CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 398

Alla ricerca di una verità irraggiungibile

Sugli schermi “La notte del 12” di Dominik Moll

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione

Grande il numero degli omicidi commessi su suolo francese, il venti per cento circa rimane insoluto, diventano ossessioni per il commissario che se ne occupa. “La notte del 12” – basato sul libro inchiesta firmato da Pauline Guéna, “18.3 Une année à la PJ” – è la trascrizione cinematografica di uno di quei delitti, di una storia vera, la soppressione brutale di Clara dopo una serata felice con le amiche, il ritorno a casa, i sorrisi e la gioia di vivere, l’ultimo messaggio, la libertà a tratti senza freni di una ragazza di ventun anni, l’incontro con il proprio assassino: un accendino che scatta ed è buttato su di lei, orrendamente devastata, tremendamente sfigurata. Una notte nel panorama di Grénoble, nel chiuso delle sue montagne, come nel chiuso della piccola comunità.

Il giovane capitano della Polizia Giudiziaria Yohan (un Bastien Bouillon pieno di scatti d’ira e di arrendevolezza, il suo senso di inadeguatezza, nella costruzione perfetta del personaggio), di fresca nomina, si butta nell’inchiesta, mentre in un allegro spirito di virile cameratismo, tra verbali e fotocopiatrici che non funzionano, i suoi colleghi scivolano in battute e atteggiamenti tutti al maschile, le tante tracce che portano ai fermati – drogati, solitari, piccoli delinquenti, disadattati, violenti e gelosi capaci soltanto a sfogarsi a suon di botte – tratteggiano un allarmante quadro dell’universo maschile. Una traccia, un particolare, un interrogatorio che scava più nel profondo, un momento di fortuna che sembra definitivamente buttar giù una porta da sempre sbarrata, un indizio che subito si sbriciola, Yohan s’imbatte contro voglia in una umanità da raccapriccio, l’unica boccata d’aria la trova in quei tanti giri su bicicletta che riempiono le sue serate sotto le luci del velodromo. L’inchiesta certo, ma attorno – o a ben vedere, al centro – c’è quell’aria di sospetto e di inquisizione nei confronti della vittima, Clara che è dagli occhi maschili inquisita, sezionata, ricordata in ogni sua debolezza, il collega Marceau, burbero e irascibile (un grandioso Bouli Lanners) che intravede in quell’incessante cercare una propria rivalsa nei confronti della moglie che ha trovato in un altro uomo la felicità che lui non è stato capace di darle, Clara che aveva una certa dimestichezza con i ragazzi e quindi un po’ se la è cercata…, la sua vita passata al setaccio, gli incontri per brevi passioni o per noia, le libertà di una sera, senza inibizioni.

Il regista Dominik Moll ha approntato una eccellente sceneggiatura, dove ogni parola e ogni frase hanno un peso sempre calibrato e non indifferente, dove il quadro si fa completo con i dolori matrimoniali del vecchio poliziotto, con la rassegnazione di qualcuno, con le aspirazioni e con il desiderio di matrimonio che spensieratamente s’impadroniscono di altri, e con l’apporto di attori e di facce quanto mai reali e veri, autentici, lontane anni luce da quei poliziotti che pieni di luoghi comuni, “da cinema”, vediamo spesso sullo schermo, stringe una regia che mette a fuoco in tutta la propria tensione il lungo percorso dell’inchiesta, gli insuccessi, la spinta che vorrebbe dare la nuova giudice, la resa. La rinuncia ad una risposta che chiuda definitivamente il caso. Restano soltanto i genitori della ragazza, a portare un lumino acceso sul luogo del delitto, mentre tutt’intorno è il buio della notte a farla da padrone e i gatti continuano a correre per le strade di Grénoble. Un film da vedere, da consigliare, da amare.

L’isola del libro

Rubrica settimanale di Laura Goria

Marie Hélène Lafon “Storia del figlio” -Fazi Editore- euro 17,00
E’ la prima volta che uno dei romanzi di questa prolifica professoressa di lettere classiche a Parigi viene tradotto in italiano. Ha scritto una dozzina di romanzi e questo è forse il suo libro più importante, best seller in Francia.
12 capitoli sparsi senza un ordine cronologico (che spetta al lettore ricomporre) in cui racconta le vicende di due famiglie nell’arco di cinque generazioni. Una saga familiare lungo tutto il 900, dal 1908 al 2008, ed un rompicapo intorno alle origini di Andrè; figlio di padre sconosciuto e di “una madre a doppio fondo”.
La genitrice biologica è l’inafferrabile Gabrielle, che per lui è semplicemente “mia madre”; misteriosa signora “fuggitiva” che ha scelto di vivere a Parigi senza il figlio e si presenta solo per brevi vacanze.
L’ha affidato alla sorella Helene e a suo marito Léon che l’hanno cresciuto come fosse figlio loro. La zia è “mamma”, ed è con la coppia degli zii -che diventano la sua famiglia- che cresce a Figeac.

Andrè è bello, coraggioso, affidabile e solido; unico maschio cresciuto coccolatissimo in mezzo alle cugine.
Diventa partigiano, poi marito e padre ammirevole; ma per quanto faccia, resta sempre il figlio di un padre introvabile.
Nell’arco di 12 capitoli seguiamo le tappe della vita di André; il matrimonio con Juliette, alla quale toccherà fargli la rivelazione taciuta da sempre in famiglia.
E sarà il loro figlio Antoine Léoty che nel 2008 ritroviamo al cospetto della tomba del piccolo Armand Lachalme morto un secolo prima.

Il romanzo collega le due famiglie: i Lachalme di Chanterelle e i Léoty di Figeac, nel cuore della Francia. Le loro genealogie si intersecano quando nel 1924 nasce André dalla relazione clandestina ed impossibile tra il 21enne Paul e la 36enne Gabrielle.
Lui è un giovane assetato di vita e si porta dentro il dramma del fratello gemello Armand morto a 5 anni.
Questa saga familiare scava con sensibilità nei misteri dei suoi personaggi e nei complessi rapporti tra loro.

