CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 386

L’angolo della Poesia di Gian Giacomo Della Porta: Giuseppe Ungaretti

Poesie di Giuseppe Ungaretti

 

Veglia

Un’intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d’amore

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita.

 

Fratelli

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante

involontaria rivolta

dell’uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli

Giuseppe Ungaretti, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888 e morto a Milano nel 1970, è stato uno dei principali poeti della letteratura italiana del XX secolo
La poesia di Giuseppe Ungaretti, inizialmente influenzata dal simbolismo francese (non a caso i primi apprezzamenti arrivarono proprio da Guillaume Apollinaire e da Louis Aragon, che ne riconobbero la comune matrice simbolista)  si distingue per la sua scelta delle parole votata all’essenzialità, caratteristica che va a contrapporsi alla magniloquenza tipica dannunziana.

In questi due testi molto famosi che ho selezionato per voi, viene fuori con forza uno dei temi centrali nell’opera di Ungaretti: la Guerra, il dolore che essa si porta dietro e la voglia di un uomo di resistere, di perpetrare il bello attraverso la poesia, la gioia di trovare in vita i compagni d’armi (Fratelli) e la sofferenza di passare una nottata “buttato vicino a un compagno massacrato”, aspettando l’aurora come fosse la prima volta e illuminarsi d’immenso nella consapevolezza di essere ancora in vita.

Una vita che si rivela nella sua grande fragilità, ma che porta in sé una volontà feroce d’amore e di tempo da non sprecare.

Provate a leggere le due poesie ad alta voce, dando peso ad ogni lettera e assaporando il loro sapore sulle labbra: vi accorgerete della potenza di questi scritti quando sarete voi stessi a digrignare la bocca pronunciando le parole: “massacrato”, “digrignata”, “penetrata”.

Buona lettura!

Gian Giacomo Della Porta

La veste del Buddha

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Preziosi kesa giapponesi dalle collezioni del MAO

Dal 29 marzo

Le origini del kesa (termine giapponese che traduce dal sanscrito kasaya ovvero “ocra”), la veste indossata dai monaci buddhisti, sono antichissime e leggendarie.

Secondo la tradizione fu infatti il Buddha stesso a chiedere al suo discepolo Ananda di realizzare un abito che tutti i suoi seguaci potessero indossare e che fosse somigliante alle geometrie delle risaie in cui amava passeggiare. L’uomo lo accontentò e cucì una veste semplicemente assemblando tessuti di recupero. Da allora i monaci realizzato i kasaya (che prenderà il nome di kesa quando il Buddhismo entrerà in Giappone) unendo vecchi lembi di stoffe, scampoli spesso laceri e rovinati e tinti con terre umili (ocre, da cui il nome), che vanno a comporre una veste unica, “il più prezioso degli abiti”, simbolo di semplicità e purezza.

Dal 28 marzo viene eccezionalmente esposto al pubblico, in occasione di una delle periodiche rotazioni a fini conservativi che interessano la galleria dedicata al Giappone, uno dei tesori delle collezioni del MAO, un kesa di epoca Edo (sec. 1603-1967) in raso di seta verde broccato, decorato con gruppi di nuvole e una serie di motivi circolari sparsi, ognuno dei quali ricorda una corolla floreale stilizzata.

La scelta e l’accostamento di colori, oltre alla stessa iconografia, rimandano agli analoghi tessuti realizzati in Cina già durante l’epoca Tang e sono frutto di commistioni e di influenze reciproche fra Cina e Medio Oriente che, nei secoli, hanno fatto viaggiare sulle antiche rotte commerciali non solo merci preziose, ma lingue, stili, saperi.

Su queste stesse rotte ha viaggiato anche il secondo kesa esposto, un raro esemplare creato a partire dal cosiddetto “broccato di Ezo”, un tipo di tessuto giunto in Giappone dalla Cina attraverso la zona di Ezo, l’attuale Hokkaido, terra degli Ainu. Il tessuto in seta e argento a strisce presenta una decorazione floreale molto ricca: su uno sfondo brillante di color rosso-arancio sono intessuti grandi tralci di peonia e altri fiori, accostati a simboli augurali, fra cui spicca il motivo ricorrente della moneta, stilizzata secondo l’uso cinese nell’anagramma degli “Otto Tesori”.

