CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 372

Luigi Fassi nuovo direttore di Artissima

Il Consiglio Direttivo della Fondazione Torino Musei, in merito alla call internazionale lanciata per la nomina del nuovo direttore artistico di Artissima Fiera Internazionale di Arte Contemporanea, dopo attenta analisi delle candidature pervenute ha deciso di nominare Luigi Fassi nuovo Direttore della Fiera per il triennio 2022-2024.

 

Il Consiglio Direttivo della Fondazione Torino Musei ha individuato nel profilo di Luigi Fassi il candidato adatto a guidare le prossime edizioni di Artissima, sia sotto l’aspetto professionale sia per il progetto presentato – dichiara Maurizio Cibrario, Presidente della Fondazione Torino Musei – sono certo che questa figura contribuirà sostanzialmente a sviluppare il ruolo della Fiera a livello internazionale. Ringrazio Ilaria Bonacossa per aver condotto con professionalità la fiera in questi 5 anni ed essere riuscita a coinvolgere i molteplici interessi presenti nella Città di Torino, in una rete di relazioni proficua e apprezzata.

 

Desidero ringraziare la Fondazione Torino Musei e la Città di Torino della fiducia accordatami nell’avermi voluto come nuovo direttore di Artissima, un’istituzione che rappresenta uno spirito di vitalità, innovazione e sguardo rivolto al futuro a cui mi sono sempre ispirato. Entro in questo incarico consapevole della responsabilità del ruolo e con la forza dell’entusiasmo di portare avanti la storia di Artissima e il lavoro di chi mi ha preceduto – dichiara Luigi Fassi.

 

Dopo cinque anni, non posso che ritenermi soddisfatta dei successi e delle innumerevoli sfide superate e condivise con un team che tutto il mondo dell’arte ci invidia. Ringrazio la Fondazione Torino Musei e tutti gli stakeholder con cui abbiamo lavorato in queste edizioni per il sostegno e la fiducia – dichiara Ilaria Bonacossa. Sono convinta che il nuovo direttore Luigi Fassi, con la sua esperienza curatoriale e gestionale in istituzioni pubbliche, garantirà una continuità importante per la crescita della fiera. Torino e l’arte contemporanea sono una diade inscindibile e strategica per il futuro della Città e della Regione.

 

Luigi Fassi è stato dal 2018 al 2022 direttore artistico del MAN Museo d’arte della Provincia di Nuoro. Visual Art Curator presso lo Steirischer Herbst Festival di Graz, Austria, dal 2012 al 2017, dal 2009 al 2012 è stato direttore artistico del Kunstverein ar/ge kunst di Bolzano. Helena Rubinstein Curatorial Fellow al Whitney Museum ISP di New York nel 2008-09, ha organizzato mostre per diverse istituzioni internazionalmente. Dal 2010 al 2017 è stato curatore e coordinatore della sezione Present Future ad Artissima, Torino. Nel 2016 è stato fellow dell’Artis Research Trip Programme a Tel Aviv in Israele, co-curatore del Festival Curated_by a Vienna in Austria e della XVI edizione della Quadriennale d’Arte di Roma. È stato membro del comitato di selezione della fiera d’arte contemporanea Artorama di Marsiglia (2019-2022) e curatore del progetto Tomorrow/Todays presso la Cape Town Art Fair in Sud Africa (2019-2022). Autore di numerosi libri e pubblicazioni monografiche, suoi articoli e testi sono apparsi su Artforum, Mousse, Flash Art, Camera Austria, Site e Domus.

 

“Il tempo sospeso”, quando scrittura e pittura si fondono

Al Centro Pannunzio, in via Maria Vittoria 35/h, a Torino, e’ stato presentato il libro  “Il tempo sospeso”, scritto dalla giornalista torinese Mara Martellotta insieme all’artista fiorentino Andrea Granchi. Con l’autrice sono intervenuti il giornalista Andrea Donna e l’editore Gian Giacomo della Porta

L’arte pittorica e la scrittura, un binomio che potrebbe sembrare apparentemente lontano, mostrano, invece, un sottile fil rouge nel potere salvifico che entrambe possiedono di fronte ad eventi epocali come è stata ed è la pandemia da Covid 19. Alla luce di ciò, il volume intitolato “Il Tempo Sospeso”, edito da Gian Giacomo Della Porta Editore, accosta le riflessioni elaborate in questi due ultimi anni dalla giornalista Mara Martellotta alle opere pittoriche dell’artista fiorentino Andrea Granchi, nato a Firenze nel ’47, già docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze, vincitore del premio Stibbert per la pittura nel ‘71 e proveniente da una famiglia di antica tradizione artistica e nel campo del restauro.

La contemporaneità dei temi trattati, quali il cambiamento della società e dei rapporti interpersonali, la comparsa di nuove angosce e dubbi, hanno trovato un perfetto parallelismo sia nella scrittura dell’autrice, sia nella pittura di Andrea Granchi, indicando e tracciando una possibile via di ancoraggio e salvezza, in questo “tempo sospeso”, nell’arte.

