CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 38

Polledro, il violinista ritrovato di Piová. Dal Teatro Regio al concerto con Beethoven

A Piová Massaia, borgo del Monferrato astigiano, nacque Giovanni Battista Polledro (1781-1853) violinista e compositore allievo del maestro Maurizio Calderara di Casale Monferrato che impartì lezioni quotidiane per oltre tre anni al musicista piovese attivo nella prima metà del 1800, oggi dimenticato, che raggiunse una celebrità di dimensione europea. Il padre Teodoro, vista la passione del figlio per il violino già sviluppatasi dall’infanzia, lo affidò al primo violino astigiano Gaetano Vay apprendendo l’arte e l’abilità che lo distingueranno tra gli altri violinisti.
Nel 1796 il quindicenne Polledro si trasferì a Torino e diventò allievo del maestro Pietro Paris della Regia Cappella, trovando impiego l’anno successivo nell’orchestra del Teatro Regio con un compenso di 100 lire tramite Gaetano Pugnani, uno dei migliori violinisti dell’epoca e primo virtuoso della Camera Reale. Polledro si trasferì nel 1805 da Torino a San Pietroburgo e Mosca, nel 1811 a Varsavia e Bratislava, nel 1812 a Berlino e Lipsia, raggiungendo una fama continentale che nessun musicista avrebbe potuto vantare, tranne Mozart. Il 6 agosto 1812 a Karlsbad avvenne l’incontro tra il modesto Polledro e il grande Beethoven che rese celebre il nostro violinista. I due musicisti organizzarono in sole dodici ore un concerto di beneficenza definito “un povero concerto dei poveri”, dedicato ai superstiti dell’incendio della città di Baden.

Beethoven lo accompagnò al pianoforte riferendo che il “signor Polledrone aveva suonato bene dopo aver superato il suo abituale nervosismo”. Nel 1816 la competizione tra i monarchi europei proiettò Polledro dal re di Sassonia come primo violino per 1500 talleri e Dresda fu definita la città della musica di Corte grazie al suo virtuosismo. Definito uno dei più eccellenti concertisti dell’epoca, fu assunto a Praga nel 1821 come maestro di cappella. In quello stesso anno si concludeva il regno di Vittorio Emanuele I° il quale, costretto anche dalla ribellione al suo governo dei militari della Cittadella, abdicava in favore del fratello Carlo Felice. Molto assente da Torino, Carlo Felice preferiva soggiornare a Genova e in Savoia, oppure nei castelli di Govone e di Agliè. Per risollevare le sorti del suo Teatro, ritornato all’antico appellativo di Regio, richiamò in patria Giovanni Battista Polledro conosciuto in Europa come uno dei pochi emuli di Paganini.

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Il compenso per il suo ritorno fu di 5000 lire equivalenti ai 1500 talleri percepiti in Sassonia, oltre ad un alloggio nei Palazzi Reali, facendo conoscere ai torinesi le grandi composizioni del classicismo viennese acquistando partiture di editori tedeschi. Nel 1831 Polledro rivendicava l’importanza della funzione del direttore d’orchestra in sostituzione del tradizionale ruolo del primo violino che imponeva un ruolo subalterno all’orchestra e al direttore. Fu fortemente contestato dall’autoritarismo della Società dei Cavalieri, rinato gruppo di aristocratici avversi alla sua ventata di novità. Dopo la morte di Carlo Felice la società fu sciolta con l’avvento di Carlo Alberto, non incline alla musica, assegnando ad una gestione impresariale le sorti del Teatro Regio ed il Teatro Carignano.

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Le sue più importanti composizioni furono la Missa Solennis per coro e orchestra e la Sinfonia Pastorale. Acquistò due violini, un Amati e un Guarneri del Gesù, le industrie cremonesi che produssero l’eccellenza della liuteria mondiale unitamente a Stradivari. A Torino nel 2012 è stata fondata l’orchestra da camera Giovanni Battista Polledro diretta dal maestro Federico Bisio, intitolata all’ultimo rappresentante della scuola violinistica piemontese. La storia dell’illustre piovatese è emersa grazie alle ricerche dell’avvocato Paolo Lupo e della professoressa Clelia Parvopassu.

Armano Luigi Gozzano 

La marchesa Beatrice Bergera Gozzani. Da Chieri a Casale Monferrato

 