“La ballata dei gusci infranti”

Il film del giovane regista Simone Riccioni sostenuto dalla Pastorale Giovanile e dall’UCID TORINO in programma all’UCI Cinemas del Lingotto

 

Appuntamento all’UCI Cinemas del Lingotto, mercoledì 6 aprile, alle 20.45, con il film intitolato “La Ballata dei gusci infranti” del regista Simone Riccioni.
L’UCID di Torino, unitamente alla Pastorale Giovanile, alla Pastorale Universitaria, al Sermig e al Murialdo For, ha deciso di appoggiare questo giovane imprenditore cinematografico che ha avuto il coraggio, in tempo di pandemia, di investire in un nuovo progetto.
Il film, di cui all’UCI avverrà la proiezione, accompagnata dalla testimonianza del regista, narra la preziosità e la fragilità della vita. Si intrecciano tra loro quattro storie e ognuno dei rispettivi protagonisti pare essere racchiuso in un guscio, ognuno conduce una vita fatta di scelte che riguardano luoghi in cui vivere e persone da tenere al proprio fianco. Ma la vita può anche riservare sorprese e imprevisti e il guscio può infrangersi.
Il film, per i messaggi culturali che contiene, tra cui molte citazioni tratte dalla Divina Commedia, per commemorare il Sommo Poeta nell’anniversario dei 700 anni dalla sua morte, per i messaggi educativi e emotivi che veicola, è stato anche inserito nel progetto “Cine-Educando”. Sarà disponibile anche a livello nazionale per le proiezioni in classe e ha ottenuto il patrocinio della Città di Torino.

Prenotando attraverso l’UCID ( ucid@ucidtorino.it) il biglietto costerà 7 euro anziché 9 euro.
Sarà possibile pagare con satispay al 335 7724802 e ritirare i biglietti direttamente al cinema.

 Mara Martellotta

“Ghiaccio”, angosciosa e lucida messinscena intorno alla mente del serial killer

Il testo di Bryony Lavery sul palcoscenico del Gobetti, sino a domenica 10 aprile

C’è un grumo rosso (come quello che attraversava l’orrore del ghetto di Cracovia sotto l’occhio in bianco e nero di Steven Spielberg in “Schindler’s List”, la bambina tragicamente smarrita e avvolta nel suo cappottino) sul palcoscenico del Gobetti che fino a domenica 10 aprile ospita “Ghiaccio” dell’autrice inglese Bryony Lavery, nella traduzione di Monica Capuani e Massimiliano Farau e messo in scena da Filippo Dini. È l’impermeabile della piccola Rhona, una Cappuccetto Rosso che non è uscita dalla penna dei Grimm ma che è travolta e immersa nell’orrore del nostro quotidiano, che mentre portava alla nonna un paio di cesoie da giardino ha incontrato il lupo cattivo, Ralph, un pedofilo, uno stupratore e killer seriale di bambine e ne è rimasta sopraffatta.

Il testo della pluripremiata (dopo il debutto nel 1998 al Birmingham Repertory Theatre) Lavery – che nel 2019 “The Indipendent” incluse nella sua classifica dei 40 testi teatrali migliori mai scritti – non è una favola, non è neppure l’amaro resoconto di un caso realmente avvenuto pochi o più anni fa, è un raggrupparsi di tante storie diverse, di attimi neri catturati qua e là, laceranti e sconvolgenti, che si raccolgono nella disperazione di una madre, Nancy, e nella distruzione di una intera famiglia, nella tragedia in cui si dibatte il mostro, nello scompiglio della sua mente criminale, nella esistenza angosciosa di una psichiatra americana di origini islandesi, Agnetha, che combatte con il ricordo della morte di un amico e che tra attacchi di panico tenta di portare avanti il proprio intervento, “Serial killer: si può perdonarli?”, e un personale studio secondo cui viene attribuito “a lesioni nei lobi frontali l’assenza di inibizione che induce comportamenti criminali”. Sottolineando che “il mio intervento è un esame critico delle differenze tra crimini frutto di malvagità e crimini frutto di patologia”.

