CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 40

L’addio alla vita di Mahler diretto da Robert Treviño all’Auditorium  Rai 

Giovedì 13 febbraio 2025 l’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino propone all’Auditorium RAI Arturo Toscanini il poderoso e struggente addio alla vita di Gustav Mahler , la sua Sinfonia n.9 in re maggiore, affidata alla bacchetta del Direttore ospite principale Robert Treviño.

Replica venerdì 14 febbraio alle ore 20.

La Sinfonia n. 9 in re maggiore di Mahler venne composta tra il 1909 e il 1910, è suddivisa in quattro movimenti ed è l’ultima che il compositore boemo riuscì a completare, in quanto il lavoro sulla successiva decima Sinfonia rimase interrotto dalla sua morte.

Nell’autunno del 1912 Alan Berg , che aveva intuito tutto dalla sola lettura della partitura manoscritta, scriveva alla moglie “di aver suonato di nuovo la Nona di Mahler e che il primo movimento era la cosa più splendida che Mahler avesse scritto, l’espressione di un amore inaudito per questa terra, del desiderio di vivere in pace con la natura e di poterla godere fino in fondo, in tutta la sua profondità, prima che giungesse la morte, perché essa arriva senza scampo.

L’intero movimento della Sinfonia è permeato dal presentimento della morte, che si presenta in continuazione e ogni sogno terreno culmina in quel passo in cui il presentimento si fa certezza”. “ Lontano da ogni fastidio, Mahler vuole mettere casa nell’aria libera e puramente Semmering .. affinché il suo cuore, il più splendido che abbia mia pulsato tra gli uomini, possa espaglire sempre di più, prima di dover cessare di battere”.

A interpretarla è stato chiamato il direttore musicale dell’Orchestra Nazionale Basca e consulente artistico dell’orchestra Sinfonica di Malmö, Robert Treviño. Nativo del Texas si è imposto all’attenzione internazionale per un direzione al teatro Bolshoj di Mosca nel 2013, sostituendo Vassily Sinaisky sul podio del Don Carlo di Verdi.

I biglietti del concerto sono in vendita presso la biglietteria dell’auditorium RAI di Torino e online sul sito dell’OSN RAI.

Auditorium RAI Arturo Toscanini

Piazza Rossaro Torino

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

VENERDI 14 FEBBRAIO

 

Venerdì 14 febbraio 2025

A SAN VALENTINO AMA LA CULTURA!

Ingresso a 1€ per le collezioni e le mostre temporanee di GAM, MAO e Palazzo Madama

 

La Fondazione Torino Musei lancia una nuova proposta per celebrare la festa degli innamorati: nella giornata di venerdì 14 febbraio, con la promozione “A San Valentino ama la cultura!”, tutti i visitatori potranno visitare le collezioni permanenti con il biglietto speciale a 1 euro.

Incluse nel biglietto delle collezioni anche i progetti espositivi Hanauri. Il Giappone dei venditori di fiori al MAO e Giro di posta. Primo Levi, le Germanie, l’Europa e Il grande fiume. Biodoversità fra passato e futuro a Palazzo Madama. Aggiungendo 1 euro si potrà accedere anche alle mostre temporanee Mary HeilmannMaria Morganti e GRASSO. Giuseppe Gabellone e Diego Perrone alla GAMRabbit Inhabits the Moon al MAO e Visitate l’Italia a Palazzo Madama.

Esclusa dalla promozione la mostra Berthe Morisot. Pittrice impressionista alla GAM.

La tariffa di 1€ sarà applicata anche ai possessori di Abbonamento Musei, mentre non si applica per la Torino Card e agli aventi diritto alla gratuità.

Per scoprire le innumerevoli declinazioni dell’amore presenti nelle opere dei tre musei, Theatrum Sabaudiae propone alcune visite guidate speciali a tema:

GAM | ART&LOVE (collezioni permanenti)

Venerdì 14 febbraio ore 16, sabato 15 febbraio ore 16:30 e domenica 16 febbraio ore 15

Attraverso la sua creazione, l’artista riversa emozioni profonde, esperienze personali e visioni del mondo, trasformandole in opere che parlano al cuore degli osservatori. Come un atto d’amore, l’arte avvolge, ispira e connette le persone, creando un linguaggio universale che supera barriere culturali e linguistiche.

Ogni materiale utilizzato dall’artista si trasforma in un veicolo di espressione, attraverso il quale l’arte diventa un linguaggio universale, capace di toccare i cuori e le menti delle persone, creando un ponte che collega l’artista al mondo, un atto d’amore che supera il tempo e lo spazio per raggiungere il cuore di chiunque lo incontri. In occasione della festa di San Valentino la visita alle rinnovate collezioni della GAM propone di esplorare questo sentimento che guida gli artisti in modo trasversale nel corso di tre secoli, in un gioco di risonanza e emozioni.

Prenotazione consigliata, disponibilità fino ad esaurimento posti.

Costo: 7€ a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo a 1 euro; gratuito per possessori di Abbonamento Musei Piemonte Valle d’Aosta

GAM | GLI AMORI DI BERTHE (mostra Berthe Morisot)

Sabato 15 febbraio ore 15 e domenica 16 febbraio ore 16:30

La visita “Gli Amori di Berthe” si propone di narrare i legami che hanno contribuito alla formazione di Berhe Morisot, una delle figure chiave dell’Impressionismo, una vita ricca di amore e relazioni significative, che hanno profondamente influenzato la sua arte. A partire da Edouard Manet, maestro e amico, un legame profondo che ispirò molte delle loro opere, la sorella Edma fonte inesauribile di ispirazione e conforto, il marito, Eugene Manet, che ha sempre incoraggiato Berthe nel suo lavoro artistico, permettendole di continuare a dipingere e a esporre, nonostante le convenzioni sociali dell’epoca, e la figlia Julie quasi sempre presente nelle sue opere e fondamentale nella raccolta e tutela delle sue opere dopo la morte.

L’arte è stata per Berthe Morisot un modo di esprimere il suo mondo interiore e di connettersi con gli altri, rendendo ogni opera un atto d’amore verso la vita e l’umanità.

Prenotazione consigliata, disponibilità fino ad esaurimento posti.

