CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 297

Frida, la voce del Piemonte allo Zecchino d’oro

Il 22, 23 e 24 dicembre su Rai1 con FRANCESCA FIALDINI e PAOLO CONTICINI

Gran Finale la Vigilia di Natale con CARLO CONTI

22 dicembre 2022

Si chiama Frida e ha 8 anni la bambina di Moncalieri (TO) che parteciperà alla 65ª edizione dello Zecchino d’Oro, in onda su Rai1 giovedì 22 dicembre e venerdì 23 dicembre alle ore 17.05e sabato 24 dicembre alle ore 17.

Con il brano Mambo Rimambo, con testo e musica diGianfranco Grottoli, Andrea Vaschetti e Andrea Casamento, Frida ci insegna che, con un po’ di ingegno e allenamento, tutti possono imparare a cantare con le rime e a giocare con le parole.

A condurre le prime due puntate della trasmissione, dopo il successo dello scorso anno, tornano Francesca Fialdini e Paolo Conticini.

Per la finale, il pomeriggio della Vigilia di Natale, il padrone di casa sarà invece Carlo Conti, direttore artistico di Zecchino d’Oro. La regia è di Maurizio Pagnussat.

I conduttori non saranno soli sul palco dell’Antoniano, con loro:gli youtuber Ninna e Matti, che guideranno la Giuria dei Piccoli, giuria ufficiale dello Zecchino d’Oro composta da 20 bambini, e divertiranno grandi e piccoli; Cristina D’Avena che farà parte della Giuria dei Grandi durante la finale e porterà sul palco la sua musica; il Grande Mago, Alessandro Politi, con i suoi spiritositrucchi di magia; gli immancabili Buffycats della serie “44 gatti”.

Ospiti della prima puntata anche Giulia Ghiretti, nuotatriceparalimpica, Giorgio Minisini, atleta nuoto sincronizzato, Francesco Bocciardo, nuotatore paralimpico, campioni delle Fiamme Oro della Polizia di Stato, che canteranno il brano “Ognuno è campione” con il Piccolo Coro dell’Antoniano.

Protagonista assoluta la gara tra le canzoni:

giovedì 22 dicembre, ore 17.05 si inizia con l’ascolto delle prime 7 canzoni;

venerdì 23 dicembre, sempre alle 17.05 si prosegue con l’ascolto delle altre 7 canzoni;

sabato 24 dicembre, ore 17 gran finale con il riascolto di tutti i 14 brani e la proclamazione del brano vincitore.

Le 14 canzoni, interpretate da 17 bambini provenienti da 11 diverse regioni italiane insieme al Piccolo Coro dell’Antoniano diretto da Sabrina Simoni, cantano temi importanti e attuali: l’ambiente, la diversità, la famiglia. A firmarle 30 autori di musiche e testi, tra cui Checco Zalone, Enrico Ruggeri, Cesareo di Elio e le Storie Tese insieme a Filippo Pax Pascuzzi, Margherita Vicario, Eugenio Cesaro degli Eugenio In Via Di Gioia, Deborah Iurato e Virginio.

Tutti i brani sono già disponibili su tutte le piattaforme digitali e nei negozi di dischi all’interno della compilation del 65° Zecchino d’Oro, realizzata da Antoniano con la direzione musicale e artistica del Maestro Lucio Fabbri e distribuito da Sony Music Italia.

L’edizione numero 65 di Zecchino d’Oro sarà un’edizione speciale: in onda nei giorni dell’anno più amati dai piccoli, per ribadire il diritto di qualunque bambino di vivere i suoi anni più belli con gioia, serenità e spensieratezza. L’edizione 2022 di Zecchino d’Oro si intitolerà, infatti, Semplicemente bambino.

Torna anche quest’anno il gioco web per individuare la canzone preferita dalla rete: ognuno potrà esprimere la propria preferenza e provare a far vincere la propria canzone del cuore su www.zecchinodoro.org/il-mio-zecchino-2022/.

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Come da tradizione, lo Zecchino d’Oro si fa portavoce di Operazione Pane, la campagna di Antoniano che supporta 18 mense francescane in Italia e 5 nel mondo (in Ucraina, Romaniae Siria). Operazione Pane, con le sue storie, sarà protagonista delle tre puntate di Zecchino d’Oro e, durante la finale, potremo tutti sostenere le mense francescane con un sms o una chiamata da rete fissa al 45588.