 
Genealogia di un territorio e il canto 
popolare di Cavoretto 
Le proprietà della nobildonna torinese residente nel palazzo Gozzani San Giorgio di Casale Monferrato furono molto ambite e oggetto di svariate controversie e cause civili tra l’avvicendamento dei successori e le comunità di Asti e Villanova d’Asti (vassalla di Dusino) per la giurisdizione del territorio del Ducato di Savoia e Principato di Piemonte. Il feudo di Cly nel comitato di Aosta risalente al XII° secolo che comprendeva Verrayes, Dièmoz, Saint-Denis, Chambave, Torgnon e tutta la Valtournenche apparteneva alla famiglia Bosoni Challant visconti di Aosta, signori di Cly e Châtillon. Pietro, ultimo esponente Challant, ereditò il feudo dal padre Bonifacio ma il conte verde Amedeo IV° di Savoia confiscò i suoi beni per fellonia nel 1376, privandolo del titolo a causa della collera, prepotenza e tirannia verso i sudditi. Il conte, visto l’atteggiamento nei suoi confronti, cedette per transazione allo Challant il feudo di Chatel Saint-Denis nel 1384, amministrato dai suoi castellani fino al 1500, in cambio del mandamento di Cly assunto dai signori di Vernier. Il feudo di Cly fu venduto dal duca Carlo III° di Savoia, il despota illuminato, a Cesareo Cristoforo Morales nel 1550, capitano delle truppe spagnole in guerra contro i francesi ed in seguito confinato a Lipari per tradimento.
Il duca Emanuele Filiberto di Savoia lo vendette con beneficio di riscatto al suo segretario di Stato Giovanni Fabbri di Aosta nel 1562, baroni di Cly fino al 1637. Il marchese di Caselle Pietro Filiberto Roncas ereditò la proprietà nel 1638 trasferendo i resti delle vecchie mura del castello di Cly segnandone l’inevitabile declino per edificare il proprio palazzo con torre a scalare. Il feudo fu ereditato dal barone Giacomo Francesco Antonio Bergera nel 1735, marito di Giovanna Margherita dei conti Possavino di Chieri, conti di Brassicarda dal 1580 e baroni di Cly. Beatrice Teresa Bergera marchesa di San Giorgio Monferrato, contessa di Cly e Brassicarda fu infeudata dei territori nel 1778 con il marito Giovanni Battista Gozzani marchese di San Giorgio, Perletto e Pontestura, detto il marchese d’Olmo Gentile che edificarono i palazzi San Giorgio di Casale e Torino. I feudi furono ereditati da Carlo Antonio Gozzani e da Sofia Doria di Ciriè, immortalati nei ritratti casalesi di Vittorio Amedeo Grassi di Agliè, pittore ufficiale di Corte a Torino e nel 1816 da Carlo Giovanni Gozzani, cresciuto sotto tutela della zia Clara Gozzani contessa di San Giorgio.
Il groviglio feudale si concluse con Evasio Gozzani detto il cavaliere di Brassicarda (Roma 1838-Pisa 1913) nipote del più famoso Evasio detto il marchese pazzo, amministratore del principe Camillo Borghese e di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone. Da ricordare il vescovo di Torino Giulio Cesare Bergera (1593-1660) dei conti di Beinasco, Piobesi e consignori di Villarbasse e Cavallerleone che ingrandì la chiesa di Chieri. La bergera è anche un canto arcaico dal testo pastorale amoroso in  dialetto piemontese originario della collina di Cavoretto, elaborato secondo la lirica da camera tedesca senza stravolgere la forma da Leone Sinigaglia, compositore torinese dell’alta borghesia ebraica perseguitato dal nazifascismo. Trasferitosi a Vienna incontrò Brahms, Mahler e a Praga conobbe Dvorák, da cui ereditò l’interesse per il canto popolare, raccogliendo oltre 500 melodie  quasi scomparse. Il brano fa parte del repertorio del Casale Coro diretto dal maestro Giulio Castagnoli. Per ricordarlo è stata posta una pietra d’inciampo davanti al Conservatorio di Torino dove fu direttore del liceo musicale e Chivasso gli ha intitolato un istituto musicale comunale.
Armano Luigi Gozzano

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Valérie Perrin “Tatà” -Edizioni e/o- euro 21,00

La Perrin ha l’innegabile capacità di inserire tombe e cimiteri nelle storie che racconta, riuscendo a rendere l’argomento magnetico ed accattivante. Dopo l’esordio con il best seller “Cambiare l’acqua ai fiori”, anche in questo romanzo, morte, segreti e famiglie fanno la parte del leone. E nonostante “Tatà” non sia superlativo come il primo romanzo, lo stile Perrin aleggia comunque.

L’inizio è di quelli che catalizzano subito l’attenzione.

Una telefonata dalla gendarmeria di Gueugnon annuncia la morte di Colette Septembre all’unica parente indicata in uno scritto della defunta. Ma come si spiega che la donna era già stata dichiarata morta e sepolta tre anni prima?

Al telefono risponde Agnès Dugain, regista parigina 38enne, in piena crisi professionale e sentimentale; Colette era la sorella di suo padre.

Immaginate la sorpresa dato che la notizia della dipartita della zia le era già stata comunicata in passato; all’epoca però lei era in America e dei funerali si era occupato un amico dell’anziana signora. Il rebus è: chi era stato seppellito?

Questa volta Agnès sta attraversando un momento difficile e nulla la trattiene nella capitale francese; dopo che il fascinoso marito Pierre, attore in tutti i suoi film e padre della loro figlia Ana, l’ha lasciata per un’attrice.

La protagonista parte subito alla volta del minuscolo paesino della Borgogna per fare luce sulla doppia morte di “Tatà”.

E’ così che la chiamava affettuosamente quando, da bambina, trascorreva con lei le vacanze estive; mentre i genitori -entrambi affermati musicisti- andavano in tournée in giro per il mondo.

Colette era stata una zitella silenziosa e anonima la cui vita si animava intorno a due interessi: il suo lavoro di calzolaia nella piccola bottega del villaggio e la dirompente passione per la squadra di calcio locale della quale non perdeva neanche una partita.

Ora, all’obitorio, la salma che Agnès riconosce è proprio quella di Tatà; più vecchia e magra di quando l’aveva vista l’ultima volta, ma è lei senz’ombra di dubbio. Come spiegare che Colette sarebbe morta due volte? E chi giace sotto la sua lapide?

Agnès si sistema su un materasso buttato in terra nella casa della buon’anima e cerca di capire il mistero della sua duplice dipartita. In eredità la zia le ha lasciato una valigia piena di cassette registrate in cui svela i segreti della sua vita.

Poco per volta emergono infiniti e sorprendenti retroscena che restituiscono una Colette Septembre completamente diversa, inaspettata e capace di gesti di grande coraggio.

