CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 386

“Sono seduto qui a far riposare le mie ossa e questa solitudine non mi abbandonerà”

MUSIC TALES. LA RUBRICA MUSICALE

Sono seduto qui a far riposare le mie ossa

e questa solitudine non mi abbandonerà

ho viaggiato per duemila miglia

solo per fare di questo molo la mia casa, ora”

Nell’agosto del 1967, Otis Redding è in tour con i Bar Kays negli Stati Uniti.

Un giorno mentre si trova sulla casa galleggiante del suo amico Earl Speedo Sims, ormeggiata a Sausalito, in California, scrive il primo verso di una nuova canzone: Dock of the bay (che personalmente amo profondamente n.d.r.).

Otis ha appena lasciato il segno con una performance memorabile al festival di Monterey, in cui ha chiuso la seconda serata esibendosi accompagnato dai Booker T & The Mg’s dopo i Jefferson Airplane.

Nasce nel 1941 a Dawson in Georgia; lascia la scuola a 15 anni per dedicarsi alla musica.

Nel 1967 ascolta “stg. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e decide di cambiaree completamente il suo stile. Vuole continuare a conq uistare il pubblico bianco ed abbandonare un po’ e radici dl soul.

Il 22 novembre 1967 entra negli studi della Stax a Memphisinsieme al suo chitarrista e registra il pezzo The dock of the bay. Torna l’8 dicembre per completarlo ma non ha ancora terminato il testo.

Mentre la canzone sfuma registra un fischio con l’intenzione di tornare in studio e cantare l’ultima strofa.

Non ci tornerà mai più e quel fischio rimarrà nella storia della musica.

Il 9 dicembre di quell’anno sono a Cleveland dove partecipano ad una trasmissione televisiva ed il giorno dopo dovranno essere altrove. Le condizioni atmosferiche non sono affatto buone e, lui ed altri due membri della band, viaggiano con un aereo di linea poiché sul Beeccraft non ci sono posti. Alle tre e mezza del pomeriggio, il pilota chiede di atterrare all’aeroporto di Madison, ma qualcosa va storto e l’aereo perde quota e precipita nel lago Monona.

Uno schianto terribile che interrompe la carriera di una delle stelle più brillanti della black music e della sua straordinaria band.

L’unico superstite è Ben Cauley e l’unica cosa che ricorda è di essersi trovato al largo e non aver creduto di essere vivo.

Nessuna casa dovrebbe essere senza vista sul mare. Ogni casa dovrebbe appartenere al vento e alle onde. Il mare e la casa dovrebbero vivere insieme per sempre, come due fanciulli che si siedono uno di fronte all’altro e si confidano i loro segreti.”

Aspetto di sapere come è stato questo ascolto!

https://www.youtube.com/watch?v=mHYTA9Rupso&ab_channel=MarcBroussard

CHIARA DE CARLO

 

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

L’ultimo libro di Giorgio Merlo e Giuseppe Novero al Circolo dei Lettori

“Le parole che contano”, conversazioni contemporanee, è il titolo libro scritto da Giorgio Merlo e da Giuseppe Novero che sarà presentato a Torino giovedì 17 novembre alle ore 17, presso la sala grande del Circolo dei Lettori, Via Bogino 9. 

Interverranno alla presentazione Giancarlo Caselli, Franco Garelli, Derio Oliviero e Giovanni Quaglia.

Modera Alberto Sinigaglia.

Undici protagonisti della vita pubblica italiana si soffermano su altrettanti temi e approfondiscono altrettante parole per richiamare valori da condividere o da riscoprire, offrendo analisi che possano condurre a sentieri semantici e di riflessone sempre più ampi.

Il libro conta la prefazione di Luigi Sbarra, Segretario Generale Cisl e l’introduzione di Marco Frittella, Direttore Rai libri.

