Vescovo umanista, cardinale, mecenate. È dedicata al vinovese Domenico Della Rovere la mostra “Il Rinascimento in Piemonte. Tesori d’arte al Castello di Vinovo” allestita nel suo maniero, il Castello Della Rovere, fino al 12 giugno.



Sul palcoscenico dell’Alfieri, venerdì 8 aprile
Venerdì 8 aprile alle 20.45 al Teatro Alfieri in scena il nuovo Galà dei Germana Erba’s Talents (G.E.T), una serata di musical, danza e teatro con incasso a favore delle borse di studio di questi giovani incaricati di essere ambasciatori speciali dello spettacolo dal vivo con pubblico. Il Galà è una kermesse di giovani talenti che spazia dal grande repertorio del balletto classico alla prosa, ai quadri coreografici e musicali tratti da celebri musical, al mondo dell’operetta, alla danza contemporanea.
Una brillante antologia di emozioni e momenti di spettacolo per una performance di assoluto livello, con tutto il fascino dei “Talent” (dal vivo, però!). I G.E.T. non si sono mai fermati nemmeno durante la chiusura dovuta all’emergenza sanitaria e si sono preparati con grande serietà per essere pronti a calcare nuovamente il palcoscenico sia lo scorso giugno che in estiva a Bene Vagienna che durante questa stagione teatrale, oltre a essere coinvolti in progetti artistici e di solidarietà sia dal vivo che in streaming.
Lo spettacolo è firmato dai coreografi Antonio Della Monica, Niurka De Saa, Marisa Milanese, Gianni Mancini e Maria Elena Fernandez, dai registi Luciano Caratto, Simone Moretto, Elia Tedesco e dai vocal coach Mariacarmen Antelmi, Simone Gullì e Gabriele Bolletta.
Il Liceo Germana Erba è un Istituto di eccellenza e in oltre vent’anni di attività ha diplomato oltre 800 allievi tra i quali portano lustro in giro per il mondo Federico Bonelli al Royal Ballet, Leonardo Cecchi a Los Angeles, Haroun Fall su Netflix! Senza parlare degli allievi che ancora stanno frequentando e che già sono impegnati in importanti attività artistiche, come Christian Scifo, ora in Canada, già scritturato al Ballet du Québec; segnalando ancora Bianca Zoe Mantelli, selezionata dalla Wishfully per essere la voce principale di un video distribuito in oltre un miliardo di licenze!
Scuola di eccellenza per l’arte e lo spettacolo, il Liceo Paritario Germana Erba si caratterizza per la formazione culturale e professionale di giovani con attitudini per la danza, il teatro, il musical, l’arte, la scenografia e lo spettacolo in tutte le sue forme. Insieme a una regolare istruzione di II grado, il corso di studi fornisce una specifica preparazione nelle discipline artistiche prescelte, creando figure professionali dotate di buone basi per un inserimento diretto nel mondo del lavoro in qualità di danzatori, attori, cantanti, conduttori, registi, coreografi, scenografi, scenotecnici e addetti alla comunicazione e per l’accesso a qualsiasi Facoltà Universitaria, agli Istituti AFAM (Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica) e alle Accademie di Belle Arti. Il Liceo Germana Erba offre due indirizzi: Coreutico, primo e “pioniere” in Italia, che si avvale della metodologia della Scuola Nazionale di Cuba, ed è convenzionato con l’Accademia Nazionale di Danza; Teatrale, unico in Italia, che collabora con il Teatro Stabile Privato “Torino Spettacoli”.
Prezzi Biglietti GALA’ G.E.T.: posto unico: € 18+1
ridotto (gruppi, abbonati, convenzionati, under 26, over 60): € 14+1
Informazioni e acquisto biglietti: Biglietterie Torino Spettacoli: Teatro Erba, corso Moncalieri 241, tel 011/6615447; Teatro Gioiello, via Colombo 31, tel. 011/5805768; Teatro Alfieri, piazza Solferino 4 – tel 011/5623800
Acquisto diretto online al sito www.torinospettacoli.it e anche attraverso il circuito Ticketone.