Nel romanzo di 600 pagine sono ricostruite anche le vite di altri personaggi che avevano incrociato il tragitto di Tatà; con il fardello di tragedie, violenze, amori, fughe, omicidi e segreti che compongono l’affresco di una vita unica.

Quella che Colette aveva celato, adottando la tecnica difensiva di apparire una donna insignificante.

 

 

J. Bernlef “Chimere” -Fazi Editore- euro 16,50

E’ uno dei romanzi più notevoli del Novecento letterario olandese e le chimere del titolo alludono al tema delle illusioni; qualcosa che rincorriamo senza mai riuscire ad afferrarlo. Tema centrale è la perdita di memoria che sta affossando il protagonista Maarten Klein; 70enne che dall’Olanda si era stabilito da tempo sulla costa nord di Boston in America.

Trascorre una vita appartata insieme alla moglie Vera, scandita da piccoli rituali e rasserenanti abitudini; mentre i figli, ormai adulti, vivono lontani e latitanti.

Il confortante tran tran quotidiano si infrange la mattina in cui Maarten confonde i giorni e dalla consueta passeggiata con il cane torna a casa senza di lui. Da anni è in pensione ma un giorno si veste come per andare al lavoro; poi scambia la notte con il giorno…..e così via, penalizzato dalla memoria che si appanna sempre più.

La malattia inizia con questa modalità, poi avanza come un panzer.

Marteen regredisce al punto di non riuscire ad alzarsi da solo o andare in bagno, e si dice convinto che i suoi genitori -morti da anni- siano ancora vivi.

Al costante declino assiste con crescente angoscia la moglie, impreparata al tornado della malattia che le sta portando via il compagno di 50 anni di vita. Poi subentrano altri personaggi ai quali Vera chiede aiuto; il medico e la giovane badante Phyl, che Maarten scambia per un’amica dei figli.

Se è vero che gli anziani vivono di ricordi, quando li smarriscono, alla fine rimane solo il nulla e una vita sfumata.

Bernlef è straordinario nel descrivere la discesa agli inferi della malattia che spazza via tutto e si chiede se sia peggio il destino di lei o quello di lui.

Infatti, non sembra meno doloroso il ruolo di Vera che, impotente e disperata, vede la persona amata perdersi progressivamente nell’ oblio, fino a dimenticarla.

 

 

A cura di Maria Luisa Frisa “I racconti della moda” Einaudi- euro 19,50

La curatrice è un’esperta di moda, critica e fondatrice del corso di laurea in Design della moda e Arti Multimediali, docente all’Iuav di Venezia. Ha raccolto scritti sull’argomento ad opera di svariati autori.

Risultato: un poliedrico collage che mette a fuoco il linguaggio universale della moda. Un sistema ibrido che veleggia tra: cultura, gusti, industria, creatività, sogno (a volte irraggiungibile); ma anche necessità quotidiana, mercato e molto altro.

15 storie concentrate in una sorta di breve antologia; altrettanti pensieri intorno all’universo “moda” espressi da scrittori diversissimi tra loro. Da Bret Easton Ellis a Joyce Carol Oates, da Jhumpa Lahiri a Irene Brin, passando per Michela Murgia e Pier Vittorio Tondelli; giusto per darvi l’idea del livello del libro.

Un viaggio colto e affascinante che traccia un percorso a partire dagli sfarzosi salotti di inizio Novecento per giungere alle variegate creazioni contemporanee. E poiché la moda non è solo il modo di vestirsi, il libro percorre anche le traiettorie di filosofia, sociologia, psicologia, storia, economia……

L’abbigliamento come vestito di un’epoca, con la sua estetica e le esigenze del vivere quotidiano, il modo di essere ed apparire. Basti pensare allo scritto di Jhumpa Lahiri che descrive le uniformi degli studenti di Calcutta, spiegando il loro significato sociale e l’identità imposta attraverso gli abiti indiani tradizionali.

Uno spaccato del senso più intrinseco e profondo dei vestiti che non fanno solo da intercapedine tra il nostro corpo e il resto del mondo; ma sono anche espressione di come siamo e come vorremmo essere. 15 voci che, pur nelle diverse idee, corrono sul filo comune che riconosce la moda come un aspetto fondante della nostra vita. E infiniti possono essere i modi di decodificarne i significati e funzioni.

 

 

Louise Penny “Il più crudele dei mesi” -Einaudi- euro 17,00

La pluripremiata scrittrice nata a Toronto, l’unica ad aver vinto per 4 anni consecutivi il prestigioso premio Agatha Award for Best Novel, imbastisce una nuova avventura per l’amato ispettore Armand Gamache, protagonista di altri suoi libri.

Il noir è ambientato nell’idilliaco paesino creato dalla fantasia dell’autrice, Three Pines, in Quebec. Siamo nei giorni precedenti la Pasqua, Gabri e il compagno Oliver gestiscono un B&B nel centro del villaggio ed ospitano una veggente e maga, Jeanne Chauvet, il cui arrivo crea un certo scompiglio.

Un po’ per gioco, per curiosità, per spezzare la monotonia e anche per scacciare l’aura di tristezza che -secondo gli abitanti- aleggia da tempo, decidono di fare organizzare alla medium una seduta spiritica.

La location scelta è la vecchia e abbandonata casa degli Hadley, in passato teatro di un omicidio e parecchie altre sventure. Ma, la seduta che dovrebbe servire a scacciare spiriti e fantasmi, si trasforma in tragedia. Una donna stramazza al suolo e muore. In un primo tempo si pensa che a ucciderla sia stato lo spavento.