I concerti del Politecnico, Scienza e Creatività 

2022 PROGRAMMA 2023
XXXI edizione 
I CONCERTI DEL POLITECNICO
POLINCONTRI MUSICA  
   
 POLITECNICO DI TORINO   
Aula Magna “Giovanni Agnelli”
corso Duca degli Abruzzi 24  
inizio concerti ore 18,00    

Prende il via, anche nella stagione 2022/23, la consueta programmazione del ciclo Scienza e Creatività in collaborazione con Rivolimusica, Scene dal vivo, Istituto Musicale Città di Rivoli. Protagoniste due eccellenze nei relativi ambiti: Vittorio Marchis e Alan Brunetta.
Dal fortepiano, al cembalo scrivano, fino alla consolle di un PC, la testiera è stata la protagonista di una vita ‘digitale’, non nel senso quale oggi intendiamo, ma letteralmente ‘attivata con le dita’. Sia i tasti di un pianoforte, sia le pelli di un tamburo, sia i contatti di uno smartphone, agiscono sotto l’azione ON/OFF di comandi a cui le macchine rispondono… mettendoci tutta la loro fantasia. E noi godiamo delle opere degli scrittori, come delle armonie dei ‘musicanti’.
La storia delle tastiere amalgamata con i suoni emessi dagli strumenti a percussione, qui armonizzata nel dialogo tra Vittorio Marchis, storico dell’Ingegneria dal Politecnico di Torino, e Alan Brunetta, compositore, percussionista e polistrumentista, rivive dal vivo sul palcoscenico del Politecnico di Torino.

Mercoledì 16 novembre 2022       Klavier Evo(lution)

Le tastiere:  dall’analogico al digitale e viceversa

Vittorio Marchis  relatore
Alan Brunetta  
percussioni e tastiere

per il ciclo Scienza e Creatività 

in coproduzione con l’Istituto Musicale Città di Rivoli 

Vittorio Marchis
Storico dell’Ingegneria e professore ordinario di Storia della Scienza e delle Tecniche presso il Politecnico di Torino. Ha svolto la sua attività nel campo della ricerca storica della Tecnica, introducendo l’insegnamento di Storia dell’Ingegneria presso il Politecnico di Torino, di cui ha sempre curato anche la docenza. Successivamente ha fondato il MAP, il Museo Virtuale del Politecnico di Torino. Accanto all’attività accademica, ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche (ad esempio su Rai Radio3) in qualità di storico e divulgatore della storia della tecnologia. Uno dei suoi libri più recenti, 150 anni di invenzioni italiane, propone l’uso dei brevetti come strumento di indagine storiografica. Oltre ai contributi scritti, Marchis ha inscenato diverse ‘autopsie’ di oggetti tecnologici, utilizzando tecniche narrative ispirate dal teatro e dalla sua esperienza di conduttore radiofonico.

 

 

Alan Brunetta
Compositore, batterista e percussionista ma non solo, Alan Brunetta studia all’Accademia di Musica Moderna e al Conservatorio di Torino. Musicista poliedrico con interessi che vanno oltre la musica, ma che affondano nel teatro, nella didattica e nel cinema.
Dal 2005 collabora con Supershock alla sonorizzazione di capolavori cinematografici quali NosferatuMetropolis e Der Golem. Nel 2008 fonda con Umberto Poli la compagnia teatrale-musicale Euthymia, volta alla realizzazione di ‘opere rock’ fondate sulla compenetrazione di letteratura, teatro e musica. Nel 2009 Brunetta fonda Lastanzadigreta, progetto nel quale chitarra elettrica e acustica si fondono con marinba, mandolino, didjeridoo e strumenti non convenzionali quali giocattoli e bidoni per creare un sound unico. Con Lastanzadigreta pubblica due EP autoprodotti. 

Daniele Silvestri torna dal vivo al teatro Colosseo

Venerdì 18 novembre ore 21

Teatri 2022
sold out

Daniele Silvestri torna dal vivo con tanta musica inedita ‘in lavorazione’. Fedele all’originalità che contraddistingue ogni suo progetto,  in attesa dell’uscita del prossimo album ha deciso di non lasciare a casa il disco in lavorazione ma di portarlo in scena, costruendolo sul palco insieme al pubblico. “Non solo eseguiremo dei brani inediti – annuncia l’artista sui social – ma li scriveremo, riscriveremo, cambieremo e improvviseremo in ogni singola data sotto gli occhi di tutti quelli che verranno a vederci. Spettatori inevitabilmente partecipi – volenti o nolenti – di questa parte sperimentale e creativa dello spettacolo. Il resto…il modo e la forma…i contenuti stessi.. li lascio per ora alla vostra immaginazione”. Così, in maniera del tutto eccezionale, l’artista porta sul palco il suo processo creativo, collettivizzandolo e condividendolo con il suo pubblico, che diventa spettatore non solo di un concerto ma proprio della costruzione di nuova musica.