Costo: 7€ a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso alla mostra; gratuito per possessori di Abbonamento Musei Piemonte Valle d’Aosta

MAO | LE MILLE E UNA DECLINAZIONI DELL’AMORE NELLE OPERE DEL MAO

Venerdì 14 e domenica 16 febbraio ore 15

Il percorso di visita condurrà i partecipanti alla scoperta delle opere d’arte del museo accomunate dal tema amoroso e sessuale in ambito buddhista e induista. L’apprezzamento dell’estetica delle opere del Subcontinente indiano e della Regione Himalayana andrà di pari passo con l’approfondimento di tematiche connesse alla sfera amorosa nelle sue innumerevoli sfumature, dalla castità al tantra.

Prenotazione consigliata, disponibilità fino ad esaurimento posti.

Costo della visita guidata: 7 € a partecipante. Biglietto di ingresso al museo gratuito.

Informazioni e prenotazioni: 011 5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio

Palazzo Madama | AMORE E MITO. SAN VALENTINO FRA GLI DEI

Venerdì 14, sabato 15 e domenica 16 febbraio ore 16:30

In occasione della ricorrenza di San Valentino il museo propone una visita guidata ispirata agli amori famosi rintracciabili fra dipinti, decorazioni, lambriggi, ceramiche e oggetti di lusso custoditi nelle sale di Palazzo Madama. Diana e il suo amato Endimione, Giove che si trasforma in pioggia d’oro per la sua Danae, Venere e Cleopatra. Amori celebri fra mitologia e realtà. Il percorso di visita si snoda sui tre piani, dalla sala Acaja fino alla sala ceramiche, ricercando le coppie famose, i putti, gli amorini che scoccano dardi d’amore, i nodi di fedeltà che testimoniano legami e nobili biografie.

Costo della visita guidata: 8 €. Biglietto di ingresso al museo gratuito.

Informazioni e prenotazioni: 011 5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio

 

DOMENICA 16 FEBBRAIO

 

Domenica 16 febbraio ore 11-13 e 15-17

LAMENTI/AMO         

MAO – performance a cura di YizhongArt

YizhongArt svolge un percorso di ricerca sull’incontro e la relazione che si esprimerà attraverso la serie di perfomance, “OUYU偶遇”.

“Lamenti/AMO” è il primo progetto performativo della serie in residenza al MAO e prende spunto dal concetto del lamentarsi sia come espressione di dolore o rammarico sia come azione che crea connessione. Attraverso di esso si comunica disagio, si condividono ostacoli e, paradossalmente, si costruiscono legami. In Italia, lamentarsi è spesso un atto che avvicina permettendo agli interlocutori di esprimere empatia e comprensione reciproca. “Lamenti/AMO” esplora questa necessità creando uno spazio dove il lamento diventa un mezzo per favorire l’incontro e il dialogo interculturale.

Nella cultura cinese, quando si menziona il carattere “怨” (yuan = lamento/lamentarsi), si percepisce spesso un’aura negativa. Si ritiene, infatti, che “怨” rappresenti l’irrisolto e quindi una delle cause per cui le anime non trovano pace dopo la morte.

Dal punto di vista della calligrafia, il carattere “怨” viene talvolta scritto con la parte superiore rappresentata dal carattere “死” (si=morte) e la parte inferiore dal carattere “心” (xin=cuore). Guardando la forma del carattere si può interpretare come uno stato di dolore e rimpianto che nasce nel cuore. Il carattere “怨” , sia nella sua forma sia nel suo significato, riflette la complessità del pensiero e dei sentimenti, il disappunto che persiste nel cuore (attaccamento), ma anche l’opportunità per una trasformazione (distacco).

La performance si svolgerà nel giardino zen del MAO e coinvolgerà i visitatori in uno scambio “uno a uno”, per dare la possibilità al singolo partecipante di potersi “lamentare con il performer”.

La partecipazione è gratuita. Gradita la prenotazione su yizhongart@gmail.com

Domenica 16 febbraio ore 15:30

VISITE GUIDATE ALLA MOSTRA “GIRO DI POSTA. PRIMO LEVI, LE GERMANIE, L’EUROPA”    

Palazzo Madama – visita guidata in mostra

Da febbraio a maggio è possibile approfondire i temi della mostra con l’accompagnamento di una guida specializzata che condurrà i visitatori a scoprire Primo Levi attraverso la sua corrispondenza.
Durata 1 ora.

Costo: 7 euro visita guidata (il costo non comprende il biglietto di ingresso che va pagato alla biglietteria del museo: intero euro 10; ridotto 8 euro; ingresso omaggio per minori 18 anni, persona con disabilità e suo accompagnatore, possessori di Abbonamento Musei e Torino +Piemonte Card).

Per info e prenotazioni: Gabriele Zunino, mrgabriz@gmail.com; m. 340 85 96 493

Domenica 16 febbraio ore 15:30

CITTÀ DA IMMAGINARE      

Palazzo Madama – attività per famiglie

Partendo dalle Alpi e seguendo la dorsale appenninica, viaggiamo tra le immagini che raccontano l’Italia: città, monti e mari, isole e spiagge, le terme e gli sport.

Prendendo spunto dai manifesti pubblicitari esposti nella mostra VISITATE L’ITALIA! Promozione e pubblicità turistica 1900-1950, le famiglie creeranno con la tecnica del collage una grande immagine di una località reale o di fantasia.

Costo 7€ a bambino. Biglietto di ingresso alla mostra per adulti accompagnatori.

Prenotazione obbligatoria: t. 011.4429629; madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

Domenica 16 febbraio ore 16

ORIGAMI, LA MAGIA DI UNA PIEGA

MAO – attività per famiglie

La visita alla galleria dedicata al Giappone spazia tra opere realizzate in materiali diversi, dalla carta al legno, dai tessuti alle lacche, e di diverso significato, dalla statuaria buddhista alle armature dei samurai, dalle fotografie di venditori di fiori ai dipinti tradizionali. In laboratorio si realizzeranno origami a tema.