La vittima è Madeleine Favreau, signora che sprigionava una luce tutta particolare, di quelle che mettevano in ombra chi la circondava.

Qui entra in scena il commissario Armand Gameche, della Sureté del Quebec; uomo integerrimo, con acume superiore alla media, autorevole, ma anche ricco di sentimento. Lui non crede alla morte per cause naturali e con la sua squadra inizia le indagini a tutto tondo.

Gameche cerca di individuare cosa e chi si nasconda dietro questa morte; ma finisce per infilarsi in una rete di eventi che potrebbero distruggergli carriera e famiglia…

 

La Liguria vince con Olly

Il maxischermo di Regione Liguria, in piazza De Ferrari, si è illuminato per celebrare la vittoria del cantante ligure Olly, che si è aggiudicato la settantacinquesima edizione del Festival di Sanremo. Sul maxischermo è stato presentato il ritratto del cantante, accompagnato dalla frase “Grazie Olly – la Liguria vince il festival”.

Protagoniste in piazza De Ferrari anche le note che hanno trionfato in finale: Regione Liguria e Comune di Genova hanno infatti omaggiato il vincitore trasmettendo nella piazza la sua canzone, ‘Balorda nostalgia’.

“Abbiamo voluto celebrare questa splendida vittoria condividendo le parole e la melodia che hanno vinto Sanremo con tutti i cittadini e i turisti che sono passati davanti alla sede della Regione – spiega il presidente della Regione Liguria Marco Bucci – Olly, che con la sua canzone ha fatto emozionare tutta Italia, è un vero e proprio orgoglio ligure. I migliori auguri, da parte mia e di tutta la Regione, per il prosieguo della sua carriera nel mondo della musica: Olly, con la sua arte e il suo legame con il nostro territorio, ci darà certo molte altre occasioni per portare un pizzico di Liguria nelle case e nei cuori di tanti ascoltatori”.

“Le note di Balorda Nostalgia, che riempiono piazza De Ferrari, sono l’ideale omaggio a Olly che con la sua vittoria al Festival di Sanremo ci ha regalato una gioia immensa – dichiara il facente funzioni sindaco di Genova Pietro Piciocchi – Lo abbiamo visto, in queste serate, esibirsi sul palco dell’Ariston con agli auricolari con la bandiera di San Giorgio, segno del forte legame con Genova: noi tutti genovesi siamo orgogliosi di lui e lo ringraziamo per le emozioni che ci sta regalando”.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Seeyousound e Uri Caine Trio

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Lunedi. All’auditorium del Lingotto 2 concerti consecutivi per Claudio Baglioni (il primo è andato in scena domenica 16).

Martedì. Per Vitamine Jazz all’ospedale Sant’Anna, omaggio a Pino Daniele a cura del chitarrista Max Gallo accompagnato dalla figlia Mirella.

Mercoledì. All’osteria Rabezzana musica argentina con Miguel e Lautaro Acosta. Al Capolinea 8 si esibisce Beppe Puso. Allo Ziggy suonano gli Actors+ Estetica Noir.

Giovedì. Al teatro Colosseo si esibisce Andrea Morricone. Al Blah Blah sono di scena i Sloks. Al Magazzino sul Po suonano i Lamita! Al Capolinea 8 si esibisce Gianluca Vigone. All’ Hiroshima Mon Amour suonano i LabGraal. Alla Divina Commedia sono di scena i Draft Impro NBA. Al teatro Bloom suona il gruppo di Giorgio Diaferia, che per l’occasione presenta il cd “A Planet to Save” con immagini e video sulla situazione dei cambiamenti climatici.

Venerdì. Comincia Seeyousound. L’inaugurazione al cinema Massimo è affidata al documentario “Blur: ToThe End”, dedicato a una delle band più famose del Britpop. Sarà presente in sala il regista Toby L. Verrà preceduto dall’esibizione live degli Sleap-E. Al Magazzino di Gilgamesh suona la Mike Sponza Band. Al Folk Club sono di scena Michele Gazich & Giovanna Famulari. Al teatro Colosseo si esibiscono i Break Free, una cover band molto quotata con “Long Live The Queen”. Allo Spazio 211è di scena Coca Puma. Allo Ziggy suonano Saam+ Gordonzola. Al Blah Blah si esibiscono gli SKW & AsThe Sun.

Sabato. Per Seeyousound da segnalare tra le varie proiezioni : “Misty- The Erroll Garner Story” alla presenza del regista Georges Gachot, “Imago” con in sala la regista Olga Chajdas, “BornTo BE Wild: The Story of Steppenwolf” alla presenza del regista Oliver Schwehm, “Soundtrack To A Coup D’ETAT” di Johan Grimonprez. Allo Ziggy si esibisce Davide Di Rosolini. Allo Spazio 211 è di scena Marta Del Grandi + Giulia Impache. Al Blah Blah si esibisce Umberto Maria Giardini in duo + Napodano+Manleva. Al Folk Club suona l’Uri Caine Trio. Al Capolinea 8 è di scena Beppe Golisano Post Jazz Project.