Benedetto Croce a 70 anni dalla scomparsa, giornata di studi

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CONVEGNO ALL’UNIVERSITA’ DI TORINO

 
VENERDI’ 18 NOVEMBRE, ORE 15 presso la SALA SEMINARI DI PALAZZO BADINI CONFALONIERI (Via Giuseppe Verdi 10, Torino), si terrà il Convegno “BENEDETTO CROCE A 70 ANNI DELLA SCOMPARSA” con la presenza di importanti relatori.
Il programma:
– Saluto del Prof. Matteo Milani (Direttore del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne)
– Benedetto Croce: Una vita per la nuova Italia (Prof. Emanuele Cutinelli – Rendina)
– Il Perché non possiamo dirci “cristiani” (Prof. Luca Badini Confalonieri)
– Benedetto Croce ed il magistero di Giovambattista Vico (Prof. Raffaele Ruggiero)
– Benedetto Croce e la letteratura del primo Novecento (Prof. Francesco Capello)
– Benedetto Croce e Mario Pannunzio (Prof. Pier Franco Quaglieni)
IL CONVEGNO E’ STATO REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO CONCESSO DALLA DIREZIONE GENERALE EDUCAZIONE, RICERCA E ISTITUTI CULTURALI DEL MINISTERO DELLA CULTURA
 
Prenotazioni: 3488134847 anche con Whatsapp o sms

Al Centro Pannunzio “Mario Soldati cineasta”

MERCOLEDÌ 16 NOVEMBRE ALLE ORE 17,30

in sede (via Maria Vittoria 35h, Torino), incontro sul tema “UNA RIFLESSIONE CON JEAN GILI SU MARIO SOLDATI CINEASTA” (in lingua italiana). In collaborazione con il Comitato di Torino della Società Dante Alighieri.
Chi  conosce  almeno  un   poco la storia del Centro “Pannunzio” di Torino, fondato nel 1968 da Arrigo Olivetti, Mario Soldati, Pier Franco Quaglieni ed altri, ricorda il lungo periodo della presidenza Soldati. Jean GILI, massimo studioso francese del cinema italiano, ha scritto un libro per mettere la lente d’ingrandimento su un aspetto specifico del lavoro creativo del grande scrittore torinese: “Mario Soldati, cinéaste malgré lui” (Rouge Profond, 2022). Il libro ricostruisce minuziosamente i contatti crescenti di Soldati con il mondo del cinema, a partire da quando negli anni ‘30 era di ritorno in Italia dagli Stati Uniti.

Aïda Muluneh The art of advocacy: la fotografia come strumento per il cambiamento

Speciale MARTEDÌ in CAMERA

15 novembre 2022 I Ore 18.30 I Gymnasium di CAMERA

Con ‘Advocacy’, termine difficile da tradurre in italiano, si intende un atteggiamento di supporto e promozione nei confronti di politiche in grado di modificare gli assetti sociali, economici o legislativi di un determinato territorio. È la parola scelta dalla fotografa Aïda Mulunehospite a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia per un incontro pubblico in programmamartedì 15 novembre alle ore 18.30, per descrivere il proprio lavoro, considerando l’arte e la fotografia come strumenti attivi di cambiamento.

Attraverso immagini dai colori accesi e brillanti, l’artista di origini etiopi residente dal 1985 in Canada combatte gli stereotipi attraverso i quali, solitamente, viene ritratta l’Africa, senza rinunciare a trattare i temi tipici della fotografia documentaria, attraverso una poetica dal forte impegno sociale.