 

Melissa Da Costa “Tutto il blu del cielo” -Rizzoli- euro 19,50
Ha fatto di nuovo centro la scrittrice 31enne con il suo secondo romanzo (dopo il successo di “I quaderni botanici di Madame Lucie” dell’anno scorso) che l’ha riconfermata nella classifica dei 10 autori best seller in Francia.
Nessuna paura di fronte alle 622 pagine che si divorano, perché Melissa Da Costa è abilissima nel costruire una scorrevole narrazione intorno al cuore della storia in cui malattia, amore, avventura e morte sono miscelate magistralmente.
Protagonista è il 26enne Emile condannato da una malattia crudele, appena diagnosticata da un medico il cui verdetto mette una pietra tombale sul futuro del paziente. E’ affetto da un male che non perdona, una rara forma di Alzheimer precoce; incurabile e spietato che annullerà dapprima le sue facoltà mentali e poi il corpo. Emile rifiuta il ricovero e le cure sperimentali, convinto di non voler passare l’ultima tranche di vita confinato in una clinica a fare da cavia.
L’incipit è fulminante; Emile pubblica un annuncio in cui dichiara la sua malattia e che «…desidera partire per un ultimo viaggio. Cerca un/una compagno/a d’avventura per condividere quest’ultima esperienza. Itinerario da definire….Durata del viaggio 2 anni al massimo..».
Si allontana da tutto: famiglia, lavoro, un amore finito male. Sceglie la libertà di trascorre il poco tempo che gli resta on the road, a bordo di un piccolo camper, senza una meta precisa, ma semplicemente realizzando il sogno di visitare i Pirenei. Via dalla città, senza telefono e contatti con le persone che lo amano, alle quali intende risparmiare il suo deperimento e la sua agonia.
Più lontano resta dalla famiglia che vorrebbe farlo ricoverare, più ha la possibilità di scegliere come finire i suoi giorni sulla terra. Forse l’ideale sarebbe stato partire con il suo migliore amico, che però è appena diventato padre.
Invece al suo annuncio risponde una giovane donna. E’ Joanna che ha qualche anno più di lui e vive in un’altra città.
Emile inforca il volante del suo camper e parte per far salire a bordo la ragazza. Il meeting è in una stazione di servizio dove lo attende la donna paludata di nero con zaino in spalla e poca voglia di parlare.
Inizia così il tour che li porterà attraverso boschi, corsi d’acqua e sentieri dei Pirenei e alla scoperta dell’Occitania. Due anime ferite che all’inizio interagiscono quasi in silenzio, ma a poco a poco imparano ad aprirsi.

Non resta che lasciarsi condurre da questa sensibile scrittrice nell’avventura che assumerà sempre più spessore.
Scoprirete un affascinante e coinvolgente caleidoscopio in cui si avvicendano emozioni, pensieri, scoperte, sentimenti profondissimi e dolori del passato che si stemperano man mano che Emile e Joanna si conoscono, si avvicinano e……vi sorprenderete man mano che la magia della storia corre verso l’epilogo.

 

Maylis de Kerangal “Canoe” -Feltrinelli- euro 16,00
Possiamo considerare questo ultimo libro della scrittrice francese come una sorta di romanzo, ma diviso in 8 capitoli-racconti. Al centro c’è “Mustang” e intorno il corollario di 7 atti, tutti collegati tra loro, e in ognuno compare una canoa. L’imbarcazione assume il valore di una metafora che ha a che vedere con la complessità del vivere; che sia rappresentata da un ciondolo-amuleto o dal solcare le placide acque di un fiume, o figurativamente come la scia della cometa di Halley comparsa nel 1986.
Protagoniste delle 8 storie sono sempre donne; di ogni età, con caratteri diversissimi tra loro, vite a varie latitudini e contesti sociali. Ad accomunarle c’è la canoa che rimanda allo scorrere liquido dell’acqua, all’attraversamento o alla direzione di un viaggio.
E sono diverse le esperienze qui raccontate; dalla giovane che deve affrontare l’esame di maturità e fare uno scatto per passare all’età adulta, alla paziente allungata sulla poltrona del dentista, per arrivare alla missione di una scienziata che si occupa di fenomeni aerospaziali non identificati.
La protagonista del racconto centrale e più lungo, “Mustang”, sta affrontando un ribaltamento di vita; raggiunge il marito ricercatore universitario in una sperduta cittadina del Colorado. Di nuovo una sorta di smarrimento esistenziale con la fatica di doversi adattare a una nuova realtà, con le sue usanze e differenze, la percezione dell’improvviso cambiamento nella voce del marito e il vuoto che si crea nella coppia spiegato dalla difficile elaborazione di un gravissimo lutto.
E tra le storie più struggenti, quella in cui una figlia cerca di convincere il padre vedovo a smettere di risentire all’infinito il messaggio che la madre aveva registrato sulla segreteria telefonica.
Dopo più di 6 mesi dalla sua morte, la voce le sopravvive con tutto lo strazio che comporta udirla sapendo che nulla potrà mai riportarla in vita.
La voce che forse è la cosa più evocativa di una persona e diventa struggente quando quell’affetto ci è stato strappato dalla morte. Voce che acutizza, e in parte contemporaneamente lenisce, il baratro della perdita, e diventa l’appiglio al quale si aggrappa il padre.

Collen Hoover “It ends with us” -Sperling&Kupfer- euro 15,90
Questa scrittrice, che vive in Texas con marito e 3 figli, è una delle più apprezzate autrici di romance, e i suoi libri svettano sempre in cima alle classifiche del “New York Times”.
In queste pagine trascina il lettore nel vortice di violenza e amore, amore e perdono, debolezza e forza, rapporti tra madre e figlia, in un romanzo che va oltre la storia d’amore. In modo leggero e scorrevole tratta lo spinoso argomento della violenza in famiglia e le sue derive.

Siamo a Boston e Lily Bloom ha appena partecipato al funerale del padre, uomo detestato perché ha rovinato la sua vita e quella della madre.
La donna infatti è sempre stata vittima del marito manesco e violento, obnubilato dall’alcol. Per la figlia era impossibile fermare il padre quando l’ira gli faceva perdere il lume della ragione e si avventava sulla povera moglie; che però si è sempre rifiutata di lasciare il suo aguzzino, reiterando il pericoloso meccanismo di perdono e giustificazioni.