Non soltanto questi tre personaggi. Non li vediamo in scena, ma ne avvertiamo la presenza, debolissima di Bob, il marito di Nancy, ben più presente quella di Ingrid, la figlia maggiore della coppia, attraverso le parole della madre un dolore che muta, che all’inizio affonda nella pretesa consapevolezza di una dolorosa sopravvivenza per poi passare ad una ribellione e al rifiuto di vivere nel culto della vittima, per affrontare un percorso buddistico, un viaggio verso l’Oriente all’inizio poco credibile, un misticismo di profonde radici che saprà liberarla dalle colpe che lei ha immaginato. Il risultato visivo sono quelle interminabili file di bandierine tibetane con cui Dini inonda nella conclusione la sala teatrale, multicolori, leggere, riappacificatrici. Due zone, un prima e un poi, per tutti. Le tre vite principali intrise di crimine e di vendetta, la determinazione a sopravvivere nel gelido stato, nel ghiaccio della conservazione, nel tentativo, nel mestiere di vivere: poi, dopo giorni mesi anni di disperazione e sempre eguali la scoperta del perdono da un lato, l’affrontare con il suicidio la propria cruenta realtà dall’altro. La vita riprendere a scorrere, non è più quella di prima ma porta finalmente con sé un alleggerimento, uno sguardo diverso, lo scioglimento di quel ghiaccio. La disgregazione in qualche modo si ricompone. “Ghiaccio” è uno spettacolo da vedere e applaudire, duro, di massima tensione, “crudele” nelle parole e negli atti, lo sguardo esatto da parte di Dini delle angosce dei personaggi, della disperazione, della morte dentro, che ci mette lucidamente di fronte ad una realtà troppe volte letta sui giornali o vista nei tiggì, in monologhi o in un dialogo aspro e faticoso e rotto, che riversa la propria ansia giù tra il pubblico, in un freddo labirinto inventato da Maria Spazzi, corridoi e plastica, sotto le luci improvvise o accecanti di Pasquale Mari. Uno spettacolo con tre spettacolari interpreti, che rendono appieno gli spasimi, i dolori, le incertezze, il cammino completo di Nancy, di Ralph, di Agnetha: Mariangela Granelli rende con una bravura rara ogni particolare del dolore e dell’inimmaginabile perdono di una madre, Filippo Dini concretizza la fragilità e il terrore come il rimorso del suo killer, Lucia Mascino disegna con magnifica convinzione i momenti di paura e il denso pensiero della sua psichiatra.


A proposito di perdono. Chi frequenti il cinema ricorderà un film del 2009 di Peter Jackson tratto dal romanzo omonimo di Alice Sebold, “Amabili resti”, dove la giovane protagonista Susie – come la Rhona della Lavery – è vittima del vicino di casa, che la violenta e la uccide. Si ritroverà a “sopravvivere” in un passaggio intermedio, tra il mondo terreno e il paradiso, ad osservare anche qui lo sfacelo della propria famiglia e le mosse dell’assassino. Considerate dopo le proiezioni di prova le reazioni degli spettatori, che considerarono le scene della morte del killer non troppo soddisfacenti e rivolte piuttosto ad un’agonia e ad una fine più cruda e atroce, Jackson s’impegnò a rifarle, “ho dovuto creare una scena di morte piena di sofferenza solo per dare alla gente la soddisfazione che desiderava”. Il perdono, in quell’occasione, rivolse gli occhi da un’altra parte. E non credo fosse soltanto pretesa spettacolarizzazione.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma

Simone Campa & La Paranza del Geco Dalla Puglia al Piemonte

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Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino Mercoledì 6 aprile, dalle ore 20

Un viaggio tra tradizioni, cibo e storia sul filo di Margherita di Savoia, prima regina d’Italia e cittadina pugliese

Dalla Puglia al Piemonte – ideato da Simone Campa, Osteria Rabezzana, Casa Puglia Piemonte e Pastificio Giustetto – vuole valorizzare l’incontro tra Puglia e Piemonte e celebrare le rispettive tradizioni culturali ed enogastronomiche, musicali e artistiche attraverso l’esperienza, il gusto, la musica popolare.

Un evento all’insegna dell’esperienza conviviale che parte alle ore 20 con un incontro dedicato a Margherita di Savoia, la cittadina pugliese affacciata sul golfo di Manfredonia, a sud del Gargano, sede delle saline più grandi d’Europa. La località è stata intitolata nel 1879 alla prima regina d’Italia, figura storica che più ha influenzato il costume del suo tempo. Un collegamento con il Piemonte pensato in occasione della mostra che Palazzo Madama dedicherà alla regina nel prossimo ottobre.