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Quest’anno lo Zecchino d’Oro sarà non solo accessibile, ma veramente inclusivo grazie all’impegno di Rai Pubblica Utilità e alla pubblicazione in esclusiva su RaiPlay.

Tutte le puntate saranno come sempre sottotitolate su Rai UNO alla pagina 777 di Televideo, e la puntata finale di sabato 24 dicembre anche audio descritta per permettere proprio a tutti, di percepire ogni elemento visivo in grado di trasmettere al meglio l’atmosfera ed il clima della manifestazione – luci, colori, movimenti, sguardi – e di conoscere ogni minimo dettaglio in onda – dalla scenografia, agli abiti.  

Inoltre, per la prima volta, in virtù di un accordo di collaborazione tra Rai Pubblica Utilità e L’ISTITUTO STATALE PER SORDI DI ROMA ANTONIO MAGAROTTO, oltre 30 bambini – sordi e udenti, allievi dell’Istituto – interpreteranno in LIS, come solisti e in piccoli cori, ricreando le emozioni ed il ritmo dei piccoli cantanti e del Piccolo Coro dell’Antoniano, le 14 canzoni in gara dello Zecchino d’Oro 2022, dando vita a 14 emozionanti clip accessibili anche con i sottotitoli, e pubblicate in esclusiva su Rai Play.

Un progetto che ha impegnato a pieno ritmo sia Rai Pubblica Utilità, in particolare la Struttura Accessibilità, che l’Istituto Magarotto con mesi di prove, e che ha permesso alla manifestazione canora di diventare veramente non solo PER TUTTI, MA DI TUTTI.

Per conoscere i solisti, sempre in esclusiva su Rai Play, saranno inoltre disponibili delle brevi clip complete di sottotitoli, grazie alle quali ciascun bambino si presenterà nella Lingua dei segni italiana.

Un significativo passo in avanti verso una vera inclusione dedicata, questa volta, al mondo dei più piccoli.

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I bimbi del Piccolo Coro dell’Antoniano e i solisti vestono abiti Miss Grant, Paolo Pecora e Meilisa Bai, marchi di Follie’sGroup ed indossano scarpe Atlantic Stars.

Sabrina Simoni veste Angela Mele Milano.

Per ulteriori informazioni: www.zecchinodoro.org

Labar, la nostalgia del mare

Tra i tanti temi e soggetti trattati da Labar, geniale artista siciliano da molti anni residente in Monferrato a Villadeati in un palazzo secentesco in cui si dedica con la stessa passione e bravura a pittura, scultura ed incisioni, il mare si fa protagonista della prestigiosa mostra nel Museo Montanari di Moncalvo.

La nostalgia della terra natale, pur alleviata dallo splendore del paesaggio collinare che gli offre infinite nuove sollecitazioni, gli resta costantemente nel cuore suscitando l’esigenza di trasferirne il ricordo in immagini di un realismo che non è veridicità bensì vagheggiamento del vero ampliato in aspetti ancor più belli in quanto sognati come aspirazione al miglior mondo possibile.

Ogni particolare preciso, purificato e avvolto in un clima atemporale e universale va oltre la contingenza raggiungendo una perfezione assoluta che si può trovare solo nel sogno, se è vero che questo è realizzazione di un desiderio come afferma la psicanalisi.

Il desiderio di Labar è il raggiungimento e la comunicazione della Bellezza attraverso un percorso mitico-simbolico che tiene viva la nostra tradizione millenaria riservando l’unione di forma e Idea tradotta in immagine.

Fedele al genere figurativo non si assoggetta a mode aniconiche e a leggi di mercato procedendo attraverso immagini cariche di significati simbolici convinto che occorra far dialogare l’interiorità dell’artista con l’esteriorità che gli sta intorno.

Bellezza è sinonimo di armonia ed equilibrio, il mare è reso con pennellate levigate, purissime e sublimate nell’azzurro, mai sconvolto da romantiche procelle bensì simbolo di approdo sicuro; i sassi, tersi e vellutati invitano a camminarvi sopra; il cormorano sta dall’alto immobile vedetta e custode dell’armonia; l’agave si erge come sacrale oggetto totemico a creare ancestrali vincoli di appartenenza alla terra e al mare.