Il romanzo racconta come anche Lily scivola, a sua volta, in una relazione tossica.
Lui è Ryle Kincaid, affascinante neurochirurgo totalmente concentrato solo su stesso e la sua carriera, narcisista incapace di amare una donna. Ma l’attrazione tra i due è forte e Lily finisce per invischiarsi in un rapporto quasi fotocopia di quello genitoriale che le ha segnato l’anima e la crescita.

Ormai sa riconoscere la violenza in una coppia, eppure neanche lei riesce a liberarsi dal compagno che la sta massacrando. Proprio come sua madre è sempre pronta a perdonare e ricominciare a subire.
La Hoover, con una scrittura leggera e scorrevole, affronta un tema pesante come il legame di dipendenza emotiva che può instaurarsi tra un uomo che calpesta la sua donna in ogni modo possibile. Una sorta di commedia romantica che pone una domanda su tutte: «amare significa anche perdonare a qualsiasi costo chi ci sta distruggendo la vita?».

 

Sensibile Sconosciuto: la pittrice Rosetta Vercellotti a Palazzo Falletti di Barolo

A Torino dal 15 al 29 ottobre

Sabato 15 ottobre alle ore 16,00 sarà inaugurata nelle prestigiose sale di Palazzo Falletti di Barolo, in Via Corte d’Appello 20/C, la mostra personale di
Rosetta Vercellotti, artista torinese, esponente della pittura astratta e informale, dal titolo “Sensibile Sconosciuto” curata da Dino Aloi.
Intervengono all’inaugurazione i critici d’arte Angelo Mistrangelo e Claudia Ghiral- dello. Accompagnati dalle guide sarà possibile anche visitare le splendide stanze degli appartamenti storici di Palazzo Barolo, gratuitamente per i possessori dell’Abbo- namento Musei Piemonte.
La mostra presenta le opere recenti dell’artista, partendo da quelle realizzate durante il periodo di pandemia, messe in dialogo con le sale auliche del palazzo.
La sua è una pittura fuori da correnti stabilite, un percorso intimo iniziato per sentimento interiore negli anni Novanta per poi concentrarsi maggiormente in questi ultimi anni, in elaborazioni fuori dal tempo ma che richiedono comunque il tempo necessario per potersi esprimere con la dovuta accu- ratezza, manifestando un’emozione che prende forma attraverso una sequenza di segni impressi sulla tela. La strada che ha intrapreso non è quella di una cupa introspezione.
Al contrario la sua ricerca si estende verso la luce, una ricerca che si abbina ad un percorso spiri- tuale dove la mente è punto di partenza per poi liberarsi e purificarsi, in una sorta di catarsi, nel senso più filosofico del termine, quello aristotelico, tesa verso un infinito dove la coscienza si abbandona alla conoscenza, in uno spazio/tempo dove l’iperbole è colore puro rivolto ad una spiritualità manifesta e intrinseca, rivelata e non inseguita.
(dal testo di presentazione della mostra di Dino Aloi)

ROSETTA VERCELLOTTI
Rosetta Vercellotti, artista torinese, dipinge dagli anni ’70. Dal 1991, data della prima personale a Torino nella Scuola di Giornalismo, le personali e le collettive vissute da quest’artista sono state davvero tante, in Italia e all’estero. Alla Promotrice delle Belle Arti di Torino è stata sempre presente dal 1991 a tutt’oggi. Al Circolo Ufficiali di Presidio di Torino ha esposto nel 1993. Nel 1996 ha partecipato alla Mostra inter- nazionale di arti visive della Regione Lazio dedicata al “Pianeta Donna” con esposizione collettiva presso il Centro Culturale Sinesi di Roma. Numerosi sono i premi ricevuti da Rosetta; in particolare è risultata prima classificata per lo stile al Premio internazionale “Trastevere” nel 1996 e prima classificata per la pittura astratta al Premio “Ripetta” di Roma nel 1997. Una sua monografia è presente nelle biblioteche del Metropolitan Museum of Art e del Guggenheim Museum di New York. Di recente ha esposto, nell’aprile 2016 e nel giugno 2019, al Circolo degli Artisti di Torino, nell’ottobre 2020 allo Spazio Mouv di Torino, nell’agosto 2021 nel Comune di Locana e nel settembre 2022 presso il Centro Culturale «Conti Avoga- dro di Cerrione» vicino a Biella. In ambito religioso importante la mostra tenuta nel settembre 2016 nella Galleria Gastaldi del Santuario Lauretano di Graglia.
Nel 2016 è uscito il libro “Il Mondo dell’Inconscio” presentato dal critico Angelo Mistrangelo, mentre nel 2018 Claudia Ghiraldello ha curato il volume “Rosetta Vercellotti, la donna e le opere” e scritto la pre- sentazione della monografia “Nuovo Respiro” raccolta della produzione dell’artista degli ultimi anni.
I libri sono editi dalla casa editrice torinese Il Pennino.
La mostra, con ingresso libero, proseguirà sino al 29 ottobre 2022 con orario:
da martedì a domenica 15,00 – 18,00 con la presenza dell’artista. Ultimo accesso ore 17,30. Info: csviveredalridere@gmail.com – 335.6869241

“E ti guardo, e vedo me…”

MUSIC TALES LA RUBRICA MUSICALE

E lo sento cantare, mentre lui sta lì sulla sedia,

mentre queste foglie d’autunno galleggiano intorno ovunque.

E ti guardo, e vedo me,

che faccio rumore incessantemente,

Ma ora è silenzioso e riesco a sentirti cantare,

non piangere mio pesciolino.”

Paolo Nutini la scrisse dopo la morte del nonno paterno ed, infatti, è dedicata a lui.

Adoro il pezzo in cui dice “my little fish don’t cry” e credo fosse proprio ‘pesciolino’ il modo in cui lo chiamava il nonno, visto che Paolo porta sempre appesa al collo una catenina d’oro con un ciondolo a forma di pesce.