Si prosegue alle 20.15 con il menù a carta dello chef Giuseppe Zizzo, integrato per l’occasione da piatti della tradizione “margheritana”. Colonna sonora dell’evento, i suoni, i canti ed i ritmi de La Paranza del Geco, vera e propria istituzione culturale di Torino, con i suoi vent’anni di attività artistica in Italia e all’estero.

PROGRAMMA

Ore 20 – L’INCONTRO

Margherita di Savoia, la regina d’Italia, padrona di casa delle più grandi saline d’Europa sulla costa pugliese a sud del Gargano.

Ore 20,15 – LA CENA

Incontri di sapori e ricette pugliesi e piemontesi, con il menù alla carta dello chef Giuseppe Zizzo, affiancato dai piatti della tradizione garganica: incontro tra la Regina e il Re (cipolla bianca di Margherita igp al forno con salsiccia di Bra e crema di toma di Lanzo), zuppetta di mare del Gargano con crostini, fave e cicoria.

Ore 21,30 – IL CONCERTO

I suoni della tradizione con Simone Campa & La Paranza del Geco. Un repertorio speciale dedicato al tema della vita legata al mare, dai canti dei marinai ai lavoratori delle saline, ai testi che si rivolgono alle tradizioni delle sponde nostrane dell’Adriatico e del Mediterraneo. In programma anche musiche dedicate al ballo ed alla festa, attraversando in un viaggio sonoro tutta la ricchezza culturale della Puglia: pizzica e taranta del Salento, tarantelle del Gargano, canti d’amore e serenate dalla Bassa Murgia. Musiche suonate con l’energia coinvolgente ed entusiasmante de La Paranza del Geco, la compagnia musicale fondata e diretta da Simone Campa che festeggia oltre mille concerti realizzati in Italia ed in tutto il mondo e che da oltre vent’anni sintonizza Torino sui ritmi del sud.

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

Il Pannunzio presenta a Torino il Muggenheim di Mughini

L’ULTIMO LIBRO DEL GIORNALISTA E SCRITTORE  CHE DIALOGHERÀ CON FRANCESCA ROTTA GENTILE

Si svolgerà giovedì 7 aprile alle 17.30 presso la Sala Consiglieri della Città Metropolitana di Torino a Palazzo Cisterna, via Maria Vittoria 12, l’incontro organizzato dal Centro PANNUNZIO di Torino con il giornalista e scrittore Giampiero Mughini che dialogherà su temi d’attualità con la prof.ssa Francesca Rotta Gentile, già vincitrice del Premio Flaiano nel 2017, Giurata al Premio Strega oltre che curatrice di diverse prestigiose rassegne liguri come Cervo Ti Strega, Cervo in blu d’ inchiostro, Sa(n) remo Lettori il giardino di Irene Brin.  Nell’occasione verrà presentato, in anteprima assoluta, l’ultimo libro del giornalista “Muggenheim- quel che resta di una vita” edito da Bompiani. Si tratterà di un incontro che darà luce alla profonda cultura e sensibilità di Mughini e ci permetterà di scoprirne aspetti davvero inediti come il fatto che possiede due setter inglesi di nome Bibi in onore di Brigitte Bardot e Clint in omaggio a Clint Eastwood oltre che essere un collezionista di libri e amante d’arte a tutto tondo. Un momento di alta cultura con la possibilità di rivivere, almeno idealmente, negli scritti di Mughini un’originale testimonianza di buona parte del’900 fra poesia visiva, fotografia, fumetto e progressive rock e design. L’evento, unico, sarà aperto anche ai non soci del Centro Pannunzio.

“Il giorno prima del voto” Michele Paolino e Sergio Chiamparino

Attenti a quei due!

Ricordando il famoso telefilm degli anni ’70 con protagonisti Tony Curtis e Roger Moore anche a Torino abbiamo il piacere  di presentare una supercoppia da poco formata, in campo letterario,ma già di grande qualità in campo politico: stiamo parlando di Michele Paolino, già presidente di circoscrizione e consigliere comunale a Torino e Sergio Chiamparino già sindaco di Torino e presidente della regione Piemonte, autori a quattro mani del libro il Giorno prima del voto,un giallo noir,raffinato che tiene il lettore col fiato sospeso. Michele Paolino è al suo terzo libro, nuovo successo editoriale scritto in maniera semplice e coinvolgente: il lettore non fa alcuna fatica ad immedesimarsi nei protagonisti, proprio come se stesse vedendo un film.La narrazione scorre veloce, l’impatto è avvolgente. Chi legge, scrivente compreso, si isola da tutto ciò che lo circonda e diventa coprotagonista della trama.
“Il giorno prima del voto” narra di un brutale fatto di sangue che avviene  nelle Langhe:una discendente di una grande e conosciuta famiglia di produttori di vino Barolo viene trovata uccisa nella sua cantina con un forcone conficcato nella schiena.Intanto a Torino,in contemporanea,s’infiamma la campagna elettorale per l’elezione del nuovo sindaco. Ci sono vari dibattiti e la presenza di un ministro che accende gli animi della vecchia guardia e dei nuovi giovani leoni che vorrebbero acquisire il potere economico della città.Intanto nelle Langhe cominciano le indagini e si scopre che… acquistate il libro e leggetelo tutto d’un fiato: ne vale proprio la pena perché rimarrete piacevolmente sorpresi.