“Agli scritti di Mara Martellotta – spiega il professor Pier Franco Quaglieni, che ha scritto la prefazione del libro  – ci rivelano che nel grande naufragio c’è gente che ha salvato la sua anima attraverso la cultura, l’arte e la fiducia in una vita animata da valori che sembrano appannati. Questi scritti sono destinati a testimoniare il coraggio e l’intelligenza di chi ha saputo passare attraverso il fuoco senza bruciarsi, come diceva il mio amico Mario Soldati”

Max Casacci presenta Head ‘n’ Groove

I Giovedì in CAMERA
 

Presentazione del libro fotografico con la partecipazione di Max Casacci e Rossano Ronci

Giovedì 3 febbraio, ore 18.30, Gymnasium di CAMERA

Giovedì 3 febbraio, alle ore 18.30, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia ospita la presentazione del libro fotografico Max Casacci. Head ‘n’ Groove (edito da Silvana Editoriale)un ritratto dell’eclettico musicista dei Subsonica, attraverso le immagini evocative del fotografo Rossano Ronci.
 
In queste pagine, Ronci racconta gli istanti salienti delle tournée di Max Casacci con uno sguardo inedito che sa cogliere l’uomo oltre al musicista famoso, e la fitta rete di connessioni culturali ed emotive, che interessano il fondatore dei Subsonica e la sua più grande passione.
 
Seguendo la band in concerto, Rossano Ronci racconta le storie invisibili sopra e dietro il palco, le tensioni e le attese, andando oltre il classico reportage on stage e di backstage.
 
“Mi rendo conto che non c’è uno strumento migliore della fotografia per costruire il racconto di quello che altrimenti passerebbe inosservato. Il pubblico vede tutto ciò che è frontale, noi ricordiamo i flash, gli stati intensi. Ma guardando queste immagini realizzo, per la prima volta, anche quello che succede un attimo dopo e un attimo prima. Quando per esempio la chitarra resta a terra e tu cammini verso lo star-gate che ti riporterà giù. Per un momento sei completamente svuotato. Non me l’aveva mai mostrato nessuno. Ci voleva la fotografia. Ci voleva Rossano Ronci.”
Max Casacci
 
A fine l’incontro, si svolgerà il book signing con l’autore del libro.
 
Intervengono:
Max Casacci, musicista
Rossano Ronci, fotografo
Gabriele Ferraris, giornalista
Walter Guadagnini, direttore di CAMERA
 
Massimiliano Casacci (Torino, 1963)
Meglio noto come Max Casacci, è un chitarrista italiano, produttore e fondatore dei Subsonica. È compositore e autore della maggior parte dei testi del gruppo, produttore musicale, tecnico del suono e direttore del Traffic – Torino Free Festival.
 
Rossano Ronci (Rimini, 1970)
Fotografo autodidatta, ha realizzato progetti editoriali sulla fotografia di ritratto, lavorando con personaggi dello spettacolo come Fiorello, Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, e con grandi campioni dello sport, tra i quali Valentino Rossi, Dino Zoff, Francesco Totti e Gigi Buffon. Si occupa inoltre di fotografia d’architettura, realizzando immagini per importanti architetti italiani e internazionali.
 
 
È consigliato prenotare l’incontro sul sito di CAMERA (qui).
Il biglietto d’ingresso ha un costo di 3 euro.
 
 immagini © Rossano Ronci

La società di oggi e il labirinto vertiginoso di Borges

La società  come si presenta oggi, a due anni di distanza dall’inizio della pandemia, richiama alla mente l’immagine di un edificio intricato e complesso, sotto questo aspetto piuttosto simile a quel “labirinto” di cui il noto scrittore argentino Jorge Luis Borges parlava in alcune sue opere.

Un labirinto inteso quale un “edificio costruito per confondere gli uomini”, la cui tortuosità dei percorsi rinvia, in maniera simbolica,  alla stessa insufficienza dello sguardo esclusivamente razionale sul reale, che ne impedisce la comprensione completa. Se l’immagine del labirinto risulta centrale nella poetica di Borges, costituendo un’allegoria della complessità del mondo, la società  odierna, che si è  dovuta confrontare con un percorso di pandemia durato due anni, appare complessa proprio come un labirinto. Le sue componenti, spesso, sono entrate in crisi e in conflittualità nel rapporto di dialogo reciproco, come quello tra i più giovani e gli adulti che, da sempre, rappresenta un aspetto complesso della vita comunitaria. Se la pandemia ha dovuto necessariamente allontanare fisicamente gli esseri umani tra loro, per evitare il contagio, questo allontanamento si è spesso tradotto in un distanziamento anche psicologico e, in diversi casi, in un disinteresse verso il prossimo. A aggravare questo fenomeno sono intervenuti meccanismi inevitabili cui si è  fatto ricorso, quali lo smartworking e la Dad per gli studenti, che ha provocato delle ferite e dei disagi psicologici non da poco tra i componenti più giovani della società. In Borges il labirinto è assurto a simbolo e metafora per esprimere la sua riflessione su alcuni temi universali, quali il tempo, la morte, il dolore, la personalità umana, il suo sdoppiamento e la pazzia, fusi nel sentimento drammatico dell’unicità dell’esperienza individuale e, appunto,  in quel labirinto inestricabile di immaginazione e esperienza, svolti  stilisticamente sulla base di una classicità e di un’eleganza che, in questo scrittore, risultano davvero unici. Il labirinto è  stato il protagonista, infatti, di uno dei racconti più affascinanti di Borges, dal titolo “Il giardino dei sentieri che si  biforcano”, in cui l’antenato del protagonista mostra tutte le possibili conseguenze di un evento temporale, la trama delle infinite varianti temporali e le biforcazione che ne possono scaturire. In fondo non soltanto la società  appare oggi un labirinto, ma forse anche la vita stessa dell’uomo si può  richiamare a questa medesima immagine. Quasi ogni giorno, come in un labirinto,  siamo chiamati, infatti, a scegliere un percorso di fronte a un bivio. Ma, come affermava il filosofo e pensatore Norberto Bobbio, “di fronte al cammino storico dell’umanità, sappiamo che esiste una via d’uscita.  Tutta la storia umana si può  considerare un insieme di tentativi  quasi sempre disperati, di uscire dal labirinto […] Conosciamo  le vie bloccate, le vie già tentate e esaurite, e che non dovremmo avere la tentazione di ripercorrere”. All’uscita del labirinto non si può  sapere se si sarà migliori, ma sicuramente un fatto è certo. Si risulterà  diversi e cambiati.