Costo €7 + biglietto di ingresso ridotto alle collezioni € 8 (gratuito con Carta Musei)

Prenotazione obbligatoria  t. 011.4436927/8 oppure  maodidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

LUNEDI 17 FEBBRAIO

 

Lunedì 17 febbraio ore 18

I TIEPOLO, GENI DEL SECOLO

Palazzo Madama – corso di Storia dell’Arte a cura del direttore Giovanni Carlo Federico Villa

Quinto incontro del nuovo ciclo di conferenze con Giovanni Carlo Federico Villa, direttore scientifico di Palazzo Madama. Il nuovo corso storia dell’arte si sviluppa in otto incontri dedicati a sguardi inediti sui protagonisti dell’arte e della cultura dal medioevo all’Ottocento.

Costo: singola conferenza €15; ciclo completo di otto conferenze: intero € 120, ridotto € 90 (riservato a possessori di Abbonamento Musei, insegnanti, guide turistiche abilitate, Amici Fondazione Torino Musei, soci Rotary Club e Inner Wheel). Ridotto € 50 riservato a Giovani under 25 anni.
Prenotazione obbligatoria: t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 09.30 – 13.00; 14.00 – 16.00) oppure madamadidattica@fondazionetorinomusei.it
Per motivi organizzativi, il pagamento della quota dovrà essere effettuato tramite bonifico bancario previa iscrizione. Non è consentito il pagamento in biglietteria.

 

GIOVEDI 20 FEBBRAIO

 

Giovedì 20 febbraio ore 17

STORIE DEI VALDESI

Palazzo Madama – conferenza

con la partecipazione dei curatori

Susanna Peyronel Rambaldi, Gian Paolo Romagnani, Francesca Tasca

Introduce e modera Giovanni Filoramo

Claudiana, Società di Studi valdesi, libreria Claudiana di Torino, Centro culturale protestante di Torino presentano l’opera collettiva in quattro volumi, la Storia dei valdesi racconta attraverso molti nuovi contributi 850 anni di storia valdese, dal Medioevo all’adesione alla Riforma, dalle persecuzioni all’emancipazione, fino alla piena cittadinanza nell’Italia democratica. Tra luci e ombre, discontinuità e mutamenti, è la storia di una comunità radicata nelle Valli piemontesi e divenuta, non di rado, tassello di vicende internazionali. Una storia di secolare resistenza, fondata sull’autorità della Bibbia.

Nella suggestiva cornice di Palazzo Madama ne discutono i curatori dei volumi e il professor Giovanni Filoramo.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili. Non è previsto il servizio di prenotazione.

Giovedì 20 febbraio ore 17:15

BONSAI LEZIONE DI SPIRITO

MAO – lezione di Massimo Bandera nell’ambito del Corso di formazione di Culture materiali dell’Asia

Massimo Bandera, con il suo discepolo Carlo Perini, ci conducono nell’arte degli alberi in miniatura.

La meravigliosa esperienza bonsai ci porta in un mondo fantastico fatto di arte, piccoli alberi, natura, tecniche, coltivazione e soprattutto è una immersione in Estremo Oriente, tra Cina e Giappone.

Tradizione millenaria, il bonsai nasce in Cina per poi diffondersi in Giappone e, nel Novecento, in tutto il mondo, appassionando molte persone e diffondendo il sentimento di pace universale.

Massimo Bandera conduce il seminario al museo, tra racconti dei maestri giapponesi e un momento di pratica sugli esemplari esposti permanentemente sulla terrazza del MAO: una breve esperienza che merita di essere vissuta in tranquillità, lasciandoci immergere nella magia dei piccoli alberi e nella profondità estetica del bonsai.

Partecipazione gratuita. Accesso libero senza prenotazione fino a esaurimento posti disponibili.

 

Gilda ci racconta come vinse il Festival di Sanremo cinquanta anni fa

 “Sento ancora il profumo dei fiori sul palcoscenico, allora ancora quello del Salone delle feste del Casinò, e ricordo  l’emozione per la vittoria inaspettata che continua ad essere uno dei momenti più belli della mia vita”, racconta Gilda Scalabrino, la vincitrice del Festival di Sanremo 1975.

Vive a Torino, in pieno centro, la trionfatrice di 50 anni fa: Gilda. La sera del 3 marzo di quell’anno, a sorpresa, a 24 anni, si aggiudica la venticinquesima edizione della manifestazione con il brano “Ragazza del Sud”, da lei composto; è la prima e unica cantautrice ad avere vinto un Sanremo e la prima autrice femminile che compare nell’Albo d’oro del Festival.

Gilda proviene dalla frazione Scalabrino della località di Masserano, allora ancora nel vercellese, ed ora in provincia di Biella.

Quando hai iniziato e come sei arrivata a Sanremo?
” Ho cominciato quando avevo solo 14 anni e già cantavo nelle feste di paese a Masserano e dintorni, poi un giorno alcune mie amiche scrissero a “Specchio dei tempi”, la rubrica de “La Stampa”, per farmi avere l’occasione di emergere. Venni subito dopo convocata dalla Fonit-Cetra e feci un provino. Uno dei primi a complimentarsi con me fu Franco Tozzi, che è recentemente scomparso, il fratello maggiore di Umberto Tozzi, che aveva appena partecipato al Festival. Tutto è poi nato sul finire degli anni ’60 quando continuavo a fare serate in giro per l’Italia ed in Svizzera soprattutto, insieme al mio gruppo musicale; ho inciso con la Pdu, la casa discografica allora appena fondata da Mina, il mio primo 45 giri intitolato “Nu ferru de calzetta” Poi mi sono iscritta alla Siae come compositrice, perché prima ero solo iscritta come autrice di pezzi, e così come Gilda ho potuto firmare le mie canzoni anche con l’indispensabile aiuto ed i consigli del maestro Vittorio Buffoli. Nel 1974 inviai “Ragazza del Sud” che avevo scritto durante un viaggio di ritorno dal Meridione dove anche lì facevo molte serate, ma non venne ammessa dalla commissione selezionatrice.