Enzo Grassano

L’isola del libro Speciale Joyce Carol Oates

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Joyce Carol Oates è una delle più prolifiche e importanti scrittrici americane. Nata nel 1938 a Lockport -area rurale dello stato di New York, vicino al lago Ontario- in una famiglia come mille altre. Salvo la nascita della sorella affetta da autismo e alcune rivelazioni.

Una su tutte: alla morte dalla nonna Blance -alla quale era molto legata e che le svelò la meraviglia della lettura- scopre che si era inventata un’identità ebraica e che il bisnonno si era suicidato.
Caratterizzata da un’intelligenza precoce e notevole, Joyce nel 1960 si laurea presso la Syracuse University, ed inizia a scrivere a 28 anni.
Frequentando l’Università del Wisconsin conosce l’uomo che sposa nel 1961, Raymond Smith, altro grande intellettuale e direttore editoriale. Hanno condiviso vita, pensieri, insegnamento e arte fino alla morte di lui nel 2008, per le complicazioni di una polmonite.
Oggi vive nella casa che aveva abitato con il marito dal 1978, a Princeton, nel New Jersey, università nella quale ha insegnato fino al 2014 ed è tuttora professoressa emerita. Magrissima e apparentemente fragile, ha invece una personalità fortissima, modi pacati con cui ammanta un’irriducibile fermezza.
E’ un’intellettuale di immensa cultura e spessore che da sempre volge uno sguardo attentissimo alla vita e alle sue infinite sfaccettature e derive. Una mente geniale e vulcanica grazie alla quale nell’arco di 60 anni ha scritto e pubblicato oltre 100 libri, spaziando tra generi diversi e sempre in modo mirabile.
E’ autrice di 58 romanzi, circa 30 raccolte di racconti, 8 volumi di saggi, poesie ed opere teatrali, a cui si sommano alcune antologie di articoli che ha scritto per riviste e quotidiani nell’arco della sua lunga carriera. Nel 2010 il presidente Barack Obama le ha conferito la National Humanities Medal.

Autrice estremamente versatile ha affrontato e sviscerato un parterre di molteplici temi: dalla violenza delle grandi città americane, ai legami spesso soffocanti e conflittuali che cementano le famiglie della borghesia, alle apparenze legate a vite che devono sembrare rispettabili. Difficile elencare tutte le tematiche di cui ha scritto; tra queste, pure la condizione femminile e le derive dei ruoli maschili in una società impostata sulla forte competizione. E’ autrice anche di biografie come “Blonde” dedicata al mito Marilyn Monroe, di thriller psicologici ed epopee sociali che ha vivisezionato nelle sue pagine.

Il suo eclettismo nasce in parte dalla sua capacità di avere punti di vista sempre stimolanti, per lei raccontare ed elaborare è fondamentale. Il suo metodo di scrittura è estremamente rigoroso: ogni giorno scrive a mano dalle 8 di mattina fino alle 13, poi una pausa fino alle 17 e di nuovo scrittura per un paio di ore, segue poi la correzione di quanto ha creato. Per lei scrivere è come respirare, ed è stata proprio la scrittura ad averle salvato la vita, traghettandola oltre i dolori che la vita le ha riservato.