Paolo è Nato a Paisley – località delle Lowlands non lontano da Glasgow – ma forse non tutti sanno che il padre di Paolo, Alfredo, da anni conduce un’attività alimentare di produzione del celebre fish & chips. E sembra che Nutini fosse convinto di seguire le sue orme, prima che il nonno gli consigliasse di darsi totalmente alla musica. E mai consiglio familiare fu più saggio dato che, nel 2003, quando il cantautore sbocciò nel panorama blues & soul, fu propizio un quiz locale a tema rock.

E al fortunato vincitore del primo premio era garantita un’esibizione di due brani inediti davanti alla folla e al produttore Brendan Moon. Avrete già capito che la fortuna e il talento baciarono Nutini, la cui voce incantò Moon, tanto da prenderlo sotto la sua ala discografica.

E le radici italiane tornano ancora una volta a incorniciare un sound di pura passionalità. Nutini infatti ha spesso rimarcato come le sue principali ispirazioni siano il sesso e le donne. Certo, lo charme non gli manca, soprattutto quando graffia l’etere con la sua voce screziata da sfumature eclettiche. Ma lo stile nasce anche dall’esperienza, da una valigia e da un paio di scarpe che ti portano in luoghi sconosciuti. Per questo il cantautore ha sempre dimostrato una sopraffina capacità di osservazione, acuita dalla capacità di lasciarsi coinvolgere dalle molteplici ispirazioni della quotidianità. E questo è anche l’insegnamento fondamentale di cui si nutrono artisti e letterati. Così, a chi ricordi all’artista la giovane età degli esordi, lui cita Van Morrison e il suo primo testo scritto a 23 anni.

Uno dei brani più iconici del musicista è Iron Sky, frutto del suo ultimo album del 2014, CAUSTIC LOVE. E tra le ispirazioni per la traccia spiccano la situazione politica contemporanea in Scozia e un inedito omaggio al cinema, soprattutto quello espressionista tedesco…(vi consiglio la versione Abbey Road Live Session).

Il grande dolore che ci provoca la morte di un buon conoscente ed amico deriva dalla consapevolezza che in ogni individuo v’è qualcosa che è solo suo, e che va perduto per sempre.”

ARTHUR SCHOPENHAUER

Buon ascolto

https://www.youtube.com/watch?v=EGBDXR3EPjE&ab_channel=%E3%82%AB%E3%82%A4%E3%83%ABKairu

Chiara De Carlo

Rock Jazz e dintorni: Marco Mengoni e i Dream Syndacate

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Magazzino di Gilgamesh blues con Max Altieri. Al Jazz Club si esibisce il cantautore Andrea Albano. All’Otium Pea Club suona il quartetto Arduobop.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana suona il quartetto del sassofonista Federico Ponzano. Al Pala Alpitour arriva Marco Mengoni. Al Jazz Club si esibisce il chitarrista Max Arrigo. Al Blah Blah sono di scena gli Alchemist. Al Cap 10100 si esibisce Lorenzo Kruger.

Giovedì. Al Cafè Neruda suonano i Sympatheia. Al Blah Blah sono di scena i Demented Are Go. Al Jazz Club si esibisce il duo formato da Cristiano Da Ros e Gabriella D’Amico. Al Dash suona il trio di Giorgio Nieloud.

Venerdì. Al Jazz Club è di scena la Terry Blues Band. Allo Spazio 211 arrivano i Dream Syndicate.

Al Magazzino sul Po suonano: Euphonia, Foliage e Stomp Collision. Al Magazzino di Gilgamesh sono di scena i Melty Groove. Allo Juvarra Boosta dei Subsonica presenta il progetto “Post Piano Session”. Allo Ziggy si esibisce il duo San Leo. Al Cap 10100 è di scena la cantante Mara Sattei. Al Blah Blah si esibiscono i Sorry Heels. Al Bunker suonano i Voilaaa & Pat Kalla.

Sabato. Al Jazz Club sono di scena gli All You Can Beat. Allo Spazio 211 si esibiscono i Bunuel. All’Arteficio suona il quartetto Blues di Federica Gili. Alla Suoneria di Settimo è di scena il cantautore N.A.I.P.  Al Cafè Neruda suonano i Blue Screen. Al Magazzino sul Po sono di scena i Wicked Expectations con il duo femminile Glitch Project. Allo Ziggy suonano i Fucktotum.

Domenica. Al Jazz Club si esibiscono i Night Crooners. Al Folk Club blues con Otis Taylor.

Pier Luigi Fuggetta

Rabarama e Severino Del Bono, un connubio vincente alla galleria d’arte Malinpensa by Telaccia

Grande successo di pubblico giovedì 6 ottobre scorso per l’inaugurazione della mostra personale su Rabarama e Severino del Bono, intitolata “Il luogo dell’anima”, aperta fino al 15 ottobre prossimo presso la galleria Malinpensa by Telaccia.