Sempre affiora il mito, la sua Messina, adagiata sulle rive marine della Magna Graecia, viene rievocata, nella pittura, al pari della Zacinto di Foscolo, in poesia, distesa sulle sponde del “Greco mar” da cui era nata Venere dea della bellezza.

Al modus operandi, accanto allo slancio intuitivo dell’immaginazione, concorre il mestiere, il lavoro faticoso che lo rende abilissimo artigiano nel costruire l’opera in modo lento, assiduo e scrupoloso facendo tesoro delle esperienze dei grandi del passato.

La gestione del lavoro può durare giorni e giorni finché non ottiene il risultato che ritiene sia la consacrazione del compito che si è assunto.

Le marine, esposte in mostra, sono una dichiarazione d’amore per la natura facendo uscire il senso del divino che c’è in essa poiché fare arte è qualcosa di sacrale, unificante il bello e il buono, il famoso kalòs kai agathos greco.

Sono anche dimostrazione di come in esse riaffiorino suggestioni dei grandi maestri del passato: “L’acquitrino e le ninfee” accolgono la teoria di Leonardo sulla applicazione dei colori primari e secondari al fine di ottenere il rilievo; “Acqua chiara”, con la distesa dei sassi, rivela la precisione fiamminga del dettaglio “La spiaggia” del 2019 è un capolavoro di Labar che, essendo anche un matematico, conosce perfettamente le regole della prospettiva attenendosi al trattato di Luca Pacioli “De divina proportione”.

Una particolare attenzione è rivolta alla scelta di materiali, utensili, tele e colori che devono essere i migliori per concorrere al risultato.

La stessa attenzione è rivolta all’incisione, che esercita personalmente nelle sale della sua dimora, adibite a questa disciplina, dove troneggiano rari torchi litografici e calcografici del 700 e dell 800 che ricreano la seducente atmosfera respirata nelle botteghe di Colmar e di Norimberga.

Gli stessi strumenti, bulini, inchiostratori, rotelle, sgorbi, tagliacarte, scovati avventurosamente in mercatini e botteghe antiquarie, sprigionano il fascino del pensiero di tante mani di artisti sconosciuti, e forse importanti, che li hanno usati.

Tra tanto rigore è singolare e desta emozione” La barchetta di carta va al mare”, nostalgico ritorno all’infanzia quando di fronte al mare sentiva il desiderio di avventurarsi tra le onde.

Il sogno si è poi avverato navigando tanti anni come skipper esperto e al tempo stesso trovando meravigliose suggestioni per la propria arte.

Giuliana Romano Bussola

“Il Tempo sospeso”, ecco la seconda edizione

Il libro di Mara Martellotta e Andrea Granchi, edito dalla Gian Giacomo Della Porta Editore,  unisce la scrittura alla pittura, è  giunto alla sua seconda edizione 

Il libro dal titolo “Il tempo sospeso”, scritto dalla giornalista torinese Mara Martellotta (nella foto)  insieme all’artista fiorentino Andrea Granchi, a un anno dalla sua pubblicazione, ritorna in vendita sotto una nuova veste editoriale per la sua seconda edizione, in cui sono stati aggiunti altri articoli e opere pittoriche dell’artista Presidente della Classe di Pittura dell’Accademia del Disegno di Firenze.

L’arte pittorica e la scrittura, un binomio che potrebbe sembrare apparentemente lontano, mostrano, invece, un sottile fil rouge nel potere salvifico che entrambe possiedono di fronte a eventi epocali quale è stata la pandemia da Covid 19. Alla luce di ciò, il volume intitolato “Il Tempo Sospeso”, edito da Gian Giacomo Della Porta Editore, accosta le riflessioni elaborate in questi due ultimi anni dalla giornalista Mara Martellotta alle opere pittoriche dell’artista fiorentino Andrea Granchi, nato a Firenze nel ’47, già docente presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, vincitore del premio Stibbert per la pittura nel ‘71 e proveniente da una famiglia di antica tradizione nel campo del restauro. L’amore per l’arte proviene ad Andrea Granchi da una solida tradizione familiare, essendo stato il padre un abile pittore e restauratore, chiamato nel 1934 dallo storico dell’arte Ugo Procacci a far parte del Gabinetto Restauri della Soprintendenza alle Gallerie Fiorentine.