Mara Martellotta 

Pannunzio Magazine

”Sì vax” e ”no vax”. Le riflessioni di Fusaro

A Torino è nata la ‘’Commissione per il dubbio e la precauzione sul covid-19’’ composta da Giorgio Agamben (filosofo), Gianni Vattimo (filosofo), Carlo Freccero (massmediologo),Ugo Mattei (giurista). Mancava Diego Fusaro che con la sua più recente opera filosofica ( ”Golpe Globale”, capitalismo terapeutico e grande reset, Piemme, 2021, 267 pagg. €17,90) dovrebbe farvi parte ‘de facto’.

Non penso che i no vax abbiano ragione gli uni o torto gli altri e premetto di essere vaccinato. Penso però che abbiamo tutti diritto ad avere una opinione o delle perplessità anche se tutti vaccinati. Perché un conto è il dovere della responsabilità, che va osservato vaccinandosi, un altro e il diritto alla libera espressione dell’opinione critica , che va comunque preservato, fosse anche posto per legge l’obbligo vaccinale. L’ opera del filosofo torinese va in questa direzione e spiega anche il suo rifiuto alla distinzione manichea tra ” si vax ” e ” no vax ”. Diego Fusaro pone molti interrogativi e molti spunti di riflessione al lettore: ”Se non siamo in lockdown cognitivo, dobbiamo chiederci: è lo stato di emergenza ad avere bisogno delle misure di emergenza o le misure di emergenza ad avere bisogno dello stato di emergenza? ”Lo stato di emergenza diventa stato di eccezione, che comprime via via tutti i diritti di libertà (lockdown, dad, smart working ecc) . Se c’è l’emergenza allora diventa legittimo ciò che non  lo sarebbe, se non ci fosse lo stato di emergenza. Il tutto in un alternarsi sempre aggiornato di nuova emergenza terroristica e nuova imposizione di legittimità, contro la incosciente e sconsiderata liceità della massa decerebrata. ”L’ inaccettabile della normalità, diventa l’inevitabile dell’emergenza” diceva l’economista liberale Milton Friedman in tempi non sospetti. Quali diritti e quali libertà, possono essere negoziati all’ infinito senza calpestare i diritti costituzionalmente garantiti? In nome del diritto alla salute tutti gli altri diritti possono all’occorrenza essere silenziati ? Il diritto al lavoro viene silenziato in nome del diritto alla salute. Il diritto alla libertà di culto, è stato silenziato nuovamente in nome del diritto alla salute. L’ articolo 32 della carta costituzionale a tutela del diritto alla salute, può essere stravolto in nome di gerarchie dei diritti che la carta non prevede? L’emergenza sanitaria pone una nuova razionalità politica che è quella dell’ emergenza perpetua, utilizzata in modo strumentale. La monocultura kafkiano-esecutiva, pone la legittimità distopica come profilo di necessità sine tempore.
Si depotenzia in tal modo la democrazia parlamentare, in nome di un minculpop-comintern divenuto nel frattempo un principato democratico, tutto a favore del business di Big Pharma.
” Nella vita non ridere, non piangere, non maledire ma capire” (Baruch Spinoza). Chi ha una opinione su questa catastrofe, se la tenga. È tutto quello che possiede.

Aldo Colonna

Bennato re del rock di scena al Colosseo

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Nel 2020 si sono festeggiati i 40 anni del leggendario “Sono solo canzonette”, l’album che consacrò il successo di Bennato portandolo, come primo italiano, a riempire gli stadi con i suoi concerti.

 

EDOARDO BENNATO 

PETER PAN 

ROCK ‘N’ ROLL TOUR 

Il re italiano del rock

torna a teatro per un nuovo tour

LUNEDì 7 FEBBRAIO – TEATRO COLOSSEO

Via Madama Cristina, 71 – Torino

 

La pandemia non ha permesso la realizzazione del tour, che si sposta direttamente al 2022, con ancora maggiore energia, maturata in due anni, dell’artista.
Edoardo si prepara quindi a tornare sul palco con due ore di pura energia.
Con grinta, passione e tanta voglia ancora di trascinare il pubblico, sarà la volta di “PETER PAN ROCK’N’ROLL TOUR”, nei teatri più prestigiosi d’Italia.
Un concerto ad alto contenuto rock & blues: dai brani dell’album “Solo solo canzonette” ai grandi classici di Bennato.
On stage la Be Band, la formazione ormai consolidata, formata da Giuseppe Scarpato (chitarre), Raffaele Lopez (tastiere), Gennaro Porcelli (chitarre), Arduino Lopez (basso), Roberto Perrone (batteria). E a completare il quadro di grande musica il Quartetto Flegreo.
Bennato arriva a Torino in data lunedì 7 febbraio alle ore 21 al Teatro Colosseo per una data che si prospetta ennesimo SOLD OUT come tutte le date di Bennato organizzate da Dimensione Eventi.