 

Ci riprovai poi l’anno dopo ed andò tutto bene e quindi sono arrivata finalmente a Sanremo praticamente autoproducendomi. Successivamente pubblicai “Bolle di sapone” ed altri dischi, ed intanto continuavo a fare serate in giro per l’Italia, in piazze e teatri, ed anche, come da sempre, in Svizzera, Belgio e Germania”.
Accompagnata sul palco, quell’anno il Salone delle feste del Casinò era tutto di colore blu e viola con decorazioni stile liberty, da un gruppo con i costumi tipici del folklore del sud, eccola quindi a Sanremo. In quegli anni i discografici avevano uno scarso interesse per la manifestazione e quindi il Comune è costretto ad organizzare il Festival da solo. Un Sanremo con pochi nomi noti in gara, ma ricco di un repertorio di motivi ben confezionati e alcune canzoni di ottima qualità. Ma è anche un Festival con tanti illustri sconosciuti, ad eccezione di Rosanna Fratello e Angela Luce. Molte di quelle che sembrano le migliori canzoni in concorso, restano fuori dalla finale. Ci sono anche altri piemontesi in gara quell’anno: La Quinta faccia, un gruppo di ragazzi biellesi, l’astigiano Piero Cotto e la quindicenne torinese Antonella Bellan. Quello di cinquanta anni fa è anche l’unico Festival nel quale venne fatto un sorteggio per passare alla finale, tra i pari merito Stefania e Franco e le Piccole Donne, e la fortunata Stefania ebbe la meglio, ed è anche la prima volta che Sanremo ha un suo logo ufficiale stampato sui dischi in concorso, sui manifesti e sul materiale promozionale.

“Ricordo inoltre con piacere che nell’orchestra che ci accompagnava, diretta dal maestro Enrico Simonetti, un gran signore, c’era anche il batterista Tullio De Piscopo che ritrovai anni dopo ad una manifestazione e quello fu davvero un bell’incontro”.

Ma come hai reagito alla vittoria?

“La serata finale era organizzata in maniera tale che le canzoni ancora in gara arrivarono prima a dodici, poi a sei, e c’erano la Fratello e Angela Luce, molto sostenuta dal pubblico in sala, quindi ho pensato che avrebbe vinto una di loro due; difatti dopo la mia ultima esibizione sono rientrata di corsa nei camerini a cambiarmi perché l’abito che indossavo era troppo pesante. Poi ad un certo punto, improvvisamente, un giornalista venne a bussare e a chiamarmi per risalire sul palco perché avevo vinto! Ero sorpresa e incredula nel camerino entra mia mamma che mi chiede: ma è vero!? Ed io rispondo: vado a vedere”.

Molti ritengono ingenerosamente che quella del 1975 sia stata l’edizione più brutta di Sanremo, invece va sicuramente riconosciuto che questa manifestazione ci restituisce una panoramica del mondo musicale degli anni ’70, migliore e di certo più completa di tante altre edizioni di maggior successo.Il colpo di grazia al Festival del venticinquennale lo diede però, già come negli anni precedenti, ancora una volta la Rai: purtroppo, la trasmissione televisiva presentata in diretta dal Casinò da Mike Bongiorno con Sabina Ciuffini, viene interrotta prima della proclamazione della vittoria di Gilda che si conosce quindi solo nel corso del telegiornale della notte. Il canale Nazionale non si collega nuovamente con il Casinò neanche per la ripetizione della canzone vincitrice.

Quattro anni dopo un altro biellese, Mino Vergnaghi, originario di Trivero, trionfa questa volta al Teatro Ariston nel 1979 con il brano “Amare”. “Un altro bellissimo ricordo è quello della festa che qualche giorno dopo la mia vittoria organizzarono a Masserano, al Palazzo dei Principi, c’era tutto il paese con il sindaco in testa ad accogliermi”. Ed aggiunge: il Festival lo guardo sempre con piacere ed attenzione, sono stata la prima cantautrice a vincerlo e questa è una grande soddisfazione, e poi mi vedrete presto in tv per raccontare la mia storia”.

Igino Macagno

“Ritratti urbani”. In mostra alla “BI-Box Art Space” di Biella

Le opere pittoriche di Beatrice Scaramal e le “foto-reportages” di Damiano Andreotti

Da venerdì 31 gennaio a sabato 1° marzo

Biella

Oltre ogni stereotipo, oltre ogni “cliché”. Ritratti di donne e uomini (sono queste/i, donne e uomini?) che infrangono spazi di vita e palesano il buio. Il buio di un oggi che non osa e fatica a immaginare un domani. Che in più casi trasmette sofferenza e dolorosa rassegnazione. Un buio dove anche i segnali d’aiuto paiono inesorabilmente infrangersi  contro i muri, sempre più alti sempre più invalicabili, dell’indifferenza e della non pietà umana. Dove allo sbaglio sono negati il perdono e il riscatto. Sono trenta i “Ritratti urbani” posti in mostra, da venerdì 31 gennaio a sabato 1° marzo, alla “BI-Box Art Space” di via Italia, a Biella: dipinti in acrilico su tela firmati da Beatrice Scamal e fotografie dal “sapore di reportages” di Damiano Andreotti. Opere che non stanno, pur riconoscendolo, al gioco dei “grandi”, al dèjà vu, alla didascalica ripetizione di passi nel tempo ripetuti, ma che, totalmente in proprio, intendono raccontare, attraverso volti che ti trafiggono, storie di anime, funamboliche giravolte di sogni e speranze destinate spesso a fare i conti – i drammatici conti – con la realtà di spietate disillusioni. E allora, nei ritratti della Scaramal, ecco il colore liberarsi dalle regole scolastiche, farsi pienamente autonomo e aggredire, con gialli improvvisati, turchesi e mai imbarazzanti o provocatori rossi, lineamenti del volto che mantengono la netta e nitida fisicità del segno.