“La notte, il sonno, la morte e le stelle” -La nave di Teseo- euro 24,00
Questa può essere definita un’autobiografia emotiva, però con personaggi inventati. Il romanzo –che tocca le corde del lutto e della perdita- è dedicato al secondo marito della Oates, il neuro scienziato di Princeton, Charles Gross, morto nel 2019.
La casa in cui è ambientato è quella in cui la scrittrice vive, anche se non esattamente la stessa; ma, per esempio, la camera da letto in cui si muove il personaggio di Jessalyn è quella della scrittrice. Ed è la prima volta che la 83enne Joyce Carol Oates ambienta un romanzo in casa sua.
Sono 830 pagine che parlano di una grande famiglia travolta dalla tragedia della morte del padre; il 67enne John Earle McClaren, soprannominato Whitey. E’ l’ex sindaco bianco repubblicano di Hammond, editore e rappresentante della ricca borghesia, patriarca di una famiglia di 5 figli.
Ha incontrato il suo destino nel momento in cui ha tentato di fermare il pestaggio di un sospettato da parte della polizia; è intervenuto e finito a sua volta sotto le percosse degli agenti. Ricoverato in gravi condizioni, muore dopo un penoso coma che porta al suo capezzale moglie e figli.
La Oates ha sfidato la sua bravura narrando non solo il rapporto tra moglie e marito, ma ampliando il suo sguardo fino a includere tutta la complessa famiglia. Ricostruisce le dinamiche che legano o allontanano i suoi membri, le loro personalità variegate, i loro pensieri più reconditi e il modo in cui ognuno a modo suo affronta la morte del patriarca. Primo fra tutti quello della vedova Jessalyn, che dopo 40 anni insieme a Whitey, si sente morire a sua volta.
Sullo sfondo di un’America razzista e divisa, Joyce Carol Oates porta in scena l’aggressione a un bianco, anziché a una persona di colore. E poi con il dono della sua scrittura potente si addentra nelle vite dei vari membri del clan McLaren; regalandoci un romanzo imponente e appassionante che mette alla prova i suoi personaggi di fronte al devastante dramma della perdita di una persona che era stata il perno intorno al quale si erano mossi.

 

“Storia di una vedova” -Bompiani- euro 20,00
E’ profondo, struggente e magnifico questo memoir in cui la Carol Oates racconta la morte del suo primo marito, Raymond Smith, ricoverato per quella che sembrava una curabile polmonite; invece dopo una settimana è precipitato verso la fine per le complicanze di un’infezione.
Siamo a Princeton, New Jersey, sede dell’università nella quale ha insegnato fino al 2014. Joyce è nella casa che abita con il marito dal 1978, quando arriva l’allarmante telefonata a mezzanotte e mezzo del 18 febbraio 2008. Si precipita in ospedale, ma arriva che Ray se n’è già andato. Lei non si perdonerà di non esserci stata a tenergli la mano, lasciando che chiudesse gli occhi circondato solo da estranei. Si sentirà in colpa anche per averlo portato nell’ospedale dove un’infezione polmonare lo ha ucciso.
Le pagine raccontano lo shock, lo strazio lucido della moglie che perde il compagno di una vita, le mille incombenze che le piovono addosso e sono corollario della morte. Seguiamo la scrittrice e i suoi stati d’animo mentre procede a fatica nel mondo svuotato dalla perdita; dal penoso ritiro degli effetti personali del marito alle disposizioni per la sua cremazione, come da lui voluto, per arrivare alla noiosissima trafila burocratica come “esecutrice testamentaria” delle proprietà del defunto.
Poi arriverà l’onda d’urto gigantesca, quella del dolore più profondo, che lei descrive minuziosamente e con un coraggio da leone. Ecco la vedova -una sofferente sopravvissuta, ma in parte morta con lui- che si muove a stento tra insonnia, solitudine, una casa vuota che le ricorda Ray ad ogni angolo. Lei che si rifugia nella tana del letto, dal quale non vorrebbe più alzarsi, e accarezza spesso l’idea del suicidio.
Pagine e pagine in cui afferra il suo dolore e ne scrive con onestà e struggimento, raccontandoci i titanici sforzi per continuare a vivere, confrontandosi con il nuovo ruolo di vedova, con gli amici e le condoglianze da ogni dove. Una vita che va avanti…..nonostante tutto.

L’Epopea Americana è la quadrilogia che la Oates ha dedicato al sogno americano e all’instancabile corsa verso la felicità nell’America proletaria tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Il corposo racconto scandito in 4 romanzi per raccontare la grande avventura a stelle e strisce del XX secolo; caratterizzato da profondi mutamenti sociali e politici.