La contemporaneità dei temi trattati, quali il cambiamento della società e dei rapporti interpersonali, la comparsa di nuove angosce e dubbi, hanno trovato un perfetto parallelismo sia nella scrittura dell’autrice, sia nella pittura di Andrea Granchi, indicando e tracciando una possibile via di ancoraggio e salvezza, in questo “tempo sospeso”, nell’arte.

“Agli scritti di Mara Martellotta – spiega il professor Pier Franco Quaglieni, che ha scritto la prefazione del libro – ci rivelano che nel grande naufragio c’è gente che ha salvato la propria anima attraverso la cultura, l’arte e la fiducia in una vita animata da valori che sembravano appannati. Questi scritti sono destinati a testimoniare il coraggio e l’intelligenza di chi ha saputo passare attraverso il fuoco senza bruciarsi, come diceva il mio amicoMario Soldati”.

Fondazione Cascina Roccafranca: un Natale Solidale di libri! Ultimi appuntamenti


L’iniziativa solidale di quest’anno è all’insegna della promozione della lettura per i più piccoli. Libri sospesi, donazioni e letture ad alta voce per tutto dicembre.

Anche quest’anno la Fondazione Cascina Roccafranca ha deciso di organizzare un’iniziativa solidale per il Natale, nell’ambito del progetto Mirafiori Quartieri Solidali.

 

Dopo il successo dell’edizione 2021, che ci aveva permesso di raccogliere beni di prima necessità per le famiglie in difficoltà del quartiere e la campagna per la raccolta di materiale scolastico dello scorso settembre, per questo NATALE SOLIDALE 2022 abbiamo pensato di dare continuità ai percorsi avviati e alla rete territoriale creata organizzando un’iniziativa solidale all’insegna della promozione della lettura per i più piccoli.

 

E dunque è nato, in collaborazione con le Biblioteche civiche, alcune librerie e cartolerie della zona di Mirafiori Nord e lo Spazio infanzia La Rocca Incantata, un progetto che ha l’obiettivo di promuovere e facilitare l’accesso alla lettura per bambine e bambini da 0 a 6 anni, consentendo anche a chi non ha la possibilità  di investire denaro in libri e di partecipare a letture ad alta voce di poter  entrare in questo meraviglioso mondo.

 

Cosa faremo? L’idea è quella di lavorare su due fronti: da un lato una campagna di raccolta fondi per acquistare dei libri da destinare a due Scuole dell’Infanzia del quartiere, dall’altro il coordinamento di momenti di lettura gratuiti destinati principalmente alla fascia di età 3-6 anni.

Partecipare alla nostra iniziativa è molto semplice e si può fare per tutto il mese di dicembre lasciando una DONAZIONE o un LIBRO SOSPESO presso questi negozi:

 

Libreria Essai, via Filadelfia 229
Libreria Gulliver, via Boston 30/B
Cartoleria La Mina, via Gaidano 168
Cartolibreria Millecolori, via Gaidano 67
Fotocartoleria, via G. Reni 96 int. 22
Cartoleria Il Dado, via Filadelfia 261/A

 

 

 

I libri sospesi  e quelli acquistati grazie ai  contributi raccolti saranno donati alle biblioteche delle Scuole dell’Infanzia Mago di Oz, di via Collino 12,  e Brunella, di via Romita 19, per permettere a tutti i bambini del quartiere di poterne usufruire nel corso degli anni.

 

In aggiunta, le donazioni raccolte nelle cartolerie saranno utilizzate per acquistare, presso le cartolerie stesse, materiali che verranno utilizzati nei laboratori di lettura.  

Ecco luoghi e date dei laboratori di lettura ad alta voce:

22 Dicembre ore 17.00
Biblioteca Civica A. Passerin d’Entréves Via Guido Reni 96/15-102, TO
Un viaggio natalizio tra i libri
Letture ad alta voce per bambine e bambini dai 3 ai 10 anni e le loro famiglie con le volontarie del Servizio Civile Universale.

 22 Dicembre ore 17.00
Biblioteca Amoretti c.so Orbassano 200, TO
Gelida l’aria ma non il cuore …

Letture ad alta voce per bambini e bambine dai 3 ai 6 anni e le loro famiglie. A cura del personale della biblioteca e delle volontarie del Servizio Civile Universale.