Nelle immagini, nell’ordine, Christian Scifo, Lorenzo De Liso e Ludovica Tondodonati
Adriana Zarri, poetessa, scrittrice e teologa, giornalista e donna libera che sapeva comunicare, eremita per scelta nella campagna canavesana, amava molto gli animali, soprattutto i gatti.
L’ autrice che con i suoi scritti ha accompagnato le letture e la formazione spirituale e civile di molti cattolici, pubblicando per mezzo secolo su diverse testate dall’Osservatore romano a Il Manifesto, visse tutta la vita in maniera contemplativa, amando la natura, cosa che per lei era del tutto normale. Nella sua ultima fatica letteraria, pubblicata postuma dopo al sua scomparsa avvenuta nel 2010, intitolata La gatta Arcibalda e altre storie sono raccolti gli articoli “animalisti” che la Zarri pubblicò sulla rivista Rocca dal 1984 fino al giorno prima di morire. Si tratta di riflessioni sugli animali e sulla natura che raccontano il punto di vista dell’autrice su questioni sempre molto attuali e all’epoca in cui vennero scritte addirittura innovative, per certi versi dirompenti. Nel titolo è citata Arcibalda , la cui identità veniva svelata dalla teologa:“l’ultimo dei miei tanti gatti perché gatti ne ho sempre avuti”. Una gattona nera con la “macchia della Madonna”, una chiazza di pelo di colore diverso – in questo caso un ciuffetto di peli bianchi posizionati sotto la gola – che durante il Medio Evo “distingueva i gatti parzialmente neri dai gatti totalmente neri e li salvava dalle persecuzioni che si riservavano invece di norma a questi ultimi, messaggeri dell’inferno”. Nel libro Tutto è grazia, parlando della preghiera, raccontava così il rapporto speciale con gli amati felini: “Al mattino quando faccio la liturgia di solito sono vicino all’altare e vedo la mia gatta, la sua contentezza; il suo affetto è il suo modo di pregare. E allora la tengo lì e preghiamo insieme”. Ne La gatta Arcibalda e altre storie la teologa condivide i sentimenti e anche le sofferenze degli animali, da quelle del leone obbligato nel circo a rinunciare alla sua maestà, fino al cappone o al toro delle corride, torturati per la nostra ingordigia o la nostra crudeltà. Al pari degli antichi Adriana Zarri considerava come veri e propri simboli della contemplazione la civetta e il gufo, animali della notte in grado di scorgere quello che gli altri non possono vedere. Il suo rispetto e lo sconfinato amore per gli animali costituiscono un esempio originalissimo ed elevato di ecologia che muove i suoi passi dalle forme di vita, iniziando dagli animali,che sono accanto a noi. Adriana Zarri si interrogava sulla liceità dei maltrattamenti a cui sono sottoposti gli animali da circo per il solo, egoistico, divertimento dell’uomo; sulla possibilità di diventare vegetariana per smettere così di causare dolore e morte ai suoi tanto cari amici animali; sulla sua vita di eremita in compagnia dei sempre amatissimi gatti e di tante altre “bestie” di vario genere; sui ritmi imposti dalla società che sono così tanto diversi e così sempre più diversi dai ritmi fisiologici della natura e degli animali. La raccolta di articoli che compone il libro è aperta da una prefazione che scrisse Luigi Bettazzi (attualmente lucidissimo 98enne, vescovo emerito di Ivrea) e raccoglie, pagina dopo pagina, la testimonianza dell’amore profondo e vivo in una donna che visse tutta la propria vita in maniera contemplativa e da amante della natura.
Marco Travaglini
Veglia
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.