Domenica. Per Seeyousound “Guido Harari- Sguardi Randagi” . Alla presenza del regista Daniele Cini, di Guido Harari e Shel Shapiro, “Musicanti Con La Pianola” con la presenza del regista Matteo Malatesta, di Pivio e Aldo De Scalzi preceduti dal live Pivio & Aldo DE Scalzi, “Garland Jeffreys-The King Of Between” di Claire Jeffreys + “Joshua Idehen- Mum Does The Washing”, “Booliron- Hip Hop In Riviera” di Francesco Figliola alla presenza del regista, a seguire live “Tormento e Dj Mastafive e altri

Pier Luigi Fuggetta

Le case floreali di Gribodo: l’edilizia gentile a Torino

Torino è la città del Liberty, si sa. Passeggiando per le belle ed eleganti vie della citta’, soprattutto nei quartieri di Cit Turin e di San Donato, e’ facile innamorarsi dei palazzi che rappresentano questo stile raffinato che, tra fine ‘800 e i primi del 1900, diede un tocco di gusto ai progetti urbani. Conosciamo bene i capolavori di Pietro Fenoglio come Villa Scott, Casa Lafleur, il Villaggio Leuman, ma anche le case popolari di Via Marco Polo e di Via Ravello. La citta’ della prima Esposizione di Arte Decorativa Moderna del 1902 ci regala scenari affascinanti e particolari unici e di pregio presenti non solo negli edifici residenziali ed industriali, ma anche nelle insegne, nelle vetrine dei negozi e dei caffe’.

Tra coloro che contribuirono alla realizzazione di queste palazzine e villini romantici e floreali, ornati da graziose minuzie, troviamo Giovanni Gribodo che visse a cavallo del 1800 e 1900. Ingegnere e architetto, laureato presso la Scuola di Applicazione di Torino, particolare che lo accomunava a Fenoglio, era anche un entomologo; un uomo dalle diverse passioni e interessi, dunque, dallo studio degli insetti, a cui si dedico’ di piu’ a fine vita, alla progettazione di residenze dal volto gentile.

I giri turistici della citta’ pianificano sempre piu’ percorsi dove queste belle opere edilizie del Liberty sono le protagoniste, ma passeggiare fuori dal centro ed ammirare questi veri e propri capolavori attira anche i cittadini che non si stancano di visitare le meraviglie affascinanti della loro Torino.

Tra gli edifici piu’ importanti realizzati da Giovanni Gribodo ne troviamo cinque solo a via Piffetti:

Cominciamo con il civico 3, la Palazzina Mazzetta con i suoi balconi in ferro dai disegni intrecciati su un fondo grigio che le da’ un tono austero; al numero 5, invece, c’e’ Casa Masino, un edificio in mattoni rossi caratterizzato dal balcone centrale che ospita due volti femminili in pietra. Le finestre sono decorate da fregi floreali come il bel portone d’ entrata. Al 7 scopriamo, con il suo stile un po’ fiabesco, una palazzina a due piani chiamata Pola-Majola come il suo committente, edificata nel 1907 che non ebbe speciali decorazioni come le altre, ma possiede un fascino particolare che ci riporta allo stile gotico. Le Palazzine, che si trovano al civico 10 e 12, sono probabilmente le piu’ famose opere di Gribodo, due villini magnifici decorati con un centrino di motivi naturalistici in pietra bianca, inferriate in ferro battuto, balconi e vetrate con particolari preziosi.

In via Belfiore 66, in zona San Salvario, si trova un altro edificio realizzato dall’ architetto Gribodo che fu un po’ dimenticato rispetto agli altri suoi colleghi che divennero piu’ noti. Si tratta di Casa Audiberti Mottura, una bella palazzina con balconi decorati e una scala interna con particolari vivaci e colorati. Nella zona della Crimea, sull’altra sponda del Po, lo stesso architetto ha studiato e costruito il Villino Giuliano, in via Luigi Gatti 17. Composto da tre piani, questa casa dai colori caldi, e’ caratterizzata da molti dettagli tipici all’Art Nouveau: immagini di fiori, pietra scolpita e disegni geometrici morbidi classici del periodo. Nel quartiere Cenisia, in via Perosa 56, c’e’ un piccolo edificio che rappresenta un esempio in miniatura del periodo Liberty: una piccola palazzina, con un portone davvero insolito, incastonata tra edifici piu’ moderni e dai toni delicati, chiamata Casa Bosco Tachis. Tornando al quartiere di San Donato non si puo’ rimanere indifferenti davanti ad edificio piu’ corposo e perfino possente dal nome Casa Cooperativa, un palazzo in mattoni rossi ornato con rose, foglie e con dei balconi caratterizzati da disegni che si ispirano ad un floreale piu’ moderno e tondeggiante. All’interno troviamo un meraviglioso scalone bianco e nero dalla forma ovoidale davvero suggestivo

A un’ora circa da Torino e precisamente a Coazze e’ si trova un’altra opera di questo fantasioso architetto: Villa Martini, divenuta poi Antonietta, dove il Liberty viene esaltato sia all’esterno, ma anche all’interno con i suoi mobili in stile. Questa casa, edificata al centro un bellissimo giardino, ebbe ospiti illustri come `Luigi Pirandello, il Conte Cavour e Vittorio Emanuele II.

MARIA LA BARBERA

Re Umberto I, il conservatore che abolì la pena di morte

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Prese parte alla Seconda Guerra d’Indipendenza, distinguendosi nella battaglia di Solferino del 1859.Il 9 gennaio del 1878, alla morte del padre, salì sul trono italiano con il nome di Umberto I e con il nome di Umberto IV su quello sabaudo, dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l’unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo

Nel piazzale, davanti alla Basilica di Superga, si innalza imponente il monumento dedicato al Re Umberto I di Savoia. Su un basamento di marmo si erge un Allobrogo, guerriero capostipite dei piemontesi, con indosso un elmo alato, lunghe trecce, ascia e corno di guerra. Il guerriero tiene un braccio levato mentre con l’altro punta una spada sulla corona ferrea circondata dalle palme del martirio, in segno di fedeltà e con accanto uno scudo sabaudo lambito da due serpenti, simboli rispettivamente della dinastia reale e del tempo. Alle spalle del guerriero si trova un’ alta colonna corinzia di granito, il cui capitello in bronzo si prolunga in una figura d’aquila imperiosa ad ali spiegate, trafitta da una freccia; allegoria del re assassinato.