Biellese di origini, ma residente oggi a Torino (dove già nell’ottobre dell’anno appena trascorso aveva esposto i sui “Ritratti” all’“Antro” di San Salvario), Beatrice scopre appieno la sua “chiamata alle arti” durante gli anni del “lockdown” trascorsi a Firenze. Le opere oggi in mostra a Biella  nascono agli inizi del 2024 dai dialoghi tra la pittrice e alcune delle persone ospiti del “Drop In” di via Santa Caterina da Siena ad Alessandria, “porta aperta sulla strada” che accoglie e aiuta adulti e persone in difficoltà. “Ho sempre trovato stimolante – racconta l’artista – confrontarmi con persone provenienti da realtà diverse e lontane dalla mia. Al ‘Drop-In’ ho avuto l’opportunità di parlare con alcuni ragazzi che hanno affrontato situazioni difficili o problematiche legate alle dipendenze. È stata un’esperienza straordinaria e arricchente, alcuni dipinti di questa serie rappresentano le persone che frequentano il ‘Drop-In’, ma anche alcuni amici con cui ho deciso di ampliare il progetto. L’idea ora è quella di raccogliere più esperienze possibili, favorendo lo scambio culturale, abbattendo gli stereotipi e mettendo in luce tematiche che ci uniscono, anche se proveniamo da realtà lontane”. Il grande, prossimo obiettivo: “Raccogliere più testimonianze e storie possibili e raccontarle non solo attraverso la pittura ma anche nelle pagine di un libro”.

Sulla stessa linea dei “Ritratti” di Beatrice Scaramal, unite fra loro da un robusto e suggestivo fil rouge, si leggono i “Volti dal parchetto” del fotografo, anche lui biellese, Damiano Andreotti (dal 2019, nel team di fotografi di “Mondadori Portfolio”), progetto promosso dalle Associazioni di volontariato, cooperative ed enti ecclesiali del “Tavolo Carcere” di Biella, con il Patrocinio della “Garante per i diritti delle persone private della libertà personale” del Comune di Biella. Macchina fotografica a tracolla, quello di Andreotti è un “viaggio – reportage” alla scoperta di storie e di persone. Di volti come specchio di anime e di vite. “Il viaggio del fotografo – sottolinea Andreotti – è parte integrante del suo lavoro: è fondamentale raggiungere i soggetti nei luoghi a loro più familiari, le loro città, le loro case, per metterli a proprio agio; in questo caso il luogo è indicativo della loro condizione, che rende la loro quotidianità fisicamente e psicologicamente lontana dall’ordinario.

Li si estrapola dal contesto per lasciarli soli davanti a un fondo nero; in questo modo gli unici protagonisti dello scatto diventano la faccia, le mani e le storie che portano con sé”. Storie che hanno spesso conosciuto e fatto i conti con l’inferno. Di cui ancora oggi portano impressi nel corpo e nell’anima i larghi segni di brucianti ferite. Mai più, forse, rimarginabili.

Gianni Milani

“Ritratti urbani”

“BI-Box Art Space”, via Italia 38, Biella; tel. 349/7252121 o www.bi-boxartspace.com

Dal 31 gennaio al 1° marzo

Orari: giov. e ven. 15/19,30; sab. 10/12,30 e 15/19,30

 

Nelle foto: alcune immagini pittoriche di Beatrice Scaramal (“Ritratti urbani”) e alcune fotografie (“Volti dal parchetto”) di Damiano Andreotti

L’amore in ogni aspetto della vita, parola di Manuel Giacometti

Love is Key” sino al 30 marzo al Forte di Gavi

Venerdì 14 febbraio, giorno degli innamorati, s’inaugura alle 14,30 al Forte di Gavi “Love is Key – Innamorati al Forte di Gavi” (chissà dove andrà messo l’accento? per un amore già consolidato e per un invito a lasciarsi andare e iniziare una relazione?), mostra organizzata dalle Residenze reali sabaude, una personale dell’artista trevigiano Manuel Giacometti: pressoché cinquantenne, un incontro con i graffiti che gli consente di appassionarsi al mondo dell’arte, un percorso di concorsi e collettive, la scelta di eventi di Street Art nazionali ed esteri. Di lui dicono che “utilizza lo spray su qualsiasi tipo di superficie, realizzando opere dai tratti unici e distintivi che rendono ogni immagine un’esperienza capace di suscitare emozioni profonde nello spettatore.” Un serie di murales, una “sorta di soap opera artistica” vanno a formare, dando efficace vita e comunicabilità a “Love is Key”, un cuore rosso con la scritta bianca ormai riconoscibilissimo, inno ad un amore che è fondamentale in ogni aspetto della vita, forma d’arte che si è estesa anche a tele numerate, a gioielli e sculture.

Protagonisti delle opere di Giacometti sono “un bambino e una bambina che si trasformano in forma, dimensione e posizione”, per l’occasione inseriti all’interno della valorizzazione del territorio e della sua imponente fortezza, un contesto unico e affascinante che accomuna arte, storia ed emozioni. In occasione della mostra, dopo le parole di saluto, verrà inaugurata l’opera di live painting realizzata dall’artista nella struttura del forte e si proseguirà con la consegna del Premio Talento da parte del Lions Club di Gavi, per concludere con la visita guidata dallo stesso Giacometti. La mostra sarà visitabile sino a domenica 30 marzo (per consultazione del calendario, https://shorturl.at/09rlm).

e.rb.

“Una montagna di… segni”. Contest al Forte di Bard

Nell’ambito del progetto transfrontaliero TransiT – Transizione verso il Turismo Culturale Sostenibile, finanziato nel programma Interreg VI-A France – Italia Alcotra per la programmazione 2021-2027, il Forte di Bard organizza il contest internazionale di grafica e illustrazione Una montagna di… segni, rivolto a grafici, illustratori, artisti, designer, valdostani e non, che attraverso tecniche, modalità e approcci artistici molto differenti svilupperanno le loro creazioni su una specifica tematica.

L’iniziativa si articola in una serie di interventi chiave da realizzare in due anni, a ciascuno dei quali è stato designato un tema: I ghiacciai (2025), I pascoli e i pastori di montagna (2026). Il concorso si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche che coinvolgono gli ambienti montani e i ghiacciai attraverso la produzione di arti grafiche, illustrazioni, video e motion graphic, forme di espressione artistica sempre più diffuse nell’arte contemporanea e non usuali rispetto alla tematica ambientale montana. L’iniziativa fa parte di un progetto più ampio dedicato alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio naturale della montagna che si propone di ampliare l’offerta culturale e artistica attraverso mostre, residenze d’artista ed eventi con artisti sia internazionali che italiani da realizzarsi sia a Bard e nei Comuni francesi partner di Aussois e Avrieux.
Tutte le 45 opere finaliste (39 dell’Open Call e 6 della sezione master) saranno pubblicate in un catalogo cartaceo e confluiranno in una mostra allestita al Forte di Bard nel periodo luglio-settembre 2025.