I biglietti di tutte le date sono in vendita:
Per maggiori informazioni contattare
on-line su www.ticketone.it
la produzione Dimensione Eventi al
in tutti i punti vendita affiliati Ticket One
numero 011/19214730, dal lunedì al venerdì,
on-line su www.teatrocolosseo.it
dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 18.30
e presso la biglietteria del teatro

Tra il vecchio luna park e l’elegante New York, una discesa verso gli inferi

Sugli schermi “La fiera delle illusioni” di Guillermo del Toro

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

All’origine, nel 1946, il romanzo “Nightmare Alley” scritto da William Lindsay Gresham, già l’anno successivo portato sullo schermo da Edmund Goulding con Tyrone Power quale protagonista, film peraltro bocciato dal pubblico che non accettò di vedere sullo schermo uno dei suoi attori preferiti, romantico e irreprensibile, rivestire un personaggio così fortemente negativo. Con “La fiera delle illusioni” la storia è ripresa oggi da Guillermo del Toro, felicemente, ancora una prova vinta (anche se per una certa scrittura “di troppo” la perfezione della “Forma dell’acqua” forse non è così prossima), ancora un riallacciarsi o trovare ispirazione nel cinema americano degli anni Quaranta e Cinquanta, ancora la volontà di rendere minacciose o torpide le acque, un gran falò che tutto consuma e distrugge all’interno di una casa sperduta in qualche angolo d’America, da cui il protagonista Stan Carlisle fugge via, lasciandosi alle spalle un cadavere con parole di odio e conflitti tra un padre e un figlio mai sopiti.


Nel buio di una notte, tra insegne colorate (stanno circolando negli States poche edizioni in bianco e nero: chissà quali altre immagini, piene d’effetti e di nuove suggestioni) e scrosci di pioggia che, con l’altra presenza che sono i fiocchi densi di neve, non abbandoneranno mai l’intera vicenda, l’uomo, passato angoscioso e tanta ambizione, tanta prontezza nell’apprendere l’arrangiarsi della vita, arriva ad un vecchio luna park che sarebbe certo piaciuto a Fellini, incontrando Molly (Rooney Mara), la ragazza elettrica, che ha i sapori e l’innocenza di Gelsomina, o quanti sono corrotti anche nel corpo, quei freaks che anche Gabriele Mainetti ha saggiato di recente, il nano che alimenta tanti trucchi e l’Uomo Bestia, chiuso nel lerciume di una gabbia a succhiare il sangue dal collo squarciato di una gallina, come una intera umanità di farabutti e imbroglioni che furbescamente sbarcano il lunario vivendo nella e sulla menzogna, sospetti e bugie, il gioco spudorato e sempre sull’orlo del precipizio del mentalismo e dello spiritismo, che aleggiano in ogni angolo, non ultimi quelli dell’impresario che è Willem Defoe e della coppia Toni Collette/David Stratheim, ambigua di sguardi e di povere illusioni (lui perfetto nei suoi sogni del tempo ormai andato, lei bravissima come sempre ma con poco spazio a sua disposizione).

Illusioni per pochi soldi, il contatto con i morti a cui guardare con fiducia, un comodo mondo per allocchi o gente con nessuna speranza che nessuno vede. Incubi che a poco a poco prendono falsamente corpo, sotto quei tanti occhi che come in un vecchio film surrealista ti seguono, ti catturano, ti manovrano.

Poi il regista abbandona quel mondo slabbrato, quei tendoni attraverso i quali, pur tra gli inganni, circola ancora un minimo di umanità. Ed è uno spartiacque dal quale non è dato tornare indietro la fuga di Stan e Molly, come se avesse inizio un altro film. Una storia nuova che si sposta tra i grattacieli newyorkesi e le suite di lusso e i locali mollemente frequentati, gli studi di psichiatri dalla perfetta eleganza, i divani le scrivanie le lampade il mobile bar la libreria in legno prezioso, tutto è bellezza, tutto è ostentata signorilità, tutto è un successo per la coppia che s’è formata di recente, che maneggia ancora tarocchi e segreti catturati con false parole e subdole promesse.

È entrata in scena, non certo da comparsa ma bensì da primadonna, la femme fatale che ha i tratti di Cate Blanchett, la Lilith priva di scrupoli, algida e spietata, bionda peccaminosa, una sorta di Barbara Stanwick o di Veronica Lake, una immagine che può ricordare la Kim Basinger di “L.A. Confidential”. Lilith senza scrupoli e in grado di dimostrarsi più capace di Stan, più abile negli inganni, più veloce a tenderli e a portarli a termine. Il dark s’è fatto thriller nello sguardo lento di Guillermo del Toro, un lento racconto che cattura ogni più piccolo particolare, il buio dell’inizio se possibile è cresciuto, i colpi di pistola e il sangue hanno il loro primo piano. Si affastellano sull’orlo di un precipizio che porta Stan, assassinio e colpevolezza usciti da un romanzo di Dostojevski, dritto dentro il proprio inferno.


