interesse per la struttura interna del quadro e della superficie. A partire dal 1973 Zappettini iniziò a dipingere i suoi bianchi, superfici apparentemente monocrome, ma attraversate, in realtà, da linee ortogonali di luce non voluta, ma ottenuta. Alle superfici acriliche l’ artista avrebbe poi affiancato il ciclo delle tele sovrapposte, un’operazione di carattere analitico in cui veniva ottenuto il grado zero, una superficie senza segni, pronta per essere ri-disegnata, in una ciclicità che era destinata a diventare seriale.

Mara Martellotta

Galleria Mazzoleni, piazza Solferino 2
Tel 011534473
L’ingresso è consentito ai visitatori che esibiscono il Supergreen pass, in ottemperanza alle disposizioni governative vigenti.

(Foto Italics.art)

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria


Francesca Diotallevi
  “Le stanze buie”    -Neri Pozza-    euro 18,00

Questo è il libro di esordio della giovane scrittrice milanese, pubblicato nel 2013 ed ora riproposto in una versione parecchio rivista. Una coinvolgente storia, abilmente orchestrata tra toni gotici e opere classiche, con misteri ingarbugliati, un passato doloroso tenuto nascosto, destini tragici che si incrociano….e tantissimo altro in una lettura affascinante scandita da colpi di scena che vi incolleranno alle pagine.

Il racconto inizia a Torino nel 1904 con la vendita all’asta del ricco mobilio “della casa stregata”. Tra gli oggetti c’è un carillon che viene strapagato da un anziano «..un uomo che sta cercando di rimettere insieme i frammenti di un passato che, come sassi nelle tasche di un suicida, pesano da troppi anni sulla sua coscienza».

E’ l’avvio di un viaggio a ritroso nel tempo, protagonista VittorioFubini (l’anziano dell’asta) che narra a partire dal suo arrivo a Neive nel 1864.

A 39 anni era partito da Torino per andare al funerale di uno zio che non aveva mai conosciuto ma che nel testamento gli aveva riservato un lascito preciso. Assumere al suo posto l’incarico di maggiordomo nella villa di campagna dei conti Flores.

Tutto si svolge nella loro maestosa villa, gravata da un clima d’inquietudine, piena di scricchiolii e strane atmosfere che aleggiano, episodi che sembrano inspiegabili, stanze chiuse a chiave e proibite.

Nell’augusta magione, trasandata e umida come una cripta, vive il burbero padrone; il conte Amedeo Flores, dedito alle sue vigne, uomo severo che presto scopriremo profondamente tormentato e incline a cadute alcoliche ed irose.

La giovane moglie Lucilla: eterea, bellissima e delicata, anticonformista, annunciata dal suo inconfondibile profumo, misteriosa, sola e infelice. E’ totalmente devota alla piccola figlia Nora: vivace, intelligente, ma forse malata, sicuramente nottambula.

Intorno a loro si muovono una vecchia domestica nume tutelare di oscuri segreti e un cameriere geloso di Vittorio e dalla doppia faccia.

Suo malgrado il nuovo maggiordomo si troverà a scavare nel passato di quella famiglia, catapultato in storie di rapporti troppo ossessivi tra fratelli, e scoprirà che dietro la porta della stanza che deve restare sempre chiusa si è consumata una storia d’amore e morte……

Preparatevi davvero a conoscere destini unici e tragici in un gioco di rimandi tra passato e presente che sfiora i migliori romanzi gotici.  

Anne Griffin  “Ancora in ascolto”    -Blu Atlantide-   euro  18,50

Storia affascinante che ha per protagonista la giovane JeanieMasterson, dotata dello straordinario potere di sentire le voci dei morti arrivati da poco nell’agenzia di pompe funebri di famiglia. Dono o condanna, eredità del padre, che sta per ritirarsi dal lavoro e lasciare a lei la gestione dell’attività.

Siamo nell’affascinante campagna irlandese e la storia non è per niente cupa come potreste pensare di primo acchito.

Si intrecciano i sentimenti di Jeanie, la sua storia personale oscillante tra un amore rimpianto e uno non pienamente vissuto. Poi c’è la sua straordinaria facoltà di raccogliere le voci dei morti e riferire i messaggi che questi vorrebbero mandare ai loro cari, oppure pronta ad esaudire i loro ultimi desideri.