Fratelli
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
Giuseppe Ungaretti, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888 e morto a Milano nel 1970, è stato uno dei principali poeti della letteratura italiana del XX secolo
La poesia di Giuseppe Ungaretti, inizialmente influenzata dal simbolismo francese (non a caso i primi apprezzamenti arrivarono proprio da Guillaume Apollinaire e da Louis Aragon, che ne riconobbero la comune matrice simbolista) si distingue per la sua scelta delle parole votata all’essenzialità, caratteristica che va a contrapporsi alla magniloquenza tipica dannunziana.
In questi due testi molto famosi che ho selezionato per voi, viene fuori con forza uno dei temi centrali nell’opera di Ungaretti: la Guerra, il dolore che essa si porta dietro e la voglia di un uomo di resistere, di perpetrare il bello attraverso la poesia, la gioia di trovare in vita i compagni d’armi (Fratelli) e la sofferenza di passare una nottata “buttato vicino a un compagno massacrato”, aspettando l’aurora come fosse la prima volta e illuminarsi d’immenso nella consapevolezza di essere ancora in vita.
Una vita che si rivela nella sua grande fragilità, ma che porta in sé una volontà feroce d’amore e di tempo da non sprecare.
Provate a leggere le due poesie ad alta voce, dando peso ad ogni lettera e assaporando il loro sapore sulle labbra: vi accorgerete della potenza di questi scritti quando sarete voi stessi a digrignare la bocca pronunciando le parole: “massacrato”, “digrignata”, “penetrata”.
Buona lettura!
Gian Giacomo Della Porta
Dal 29 marzo
Le origini del kesa (termine giapponese che traduce dal sanscrito kasaya ovvero “ocra”), la veste indossata dai monaci buddhisti, sono antichissime e leggendarie.
Secondo la tradizione fu infatti il Buddha stesso a chiedere al suo discepolo Ananda di realizzare un abito che tutti i suoi seguaci potessero indossare e che fosse somigliante alle geometrie delle risaie in cui amava passeggiare. L’uomo lo accontentò e cucì una veste semplicemente assemblando tessuti di recupero. Da allora i monaci realizzato i kasaya (che prenderà il nome di kesa quando il Buddhismo entrerà in Giappone) unendo vecchi lembi di stoffe, scampoli spesso laceri e rovinati e tinti con terre umili (ocre, da cui il nome), che vanno a comporre una veste unica, “il più prezioso degli abiti”, simbolo di semplicità e purezza.
Dal 28 marzo viene eccezionalmente esposto al pubblico, in occasione di una delle periodiche rotazioni a fini conservativi che interessano la galleria dedicata al Giappone, uno dei tesori delle collezioni del MAO, un kesa di epoca Edo (sec. 1603-1967) in raso di seta verde broccato, decorato con gruppi di nuvole e una serie di motivi circolari sparsi, ognuno dei quali ricorda una corolla floreale stilizzata.
La scelta e l’accostamento di colori, oltre alla stessa iconografia, rimandano agli analoghi tessuti realizzati in Cina già durante l’epoca Tang e sono frutto di commistioni e di influenze reciproche fra Cina e Medio Oriente che, nei secoli, hanno fatto viaggiare sulle antiche rotte commerciali non solo merci preziose, ma lingue, stili, saperi.
Su queste stesse rotte ha viaggiato anche il secondo kesa esposto, un raro esemplare creato a partire dal cosiddetto “broccato di Ezo”, un tipo di tessuto giunto in Giappone dalla Cina attraverso la zona di Ezo, l’attuale Hokkaido, terra degli Ainu. Il tessuto in seta e argento a strisce presenta una decorazione floreale molto ricca: su uno sfondo brillante di color rosso-arancio sono intessuti grandi tralci di peonia e altri fiori, accostati a simboli augurali, fra cui spicca il motivo ricorrente della moneta, stilizzata secondo l’uso cinese nell’anagramma degli “Otto Tesori”.