Il progetto è realizzato con la collaborazione tecnica di Alina Art Foundation, fondazione olandese al sostegno degli artisti e l’Associazione Inarttendu, spazio d’arte contemporanea con sede ad Aosta.
Le adesioni dovranno pervenire entro venerdì 4 aprile 2025.

La bellezza è imperfetta per Dante Ferretti. Al Circolo dei Lettori

Il  libro dedicato al suo grande maestro Pier Paolo Pasolini: presentazione mercoledì 12 febbraio 

Mercoledì 12 febbraio, alle ore 18.30, presso il Circolo dei Lettori di via Bogino 9, a Torino, verrà presentato il libro dedicato a Pier Paolo Pasolini “Bellezza imperfetta-Io e Pasolini” (Edizioni Pendragon), scritto da Dante Ferretti, il più noto scenografo italiano nel mondo e che ha lavorato con i più importanti registi del cinema, da Fellini a Scorsese, vincendo tre Premi Oscar. Il suo primo maestro fu Pier Paolo Pasolini, con il quale lavorò per 11 anni, tra il 1964 e il 1975, realizzando otto film, tra cui “Il Vangelo secondo Matteo”, “Uccellacci e uccellini”, “Medea”, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.

“Il Vangelo secondo Matteo” fu terminato il 2 novembre 1975, quando il cadavere martoriato del grande poeta e intellettuale fu trovato all’idroscalo di Ostia. Ripercorrendo il lungo tratto di carriera che ha condiviso con Pasolini, Ferretti mostra anche gli straordinari bozzetti delle scenografie che hanno dato forma all’immaginario filmico pasoliniano, confrontandoli con i fotogrammi degli stessi film. Con questo volume ci consegna un ritratto scanzonato e crepuscolare di un uomo che aveva lo straordinario dono di capire il suo tempo, insieme al sapore di un’epoca irripetibile del cinema italiano e internazionale. Davanti ai nostri occhi sfilano Federico Fellini, Elio Petri, Maria Callas, Martin Scorsese, Tim Burton e tanti altri. Le pagine del libro rivelano il volto inedito di un artista immenso, capace sul set e nella vita di investire le persone che gli erano accanto di un’energia umana e intellettuale tanto potente da cambiarle per sempre.

Mara Martellotta

Mondi… dell’altro mondo in mostra a “Palazzo Mazzetti” di Asti

Le opere del grande olandese Maurits Cornelis Escher, l’artista delle geometrie e dei mondi impossibili

Fino all’11 maggio 2025

Asti

Mondi e figure impossibili. A osservarle è, subito, “shock visivo”, da cui uscire indenni solo superando il concetto puramente artistico di immagini uniche, frutto di aliene visionarietà, per imbrigliare e tenere ben strette le corde di quell’“impossibile” su cui trovano modo di esistere “invenzioni fantasiose e paradossi magici, dal forte rigore scientifico”, architetture e cruciverba filosofico-matematici su cui sarà bene, ma non facile, riflettere “coniugando l’arte con l’universo infinito dei numeri, la scienza con la natura, la realtà con l’immaginazione”. Artista indubbiamente geniale, incisore e grafico fra i più interessanti e singolari del Novecento, all’olandese Maurits Cornelis (Mauk) Escher (Leeuwarden, 1898 – Laren, 1972), il settecentesco “Palazzo Mazzetti” (sede del “Museo Civico” dal 1940) di Asti, dedica una corposa retrospettiva in cui ben si riflettono i caratteri di un “fare arte”  (incisioni su legno, soprattutto, litografie e “mezzetinte”) che hanno reso Escher artista iconico per gli amanti dell’arte, ma anche per scienziati, matematici e fisici, fortemente attratti da quelle sue “tassellature” del piano e dello spazio e da quelle “distorsioni geometriche” e “poliedriche” appartenenti, in egual misura, a un ragionare scientifico e, insieme, artistico.

 “Mi sento spesso più vicino ai matematici che ai miei colleghi artisti”, affermava del resto lo stesso Escher, aggiungendo ironicamente: “Non una volta mi diedero a scuola una sufficienza in matematica … La cosa buffa è che, a quanto pare, io utilizzo teorie matematiche senza saperlo”. Sarà! Ma nella magia di “Relatività”, litografia del ’53, tutto sarebbe buio assoluto in quell’incessante saliscendi di figure umane – imprigionate in un interno fantascientifico – e molto simili a dannati e affaticati peccatori inseriti in un dantesco (non ben precisato) girone infernale, se l’occhio non riuscisse a fondere l’“unitarietà” del mondo architettonico ed umano rappresentato, con la percezione di più mondi distinti, rappresentati dall’artista a sfida della “concettualità” da secoli “sedimentata nella psiche umana”.

Ad Asti, attraverso l’esposizione di oltre 100 opere, approfondimenti didattici, video e “sale immersive”, la mostra, realizzata dalla “Fondazione Asti Musei” e curata da Federico Giudiceandrea, racconta l’intero percorso artistico di Escher, dagli inizi – sotto la guida magistrale del grafico Samuel Jessurum de Mesquita – ai viaggi in Italia (tantissimi e fondamentali, a cavallo delle due guerre, così come lo studio dell’“Alhambra” a Granada e di quelle sue “piastrellature moresche”, fascinose e capaci di composizioni moltiplicabili all’infinito), fino alle varie tecniche artistiche che lo videro impegnato per tutta la vita e che lo hanno reso un artista dalla cifra stilistica davvero unica e inconfondibile.