Ho trovato un nuovo linguaggio visivo – commenta Aïda Muluneh – che mi ha dato la libertà di approfondire vari argomenti che non potevo esprimere attraverso il fotogiornalismo. Sto parlando dell’impatto della falsa rappresentazione a cui ha contribuito la fotografia, di come viene visto il mio continente, l’Africa, e di come le persone di colore siano state spesso emarginate dallo sguardo straniero.

Al centro dell’incontro a CAMERA ci sono progetti come Water Life (2018), Road to Glory (2020), Crimson Echo (2022), nei quali, all’interno di paesaggi scarni, i soggetti ritratti mettono in scena gesti e posture teatrali esaltati da una reinterpretazione delle pratiche di body painting e degli abiti tradizionali.

È così che elementi reali e ricostruiti si mescolano in immagini che pongono l’accento su temi di pregnante attualità come la scarsità dell’acqua, la diffusione di malattie tropicali che colpiscono intere comunità o, come nel caso di Road to Glory, realizzato su commissione del Premio Nobel per la Pace 2020, assegnato al World Food Programme, su momenti del passato in cui tragedie e sofferenze hanno colpito alcuni paesi cambiandone inevitabilmente la storia.

In quest’occasione Aïda presenterà anche alcuni dei progetti di valorizzazione del linguaggio fotografico in Africa, come l’Addis Foto Fest, da lei fondato nel 2010, e l’Africa Foto Fair, piattaforma virtuale nata con lo scopo di promuovere la cultura fotografica nel continente, creando ponti fra luoghi e persone.

Intervengono:

Aïda Muluneh, fotografa

Walter Guadagnini, direttore di CAMERA

Per prenotazioni, www.camera.to
Il singolo incontro ha un costo di 3 Euro.

Biografia

Nata in Etiopia nel 1974, Aïda ha lasciato il Paese in giovane età. Ha trascorso la sua infanzia tra Yemen e Cipro e si è stabilita in Canada nel 1985, dove ha iniziato a sperimentare con la fotografia durante gli anni del liceo. Dopo essersi laureata alla Howard University di Washington DC nel 2000, con una specializzazione in cinema, Aida è diventata una fotoreporter del Washington Post. Negli anni successivi ha investito il suo tempo lavorando a numerosi progetti ed esplorando diversi generi fotografici. Nel 2004, una parte del suo lavoro è stata acquistata dalla collezione permanente del National Museum of African Art dello Smithsonian Institute.

L’isola del libro. Speciale Elizabeth Gaskell

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Elizabeth Cleghorn Gaskell, nasce il 29 settembre 1810 a Londra e muore ad Alton il 12 novembre 1865. Figlia di un pastore unitariano e nipote del ceramista Wedgwood, quando ha appena un anno di vita perde la madre e quando ne ha 4 viene adottata da una zia materna. Cresce nella famiglia Holland in una tranquilla cittadina del Cheshire, a Knutsford, in piena campagna.
La sua è un’educazione liberale e all’insegna della tolleranza religiosa; negli anni della crescita legge moltissimo e viene abituata a formarsi una personale opinione autonoma su svariati argomenti.

Nel 1832 sposa il pastore William Gaskell, e lo aiuterà anche nell’insegnamento serale ai bimbi delle famiglie operaie. Nel 1844 muore il suo unico figlio maschio, dolore che faticò a metabolizzare; un aiuto le venne proprio dalla scrittura.
Il suo primo romanzo fu “Mary Barton” pubblicato anonimo nel 1848, nel quale metteva a nudo la cruda realtà dell’ambiente operaio di Manchester; suscitò reazioni estreme, come la messa al bando del libro che però, proprio per questo clamore, venne notato dal pubblico. Scrisse poi altri romanzi e racconti che riscossero successo; con i guadagni acquistò un cottage a Dalton nell’ Hampshire, dove si spense ad appena 55 anni, lasciando incompiuto il suo ultimo romanzo.