Senza possibilità di ritorno. Del Toro, messi da parte i tenui tratti che non convincono, costruisce ancora un’opera ardimentosa e intrigante, ci porge su di un piatto d’argento i legami che collegano il cinema e le regole della sua illusioretà a richiamare i giochi della vita, ha dalla sua e guida egregiamente una squadra d’attori di magnifico spessore, laddove Bradley Cooper eccelle in quella sembianza enigmatica e nel correre sempre più disumanizzato incontro alla tragedia finale, nella concretezza di una parabola che nasce e muore nell’ombra della menzogna.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Simonetta Agnello Hornby   “Punto pieno”       -Feltrinelli-    euro

E’ il terzo capitolo della saga della famiglia siciliana dei Sorci (dopo “Caffè amaro” e “Piano nobile”); abbraccia il periodo tra secondo dopoguerra e 1992 con le stragi di mafia.

Il romanzo inizia il 5 aprile del 1955 con la morte del barone Andrea Sorci, uno dei figli di Enrico. Il palazzo avito è ormai vittima dell’incuria e lontano dai fasti antichi. La decadenza non è solo delle stanze perché la storia inizia con un fatto gravissimo che aggiunge sfascio morale alla progressiva perdita di ricchezza della blasonata famiglia Sorci.

Il barone Andrea in un accesso di follia ha ucciso la sua povera domestica spaccandole la testa, poi è uscito di casa, si è accasciato su una panchina ed ha lasciato questo mondo.

A insabbiare la vera dinamica del delitto è il figlio illegittimo del barone Enrico, il potentissimo avvocato Peppe Vallo; detto “l’Americano” perché oltreoceano aveva fatto fortuna, anche grazie a connivenze poco limpide. In virtù dei suoi rapporti con consolato americano, polizia e malavita riesce a dirottare le indagini e a salvare il buon nome della famiglia.

Casata che in realtà sta affondando economicamente per lo sperpero della fortuna ereditata, mentre faide e antichi rancori minano i rapporti tortuosi e complicati tra i suoi membri.

Al centro del romanzo c’è la sorta di sorellanza nel Circolo del Punto Pieno creato dalle zie che i Sorci chiamano le Tre Sagge”,alle quali ricorrono per risolvere questioni spinose grazie al loro acume e buon senso.

Nella sagrestia della chiesa dei Santi Scalzi le zie accolgono donne di ogni età, estrazione sociale, esperienze di vita e lì, al riparo dal resto del mondo, ricamano corredini, tovaglie, lenzuola, asciugamani che otterranno un enorme successo anche commerciale. Soprattutto hanno ritagliato uno spazio unico in cui ogni donna viene accettata, dalla prostituta alla monaca; e tutte possono sentirsi libere di essere se stesse. Mentre cuciono febbrilmente parlano di tutto; dalla legge Merlin all’uomo sulla luna. Un circolo che però dà anche fastidio a qualcuno, come almagnaccia Cusumano…..  

Poi ci sono altri sviluppi…e tra i protagonisti spicca Peppe Vallo, uomo del mistero e colluso con la Mafia. Seduce Mariolina, più giovane di lui di 42 anni; la loro è una passione intensa che continua anche quando Beppe la induce a sposare l’innocuo Alfio,«dell’altra sponda» e marito solo di facciata.

Poi c’è il nipote di Andrea, Rico, uomo tormentato che, credendo nel progresso, s’inventa svariate iniziative, tutte destinate a finire in nulla. Dalle delusioni cerca conforto in molteplici amanti;mentre sua moglie Rita Sala si rivela uno dei personaggi più perspicaci e intelligenti.  

E sullo sfondo appaiono anche personaggi realmente esistiti come Marco Rostagno ucciso dalla mafia, o il giudice Falcone che morì con la moglie e gli agenti della scorta, sepolti  dai macigni di un’autostrada fatta saltare per aria. Unico baluardo di amore, bellezza e solidarietà in una società in frantumi resta il Circolo del Punto Pieno.

Larry Watson  “Uno di noi”   -Mattioli-   euro   16,00

Larry Watson è nato nel North Dakota nel 1947, ora vive nel Wisconsin a Kenosha, dopo una carriera da docente universitario, poeta e scrittore. Questo suo romanzo ha anche ispirato l’omonimo film girato dal regista Thomas Bezucha nel 2020 e arrivato a luglio nelle sale italiane. Magistralmente interpretato daidue mostri sacri di intensità e bravura Kevin Costner e Diane Lane.

Libro e film sono ambientati a inizio anni Cinquanta tra North Dakota e Montana, e possono essere annoverati come neo –western, ambientato negli spazi della frontiera americana che esiste ancora.

La vita dei coniugi George e Margaret Blackledge è stata segnata dalla morte dell’unico figlio James, accidentalmente caduto da cavallo e spezzatosi il collo. Sono sposati da quasi 40 anni,decisamente una coppia solida che ha retto al dolore più devastante che possa esserci. George è un ex sceriffo, uomo tutto d’un pezzo, poche parole e sguardi che dicono tutto; Margaret ha reagito alla perdita del figlio riversando il suo affetto sul nipotino Jimmie, piccolo tenero orfano di padre e rimasto in casa Blackledge con la madre Lorna.

I rapporti tra la nuora e Margaret non sono dei più facili, a unirle è l’amore per il bambino; ma tutto si complica quando Lorna sposa in seconde nozze un certo Donnie Weboy e si porta via Jimmie.