“Il giardino delle delizie” -Il Saggiatore- euro 21,00
E’ il primo capitolo dell’Epopea Americana. Al centro del romanzo c’è Clara Walpole: fragile e bellissima, figlia di due poveri braccianti, all’interno di una famiglia numerosa che si sposta di piantagione in piantagione, alla strenua ricerca di una casa e di una vita meno misera.
Tenta di affrancarsi da un simile destino, scappa dalla precarietà, convinta di essere sulla strada giusta per afferrare uno straccio di benessere. Ma della vita conosce davvero poco e si innamora di Lowry che ha qualche anno più di lei e vede come suo salvatore. Peccato lui la metta incinta e poi si dilegui. Clara a soli 16 anni dà alla luce Swan, al quale dedica ogni energia e la sua vita.
Poi sempre sullo sfondo della grande contraddizione del sogno americano, Clara finirà per appoggiarsi a Curt Revere, uomo facoltoso, molto più grande di lei, ma già sposato.

 

“I ricchi” -Il Saggiatore- euro 18,00
Il romanzo si basa su un fatto di cronaca avvenuto realmente. La storia è ambientata nell’America wasp, progressista e democratica, dietro la quale però si cela ben altro.
Al centro un ragazzino, Richard, ombroso e grassoccio, che adora la bellissima madre, Natashya Romanov Everett, per il figlio “Nada”. Vorrebbe essere al centro della vita della genitrice; invece si trova a fare i conti con la sua marginalità nella vita della donna…. e decide di ammazzarla.
Un romanzo che trabocca rabbia e dolore attraverso la sofferenza di un ragazzino che anziché sentirsi una persona, comprende di essere solo un comprimario nell’esistenza, piena di successo, della creatura che più ama sulla faccia della terra.

 

“Loro” -Il saggiatore- euro 23,00
In queste pagine è raccontata la vita difficile di una famiglia affossata dalla miseria, i Wendall, famiglia patriarcale.
Si muovono nei sobborghi di Detroit e cercano di fuggire dalla loro condizione sociale precaria, ai livelli più bassi. Sono bianchi poveri e ignoranti che quotidianamente sgomitano per risalire la scala sociale; ma anche razzisti convinti di meritarsi –anche solo per il colore della pelle- ricchezza e la realizzazione di quel sogno americano che dovrebbe lanciarli in alto rispetto alle loro origini.
Al centro della narrazione c’è Loretta; a 16 anni rimane incinta del suo primo amore, che viene assassinato. La giovane si arrabatta come può, incattivita dalla sua mala sorte, e destinata a una vita infelice. Il figlio bastardo Jules è un ragazzo sveglio che però finisce invischiato in faccende malavitose.
Poi ci sono altri personaggi in cerca di riscatto in questo romanzo intriso di degrado, violenza e povertà.

 

“Il paese delle meraviglie” – il Saggiatore- euro 23,00
E’ la storia di Jesse Vogel, nato in una famiglia numerosa e povera, unico sopravvissuto alla furia del padre che ha massacrato i familiari. Adottato dalla famiglia di un ricco medico, diventa un celebre neurochirurgo; ma la vita continua a non fargli sconti.
Dovrà affrontare la deriva della vita della figlia Michelle. La giovane fugge dalla ricca casa paterna e si rintana in una sbandata comunità di hippies, con la quale si muove errabonda attraverso l’America, tra droghe, trasgressione e baratro profondo.
E’ un altro capitolo della disperazione che si annida nei romanzi dell’Epopea Americana, che la Carol Oates ha saputo delineare a fondo e magnificamente.

Rock Jazz e dintorni I Ministri e gli Zen Circus

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Hiroshima Mon Amour si esibiscono I Ministri.Al Teatro Colosseo prima di due date consecutive per Tommaso Paradiso.

Martedì. All’Otium Pea Club suona il LT Trombone Quartet. Al Magazzino di Gilgamesh blues con Max Altieri.Al Concordia di Venaria è di scena Frach Quintale. Al Jazz Club suona il pianista Massimo Danilo Ilardo mentre al Blah Blah si esibiscono i The Whiffs.

Mercoledì. Al Jazz Club jam session blues con Dodo &Charlie. Al Cafè Neruda suona il trio di Sergio Di Gennaro. Al Maffei è di scena il cantautore Apice.