Rabarama, alias Paola Epifani, nasce a Roma nel 1969 e lavora a Padova. È figlia d’arte perché il padre è pittore e scultore e la madre ceramista e lei, fin da piccola, ha mostrato un naturale talento per la scultura. La sua formazione è avvenuta presso la Scuola d’Arte di Treviso e, in seguito, l’Accademia di Belle Arti di Venezia.
In mostra la sua personale è affiancata all’esposizione dei lavori, tele e sculture, dell’artista bresciano Severino del Bono.
Rabarama crea sculture e dipinti contraddistinti da uomini, donne e creature ibride, la cui pelle è decorata con simboli, lettere e geroglifici, accanto a altre figure dalle forme mutevoli. Nel corso del tempo l’artista ha sperimentato e realizzato opere in diversi materiali. Le prime erano in terracotta, in seguito ha scelto i più conosciuti bronzi dipinti e i pezzi unici in marmo, vetro e pietre rare, monotoni in resina siliconica, gioielli d’artista, serigrafie.
Il suo percorso artistico è stato costellato di successi, fino a essere presente alla 54esima Biennale di Venezia, con un’opera dal titolo “Abbandono”, completamente realizzata in marmo di Carrara. Le sue opere sono state esposte anche nelle più grandi capitali europee e non, quali Parigi, Firenze, Cannes, Miami e Shanghai.
Le opere di Rabarama esposte in mostra sono sia in edizione limitata sia non.
Il suo percorso artistico risulta costellato di successi, a partire dalle gigantesche sculture in metallo, realizzate in bronzo, alluminio, gomma e marmo, raffiguranti figure umane. L’artista ha dimostrato attraverso queste opere una posa raccolta e introspettiva, che si rivela nella varietà dei pattern e dei disegni utilizzati per la decorazione.
L’arte di Rabarama ha la capacità di trasmettere all’osservatore una tematica di forte valenza simbolica, psicologica e sociale, in cui ogni personaggio vive attraverso una dinamicità di interpretazione che va oltre l’aspetto puramente estetico.
Si tratta di un linguaggio di straordinaria energia vitale che, impreziosito da una interiorità profonda, emana un significato della vita umana davvero straordinario.
La ricerca da parte di Rabarama è stata influenzata dai suoi viaggi in Oriente e dalla filosofia di questo universo, così totalmente diversa da quello occidentale e contraddistinto da una maggiore spiritualità.
Lo stesso nome ‘Raba-rama’, scelto dall’artista all’inizio degli anni Novanta, è di origine sanscrita e deriva da un motivo personale, privato, che l’artista raramente divulga. Nel corso degli anni è giunta a conoscenza del fatto che “Raba” in sanscrito significa “segno”, mentre Rama si collega alla divinità. L’artista ha considerato una coincidenza fortuita che lo pseudonimo scelto potesse essere una sorta di ‘segno divino’, in relazione all’energia universale di cui tutti facciamo parte.
Proprio la cultura millenaria orientale ha spinto Rabarama verso la ricerca di una via di fuga dalla predeterminazione. Rabarama risulta affascinata dalla Cina, che ha avuto occasione di visitare più volte, e dal Giappone, che l’affascina come l’India.
Dalle loro consuetudini e costumi ha cercato di ampliare la sua conoscenza e approfondire la sua ricerca artistica. Il senso del viaggiare per Rabarama si arricchisce di alcune caratteristiche, quali la passione, l’istinto, la razionalità, la conoscenza, ma anche l’irrazionalità. Sono tutte peculiarità che l’artista associa a delle modalità di viaggio, un viaggio che anche quello della vita. Quello da lei compiuto per primo risale a quando aveva 17 anni ed era partita per il Messico.
La Cina è stata da lei visitata più volte e rappresenta un Paese in cui tradizioni, paesaggi e contraddizioni le sono rimaste impresse nel cuore e nella mente.
L’essere umano diventa una pura espressione di stati d’animo e di sensazioni.
Severino Del Bono, di origine bresciana, cresce in un ambito familiare in cui risulta molto vivo l’amore per l’arte. Si avvicina e apprende i metodi della tecnica pittorica grazie al fratello maggiore, pittore amatoriale.
E proprio questa esperienza lo guiderà nella scelta stilistica sulla quale deciderà di focalizzarsi a partire dai primi anni Novanta, prediligendo la figurazione e concentrandosi sulla trasfigurazione intellettuale dell’anatomia umana, percorsa, tuttavia, da una vena imperialista.
La sua ricerca si concentra tutta sul rapporto tra natura umana e artificio tecnico, sulla perdita di identità causata dalle metamorfosi bioniche cui sottopone visi e corpi, rese con acromie acide che veicolano un senso di irrealtà sinistra.
I soggetti prediletti dall’artista sono, soprattutto, volti di giovani donne, ritratte nella immobilità ieratica di un realismo algido, ammantate dalla luce della grazia divina, capaci di emanare un’aura di temporalità immanente che richiama la perfezione estetica delle divinità classiche. Del Bono definisce i tratti fisiologici scandendo i livelli di luce e ombra, definiti modulando i colori con un’abilità tecnica che, nel tempo, si è acuita. In seguito li priva della profondità dello sguardo che rappresenta il primo strumento di introspezione, coprendolo con oggetti in genere in bilico tra iconografia pop, straniamento surreale e un’ironia tautologia che è tutta riferita all’atto del vedere. Ne emergono animo, psiche e tensione emotiva, dettate dalle piccole alterazioni dell’espressione, quali labbra e solchi che corrugano la pelle.
Una seconda sezione, accanto a quella dei dipinti, che per l’artista rappresentano un ritorno all’infanzia, è costituita da sculture a forma di supposta, realizzate da un marmista vicino a Brescia. Alcune sono realizzate in marmo Botticino, estratto nelle cave di Botticino, Nuvolento, Nuvolera e altri centri del Bresciano.
Un esempio in mostra è stato realizzato in marmo rosa del Portogallo e un secondo in marmo bianco Lincoln. Sempre alla galleria d’arte Malinpensa by Telaccia è presente un bozzetto della supposta alta 5 metri e 10, che sarà collocata a Brescia.

Mara Martellotta

L’Alfieri e il Gioiello cambiano abito: ma sempre con la stessa passione e lo stesso impegno

Poco più di una settimana fa, la “abituale” presentazione di una stagione teatrale.

Ti accomodi in poltrona e tutto ti pare eguale a tutte le altre simili serate delle passate stagioni. Gli attori amici, le strette di mano e gli abbracci, i sorrisi, “mi raccomando, vieni allo spettacolo”, “certo, verrò”, ancora i sorrisi e l’attesa di un lungo elenco di titoli. Poi una maschera passa a metterti in mano un fascicolo di carta, pinzato, carta rosata, tranquillizzante nella pacatezza del suo colore, undici fogli stampati bianca e volta, una grande foto in prima, il vecchio titolo “Scatola dei sogni”, la scritta “teatro alfieri”, le maiuscole abolite, a ricordarci dove siamo, quel che andremo a vedere. Poi la memoria ti dice che gli anni scorsi, nelle medesime occasioni, il fascicolo s’apriva in maniera diversa, c’era “la buona abitudine di andare a teatro”, c’era il saluto cordiale, affettuoso, il ben ritrovati prima di Germana Erba e poi di Irene Mesturino. Cominci a scorrere le prime righe ed ecco la bomba, per chi segue il teatro da sempre, credo per il pubblico in sala, per lo sconosciuto affezionato che seduto accanto a te prende a farsi delle domande, a imbastire commenti. Insomma una burrasca teatrale. Cominci a leggere parole come “passaggio del testimone”, “gestione” accanto a nomi diversi da quelli che sempre hai accomunato alla sala di piazza Solferino: e sei obbligato a renderti conto che nel corso dell’estate qualcosa di grosso, di teatralmente importante è accaduto sui palcoscenici torinesi.