 

“Abbiamo pensato di lavorare sulla promozione della lettura per l’infanzia perché in questo momento storico ci sembra sempre più importante che la cultura sia inclusiva e accessibile e la nostra iniziativa va proprio in questa direzione – spiega Marta Belotti, operatrice della Fondazione Cascina Roccafranca che si occupa del settore welfare – Inoltre volevamo puntare sulla fascia di età 0-6 perché crediamo che la promozione della lettura e di iniziative culturali sia fondamentale già dai primi anni di vita ”.

 

In questa idea ci hanno creduto in molti perché l’iniziativa si regge sulla sinergia tra diversi attori che ritengono importante investire insieme sul territorio e sulla solidarietà. “Crediamo molto nell’importanza di lavorare insieme e mettere in rete diverse realtà del territorio, ci sembra una strategia vincente” – dice Marta Belotti, che aggiunge – “Cerchiamo di proporre una cultura sociale che fondi le sue consapevolezze dal basso e che parli di solidarietà, di mutualismo con un’attenzione particolare alle difficoltà e alle fragilità; che sviluppi una cultura della relazione, del creare reti, dell’aiutarsi reciprocamente per trovare risposte comuni a bisogni collettivi. Allo stesso tempo cerchiamo di lavorare affinché il sociale possa accedere liberamente alle risorse del territorio e venga incluso nelle sue proposte culturali”.

 

Il Natale Solidale è un progetto di Fondazione Cascina Roccafranca e Fondazione della Comunità Mirafiori.

Con il patrocinio della Circoscrizione 2 e nell’ambito del PON METRO REACT EU Torino – Asse 7 – Misura TO 7.1.1.a – Sviluppo delle Reti di Comunità per l’inclusione, finanziato attraverso le risorse dell’Unione Europea per la pandemia COVID-19.

In collaborazione con le Biblioteche Civiche Torinesi, le librerie Gulliver ed Essai, le cartolerie che partecipano alla Spesa Sospesa La Mina, Il Dado, Fotocartoleria e Millecolori, la cooperativa Educazione Progetto e lo Spazio Infanzia La Rocca Incantata.

L’iniziativa nasce all’interno di Mirafiori Quartieri Solidali, un progetto che permette di intercettare collettivamente i bisogni del territorio, aumentare la capacità di intervento su situazioni di fragilità,rendere sostenibile nel tempo gli interventi attraverso la creazione di esperienze virtuose di aiuto dal basso. Tutto con iniziative di sostegno alimentare (ad esempio la Spesa Sospesa con 30 negozi del quartiere che hanno aderito), inclusione, educazione e aggregazione, cura e benessere, segretariato sociale, per rendere Mirafiori un QUARTIERE sempre più SOLIDALE!

Tutte le azioni si svolgono con il supporto di volontari e in sinergia con Fondazione della Comunità Mirafiori. Il progetto Mirafiori Quartieri Solidali è sostenuto dalla Circoscrizione 2 e sul territorio di Mirafiori Nord include una rete di: 4 parrocchie (Santissimo Nome di Maria, Ascensione del Signore, Pentecoste e Gesù Redentore), 30 negozi locali, il GAS Roccafranca, la Cooperativa il Punto – Coabitazione Solidale via Poma Scarsellini.

(https://www.cascinaroccafranca.it/mirafiori-quartieri-solidali/)

INFO
Cascina Roccafranca – via Rubino 45 – 10137 Torino – tel. 011.01136250
e-mail: inforoccafranca@comune.torino.it / sito internet: www.cascinaroccafranca.it

“E così questo è il Natale (la guerra è finita)”

Music Tales, la rubrica musicale 

“E così questo è il Natale (la guerra è finita)

per i deboli e per i forti (se lo vuoi)

per i ricchi e per i poveri (la guerra è finita)

il mondo è così sbagliato (se lo vuoi)

e così buon Natale (la guerra è finita)

per i neri e per i bianchi (se lo vuoi)

per i gialli e per i neri (la guerra è finita)

fermiamo tutte le guerre (adesso)”

Oggi, ad un passo dal Natale, vorrei parlarvi di qualche curiosità sulla festa!

Perché Babbo Natale è vestito di rosso?

Originariamente il suo abito era verde, poi la Coca Cola l’ha colorato con il suo colore-manifesto per una pubblicità natalizia et volià: Babbo Natale da allora ha un guardaroba total red.