Il bimbo che ora ha 4 anni è stato il regalo che la vita ha fatto a Margaret e George e in parte ha compensato quello che la tragedia gli aveva portato via; ma ormai la nuova vita di Lorna ha allontanato i nonni dal nipote. E per Margaret la cosa è inaccettabile, tanto più che subodora qualcosa di poco chiaro nella nuova coppia.

E’ così che decide di andare a riprendersi il bambino; sembra fatta di acciaio, è tenace, battagliera e disposta a farlo anche da sola. E’ lei l’elemento trainante nella coppia; quanto a George, è meno convinto, ma non può certo lasciarla andare da sola. I due partono alla ricerca dei Weboy, attraversano spazi immensi e deserti alla volta del Montana, e alla fine dopo varie ricerche ritrovano Jimmie. Ma quello che scoprono è tutt’altro che piacevole.

Lorna è finita in una famiglia assai disfunzionale, fagocitata dal temibile clan Weboy che vive

isolato in una landa deserta e squallida, in un ranch sperduto in mezzo al nulla fuori dalla cittadina di Bentrock dove detta legge anche sulla polizia.

George e Margaret sprofondano in una sorta di incubo in cui devono fare i conti con lo spietato clan matriarcale dove a governare con pugno durissimo sui figli, sulla nuora e su Jimmie, è la pericolosa, perfida Blanche Weboy che trasuda odio, cattiveria e aggressività da ogni poro.

Salvare Lorna e Jimmie dalla violenza, dalle botte e dai soprusi di una famiglia marcia fino al midollo non sarà per nulla facile per i Blackledge. I Weboy non intendono lasciare andare la donna e il bambino e George e Margaret dovranno fronteggiare un’ondata di violenza e orrore incredibili, un mondo feroce dove la sola legge è quella di una famiglia disposta anche a uccidere ……

Un romanzo e un film  che narrano magnificamente due modi opposti e  inconciliabili di essere madri e di fare famiglia, e pagine che vi terranno col fiato sospeso fino alla fine.

 

Jonathan Lee  “Il grande errore”    –Sur–    euro 18,00

Galeotta fu una panchina di marmo a Central Park dedicata a un grande uomo –“il padre della Greater New York”- sulla quale si sedette nel 2012 lo scrittore inglese 40enne Jonathan Lee, da poco trasferitosi a New York, direttore editoriale dell’editore britannico Bloomsbury ed autore di altri 4 romanzi.

E’ dedicata a un personaggio che ha costruito alcuni luoghi cult della Grande Mela, Andrew Haswell Green, vissuto per buona parte nel XIX secolo e assassinato a 83 anni, davanti al portone di casa nel 1903.

Green è stato l’artefice di Central Park, Metropolitan Museum of Art, Museum of Natural History e lo zoo del Bronx. Di lui si era un po’ persa memoria, ma la verità è che fu uno dei padri della New York moderna che conosciamo oggi.

Jonathan Lee ha ricostruito la sua vita a partire dalle umili origini contadine, e il romanzo viaggia su due linee temporali che finiscono per assemblarsi.

Andrew era nato nel 1820, settimo degli 11 figli di un povero contadino del Massacchusetts; uomo duro, spiazzato da quel figliogracile, pelle e ossa, taciturno e sensibile che amava la letteratura ed era diverso dagli altri. Quando ha 12 anni la madre muore e lui sospetta che si sia suicidata. Il padre frequenta e porta in casa altre donne, e decide di spedire Andrew lontano da casa a fare l’apprendista in una bottega.

E’ proprio lì che il destino gli mette sulla strada l’avvocato Samuel Tilden. Dapprima suo mentore, poi divenne l’amore della sua vita, in un’epoca in cui l’omosessualità non era per  nientelecita e veniva mascherata da matrimoni di facciata, escamotage al quale però Green non volle piegarsi. Tilden fu colui che gli ispirò la costruzione della Public Library.

Green era geniale, tenace e dotato di una volontà ferrea che lo portò lontano e legò il suo nome in modo indissolubile a una delle città più affascinanti e moderne del mondo.

La seconda linea del racconto invece inizia dal giorno del delitto, 13 novembre 1903, in cui Cornelius Williams misterioso uomo dalla carnagione scura, baffi sale e pepe, in bombetta lo attende davanti alla sua abitazione  al 91 fra la Quarantesima e Park Avenue. Lo apostrofa con la domanda «Ditemi dov’è lei, Green» e poi esplode 5 colpi che stroncano la vita di Andrew. E a quell’epoca venire assassinati era visto come qualcosa di vergognoso, la gente finiva per associare la vittima a qualcosa di losco nascosto nel suo passato e nella sua vita.

Questo è il libro che chi ama profondamente New York divorerà con passione, perché ci racconta anche la storia della città e rispolvera dall’oblio la statura di Andrew Green, la sua «..fame d’imprese  grandiose, di opere di portata imprescindibile, capaci  di resistere alla prova del tempo…».

Una su tutte, il Central Park, che volle con tutte le sue forze e che quando iniziò a prendere forma gli valse l’ammirazione di sindaci e governatori che lo definirono «Un uomo  che porta a casa il risultato».

Sabina Minardi   “Il grande libro del vintage”     -Il Saggiatore-     euro   29,00

La giornalista Sabina Minardi è responsabile delle pagine culturali dell’Espresso e sempre molto attenta ai fenomeni culturali, come la tendenza a rispolverare il passato traslandolo nel presente.