 

“Vita di Charlotte Brontë” -Neri Pozza- euro 25,00
Questo libro ha il pregio di riunire due grandi scrittrici che furono anche amiche, nonostante le loro esperienze di scrittura e i loro caratteri differenti.
La romanziera conobbe e strinse amicizia con l’altra grande autrice dell’epoca, Charlotte Brontë. Tra le due si sviluppò un fitto e interessante scambio di lettere e quando la Bronte morì, il padre chiese proprio alla Gaskell di scriverne la biografia.
In questo libro ricostruisce la vita dell’amica morta nel 1855; terza di 6 figli del pastore protestante irlandese Patrick Brontë, e di Maria Branwell.
Un atto di amicizia che ora Neri Pozza ripropone in nuova edizione. Un lavoro preciso e approfondito al quale la Gaskell si dedicò per due anni; ordinando la corrispondenza e gli appunti, visitando i luoghi dove la Bronte aveva vissuto, interrogando chi l’aveva conosciuta. Un omaggio che la Gaskell fece alla grande scrittrice, narrando anche i loro scambi e il loro rapporto di grande amicizia, ammirazione e stima reciproca.
Grazie allo studio di fonti di prima mano, la biografa ha ricostruito parecchi dettagli dell’esistenza della Brontë, nata il 21 aprile 1816. Nel 1820 la famiglia si trasferì ad Haworth, nella brughiera dello Yorkshire, in una modesta parrocchia di cui il padre era il curato, e dove l’anno successivo morì la madre sfibrata da 6 gravidanze in 7 anni, minata dal cancro.
Il lutto sarà sempre un ingombrante compagno nella vita di Charlotte; a partire proprio da quello per la morte della madre; anche se lei era ancora troppo piccola per conservarne il ricordo, le rimarrà dentro il vuoto di non avere avuto una mamma ad occuparsi di lei.
Sarà la zia materna, Elizabeth Branwell, a dedicarsi alla famiglia.
Leggiamo dell’allegria delle tre sorelline Bronte, chiaccherone e piene di fantasia, cresciute unite più che mai al cospetto del padre capace di brutale severità (come gettare nel fuoco le scarpette che temeva inducessero le sue bambine ad un’eccessiva vanità).
Poi c’è la spiacevole esperienza del collegio per figlie di ecclesiastici dove Charlotte fu costretta a stare insieme alle sorelle (di lì l’ispirazione per il Lowood in “Jane Eyre”).
Strazianti le morti premature per consunzione delle due sorelle maggiori, di appena 10 e 11 anni, vittime delle spaventose condizioni dell’istituto ( sporcizia, freddo e fame) e che mineranno per sempre la salute di Charlotte ed Emily. La loro dipartita sarà il preludio all’arrivo di una tempesta di tristezza che non lascerà più Charlotte, ma aggiungerà anche grandezza, spessore e valore ai suoi scritti.
Charlotte, nel reportage della Gaskell, è una ragazzina appassionata di disegno, politica e soprattutto di storie, che tutta la famiglia amava inventare, arricchendole di personaggi e avventure. Abilità che caratterizzò Charlotte, la quale non si accontentò della professione di istitutrice presso famiglie benestanti, ma rincorse con tenacia il sogno di scrivere.
Passione e abilità che condivise con le sorelle; nel 1847 tutte e tre pubblicarono i loro romanzi. Charlotte propose prima “Il professore” che però fu rifiutato dagli editori, mentre “Jane Eyre” –accettato e dato alle stampe con lo pseudonimo di Currer Bell- sarà subito un successo. Seguiranno “Shirley” e “Villette”.
Tra il 1848 e il 49 assisterà impotente alle morti del fratello Brandom, poi della sorella Emily ed infine di Anne. Anni pesantissimi in cui resterà sola nella canonica con il padre diventato cieco. Periodo in cui si consoliderà l’amicizia e la fitta corrispondenza con la Gaskell. Poi il matrimonio con il coadiutore della parrocchia paterna, il reverendo Nicholls, nel 1854, e la sua vita che si concluse mentre aspettava il primo figlio, nel 1855, per complicanze della gravidanza.