La giovane tende a farsi condizionare dalle decisioni della famiglia e un po’ anche dai morti di cui raccoglie lasciti e pensieri.

E’ un libro decisamente particolare e delicato, che non scivola in banalità o aspetti scontati. Piuttosto racconta di una ragazza sospesa tra un ferreo senso del dovere verso il padre; ma anche un forte senso di responsabilità nei confronti di chi non c’è più e di cui lei resta l’ultimo breve tramite.

I dialoghi che la scrittrice imbastisce tra Jeanie e i defunti deceduti da poco sono bellissimi. Non sempre simpatici o buoni; anzi a volte lanciano parole e verità scomode che possono stravolgere i loro cari.

Poi ci sono anche momenti di notevole intensità, narrati con uno stile gradevole che dona leggerezza a un tema pesante come un macigno.

In mezzo c’è la crescita della protagonista che riesce a far chiarezza su chi è davvero e cosa vuole veramente.

 

Andrea Albertini   Una famiglia straordinaria”    -Sellerio-   euro   16,00

Andrea Albertini, con questo romanzo desordio, riannoda i fili  della sua storia familiare e le vicissitudini dei suoi avi, le cui vite si intrecciarono per l’alchimia dell’amore. L’autore nato nel 1960 racchiude nel suo Dna tracce di personaggi leggendari, nelle sue vene scorrono echi di storia della letteratura mondiale, del giornalismo e del teatro.

E’ la storia di 3 dinastie che finiscono per incrociare i loro destini, pur partendo da luoghi lontani, tra metà Ottocento e metà Novecento. I Tolstoj con la nipote dello scrittore russo; i Giacosa, famiglia del drammaturgo italiano che scrisse la Tosca e la Bohéme; Luigi  Albertini leggendario direttore del “Corriere della sera”.

Queste le vite di personaggi incredibili in un romanzo che pesca in due angoli del mondo distanti: Jasnaja Poljana dimora di Tolstoje Colleretto nella campagna torinese dove cresce Giuseppe “Pin” Giacosa.

L’autore ci conduce all’interno della tenuta tolstojana, di cui racconta la vita, i ritmi, le stanze e i destini di personaggi come la figlia dello scrittore Tatiana, che a 41 anni e dopo 4 traumatici aborti spontanei, arriva dai genitori incinta. La bimba che darà alla luce è Tania (1905-1996) e sarà la futura moglie del primogenito del direttore del “Corriere della sera” Luigi Albertini (1871- 1941), grande giornalista che coraggiosamente si oppose a Mussolini.

Luigi aveva sposato la seconda delle tre figlie del drammaturgo piemontese Giuseppe “Pin” Giacosa (1847-1906), librettista pucciniano (due fratelli Albertini sposarono due sorelle Giacosa).

L’autore di questo memoir storico-letterario è un loro discendente e quella che racconta è davvero la storia straordinaria dei suoi avi, a cui si aggiunge negli ultimi capitoli quella dei Carandini. Infatti Elena Albertini, sposata Carandini, nel capitolo conclusivo è incinta di Andrea che diventerà il famoso archeologo che conosciamo.

Sullo sfondo appare la storia con tutta la sua dirompente portata:le traversie dei Tolstoj e la decadenza di Jasnaja travolta dalla guerra, e dai disperati esili. Le delusioni, le difficoltà e i primi successi del giovane Giacosa, drammaturgo librettista tra i più famosi al mondo.  Le vicissitudini dei leggendari fratelli Albertini comproprietari del quotidiano più letto in Italia e più famoso in Europa, con i suoi rivoluzionari supplementi.

Ma uno dei tanti pregi di queste 451 pagine è quello di cogliere i caratteri, pensieri, stati d’animo, sentimenti dei vari personaggi; il loro modo di reagire a lutti, rovina, malattie e momenti difficilissimi. Un punto di vista che rende speciale questo libro: osservare come i grandi uomini sono prima di tutto “esseri umani”.

 

Denise Boomkens  “AndBloom. The art of AgingUnapologetically”  – Octopusbooks.