Perché ci si bacia sotto il vischio?

Nella mitologia nordica, il vischio è la pianta sacra di Frigg (o Freya), la dea dell’amore.

Questa dea aveva due figli: Balder, buono e generoso, e Loki, cattivo e invidioso, così gramo da volere uccidere il fratello. Quando la madre scoprì il terribile piano di Loki, chiese a tutte le creature animali e vegetali di proteggere Balder. Ma si dimenticò di una sola specie: il vischio.

E Loki usò proprio questa pianta per fabbricare una freccia letale per Balder.

La dea Frigg trovò il cadavere del figlio e scoppiò a piangere. Le sua lacrime si trasformarono magicamente in bacche bianche e quando toccarono il corpo di Balder lo riportarono in vita.

Impazzita dalla gioia, la dea Frigg cominciò a baciare chiunque passasse sotto l’albero sul quale cresce il vischio (di solito si tratta di pioppi, olmi e tigli).

Il suo bacio divenne un portafortuna e una protezione contro il male, motivo per cui oggi si usa scambiarsi baci sotto il vischio.

Qual è il primato di Jingle Bells?

Jingle Bells ha come primato non solo quello di essere la melodia più martellante di fine novembre-inizio gennaio ma anche quello di essere stata la prima canzone cantata nello spazio.

Il 16 dicembre del 1965 due astronauti statunitensi di nome Schirra Jr. e Thomas P. Stafford, a bordo della navicella Gemini 6, si attraccarono per la prima volta nella storia a un’altra navicella, la Gemini 7.

In quell’occasione intonarono proprio Jingle Bells.

Da dove nasce il bastoncino di zucchero?

La leggenda del candy cane, il bastoncino di zucchero a strisce rosse e bianche, racconta che questo dolciume tipicamente natalizio è stato inventato a inizio Novecento da un pasticciere molto religioso.

Il bastoncino vorrebbe omaggiare Gesù, di cui richiamerebbe l’iniziale

(la J di Jesus) se si capovolge il bastone.

Ma io, se penso al Natale, penso a questo brano sempre solo ad un brano e ve lo voglio proporre dalla voce incantevole di Kaylee Bergin. Una versione che mi fa tremare ogni volta.

Non c’è nulla di più triste a questo mondo, che svegliarsi la mattina di Natale e non essere un bambino.”

https://www.youtube.com/watch?v=t-wdei96z40&ab_channel=KayleeBergin

CHIARA DE CARLO

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Portabottiglie d’artista

Il 4 dicembre 2022 nel prestigioso ed accogliente Centro DOC “Paolo Desana” di Casale Monferrato, situato nel Castello Paleologo, è stata presentata la prima mostra della costituenda Esposizione permanente di arte a tema il vino.

Col titolo “Portabottiglie d’artista” la mostra, curata da Piergiorgio Panelli, si inserisce tra i tanti rarissimi documenti riguardanti la storia della DOC che riporta in vita illustri personaggi dedicatisi strenuamente alla valorizzazione dell’agricoltura e della viticoltura,

Giovanni Lanza e i cosiddetti “Quattro moschettieri del vino” ossia Giuseppe Antonio Ottavi, Federico Martinotti, Arturo Marescalchi e Paolo Desana  che nel 1963 fece approvare dal Senato la legge delle DOC italiane.

Nove sono gli artisti che danno l’avvio all’Esposizione permanente collegando l’arte a storia, costumi e tradizioni secondo il tema prescelto: Nadia Beltramo, Giovanni Bonardi, Carlo Cici, Chiara Cirio, Iris Devasini, Giorgio Grosso, Piergiorgio Panelli, Giovanni Tamburelli, Massimo Testa.

I singolari portabottiglie, creati dalle loro stesse mani, niente hanno a che vedere, seppur ci sia una certa assonanza verbale, con lo scolabottiglie di Duchamp che ha dato l’avvio al Ready-made e al Dadaismo limitandosi a scegliere e collocare un oggetto preesistente dandogli dignità artistica.

Piuttosto è evidente la suggestione  dell’Arte Povera degli anni 60 nell’uso di ferro, plastica riciclata, stoffa, tufo, terracotta ed altri   materiali umili, soppiantando i pregiati marmo e bronzo, senza per questo sacrificare il valore e la poesia delle opere se interviene lo stile.