Tra tassellature, metamorfosi, strutture spaziali e geometriche fino alle opere che dagli anni ’50 ne hanno accresciuto la popolarità tanto da poter parlare oggi di una vera e propria “Eschermania” (con rimbalzi ispirativi che saltellano dal cinema alla fumettistica, dalla letteratura alla musica, con cover che vanno da “Le Cosmicomiche” di Calvino alla celebre “On the Run” dei Pink Floyd) in mostra vengono presentati i lavori più noti dell’artista olandese come “Mano con sfera riflettente” (1935, dove l’artista ricorre all’aiuto di specchi convessi per raddoppiare la “realtà ambigua e illusoria” del dipinto con “autoritratto”), “Vincolo d’unione” (1956, con volti nascosti o pronti ad unirsi fra ingombranti e bizzarre “bucce” serpentine), “Metamorfosi II” (1939, in cui la parola “metamorphose” si trasfigura in figure geometriche, api, insetti e perfino in una scacchiera, per poi ritornare al punto di partenza) e quel mirabile “Giorno e Notte” (1938, dove una “tassellazione bidimensionale” raffigurante anatre bianche e nere in volo“degenera in una fantastica visione dall’alto dei campi coltivati olandesi”). Paradossi visionari, irripetibili e straordinari “di un artista – commenta Antonio Lepore, presidente della ‘Fondazione Asti Musei’ – che ha saputo esplorare con la propria genialità e con il supporto esclusivamente della propria maestria grafica e delle proprie competenze matematiche quegli universi impossibili che oggi appaiono più vicini grazie agli algoritmi e all‘intelligenza artificiale, icone ammalianti delle infinite possibilità di interazione tra arte e scienza”.

Gianni Milani

“ESCHER”

Palazzo Mazzetti, corso Vittorio Alfieri 357, Asti; tel. 0141/530403 o www.museidiasti.com

Fino all’11 maggio 2025

Orari: lun. – dom. 10/19

Nelle foto: Mauritis Cornelis Escher “Relatività”, litografia, 1953; “Mano con sfera riflettente”, litografia, 1935; “Vincolo d’unione”, litografia, 1956; “Giorno e notte”, xilografia, 1938

Giulia di Barolo, la progressista della beneficenza e della compassione

Una straordinaria figura del nostro ‘800

Nata nel 1786 a Maulevrièr, in Francia, Juliette Françoise Victurnie Colbert discendente di una importante famiglia che aveva visto il padre Ministro delle Finanze del Re Luigi XIV, in seguito alla Rivoluzione Francese, dopo aver perso beni e parenti, si trasferi’ in Germania e in Olanda. Nel 1804, quando Napoleone Bonaparte si incorono’ imperatore dei francesi, Jiuliette, tornata in patria, divenne una delle dame di compagnia dell’imperatrice ed e’ proprio in questo rinnovato contesto che conobbe il suo futuro marito: il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo appartenente ad una delle più importanti famiglie aristocratiche del Piemonte. Nonostante fu un matrimonio combinato, come si usava ai tempi, la loro unione si trasformo’ in un sodalizio molto forte dovuto sia alle loro affinita’ d’interessi, di cultura e ad una spiccata sensibilita’ per le questioni sociali, ma anche alla reciproca compensazione caratteriale, “più ardente, generosa e volitiva, intransigente nelle idee per temperamento e tradizione” lei ,” meno espansivo, più liberale e facilmente remissivo, ma non meno ricco di sentimento e di bontàlui.

Dopo il matrimonio si stabilirono nella Torino dei Savoia, ma anche di Cavour e di D’Azeglio, a Palazzo Barolo in via delle Orfane, dove iniziarono le loro attivita’ benefiche in una citta’ che soffriva molto di poverta’, vagabondaggio, criminalita’ e dove le carceri affollate versavano in terribili condizioni di igiene e invibilita’. Tutto comincio’ durante una passeggiata domenicale quando Jiuliette, oramai Giulia, incrocio’ una processione che portava il viatico ad un carcerato che ribellandosi disse che non voleva conforto, ma piuttosto del cibo. Giulia volle subito visitare le carceri, quelle maschili prima, le femminili dopo, che trovo’ in uno stato disumano. Questo terribile scenario la convinse subito a voler fare qualcosa e chiese al Re di poter insegnare loro a leggere e il catechismo, ma soprattutto di restituirgli una dignita’ oramai persa. Ci riusci’ e cosi’ comincio’ il suo percorso di supporto alle carcerate che divento’ un vero e proprio impegno istituzionale quando divento’ sovraintendente delle prigioni di Torino. Come prima cosa fece trasferire le “forzate” nelle Torri Palatine, un luogo piu’ luninoso e salutare, ma la cosa piu’ importante, per cui mise tutto il suo impegno, fu la riforma per le carceri piemontesi che si ispirava a quelle inglesi e danesi. Riusci’ a far commutare le pene in lavoro, accorcio’ i processi e trasformo’ le leggi discutendone prima con le detenute. Nacquero cosi’ dei “refugium peccatorum” dove si poteva lavorare, guadagnare, ma sopra ogni cosa era possibile essere reinserite all’interno della societa’. Dopo questi epocali cambiamenti che impattarono sul tessuto sociale i coniugi di Barolo crearono scuole e asili nido che affidarono alle suore di Sant’Anna, ma anche orfanotrofi, dove passava a dare la sua benedizione anche Don Bosco che collaboro’ molto con Giulia, e l’Ospedaletto per i bambini disabili. Per essere sicura che il suo impegno si protraesse anche quando non ci fosse stata piu’ istitui’ l’Opera Pia Barolo e fece costruire la chiesa di Santa Giulia, nel quartiere Vanchiglia, dove riposa dal 1899. Le sue iniziative, le sue idee, i progetti, ma anche i suoi pensieri sono raccolti in un diario da cui si evince la personalita’ di Giulia di Barolo, una donna straordinaria, romantica, generosa, una eroina di tutti i tempi.

E’ possibile rivivere la storia dei marchesi di Barolo visitando il Palazzo omonimo a Torino che fu il piu’ famoso salotto del Risorgimento di Torino e dove venne ospitato Silvio Pellico.