Appuntamento all’UCI Cinemas del Lingotto, mercoledì 6 aprile, alle 20.45, con il film intitolato “La Ballata dei gusci infranti” del regista Simone Riccioni.
L’UCID di Torino, unitamente alla Pastorale Giovanile, alla Pastorale Universitaria, al Sermig e al Murialdo For, ha deciso di appoggiare questo giovane imprenditore cinematografico che ha avuto il coraggio, in tempo di pandemia, di investire in un nuovo progetto.
Il film, di cui all’UCI avverrà la proiezione, accompagnata dalla testimonianza del regista, narra la preziosità e la fragilità della vita. Si intrecciano tra loro quattro storie e ognuno dei rispettivi protagonisti pare essere racchiuso in un guscio, ognuno conduce una vita fatta di scelte che riguardano luoghi in cui vivere e persone da tenere al proprio fianco. Ma la vita può anche riservare sorprese e imprevisti e il guscio può infrangersi.
Il film, per i messaggi culturali che contiene, tra cui molte citazioni tratte dalla Divina Commedia, per commemorare il Sommo Poeta nell’anniversario dei 700 anni dalla sua morte, per i messaggi educativi e emotivi che veicola, è stato anche inserito nel progetto “Cine-Educando”. Sarà disponibile anche a livello nazionale per le proiezioni in classe e ha ottenuto il patrocinio della Città di Torino.
Prenotando attraverso l’UCID ( ucid@ucidtorino.it) il biglietto costerà 7 euro anziché 9 euro.
Sarà possibile pagare con satispay al 335 7724802 e ritirare i biglietti direttamente al cinema.
Mara Martellotta
Il testo di Bryony Lavery sul palcoscenico del Gobetti, sino a domenica 10 aprile
C’è un grumo rosso (come quello che attraversava l’orrore del ghetto di Cracovia sotto l’occhio in bianco e nero di Steven Spielberg in “Schindler’s List”, la bambina tragicamente smarrita e avvolta nel suo cappottino) sul palcoscenico del Gobetti che fino a domenica 10 aprile ospita “Ghiaccio” dell’autrice inglese Bryony Lavery, nella traduzione di Monica Capuani e Massimiliano Farau e messo in scena da Filippo Dini. È l’impermeabile della piccola Rhona, una Cappuccetto Rosso che non è uscita dalla penna dei Grimm ma che è travolta e immersa nell’orrore del nostro quotidiano, che mentre portava alla nonna un paio di cesoie da giardino ha incontrato il lupo cattivo, Ralph, un pedofilo, uno stupratore e killer seriale di bambine e ne è rimasta sopraffatta.
Il testo della pluripremiata (dopo il debutto nel 1998 al Birmingham Repertory Theatre) Lavery – che nel 2019 “The Indipendent” incluse nella sua classifica dei 40 testi teatrali migliori mai scritti – non è una favola, non è neppure l’amaro resoconto di un caso realmente avvenuto pochi o più anni fa, è un raggrupparsi di tante storie diverse, di attimi neri catturati qua e là, laceranti e sconvolgenti, che si raccolgono nella disperazione di una madre, Nancy, e nella distruzione di una intera famiglia, nella tragedia in cui si dibatte il mostro, nello scompiglio della sua mente criminale, nella esistenza angosciosa di una psichiatra americana di origini islandesi, Agnetha, che combatte con il ricordo della morte di un amico e che tra attacchi di panico tenta di portare avanti il proprio intervento, “Serial killer: si può perdonarli?”, e un personale studio secondo cui viene attribuito “a lesioni nei lobi frontali l’assenza di inibizione che induce comportamenti criminali”. Sottolineando che “il mio intervento è un esame critico delle differenze tra crimini frutto di malvagità e crimini frutto di patologia”.