E’ in questa direzione che si muove il Vintage, oggi decisamente in voga come testimoniano le folle che si muovono tra i banchi dei mercatini in cui echi, oggetti, abiti, utensili ormai tramontati del passato suscitano una nostalgia che induce all’acquisto e a una sorta di  ritrovata sicurezza e tenerezza.

La pandemia ha innescato tutta una serie di riflessioni sull’ambiente, il riciclo, e un modo nuovo di muoversi in un presente incerto. C’è anche una spinta ecologista che muove il vintage, un modo di sbloccare i ricordi, ridurre i consumi, frenare gli sprechi  e dare uno stop al fast fashion spesso poco chiaro quanto a filiera di produzione.

Dalle famose pastiglie Leone in scatole di latta colorate ai vinili, dai vecchi telefoni agli abiti che evocano il calore di chi li ha indossati in passato, dai libri vissuti alle borsette e via di questo passo….oggi il vintage è trasversale e chic. Piace ai giovani che vogliono fuggire dall’omologazione ed esprimere una personalità da scoprire; va forte tra le signore ma anche tra gli uomini che vanno alla ricerca di chicche come bretelle, cravatte, gemelli e oggetti da scrivania dei tempi  che furono.

La Minardi è bravissima nel raccontare quanto e come le cose siano fatte non solo di tela, stoffe, pelle, metalli, ecc., ma soprattutto di valori altamente simbolici e profondamente affettivi.

Rock Jazz e dintorni Ludovico Einaudi e Claudio Chiara quartet

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Jazz Club suona il sassofonista Fuat  Sunay con il chitarrista Gianluca Palazzo.

Mercoledì. Al Magazzino di Gilgamesh è di scena la cantante Arianna Cibonfa con il chitarrista Maurizio Malano. Al Jazz Club suona l’armonicista Big Harp con il duo Dodo &Charlie.

Al Teatro Erba tributo ad Astor Piazzolla con i Magasin Du Cafè e la violinista Sara Cesano.

Giovedì. Al Dash si esibisce il duo The Damn Swing. Al Jazz Club suona il quartetto The Hot Pots.  Al Cafè Neruda si esibisce il quartetto di Claudio Chiara.

Venerdì. Al Magazzino di Gilgamesh sono di scena gli The Hot Dogs. Tributo a Bill Evans al Jazz Club con il pianista Emanuele Sartoris accompagnato dal contrabbassista Marco Bellofiore.

Sabato. All’Arteficio suona il quartetto Boogie Bombers. Al Jazz Club tributo a Jimi Hendrix con Fast Frank. Ludovico Einaudi inizia  con 2 concerti consecutivi la tournèe per presentare il nuovo lavoro “Underwater”. Al Magazzino di Gilgamesh è di scena Paolo Demontis & The Good Gheddo. Al Folk Club suonano i Birkin Tree con il  cantante scozzese Tom Stearn.

Domenica. Al Jazz Club si esibiscono i KoriShanti. Al Blah Blah suona il trio Tin Woodman. All’Arteficio è di scena il cantante e chitarrista Stef Rosen.

Pier Luigi Fuggetta

Le Olimpiadi invernali e la Valanga Azzurra nel nuovo episodio del podcast “Fuoriclasse”

A cura del Salone del Libro

Dal 31 gennaio 2022 il sesto episodio disponibile su SalTo+ e sulle principali piattaforme di streaming gratuite

www.salonelibro.it – SalTo+

In occasione dei XXIV Giochi olimpici invernali a Pechino, il podcast “Fuoriclasse”, progetto digitale del Salone Internazionale del Libro di Torino che racconta lo sport attraverso storie, libri, riferimenti cinematografici, letterari, cronaca e radiocronaca, sale tra le vette innevate per dedicare allo sci e agli sport invernali la sua sesta puntata, ripercorrendo le tappe più significative delle Olimpiadi invernali e quel fenomeno strabiliante che fu la Valanga Azzurra. Uno sport, quello dello sci, che solo fino agli anni Settanta era ancora considerato elitario, destinato ai benestanti, e che in poco tempo è diventato un’attività e un divertimento per adulti e bambini, favorito anche dalla necessità di ritrovare un contatto con la natura e di ricercare quella libertà un po’ perduta in città.

Il nuovo episodio, realizzato dai curatori Marco Pautasso e FedericoVergari, sarà disponibile dal 31 gennaio 2022 su SalTo+ e sulle principali piattaforme di streaming gratuite. La puntata torna indietro nel tempo per ricordare lo slalom gigante di Coppa del mondo di Berchtesgaden, in Germania Ovest, nel 1974, quando la squadra italiana ottenne un risultato mai conseguito prima di allora da nessuna nazionale, aggiudicandosi le prime cinque posizioni della classifica finale, grazie alle imprese sugli sci di Piero Gros, Gustavo Thoeni, Erwin Stricker, Helmuth Schalmzl e Tino Pietrogiovanna, meritandosi l’appellativo di Valanga Azzurra. C’è spazio anche per il campione Alberto Tomba che nel 1988 a Calgary, in Canada, primeggia nello slalom gigante e costringe il Festival di Sanremo in corso a fermarsi in diretta, giusto il tempo per permettere al pubblico italiano di ammirarlo nello slalom speciale che conquista con destrezza. Tra la prima edizione dei Giochi olimpici invernali, svoltisi nel 1924 a Chamonix e i prossimi a Pechino (prima città della storia ad aver ospitato sia i Giochi olimpici estivi, nel 2008, sia quelli invernali), l’episodio di “Fuoriclasse” attraversa cento anni di sfide, vittorie, campioni e campionesse che hanno affascinato appassionati di tutto il mondo.