Alcune opere di Elizabeth Gaskell

“Mary Barton” -Elliot- euro 14,50
E’ il suo primo romanzo, pubblicato nel 1848 in forma anonima. E’ il crudo e realistico affresco dell’ambiente operaio di Manchester, tra 1830-40, in epoca vittoriana, attraverso le vicende di due famiglie della classe operaia.
Da un lato John Barton che porta avanti le sue idee in merito alla distribuzione della ricchezza e le relazioni tra ricchi e poveri.
Dall’altro l’onesto Jem Wilson che cerca di aiutare in tutti i modi Mary, figlia di John. Fa la sarta ed è alle prese con la difficile sopravvivenza, orfana di madre e con un padre depresso che inizia a frequentare le organizzazioni sindacali.
Nel romanzo vengono sviluppati più punti: dall’importanza delle madri in seno alle famiglie, ai sentimenti fraintesi o non capiti, fino ad arrivare all’assassinio.

“Cranford” -Elliot- euro 13,50

Tra 1851-3 è apparso dapprima come racconto “La nostra società a Cranford” sulla rivista “Household Words”, edita da Charles Dickens che apprezzò moltissimo lo scritto e spinse la Gaskell a scrivere il seguito (diventato poi il romanzo “Cranford”).
E’ una serie di racconti ambientati nella cittadina provinciale di Cranford, in cui sono descritte figure di donne, nobili e plebee, sposate e non; per lo più nubili che si destreggiano per conservare le apparenze borghesi sebbene dispongano di poco denaro.
Tra il rito del tè e una partita a carte si tengono compagnia, si confidano e si aiutano tra loro, al di là delle differenze di classe. Emerge il quadro ironico e lieve di un mondo femminile in cui gli uomini occupano una posizione di contorno e restano relegati sullo sfondo.

 

“Ruth” –Elliot- euro 22,00

Fu pubblicato nel 1853 e all’epoca destò un certo scandalo nella società vittoriana per i temi trattati.
E’ la storia della giovane orfana Ruth che si mantiene facendo la sarta, e conduce una vita umile, onesta e laboriosa.
Le cose cambiano quando conosce il nobile Henry Bellingham dal quale avrà un figlio illegittimo. Finisce così per diventare una “fallen woman” ovvero una donna perduta ai margini del consesso sociale.
Il romanzo non era ancora stato tradotto in italiano e il merito di questa operazione va alla casa editrice Elliot, che ci fa conoscere un romanzo di grande impegno sociale.

“Mogli e figlie” -editore Jo March- euro 19,00

Iniziò ad essere pubblicato a puntate nel 1864 sulla rivista “Cornhill Magazine” però rimase incompiuto. Ambientato nel villaggio di Hollingford e nei salotti della buona borghesia e della nobiltà che viveva in dimore sontuose, narra le vicende di Molly Gibson.
Mette a confronto le vite di due giovani donne, Molly e Cynthia, dai caratteri opposti. Una sensibile e generosa, l’altra frivola ed esuberante; la vita le ha fatte incrociare con le seconde nozze tra i rispettivi genitori.
Il lettore segue soprattutto l’eroina Molly; i suoi tentativi di crescere formandosi una personalità indipendente, capace di destreggiarsi tra sentimenti, forza di volontà e rigidi schemi sociali.

Per non dimenticare padre Dall’Oglio. Il Film: The conference of the birds

Il Centro Federico Peirone, il Torino Film Festival e l’Associazione Amici di Deir Mar Musa presentano

Anteprima del Torino Film Festival, martedì 22 novembre ore 20,30, sala 3 cinema Massimo, Torino

Intervengono : il regista Shahab Kermani, Sr Friederike, monaca della comunità di Deir Mar Musa, Immacolata Dall’Oglio, sorella di padre Dall’Oglio

Dietro la storia raccontata dal Film si staglia la figura di padre Paolo Dall’Oglio, il religioso italiano , scomparso a Raqqa in Siria il 29 luglio 2013, che fondò nei primi anni Novanta la comunità di Al- Khalil , più nota col nome di Deir Mar Musa,  il monastero Incastonato tra le montagne deserte del Qalamun, in Siria, da lui restaurato. Un magnifico “nido d’Aquila” sulla piana arida di Nebek. Una comunità fondata da padre Dall’Oglio nell’orizzonte particolare di vivere l’armonia islamo-cristiana.