 

Umberto I nacque il 14 marzo 1844 a Torino, precisamente a Palazzo Moncalieri, da Vittorio Emanuele II (allora duca di Savoia ed erede al trono sabaudo) e da Maria Adelaide d’ Austria. Ebbe, come da tradizione sabauda, un’educazione essenzialmente militare e nel marzo del 1858 intrapreseproprio la carriera militare, cominciando con il rango di capitano; successivamente prese parte alla Seconda Guerra d’Indipendenza, distinguendosi nella battaglia di Solferino del 1859.Il 9 gennaio del 1878, alla morte del padre, salì sul trono italiano con il nome di Umberto I e con il nome di Umberto IV su quello sabaudo, dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l’unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo.

Assunse, sul fronte della politica interna, una posizione rigida e autoritaria soprattutto in senso anti-parlamentare: le insurrezioni e i moti, come quelli dei Fasci dei Lavoratori in Sicilia e l’insurrezione della Lunigiana (1894), che minacciavano l’ordine interno e l’unità stessa dell’Italia, lo portarono a firmare provvedimenti come ad esempio lo Stato d’Assedio. A seguito di questi e di altri gravi avvenimenti, si procedette, ad opera del governo Crispi,allo scioglimento del Partito Socialista, delle Camere del Lavoro e delle Leghe Operaie. Il suo regno fu contrassegnato da opinioni e sentimenti opposti, infatti se da alcuni venne elogiato per per il suo atteggiamento dimostrato nel fronteggiare sciagure come l’epidemia di colera a Napoli del1884 ( si prodigò personalmente nei soccorsi), o ad esempio per la promulgazione del cosiddetto codice Zanardelli che portò all’abolizione della pena di morte, da altri fu aspramente avversato per il suo duro conservatorismo. Fu aspramente criticato dall’opposizione anarchico-socialista e repubblicana italiana, soprattutto per la decorazione del generale Fiorenzo Bava-Beccaris che fece uso dei cannoni contro la folla a Milano per disperdere, il 7 maggio 1898, i partecipanti alle manifestazioni di protesta scatenate dalla tassa sul macinato. Dopo esser sfuggito a due attentati, Umberto I venne ucciso a Monza il 29 luglio del 1900, per mano dell’anarchico Gaetano Bresci.

A pochi mesi di distanza dall’attentato di Monza, il vice-presidente dell’Unione Artisti ed Industriali di Torino, Alessio Capello, propose l’erezione di un monumento in memoria di Umberto I, con l’idea di farlo sorgere sul colle di Superga, presso le tombe degli avi di Casa Savoia. L’assemblea dell’Unione Artisti ed Industriali, presieduta da Giacomo Rava, acconsentì all’ iniziativa e venne immediatamente costituito un Comitato esecutivo che aprì una sottoscrizione e raccolse, nel giro di pochissimo tempo, una somma di 15.000 lire provenienti da oltre ottanta comuni piemontesi e da circa cento Associazioni. L’incarico di scolpire il monumento fu affidato allo scultore Tancredi Pozzi che concluse l’opera in poco più di un anno dall’approvazione del progetto. L’inaugurazione avvenne l’ 8 maggio del 1902 alla presenza del sindaco di Torino Severino Casana, del presidente del Comitato esecutivo Alberini e del canonico Amedeo Bonnet, prefetto della Basilica di Superga, che prese in custodia il monumento per conto della Casa Reale. 

 Simona Pili Stella

 

Foto Xavier Caré / Wikimedia Commons

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La difesa dei magistrati – Il nuovo Medio Evo – Lettere

La difesa dei magistrati

Il Prof. Gustavo Zagrebelski è una seria e squisita persona  anche se spesso dissento dalle sue idee. Una volta a cena al Circolo del whist dopo un convegno sul giurista Elio Casetta, promosso dall’Accademia delle scienze, ho avuto modo di parlare con lui en amitie’ ed ho anche apprezzato la sua arguzia. Pure il suo ricordo di Bobbio mi era piaciuto, ma la sua ultima uscita – sempre che i giornali riportino il vero – mi è parsa fuori luogo da parte di un ex presidente della Corte Cosituzionale.
Il professore avrebbe “scosso” l’associazione nazionale magistrati dicendo “E’ giunta l’ora di passare al contrattacco, cercando di contestare l’opinione pubblica”. Una difesa acritica dei Magistrati che non si addice ad uno studioso della sua statura.  La procuratrice generale  Lucia Musti si è invece posta una domanda che rivela chi ella  davvero sia: “Perché la fiducia del cittadino nei nostri confronti è pari a poco più di zero?”.  E la dottoressa viene applaudita dal pubblico. Sono atteggiamenti da considerare. Il rispetto dovuto alla Magistratura non può significare un acritico elogio a priori. C’è stato chi addirittura ha detto che sarebbero “comodi due magistrati morti”  per aumentare il consenso. Non è necessario altro sangue. Basta il giudice Bruno Caccia, magistrato integerrimo che rifiutò sempre di schierarsi politicamente, esempio sublime di sacrificio della sua vita, mai alla ricerca della ribalta mediatica.
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Il nuovo Medio Evo