Termina un’epoca, l’espressione d’obbligo era “i teatri di Erba”. E adesso? Sessant’anni gloriosi, cesellati di lavoro e di passione, prima il Commendatore, poi la figlia vulcano inarrestabile d’idee, fino a ieri la nipote, perennemente in ufficio, lontano dalle luci. Arretrato di un passo, Gian, il corpulento marito e padre, pronto a organizzare, a riempire di scenografie un palcoscenico vuoto. Ma allora che è successo? “Abbiamo incrociato l’opportunità giusta”, confessa Irene Mesturino, “ripeto l’esempio che faccio spesso, la sala del Gioiello di via Colombo. La sala era un cinema chiuso, credo da più di dieci anni, tutte le volte che le passavo davanti mi ripetevo che peccato! uno spazio simile inutilizzato, abbandonato. Nello stesso momento, si stava pensando agli spettacoli a lunga tenitura ed ecco che è scattato il momento giusto, l’idea ha incontrato il luogo come il luogo ha fatto sua l’idea. Allo stesso modo, anche per l’Alfieri – in compagnia proprio del Gioiello – c’è stato il momento giusto, l’incontro tra due gruppi che hanno la stessa visione del teatro.”

Il testimone passa a Fabrizio Di Fiore Entertainment – che a riassumere il tutto produce Roma City Musical, la nuova compagnia di musical che ha come base Art Village, polo culturale a Roma tra i più grandi d’Europa con 4500 mq, 16 sale, un auditorium, sale di registrazione e campus per artisti e studenti fuori sede -, con la direzione artistica del maestro Luciano Cannito, grande personaggio dello spettacolo e coreografo e regista dalla grande esperienza e dall’apprezzamento internazionale, e la direzione musicale di Beppe Vessicchio, gran vecchio della musica con il suo pizzo televisivo, lui che non ha certo bisogno di presentazioni, per il calendario di quest’anno la preparazione è ancora stata fatta insieme, il mutamento vero e proprio lo si vedrà appieno con la prossima stagione. “Condivisione, stessa passione, la prospettiva di ampio respiro, l’idea portante che tutto sia basato sulla formazione, la promessa “di continuare quella politica di coccolamento verso il pubblico, il proprio pubblico, che noi abbiamo fatta nostra sin dall’inizio”, rivendica ancora Irene. “in questa visuale di intenti comuni, mi piace la naturalezza dell’operazione, la voglia di mantenere il metodo di lavoro di Torino Spettacoli e di portare in palcoscenico la bellezza con i tempi giusti, senza cancellare i cambiamenti necessari e le novità che inevitabilmente i nostro lavoro comporta e ancora comporterà. Mi è piaciuto soprattutto il rispetto, è questa la parola cardine di questo cambiamento, il guardare ai lunghi anni della nostra attività con la lungimiranza di impresari preparati e seri, le intenzioni piene del lavoro altrui.”

Il teatro Erba è il teatro di casa, la sigla di famiglia, la sala da 500 posti reinventata dal nonno Giuseppe, il gioiello prezioso intoccabile. E l’attività continua, sotto la grande ala di Torino Spettacoli. “Bollono in pentola altri progetti, abbiamo nuove idee e interessanti, vogliamo far collaborare la Compagnia Torino Spettacoli con il vivaio del Germana Erba’s Talents, i giovani che arrivano dal Liceo coreutico teatrale che da poco ha la sua nuova sede in corso Moncalieri, tra il teatro e il ponte Isabella: lasciando la vecchia sede si era anche pensato a delle soluzioni fuori città, poi, ecco ancora la giusta opportunità, l’incontro insperato, si è offerta questa possibilità e l’abbiamo presa al volo.” Ecco allora riempita la sala precollinare, con la “Grande Prosa”, il ritorno dopo il successo dello scorso anno di Gianluca Ferrato con “Tutto sua madre”, “L’ospite inatteso” dell’ormai onnipresente Agatha Christie, Piero Nuti ancora con “Finestre sul Po”, Giorgio Lupano, già applaudito al festival di Borgio Verezzi, con “La vita al contrario”, dal testo di Scott Fitzgerald “Il curioso caso di Benjamin Button”, già film con Brad Pitt, Lorenzo Balducci in “Fake”, che va a curiosare tra gossip e ironia e vellutata cattiveria nel mondo dello spettacolo, “gli onnipresenti, i raccomandati, i ‘cani’, i caratteristi, i sopravvalutati, gli egomaniaci” e via riflettendo e divertendo. Senza dimenticare il 24° Festival di Cultura Classica (“quando abbiamo iniziato, ogni spettatore pensava ad un mondo di professori parrucconi e di noia, adesso la sala è sempre piena, affascinata e interessata”) che prende il via l’11 ottobre con “Ciò che uno ama – Poeti lirici dell’antica Grecia in scena”, con Piero Nuti e Luciano Caratto.