Tra i riferimenti bibliografici della sesta puntata: Mario Cotelli con L’Epopea della Nazionale di Sci 1969-1978. La Valanga azzurra (New Press); Lorenzo Fabiano con Thoeni vs Stenmark, l’ultima porta (Mare Verticale); Lorenzo Fabiano con Valanga azzurra. Innsbruck 1976 (Mare Verticale); Riccardo Crovetti e Leonardo David con La leggenda del ragazzino campione (Mursia).

Il sesto episodio fa seguito alle altre puntate di “Fuoriclasse”, ciascuna dedicata a particolari discipline sportive e ai suoi protagonisti: l’omaggio agli Europei di calcio nella prima puntata; il racconto dedicato alle Medaglie d’oro femminili nel secondo appuntamento; i campioni del ciclismo Alfredo Binda e Gianni Bugno nel terzo audio; il mondo del tennis e le Atp Finals nel quarto episodio; le testimonianze su tanti campioni e campionesse che hanno brillato nel 2021 nel quinto pezzo.

Il podcast “Fuoriclasse”

Raccontare lo sport di ieri e di oggi e la sua epica, costellata di storie uniche ed esemplari, personaggi avvincenti – vincenti o perdenti che siano –, e valori condivisi, come la lealtà, la resistenza e la perseveranza. Narrare lo sport attraverso le sfide di donne e uomini capaci di risultati impensabili o di cadute eclatanti e con l’attenzione rivolta alla cronaca del tempo, alla letteratura e al cinema che hanno fatto da sfondo o accompagnato tanti momenti sportivi nel corso del tempo. Rileggere eventi agonistici del passato per meglio interpretare pezzi di storia del nostro Paese e del mondo. Con il nuovo podcast dal titolo “Fuoriclasse” il Salone Internazionale del Libro di Torino si apre alla narrazione sportiva.

Fuoriclasse” comprende una serie di episodi, rilasciati una volta al mese, dedicati ciascuno a storie di personaggi sportivi “fuoriclasse” (perché fuori dal comune, irregolari, precursori che hanno scritto pagine di storia), oppure a momenti storici differenti, che si intrecciano, raccontati attraverso due voci, quelle di Marco Pautasso del Salone del Libro e di Federico Vergari, giornalista, scrittore e consulente del Salone del Libro.

Fuoriclasse” intende approfondire la narrazione sportiva, dal calcio all’atletica, dal tennis al ciclismo e così via. Ha anticipato e accompagnato una delle novità che hanno caratterizzato la recente edizione del Salone Internazionale del Libro di ottobre 2021: la presenza della Sala Olimpica, uno spazio dedicato allo sport, ai linguaggi con cui viene raccontato e alla sua editoria, per valorizzare una tendenza sempre più centrale nel mercato editoriale.

Spiegano Marco Pautasso e Federico Vergari:

«Il linguaggio sportivo è cambiato ed è facile fare un rapido confronto. Un evento che ricordiamo in molti è la telecronaca della finale di Coppa del Mondo di Spagna ‘82 di Nando Martellini. Un altro evento è la più recente finale del 2006 con la telecronaca di Fabio Caressa. Oggi la prima telecronaca annoierebbe, per quanto Italia-Germania del 1982 sia stata più entusiasmante (e ben giocata) di Italia-Francia del 2006. È cambiato qualcosa? La risposta è sì, perché è cambiato il racconto. Lo sport è (anche) un linguaggio e come tale è in continua evoluzione. L’obiettivo di “Fuoriclasse” è quello di fotografare questo cambiamento. Nell’epoca dello storytelling applicato a qualsiasi cosa, politica compresa, non si può pensare a un evento sportivo senza un adeguato racconto. Che avvenga per radio, in video, su un sito, con un libro o su un quotidiano è ormai un dato di fatto che la qualità della narrazione influirà sensibilmente sulla costruzione di un preciso ricordo sportivo. L’epica sportiva non manca ultimamente. Ci sono trasmissioni TV, case editrici e riviste che fanno dello sport una questione prima letteraria e poi sportiva. Parlare di sport significa prima di tutto parlare di uomini e donne. Ogni uomo e ogni donna si portano dietro una loro storia. Ognuno con la sua storia, ognuno con la voglia di spostare i limiti un po’ più in là.»

Per rimanere aggiornati sui podcast successivi: www.salonelibro.itSalTo+.

Fuoriclasse” è l’ultimo podcast in ordine di tempo ideato dal Salone Internazionale del Libro di Torino, dopo “Vita Nova”, che raccoglie gli interventi audio di ospiti dell’edizione speciale online a dicembre del Salone (come Alberto Angela, Richard Baldwin, Letizia Battaglia, Mathias Énard, Emma Dante, Fumettibrutti, Paolo Giordano, Vittorio Sgarbi, Eva Cantarella, Petros Markarīs) e “Il Salone presenta Albert Camus”, che approfondisce le opere dell’autore attraverso interventi di scrittori, scrittrici, traduttrici e intellettuali (Alessandro Piperno, Yasmina Melaouah, Annalena Benini, Leila El Houssi, Evelina Santangelo, Goffredo Fofi).