Non soltanto questi tre personaggi. Non li vediamo in scena, ma ne avvertiamo la presenza, debolissima di Bob, il marito di Nancy, ben più presente quella di Ingrid, la figlia maggiore della coppia, attraverso le parole della madre un dolore che muta, che all’inizio affonda nella pretesa consapevolezza di una dolorosa sopravvivenza per poi passare ad una ribellione e al rifiuto di vivere nel culto della vittima, per affrontare un percorso buddistico, un viaggio verso l’Oriente all’inizio poco credibile, un misticismo di profonde radici che saprà liberarla dalle colpe che lei ha immaginato. Il risultato visivo sono quelle interminabili file di bandierine tibetane con cui Dini inonda nella conclusione la sala teatrale, multicolori, leggere, riappacificatrici. Due zone, un prima e un poi, per tutti. Le tre vite principali intrise di crimine e di vendetta, la determinazione a sopravvivere nel gelido stato, nel ghiaccio della conservazione, nel tentativo, nel mestiere di vivere: poi, dopo giorni mesi anni di disperazione e sempre eguali la scoperta del perdono da un lato, l’affrontare con il suicidio la propria cruenta realtà dall’altro. La vita riprendere a scorrere, non è più quella di prima ma porta finalmente con sé un alleggerimento, uno sguardo diverso, lo scioglimento di quel ghiaccio. La disgregazione in qualche modo si ricompone. “Ghiaccio” è uno spettacolo da vedere e applaudire, duro, di massima tensione, “crudele” nelle parole e negli atti, lo sguardo esatto da parte di Dini delle angosce dei personaggi, della disperazione, della morte dentro, che ci mette lucidamente di fronte ad una realtà troppe volte letta sui giornali o vista nei tiggì, in monologhi o in un dialogo aspro e faticoso e rotto, che riversa la propria ansia giù tra il pubblico, in un freddo labirinto inventato da Maria Spazzi, corridoi e plastica, sotto le luci improvvise o accecanti di Pasquale Mari. Uno spettacolo con tre spettacolari interpreti, che rendono appieno gli spasimi, i dolori, le incertezze, il cammino completo di Nancy, di Ralph, di Agnetha: Mariangela Granelli rende con una bravura rara ogni particolare del dolore e dell’inimmaginabile perdono di una madre, Filippo Dini concretizza la fragilità e il terrore come il rimorso del suo killer, Lucia Mascino disegna con magnifica convinzione i momenti di paura e il denso pensiero della sua psichiatra.
A proposito di perdono. Chi frequenti il cinema ricorderà un film del 2009 di Peter Jackson tratto dal romanzo omonimo di Alice Sebold, “Amabili resti”, dove la giovane protagonista Susie – come la Rhona della Lavery – è vittima del vicino di casa, che la violenta e la uccide. Si ritroverà a “sopravvivere” in un passaggio intermedio, tra il mondo terreno e il paradiso, ad osservare anche qui lo sfacelo della propria famiglia e le mosse dell’assassino. Considerate dopo le proiezioni di prova le reazioni degli spettatori, che considerarono le scene della morte del killer non troppo soddisfacenti e rivolte piuttosto ad un’agonia e ad una fine più cruda e atroce, Jackson s’impegnò a rifarle, “ho dovuto creare una scena di morte piena di sofferenza solo per dare alla gente la soddisfazione che desiderava”. Il perdono, in quell’occasione, rivolse gli occhi da un’altra parte. E non credo fosse soltanto pretesa spettacolarizzazione.
Elio Rabbione
Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma
Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino Mercoledì 6 aprile, dalle ore 20
Dalla Puglia al Piemonte – ideato da Simone Campa, Osteria Rabezzana, Casa Puglia Piemonte e Pastificio Giustetto – vuole valorizzare l’incontro tra Puglia e Piemonte e celebrare le rispettive tradizioni culturali ed enogastronomiche, musicali e artistiche attraverso l’esperienza, il gusto, la musica popolare.