Questo libro è una sorta di manifesto dedicato all’invecchiamento declinato in fascino, colore, personalità e stravaganze. Sono le strepitose foto di oltre 100 donne non più giovanissime ma con le loro interessanti vite da raccontare, tra rughe, stile, ironia e saggezza nell’affrontare il tempo che inesorabilmente passa.

A mettere insieme i loro ritratti e le brevi biografie è stata Denise Boomkens Den” una sorta di intelligente amica che su Instagramci dà appuntamento quotidiano con le sue divertenti, istrioniche stories tra trucco e  outfit fuori dagli schemi.

Il suo connotato principale è l’intelligenza con cui si destreggia nel cambiamento, trasformandolo in glamour a tonnellate.

Inutile dire che lei è bellissima, ha un passato da modella in giro per il mondo, che però a 25 anni ha deciso di tornare in Olanda e diventare fotografa. Anche per questa professione è planata a varie latitudini del globo, da New York a Tokyo, Seul e Capetown.

E’ quando si sta avvicinando ai 40 anni che coglie paure, insoddisfazioni, cambiamenti fisici e tutto il bagaglio che rende l’invecchiamento una tappa temibilissima. Nota il disastro emotivo che creano le campagne antietà, con modelle-bambine o dive hollywoodiane ampiamente rifatte tra botox, chirurgia, riempitivi vari e un’unica meta….arrestare il tempo e dimostrare a tutti i costi 15 anni meno della realtà anagrafica.

Den a 40 anni mette al mondo suo figlio e si affaccia su una prospettiva drasticamente diversa, in cui i valori cambiano e l’essenziale balza agli occhi.

Così nasce l’idea del progetto AndBloom, ovvero una comunità che esalta in modo positivo l’età che avanza. Lei fotografa donne sopra i 40 anni, autentiche e fascinose, con grandi personalità, che hanno saputo dare nuove direzioni alle loro vite. L’età non è più uno spettro temibile quando rivedi le priorità e ti lanci in nuove entusiasmanti sfide: dall’ avviare nuove attività imprenditorialiall’ accrescere la propria istruzione, dal seguire i propri interessi, e ancora …iniziare nuove relazioni o avere bambini e non ultimo decidere di viaggiare alla scoperta del mondo.

 

Rock Jazz e dintorni Raf & Umberto Tozzi e Seeyousound

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Teatro Colosseo secondo concerto consecutivo per Raf & Umberto Tozzi.

Martedì. Al Jazz Club suona la The Bright Humansband.

Mercoledì. Al Capolinea 8 si esibisce l’Homelanders Trio. Al Jazz Club è di scena la Big Harp Blues Night Jam con ospite Roberto Zorzi.

Giovedì. Al Cafè Neruda suona il chitarrista Matteo Salvadori.Al Jazz Club si esibisce il trio Greselin- Defilippi-Bradascio. All’Hiroshima Mon Amour è di scena il cantautore Giancane.

Venerdì. Al Capolinea 8 suona il quartetto Train Power Blues.Allo Ziggy sono di scena i Bone Rattler. Al cinema Massimo si inaugura Seeyousound con la proiezione del film di Stephen Kijak “Shoplifters of The World” sulla fine degli Smiths,preceduto dalla sonorizzazione del cortometraggio “Suf” di Titus Meszaros a cura della compositrice Ginevra Nervi. Al Cafè Neruda suona il trio Gurrisi-Piccirilo-Fasano. Al Folk Club si esibisce Peppe Voltarelli.

Sabato. Al Jazz Club suona il trio del pianista Davide Cabiddu. Al Cafè Neruda sono di scena gli Ecgi  Soul Gang. Per il programma di Seeyousound due film di Stephen Kijak : “Stones in Exile” e “Sid &Judy”. Al Capolinea 8 suona il quartetto di Lorenzo Minguzzi mentre allo Ziggy si esibiscono i Fratelli Lambretta. Al Blah Blah sono di scena Battilastra e Ozora.

Domenica. Al Jazz Club suona il quartetto del trombettista Mauro Brunini con il chitarrista Max Gallo. Per Seeyousound proiezione de “L’Inferno” con musica di Enrico Gabrielli e anche “A-Ha:The Movie” del regista Thomas Robsahm.

Pier Luigi Fuggetta