Giovedì. Al Jazz Club si esibisce il trio dell’organista Hammond Yazan Greselin. Alle OGR suonano i Zen Circus. Al Cafè Neruda suona il trio di Luigi Tessarollo con la vocalist Rachel Gould. Al Blah Blah sono di scena gli Ottone Pesante. Al Cap 10100 si esibisce Pier Cortese. Al Magazzino sul Po sono di scena Palumbo e Fabrizio Modenese dei Larsen.

Venerdì. Al Folk Club suona il Ziribop Quartet. Al Cafè Neruda si esibiscono i Derby Mates. Al Blah Blah suonano i Not Moving Ltd. Al Bunker è di scena la Rhabdomantic Orchestra con Balk Saagan e Alek Hidell. All’Arteficio suona il quartetto di Gigi Venegoni e Roberta Bacciolo. All’OffTopic per l’”Hanami Fest” si esibisce Galea, Elasi e Missey. Al Cap 10100 sono di scena Flat Mates 205, The Playground e Rimozione.

Sabato. All’Arteficio suona il Jazzò Quartet. Al Maffei si esibisce Lorenzo Kruger. Al Cafè Neruda si esibisce la cantante americana Kellie Rucker affiancata dal gruppo del chitarrista Fast Frank. Al Concordia di Venaria è di scena Massimo Pericolo. Al Cap 10100 si esibiscono gli Le Endrigomentre allo Ziggy suona il trio Stella Diana. Al Blah Blah sono di scena i Total Recall e gli Anno zero.

Domenica. Sempre al Blah Blah suonano i The Courettes.

Pier Luigi Fuggetta

”Giù nella valle”, fumetti nell’antica chiesa dei battuti

Si è svolta a Vignale Monferrato domenica 27 marzo, l’inaugurazione della mostra personale di fumetti di Andrea Ferraris che ha per titolo ” Giù nella valle” (ingresso libero). L’ esposizione di tavole originali a colori durerà fino al 18 aprile 2022 dalle 15 alle18 (solo le domeniche).

La ” chiesa dei battuti ” è stata eletta a luogo dove si svolgerà l’evento espositivo. L’ artista genovese di cui ho diffusamente scritto sul torinese, espone tavole ispirate al racconto ” il Mendicante” di Guy de Maupassant apparse la prima volta su Linus nel 2021. Nel 2020 sono apparse sempre sulla famosa rivista di fumetti fondata dal compianto Oreste del Buono, altre tavole di Ferraris : le storie brevi ” la Volpe e la Faina” e  ” il Fiume” ambientate nelle campagne vignalesi coi suoi personaggi dove il disegnatore sovente soggiorna e lavora, nel suo studio della frazione San Lorenzo. La personale è stata inaugurata dal sindaco Tina Corona alla presenza di un folto gruppo di invitati e promossa dal Club Unesco, attraverso l’associazione il Monferrato degli Infernot (www.monferratodegliinfernot.it).La chiesa (attualmente sconsacrata) prende il nome dall’Ordine dei Battuti, confraternita di laici del medioevo. La confraternita fu un gruppo di religiosi penitenziali, usi alle pene corporali per l’espiazione dei peccati, anche per mezzo dell’autoflagellazione, da cui deriva la denominazione ‘battuti’. Un po’ come dei ‘chierici vaganti’ giravano per i paesi raccogliendo l’elemosina per il sostentamento e la beneficenza, dediti anche nelle frequenti soste, alla preghiera e alle lodi. La piccola chiesa di Vignale Monferrato sovente era luogo di sosta e riunione dei chierici. Il soffitto ligneo del luogo di culto, è stato completamente ricostruito. All’ interno sono visibili la corale lignea dietro l’altare e gli affreschi della volta, tutti originali d’epoca. Il campanile in mattoni faccia a vista, è di sezione triangolare, dettaglio architettonico che lo rende di particolare interesse. La mostra offre la possibilità di vedere le tavole di Andrea Ferraris, in un contesto inusuale, esposte sulle pareti sbrecciate e in crudo, in una tipicità rustica e agreste al centro delle colline monferrine. Tavole originali colorate e inchiostrate dalla moglie Daniela. Utili a comprendere come il fumetto, venga prodotto e stampato, per mezzo di una riduzione dalla dimensione originale alla striscia stampata. Una occasione speciale per gli appassionati del genere, che potranno compiere facoltativamente con la visita alla mostra, anche la degustazione nella zona dei vini dei produttori locali, in particolare la barbera, il grignolino e la freisa. Rossi doc, forti e corposi. Tipici di Vignale Monferrato. Prosit.

Aldo Colonna