Il film

Durante la guerra civile siriana, alcuni monaci e monache della comunità siro-cattolica di Al-Khalil  in fuga dal convento  Deir Mar Musa in Siria hanno trovato una nuova casa nel loro monastero “fratello”  di Deir Mar Maryiam nella città di Sulaymaniyah, nel Kurdistan irakeno.

Qui hanno accolto molte famiglie in fuga dall’Isis che aveva occupato la piana di Ninive , abitata da molte famiglie cristiane.  Come uno dei diversi programmi ospitati dalla comunità, i partecipanti mettono in scena un’opera teatrale sulle basi del poema “La conferenza degli uccelli” del mistico islamico Farid ud Din Attar ( XII secolo) , intrecciando le allegorie del poema con le proprie esperienze personali. È l’estate 2017. L’ISIS è in ritiro . Sono gli ultimi giorni in comunità per questo popolo di origini e credenze diverse, che condivide la vita quotidiana nel piccolo roseto. Il film ci presenta la vita quotidiana nel monastero intrecciata con la preparazione dell’opera teatrale.

Il titolo è tratto direttamente dal Corano , 27:16 , dove si dice che Sulayman ( Salomone ) e Dāwūd ( Davide ) abbiano imparato la lingua, o il linguaggio, degli uccelli ( manṭiq al-ṭayr). Nel poema, gli uccelli del mondo si riuniscono per decidere chi sarà il loro sovrano, poiché non ne hanno. L’ upupa , la più saggia di tutte, suggerisce di trovare il leggendario Simorgh . L’upupa guida gli uccelli, ognuno dei quali rappresenta una colpa umana che impedisce al genere umano di raggiungere l’illuminazione.

Prima del film viene trasmesso un videoclip dello stesso regista sulla protesta delle donne iraniane.

Costo del biglietto 6 Euro

( il film è sottotitolato in Italiano)

Il settimo giorno lui si riposò, io no 

Venerdì 18 novembre, ore 21

Teatro Concordia, Venaria Reale (TO)

Le parole argute e ricche di humour di Enrica Tesio e le musiche eseguite dal vivo da Andrea Mirò

 

 

“Il settimo giorno lui si riposò, io no” non è soltanto uno spettacolo: è una seduta di autoaiuto, un monologo sulla vita di una donna come tante, ma con occhiaie uniche nel suo genere!

Siamo tutti vittime di una stanchezza pressoché cronica. O crediamo di esserlo. Non molti anni fa perfino il Papa decise di mollare, perché troppo stanco. Nessuno di noi, invece, può dimettersi dalle proprie quotidiane stanchezze. È il punto di partenza dell’esplorazione che Enrica Tesio, blogger e autrice, compie in “Tutta la stanchezza del mondo” (Bompiani, 2022), ironico diario privato di fatiche collettive: la fatica delle madri, quella da social, la stanchezza della burocrazia, del diventare adulti, perfino la stanchezza della bellezza. Dalla pagina al palcoscenico il salto è breve, e obbligato. Perché noi siamo il popolo del multitasking che diventa “multistanching”. Siamo quelli che scorrono le pagine dei social per misurare le vite degli altri, quelli che riempiono di impegni i figli per paura di non stimolarli abbastanza, quelli che la sera si portano il computer in camera da letto per guardare una serie e intanto rispondere all’ultima mail. Quelli che, per riposarsi, si devono concentrare.

A fare da contrappunto alle parole argute e piene di humour di Enrica Tesio sono le musiche eseguite dal vivo da Andrea Mirò: una selezione di musiche originali e brani di grandi autori in cui la visione slow della vita si interseca, e si contrappone, alla frenesia dei tempi moderni esprimendo una prospettiva totalmente diversa, avulsa, distante e, probabilmente, salvifica. Da Rino Gaetano a Giorgio Gaber, da Enzo Del Re a Niccolò Fabi, fino a Lucio Dalla passando attraverso i brani della stessa cantautrice astigiana: una trama fatta di sonorità raffinate e suggestioni poetiche per celebrare, in musica, un elogio alla lentezza.

Il racconto, a due voci, di due donne straordinariamente talentuose per uno spaccato, attualissimo e incredibilmente ironico, del nostro tempo.