Un evento all’insegna dell’esperienza conviviale che parte alle ore 20 con un incontro dedicato a Margherita di Savoia, la cittadina pugliese affacciata sul golfo di Manfredonia, a sud del Gargano, sede delle saline più grandi d’Europa. La località è stata intitolata nel 1879 alla prima regina d’Italia, figura storica che più ha influenzato il costume del suo tempo. Un collegamento con il Piemonte pensato in occasione della mostra che Palazzo Madama dedicherà alla regina nel prossimo ottobre.
Si prosegue alle 20.15 con il menù a carta dello chef Giuseppe Zizzo, integrato per l’occasione da piatti della tradizione “margheritana”. Colonna sonora dell’evento, i suoni, i canti ed i ritmi de La Paranza del Geco, vera e propria istituzione culturale di Torino, con i suoi vent’anni di attività artistica in Italia e all’estero.
PROGRAMMA
Ore 20 – L’INCONTRO
Margherita di Savoia, la regina d’Italia, padrona di casa delle più grandi saline d’Europa sulla costa pugliese a sud del Gargano.
Ore 20,15 – LA CENA
Incontri di sapori e ricette pugliesi e piemontesi, con il menù alla carta dello chef Giuseppe Zizzo, affiancato dai piatti della tradizione garganica: incontro tra la Regina e il Re (cipolla bianca di Margherita igp al forno con salsiccia di Bra e crema di toma di Lanzo), zuppetta di mare del Gargano con crostini, fave e cicoria.
Ore 21,30 – IL CONCERTO
I suoni della tradizione con Simone Campa & La Paranza del Geco. Un repertorio speciale dedicato al tema della vita legata al mare, dai canti dei marinai ai lavoratori delle saline, ai testi che si rivolgono alle tradizioni delle sponde nostrane dell’Adriatico e del Mediterraneo. In programma anche musiche dedicate al ballo ed alla festa, attraversando in un viaggio sonoro tutta la ricchezza culturale della Puglia: pizzica e taranta del Salento, tarantelle del Gargano, canti d’amore e serenate dalla Bassa Murgia. Musiche suonate con l’energia coinvolgente ed entusiasmante de La Paranza del Geco, la compagnia musicale fondata e diretta da Simone Campa che festeggia oltre mille concerti realizzati in Italia ed in tutto il mondo e che da oltre vent’anni sintonizza Torino sui ritmi del sud.
Info e prenotazioni
Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it
L’ULTIMO LIBRO DEL GIORNALISTA E SCRITTORE CHE DIALOGHERÀ CON FRANCESCA ROTTA GENTILE
Si svolgerà giovedì 7 aprile alle 17.30 presso la Sala Consiglieri della Città Metropolitana di Torino a Palazzo Cisterna, via Maria Vittoria 12, l’incontro organizzato dal Centro PANNUNZIO di Torino con il giornalista e scrittore Giampiero Mughini che dialogherà su temi d’attualità con la prof.ssa Francesca Rotta Gentile, già vincitrice del Premio Flaiano nel 2017, Giurata al Premio Strega oltre che curatrice di diverse prestigiose rassegne liguri come Cervo Ti Strega, Cervo in blu d’ inchiostro, Sa(n) remo Lettori il giardino di Irene Brin. Nell’occasione verrà presentato, in anteprima assoluta, l’ultimo libro del giornalista “Muggenheim- quel che resta di una vita” edito da Bompiani. Si tratterà di un incontro che darà luce alla profonda cultura e sensibilità di Mughini e ci permetterà di scoprirne aspetti davvero inediti come il fatto che possiede due setter inglesi di nome Bibi in onore di Brigitte Bardot e Clint in omaggio a Clint Eastwood oltre che essere un collezionista di libri e amante d’arte a tutto tondo. Un momento di alta cultura con la possibilità di rivivere, almeno idealmente, negli scritti di Mughini un’originale testimonianza di buona parte del’900 fra poesia visiva, fotografia, fumetto e progressive rock e design. L’evento, unico, sarà aperto anche ai non soci del Centro Pannunzio.