La riproposizione, da parte del ministro della Pi   Valditara, della reintroduzione del latino nella scuola media offre l’opportunità di riflettere sugli studi classici che non vanno confusi con il latinetto opzionale della scuola media che non modificherebbe  nulla. Il discorso di una riforma della scuola alla maniera di Giovanni Gentile non ha nulla a che vedere con i segmenti  disgiunti di una  finta riforma che manca di una  visione culturale d’insieme. Nulla si può inventare con la  faciloneria  e l’improvvisazione, mentre la riforma Gentile fu il frutto di un ventennio di confronto tra Croce ,Gentile e altri intellettuali, tutte  figure che oggi non hanno un corrispettivo. La destra attuale è priva di intellettuali di rango e i pochi  tacciono o non vengono considerati. Anzi, vengono ignorati e magari sbeffeggiati.  Questo è il punto  nodale. Sul tema della scuola c’è una cronica mancanza di idee capaci di far svoltare la scuola italiana dalla deriva populistica di don Milani ,dei cattivi maestri del ‘68 e dei loro seguaci. Un po’ di latino nella scuola media non serve e non basta. La cultura classica è altra cosa e lo studio del latino dovrebbe essere un contributo alla formazione intellettuale  critica dei giovani destinata a restare per la vita intera. Ma essa è altro  da un frettoloso ripristino di facciata che non serve certo  a recuperare  un patrimonio  distrutto  che oggi è  di pochi come in un nuovo Medio Evo. Quanti oggi hanno quel minimo di cultura classica che consente loro un tipo di ragionamento non solo  ragionieristico?
La cultura classica è tornata patrimonio di pochi perché non esistono neppure più i monasteri medievali che ci hanno salvati dal naufragio. Oggi anche l’ultimo crede di essere il primo con quattro parole di inglese  orecchiate e un po’ di Internet. In questo squallido  contesto un modo di pensare che era proprio di una élite intellettuale è andato perduto. Siamo   nell’imbarbarimento dell’inclusione indifferenziata  che snatura la nostra cultura e la nostra lingua. Un po’ di latino diventa quasi una presa in giro. Neppure nei licei classici si studia più con serietà il latino e il greco .Occorrerebbe un nuovo Umanesimo rinascimentale  che oggi appare impossibile. Basta sentire parlare un giovane per rendersi conto dell’ imbarbarimento che sta arrivando e di una incapacità a pensare come si deve ,come  avrebbe detto Pascal. E questo stato di cose non viene assolutamente percepito se non da pochissimi. Stiamo affogando e non ci rendiamo conto dell’abisso culturale dove siamo finiti. Curare con l’ aspirina un moribondo appare drammaticamente ridicolo. I politici per primi sono figli della scuola facile e permissiva che ha creato sacche colossali di  ignoranza  abissale. Volevano eliminare il latino fonte di discriminazione sociale e alla fine hanno abbassato tutti o quasi a livelli che hanno intaccato perfino le basi stesse  della democrazia perché i cittadini sono privi di spirito critico e si lasciano guidare dagli imbonitori di turno. Concetto Marchesi, il comunista Marchesi si oppose inutilmente alla demonizzazione in chiave populistica della classicità  sulla quale si erano formati, diceva lui,  Marx ed Engels, Gramsci e Togliatti. Prevalse la demagogia sessantottina e oggi ripristinare la serietà degli studi diventa impresa impossibile perché i danni sono stati  devastanti. Spero di essere troppo pessimista, ma questa è la mia amara conclusione di docente e di studioso che ha dedicato forse inutilmente  la sua vita alla cultura e alla scuola.
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LETTERE scrivere a quaglieni @gmail.com
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La sanità è ormai privata
La sanità che ha malamente retto di fronte al Covid, dopo la pandemia non ha più retto alla aggressione dei colossi milanesi privati. I cittadini non hanno più la possibilità di curarsi ,se non mettendo mano ai risparmi. E’ un regresso sociale che ci porta indietro persino alle mutue private anni Anni 50. I poveri non si curano più, non ne hanno i mezzi. E molti medici finiti nel privato dopo la pensione, si fanno i soldi a spese dei malati, ordinando esami costosi I centri medici si moltiplicano  per guadagni milionari. I medici per un piccolo sconto non fanno fatture, sono evasori sfacciati  e la finanza non controlla mai. Questo è uno scandalo sociale vergognoso. Così un pensionato muore e i medici si rivelano più affaristi che medici.  C.T.
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Purtroppo è così. Non sono così pessimista come lei ,ma nella sostanza ha ragione. Proviamo a  sperare nel nuovo piano sanitario? Forse alcuni errori l’ex sindaco di Casale li ha capiti e corretti. Certo, molti medici sono degli affaristi  che non hanno rispetto per i malati. Il Tribunale dei malati esiste ancora? In certi casi andrebbe anche coinvolto il tribunale penale e civile.
I figli di Firpo
Deve essere morto uno dei gemelli  Firpo, figlio dello dello storico Luigi. Era stato un dirigente UTET e con il fratello Massimo è stato il distruttore  morale della figura di suo Padre in un libro subito scomparso dalle librerie. Una pagina da dimenticare.   Aurelio Mo
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Ho solo conosciuto Luigi e mi è bastato. Sì è morto il figlio. L’episodio del libro killer va dimenticato. La sua anima abbia finalmente pace  oltre lo Stige.
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Cultura tra spaghetti e un bicchiere di vino
 . Sarà sicuramente un qualcosa da non perdere, ma è fuor di dubbio che un’osteria non è un centro culturale senza finalità di lucro. Anch’io ho un ‘attività simile in cintura, ma il giornale non pubblica mai le mie serate. G.F.
Nelle osterie non c’è molta cultura. Quando fui invitato attraverso l’editore a parlare di Mario Soldati e del vino, l’osteria   Vedrà che forse anche lei avrà le attrattive culturali del giro di amici da non  perdere mai. I giornali di questi tempi sembrano perseguire sempre lo stesso storico fine: perdere lettori ogni giorno.