E l’Alfieri, e il Gioiello? Musical e prosa, dall’”Caffè nero per Poirot” ancora a firma Agatha Christie a “Sette spose per sette fratelli”, regia e coreografia di Luciano Cannito, con Diana del Bufalo e Baz, da Katia Ricciarelli che porta in scena il divertente “Riunione di famiglia” al ritorno di Veronica Pivetti, dalla ripresa di “Grease” a “Van Gogh café”, ovvero l’autore dei “Girasoli” in commedia musicale con musiche dal vivo, dal fregolismo di Brachetti con “Solo” al “Casanova” visto da Red Canzian, spettacolo imperdibile, gran successo della scorsa stagione. Finalmente arriva a Torino “Don Chisciotte” con Alessio Boni e con Serra Yilmaz, l’attrice turca cara a Ozpetek, Milena Vukotic e Pino Micol nel pirandelliano “Così è (se vi pare)”, Carlo Buccirosso, “La finta ammalata”, un raro Goldoni con Franco Oppini e Miriam Mesturino, Margherita Fumero in “Sherlock Holmes e il mistero di Lady Margaret”, l’eterno “Forbici Follia”, l’immancabile Festival dell’operetta per tutti gli appassionati, i tre Gala dei Germana Erba’s Talents da segnare in agenda alle date 20 dicembre, 30 marzo e 10 giugno. Un calendario teatrale “dai mille colori” lo definisce Irene Mesturino, “perché il teatro è di tutti.”

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini: scene da “7 spose per 7 fratelli”, prodotto da FDF Entertainment, “Casanova”, il musical ideato da Red Canzian; “Solo”, one man show dell’impareggiabile trasformista; Milena Vukotic e Pino Micol in “Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello.

A Claudio Magris il “Premio Speciale Lattes Grinzane 2022”

Al “Teatro Sociale Busca” di Alba, la cerimonia di premiazione e la proclamazione del vincitore fra i cinque romanzi finalisti della XII edizione

Sabato 15 ottobre

Monforte d’Alba (Cuneo)

Triestino, classe ’39, scrittore, saggista e germanista (fra i primi studiosi ad occuparsi di autori ebraici nella letteratura mitteleuropea), è Claudio Magris, edito in Italia principalmente da “Garzanti” (in libreria con il nuovo “Traduzioni teatrali”), il vincitore del “Premio Speciale Lattes Grinzane 2022”, attribuito ogni anno “a un’autrice o autore internazionale di fama riconosciuta a livello mondiale, che nel corso del tempo abbia raccolto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico”. La cerimonia di premiazione si terrà sabato 15 ottobre, alle ore 17, al “Teatro Sociale Busca” di Alba (Cuneo), dove lo scrittore triestino – che verrà omaggiato con un tartufo bianco d’Alba –  terrà una personale “lectio magistralis” e dove, per l’occasione, verrà anche annunciato il titolo del romanzo vincitore fra i cinque finalisti del “Premio Lattes Grinzane”, riconoscimento internazionale intitolato a Mario Lattes (scrittore, pittore ed editore) organizzato dal 2011 dalla “Fondazione Bottari Lattes” di Monforte d’Alba e dedicato ai “migliori libri di narrativa internazionale pubblicati nell’ultimo anno”. Questa la cinquina degli autori in corsa per la volata finale:  Auður Ava Ólafsdóttir (Islanda) con “La vita degli animali” (Einaudi; traduzione di Stefano Rosatti), Pajtim Statovci (Kosovo/Finlandia) con “Gli invisibili” (Sellerio; traduzione di Nicola Rainò), Simona Vinci con “L’altra casa” (Einaudi), Jesmyn Ward (Usa) con “Sotto la falce” (NN Editore; traduzione di Gaja Cenciarelli), C Pam Zhang (Cina/Usa) con “Quanto oro c’è in queste colline” (66thand2nd; traduzione di Martina Testa). I cinque romanzi finalisti, così come il “Premio Speciale”, sono stati selezionati dai docenti, intellettuali, critici e scrittori che formano la “Giuria Tecnica” (presieduta da Gian Luigi Beccaria) e, in seguito, affidati alla lettura e al giudizio di 400 studenti delle “Giurie Scolastiche”, avviate in 25 scuole superiori, da Aosta a Catania (passando per Torino, Alba, La Spezia, Assisi, Campobasso, Foggia, Crotone, solo per citare alcune città), fino ad Atene. Con i loro voti, i giovani giurati decreteranno il libro vincitore tra i cinque in gara, il cui titolo verrà, per l’appunto, proclamato sabato 15 ottobre, nel corso della cerimonia di premiazione al Teatro di Alba, condotta da Loredana Lipperini, scrittrice e giornalista. L’ingresso al Teatro è libero fino ad esaurimento posti, consigliata la prenotazione sul sito www.fondazionebottarilattes.it (link diretto: https://bit.ly/3BuavmZ). Info: book@fondazionebottarilattes.it.

Il bookshop al “Teatro Sociale Busca” è curato dalla “Libreria Milton” di Alba.

Inoltre, sempre sabato 15 ottobre, alle ore 10.30, i finalisti incontreranno gli studenti delle scuole del territorio cuneese al Castello di Grinzane Cavour (ingresso libero fino a esaurimento posti). Gli appuntamenti del “Premio” saranno anche trasmessi in diretta streaming sul sito e sui canali social della “Fondazione Bottari Lattes”, permettendo così di raggiungere pubblici diversi e lontani e mettendo a disposizione di tutti importanti contenuti della grande narrativa contemporanea.

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Immagine guida del “Premio”

–       Claudio Magris

Torna Portici di carta, “A Torino la cultura è una passeggiata”

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15ª EDIZIONE sabato 8 e domenica 9 ottobre 

Libri, letture, incontri, dialoghi, laboratori, passeggiate,
degustazioni, azioni pittoriche
con autrici e autori italiani e internazionali

Dedica a Fruttero & Lucentini

Mini Portici + Portici a Scuola per bambine e bambini

Editori ospiti: e/o e Camelozampa

Due km di libri con editori e librerie lungo i portici

Da lunedì 3 ottobre iniziative di avvicinamento con Portici Off

www.salonelibro.it

Due chilometri di libreria lungo i portici del centro 140 appuntamenti legati al libro: Portici di Carta, la manifestazione letteraria che trasforma Torino in una delle librerie all’aperto più lunghe del mondo e in una straordinaria festa della comunità del libro, torna sabato 8 e domenica 9 ottobre 2022 con la sua quindicesima edizione.