MARIA LA BARBERA

“The Brutalist”, un lungo percorso per un grande attore

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Làszlò Tòth non è mai esistito, non ha mai fatto parte della Storia. Brady Corbet – una delle voci autoriali del mondo del cinema più tenute d’occhio, un passato d’attore che collabora con registi del calibro di Michael Haneke e Lars von Trier, di Ruben Östlund e Olivier Assayas e Noah Baumbach, e che passa nel 2015 con “L’infanzia del capo” dietro la macchina da presa – ne ha fatto un personaggio inserito nel turbinio delle vicende tragiche, private e pubbliche, e quelle legate all’architettura, del Novecento, una “immagine”, con una sceneggiatura, firmata con la moglie Mona Fastvold, ricavando (anche) momenti e pagine dalla “Fonte meravigliosa” di Ayn Rand – ne trasse il film omonimo King Vidor nel ’49, Gary Cooper protagonista che adombrava Frank Lloyd Wright – e dalle figure degli architetti legati alla corrente del Brutalismo, non ultimo Marcel Breuer, che metteva le radici nel Bauhaus (l’abitazione del regista Erwin Piscator a Berlino), che guardava agli edifici e agli arredamenti d’ambiente, autore in seguito dell’Università del Massachusetts e del Whitney Museum di New York, più volte collaboratore di Gropius: corrente nata in Inghilterra nel ’54 con al centro il “cemento a vista” (“béton brut”) di Le Corbusier, una architettura che, nel far posto, al di là dell’estetica, più spesso alla rudezza dei materiali impiegati, ha la volontà di “stabilire dei rapporti emozionanti”. Ha dato vita a “The Brutalist”, Brady Corbet, già vincitore a Venezia del Leone d’argento-Premio speciale per la regia e per ora opzionato con dieci candidature ai prossimi Oscar.

Làszlò Tòth, ebreo ungherese – in una lunghissima storia di tre ore e 35 minuti, suddivisa in due capitoli e un epilogo -, ha potuto abbandonare le morti e la disperazione di Buchenwald, è stato separato dalla moglie Erzsébet, ha potuto raggiungere Filadelfia (il suo primo sguardo sugli States è una Statua della Libertà capovolta e gli appelli di Ellis Island) e trovare ospitalità nella casa di un cugino che sta costruendo una illuminata fortuna. Riescono entrambi a trovare l’occasione giusta quando inaspettatamente arriva il rampollo Van Buren a esprimere il desiderio che siano loro a dare una nuova veste allo studiolo del padre Harrison, nella casa di famiglia. Il padre è assente, e il ragazzo con la sorella vuole preparare per lui una sorpresa. Non sarà ben accetta, la nuova luce e le librerie a scomparsa al ritorno non avranno il successo sperato, con urla e la negazione del pattuito e la cacciata dall’Eden. Il nuovo approccio con l’american dream s’oscura ancor più con menzogne e avvilimenti quando Audrey, la moglie cattolica del padrone di casa, lo convince d’essere stata insidiata da Tòth.

Ma Harrison ha avuto modo nel giro di pochi anni di rivedere le proprie posizioni, il suo studiolo è stato il punto d’interesse della buona e ricca società e ha conosciuto meglio il passato di un uomo che oggi vive in un dormitorio e spala carbone per sopravvivere. C’è un nuovo e inaspettato incarico per lui, la costruzione sulla collina di un centro che raggruppi differenti ambienti, per quanti vorranno servirsene, dedicato alla memoria della madre scomparsa. Incessante, torrentizia, frammentata di sottostorie, serpeggiante di piccoli personaggi, di contorno che non hanno sviluppo, e momenti e anfratti narrativi che non poche volte la ostacolano, di dialoghi che spesso faticano a cercare un chiaro svolgimento e una foce – tra l’artista e il mentore, soprattutto -, cenni non sempre chiariti, la sceneggiatura si fa faticosa e affaticata, certo all’interno di una grandiosità di pensiero, di costruzione e di realizzazione che non oscura affatto l’impresa possente di Corbet. Credo che la troppa carne al fuoco abbia nuociuto alla concretezza dell’idea e splendore del racconto, innegabili: lo si vede soprattutto nella seconda parte, dal titolo “Il nocciolo duro della bellezza”, con il ritorno di Erzsébet e della nipote rimasta orfana e ammutolita, con le interruzioni del lavoro, con le traversie progettuali dove qualcuno tenta d’inserirsi con brutali correzioni e con quelle di coppia che non calmano gli animi e non li rasserenano, con la piaga della droga di cui Làszlò cade vittima, della ricerca del marmo di Carrara per la monumentalità di un altare, che fa correre in Italia l’artista ormai non più considerato dal mecenate “una compagnia intellettualmente stimolante” ma una vittima ad intermittenza di parole e comportamenti xenofobi (“tu qui sei soltanto tollerato”, aggiungerà il giovane Van Buren), brutalizzata sessualmente tra la notte delle cave.

C’è tutto questo e moltissimo altro ancora nello riempimento forzato della storia, sino alla celebrazione dell’artista malato che è al centro della Biennale del 1980, dove riecheggia ancora quella sua frase secondo la quale “conta la destinazione, non il viaggio”. Grandioso e opulento già in quella decisione di voler girare – il direttore della fotografia è un oscarizzabile Lol Crawley, al suo terzo appuntamento con Corbet – in VistaVision, 70 mm, che non si vedeva più da “I due volti della vendetta” per la regia di Marlon Brando, prova a tratti geniale ma altresì pronta a cadere e ad arenarsi, scivolosa e colpevole d’inciampo, pure vecchio cinema americano che s’inchina al piacere di raccontare, portatrice di lotta tra l’arte e la sottomissione di un “capitale” corrotto. Corbet aggiunge immagini a immagini, riesce a mostrarci in eccesso i palazzi veneziani confrontati con la ruvidità proposta da Tòth (le differenze vanno sottolineate, va bene, ma una guida turistica mi pare eccessiva). Sopra ogni cosa il talento indiscusso di Adrien Brody, già Oscar per “Il pianista” quando non era che ventinovenne, mansueto e rivoltoso, febbricitante ed eroe dei propri spazi, rivoluzionario, indistruttibile, amoroso e caustico, pronto a tenere in mano la sua seconda statuetta, sono pronto a credere con buona pace del pur bravissimo e giovane Chalamet. Senza dimenticare, in un film di simile portata e invenzione, l’apporto più che significativo – vero capolavoro, questo – della sezione scenografica, dovuta al genio di Judy Becker e Patricia Cuccia, appassionate, incredibili collaboratrici.