A Bardonecchia la mostra “I sussurri del colore”di Elena Giannuzzo

Volti, bolle, schizzi di natura e, soprattutto tanto colore. È stata inaugurata, oggi, al Palazzo delle Feste di Bardonecchia, nell’ambito della rassegna “Scena Arte 1312”, la mostra di pittura “I sussurri del colore”, che presenta le opere della torinese Elena Giannuzzo.

La mostra racconta, attraverso opere di varie dimensioni – dai piccoli formati di 10×15 cm fino alle grandi tele di 120×120 cm – il percorso di una ricerca, un viaggio attraverso il colore alla scoperta di “qualcosa “.

Si parte dall’essenzialità del nero e del blu, per poi aprirsi gradualmente a una gamma cromatica sempre più ampia e a spazi più vasti. “Il colore – spiega l’artista – diventa così strumento di esplorazione, fino a sfiorare il figurativo: volti accennati emergono sulla tela, evocando uno sguardo femminile che interroga la coscienza”. Questo percorso trova il suo culmine in “Ernestina”, una sorta di autoritratto intimo che racchiude il senso profondo della ricerca.

La mostra sarà visitabile fino al prossimo 5 marzo.

 

Furio Colombo che insegnò a raccontare New York

Se oggi si racconta New York, come Federico Rampini o Antonio Monda, lo si deve soprattutto a lui: Furio Colombo.
È giusto precisare New York, perché le corrispondenze dalla Grande Mela, prevalevano su quelle dal resto degli Stati Uniti. Si che ormai da decenni, ogni rete Rai o Mediaset ha il suo inviato dal Nuovo Mondo. Lo ricordo da universitario aggirarsi a Torino, ‘visiting professor’ per le aule di Palazzo Nuovo, col suo andare dinoccolato e un po’ snob. Classe 1931, nativo di Chatillon in Val d’Aosta, da una famiglia ebraica laica e assimilata, laurea in giurisprudenza. Iniziai a leggere le sue corrispondenze americane sulla “Terza Pagina” della Stampa. Nel suo “Mille Americhe” sempre per i tipi della casa editrice del quotidiano di Torino, uscito nel lontano 1988, racconta l’America da curioso indagatore, raccogliendo proprio gli elzeviri, scritti negli anni per quella rubrica. Sapeva porre domande al lettore, suggerendo che non tutte aspettano una risposta. Allargava lo sguardo alla società italiana, con la lente di ingrandimento americana, si che sovente intercettava un fenomeno a ‘stelle e strisce’, che poi poco tempo dopo si sarebbe riverberato in Italia e in Europa, con maggiore o uguale pervasività. Conosceva come pochi il macrocosmo giovanile, lui che rimase sempre con spirito giovane nell’ interpretarlo. Indicando strade da percorrere, idee, ma anche pericoli e insidie che questo universo di riferimento poteva nascondere ai suoi fruitori, nel mondo professionale, nel costume, nella cultura e nella morale corrente.

Sodale di Umberto Eco e Gianni Vattimo, con loro militando nell’Azione Cattolica del conservatore Luigi Gedda, fu con Angelo Guglielmi fondatore dell’avanguardia letteraria che prese il nome di Gruppo 63. Scrisse anche sotto lo pseudonimo di Marc Saudade, alcuni romanzi di spionaggio, anticipando di qualche decennio la moda del ghost writer. Diresse le Edizioni di Comunità con il sociologo Franco Ferrarotti alla Olivetti di Ivrea. Ma tutte queste cariche di rappresentanza industriale alla Olivetti e successivamente alla Fiat, non obnubilarono mai la sua vera passione, il giornalismo. Lo insegnò alla Columbia University di New York. Ricordo un bell’ articolo per la Stampa, che narrava la storia di una vecchietta, tale Olive Freud, che nei lontani anni ottanta, non si fece espropriare da Donald Trump della sua piccola casa in Amsterdam Avenue a Manhattan. Subendo pressioni legali e minacce fisiche dai suoi sgherri, impedì al tycoon di edificare nel suo quartiere, il grattacielo dei grattacieli. Vincendo la causa. Negli anni successivi fondò un associazione, contro l’abusivismo edilizio che stava facendo della Big Apple sempre più, un unica giungla di asfalto e cemento. Facendo ridurre di molti piani, edifici che violavano palesemente i piani regolatori, la intrepida nonnina, divenne un eroina americana a cavallo dei due secoli. Anticipatrice del movimento Occupy Wall Street. Furio Colombo prese anche posizioni in difesa di Israele durante la Guerra del Golfo in Iraq. Fu primo firmatario e promotore in Parlamento da Onorevole , della legge sulla Giornata della Memoria. Riposa a Roma accanto a Antonio Gramsci. Giornalista di cui oggi si è persa la stoffa, capace come pochi a dare una lettura a volte forse faziosa, ma comunque sempre puntuale per qualunque punto di vista ideologico, alla crisi di valori e alle tensioni del nostro tempo.

Aldo Colonna