Il centro di Torino e i suoi eleganti portici, patrimonio architettonico del capoluogo piemontese, accoglieranno lettrici e lettori di ogni età con la presenza di librerie torinesi e editori piemontesi e con la proposta di un programma culturale caratterizzato da incontri, dialoghi, celebrazioni editoriali, dediche autoriali, passeggiate e degustazioni letterarie, letture, laboratori per bambine e bambini, azioni pittoriche in piazza, letture ad alta voce, accogliendo scrittori e scrittrici da tutta Italia, bibliotecarie, bibliotecari, insegnanti e volontari.

Dopo alcuni anni di assenza, a Portici di Carta riapprodano autrici e autori internazionali, come nell’originario spirito della manifestazione, ritornano gli editori ospiti, che per questa quindicesima edizione saranno Edizioni e/o e Camelozampa, e viene riproposta la dedica a personalità emblematiche della narrativa italiana: il doveroso ricordo, tra incontri e passeggiate letterarie, andrà a Fruttero & Lucentini, a cinquant’anni dalla pubblicazione de La donna della domenica, a dieci anni dalla morte di Fruttero e a vent’anni dalla scomparsa di Lucentini. Un omaggio anche a Piero Angela, torinese e amico da sempre del Salone Internazionale del Libro di Torino.

Novità 2022: la nuova iniziativa Portici a Scuola, gli incontri nelle scuole di Torino – realizzati in collaborazione con Piemonte Rete Libri, Camelozampa, Giunti, Editoriale Scienza e Piemme –, e le degustazioni letterarie Il giro del mondo in 40 libri per confrontarsi sui temi della multiculturalità.

Per il secondo anno consecutivo il programma di Portici di Carta si amplia grazie alla nuova anima “off” dell’iniziativa, con Portici Off: gli appuntamenti nei giorni precedenti, a partire da lunedì 3 ottobre, nelle librerie e negli spazi delle Circoscrizioni torinesi, per coinvolgere anche la periferia nella grande festa open air del libro. E si espande anche nel centro città, coinvolgendo non solo, come consuetudine, i portici di Via Roma, Piazza San Carlo, Piazza C.L.N. e Piazza Carlo Felice con il suo Gazebo Sambuy e il Giardino Forbito, ma anche le Gallerie d’Italia-Torino – nuovo museo di Intesa Sanpaolo dedicato alla fotografia e alle arti visive –,il Museo nazionale del Risorgimento e, grazie alla collaborazione con il Centro Interculturale della Città di Torino, alcuni Caffè storici e pasticcerie (Stratta, Caffè Torino, Costadoro, Mokita, Turin-Vermouth).

La maggioranza degli appuntamenti sono a ingresso gratuito.

>> Programma completo e aggiornamenti su salonelibro.it.

‘Collegno oltre il muro – La cultura in Comune’

L’auditorium comunale ‘Arpino’ ospita venerdì 7 ottobre, a partire dalle ore 21, ‘Cultura in Comune’, ovvero la presentazione artistica dell’ultima fatica (in ordine cronologico) di Luciano Sartori ‘Collegno oltre il muro – La cultura in Comune’.

Il libro, edito per i tipi di Echos Edizioni e realizzato in collaborazione con Sergio Bertolotto, racconta 40 anni di attività culturali in città. Oltre all’autore sono previsti gli interventi di Francesco Casciano, sindaco di Collegno, Matteo Cavallone, assessore alla pianificazione territoriale ed alla qualità della vita, Gianluca Treccarichi, assessore alla qualità della Città e alla mobilità sostenibile, nonché i contributi teatrali e musicali di Assemblea Teatro, Alfatre Gruppo Teatro, Giampaolo Petrini, Diego Borotti, Luca Zanetti. A condurre sarà Renzo Sicco.

“In questo lavoro – spiega Luciano Sartori – sono stati raccolti tutte le iniziative, le attività che sono nate, cresciute e hanno messo radice in quello che sino al 1977 era un luogo di segregazione e di dolore ed oggi è diventato invece un luogo di gioia e di inclusione che guarda davvero oltre, con i suoi progetti per il futuro perché ci sono l’università, il liceo, un Centro europeo della danza”.

Tutto, dunque, ha preso le mosse nell’ormai lontano 1977 quando venne abbattuto il muro del grande manicomio e la città seguì l’allora sindaco Luciano Manzi nel riprendersi un pezzo della sua storia. Da allora è stata una vera e propria tempesta di luci, suoni e colori che ha invaso il palcoscenico del Parco della Certosa, la Lavanderia a Vapore, la Sala delle Arti, la Stireria. Ad ‘aprire le danze’ fu un concerto di Severino Gazzelloni seguito dal mitico Astor Piazzolla e da allora sono stati oltre mille gli artisti ed i gruppi che sono passati da Collegno, il che vuole dire – compresi i vari componenti di compagnie, gruppi, orchestre e quant’altro – la presenza di diverse migliaia di persone non soltanto da tutta Italia ma anche da tutto il mondo.

Citarli tutti, ma Luciano Sartori con Sergio Bertolotto l’ha fatto, è impresa ardua in queste righe. Piace ricordare, però, due stelle di primissima grandezza della musica: Bob Dylan il 9 luglio del 1008 e Joan Baez che scelse proprio Collegno (e non fu un caso) come unica data italiana della sua tournee italiana il 19 luglio del 2019. Sartori nel suo libro ricorda poi come Collegno abbia avuto come radice di questa intensa attività culturale, anche prima di andare ‘oltre il muro’ nella necessità di recuperare il vuoto culturale indotto dalla guerra e dal fascismo, dando così vita ‘ad una magia durata quarant’anni, il tempo per dare forma e coerenza a duna storia diventata un lungo inno alla vita’.

Luciano Sartori è un collega di lungo corso, autore di pubblicazioni e documentari su tradizioni e antichi mestieri del Piemonte. Ha collaborato con importanti quotidiani nazionali ed è stato, per alcuni decenni, responsabile di una delle principali emittenti televisive regionali. Nei suoi romanzi – Casa di ringhiera, Isabella Doria il gioco e la seduzione, Lo Smemorato di Collegno un caso oltre il tempo per citarne alcuni – ha raccontato una donna protagonista e sicura nei suoi sentimenti.

Massimo Iaretti