Ogni artista ha esposto piccole belle sculture che, nonostante la semplificazione di loro opere più complesse, riescono a contraddistinguere gli stili personali immediatamente riconoscibili.

Un singolare modo di rendere omaggio al vino, d’altronde non è forse il mitico nettare degli dei ad essere esso stesso opera d’arte?

Gluliana Romano Bussola

“Ottocento”, la Collezione della GAM riaperta al pubblico

Dalla classicità a Giacomo Grosso, dalla Scapigliatura a Pellizza da Volpedo

 

“Le sempre più manifeste fragilità” della GAM avevano obbligato i responsabili, nel dicembre 2018, a chiudere la collezione del XIX secolo, ospitata al secondo piano. Una chiusura che si sperava breve, ma così non è stato. Nel frattempo, mentre si eseguivano i lavori di irrobustimento del solaio e di impermeabilizzazione totale dei tetti del museo, numerose arrivavano le richieste del pubblico affinché quella raccolta fosse restituita all’interesse e alle visite degli studiosi e degli appassionati. Dopo circa quattro anni ecco dunque “Ottocento”, la mostra curata da Riccardo Passoni e Virginia Bertone che, riaprendo gli archivi, attraverso un percorso critico che allinea circa una settantina di opere tra dipinti, sculture in marmo, a cere e gessi, a pastelli, riapre le porte di una grande collezione.

Cinque eleganti sezioni, “Nascita di una collezione”, “Nuove sensibilità e ricerche”, “La pittura di paesaggio al Museo Civico”, “Dalla Scapigliatura al Divisionismo” e “Ricerche simboliste tra pittura e scultura”, accompagnate da tre focus su Andrea Gastaldi, Antonio Fontanesi e Giacomo Grosso. Un valido quanto suggestivo percorso che Passoni ama definire altresì una “ricognizione del nostro patrimonio storico”, dove trovano posto anche opere mai esposte, restaurate grazie al contributo degli Amici della Fondazione Torino Musei, quali “Ecco Gerusalemme” di Enrico Gamba, acquistato nell’anno della sua esecuzione per il Museo nel 1862 dalla Società Promotrice delle Belle Arti, e “Nobili in viaggio” (ma ritrovandone il titolo originale con cui fu esposto nel 1867, “La Guida. Studio di castagni dal vero”) di Francesco Gonin, sempre presso la Società Promotrice torinese.

Ancora pienamente legato ai propositi della pittura accademica, il mondo di Gastaldi apre quel percorso con il celebre “Pietro Micca” nell’atto di dar fuoco alle polveri, in un atto di umiltà e sacrificio e in una postura che, ha indicato Enrica Pagella, ricorda il “San Gerolamo” leonardesco, con il ritratto dell’Innominato manzoniano del 1860 o con quello di Saffo, suicida sul litorale dell’isola. Poco più in là chi ancor più pare legato ai canoni classici, siamo nel 1864, immaginati qui a rappresentare “Gli ultimi giorni di Pompei” – grande era stato il successo dell’inglese Edward George Bulwer-Lytton trent’anni prima -, con il dipinto “Jone e Nidia”, “in un’ambientazione antichizzante, resa con precisione quasi antiquaria”, è il napoletano Federico Maldarelli, una classicità ricercata e studiata, osannata quasi e derivata da quelle campagne di scavi, nella città sepolta secoli prima dall’eruzione del Vesuvio, che avevano avuto inizio nel Settecento.

Da quel mondo si era già staccato il milanese Filippo Carcano con “Una lezione di ballo”, soltanto dell’anno successivo, una grande tela (133 x 168 cm) a “fotografare” un momento di modernità, una vasta sala piena di luce dove un maestro di danza è impegnato a condurre una giovane ballerina in abito blu, mentre le altre ragazze, alcune accompagnate da un cavaliere, attendono il loro turno sedute lungo le pareti. I suonatori di pianoforte e di violino non sono gli unici particolari su cui soffermarsi nell’ammirare oggi un’opera bocciata al suo apparire (“Il signor Carcano, colle eminenti qualità che possiede, cessi di far della fotografia e faccia della pittura, e sarà un vero artista”, scriveva Fulvio Accudi alla presentazione di “Una lezione di ballo” alla Promotrice torinese nel 1867, dopo averne definito il soggetto come “insignificante, infimo e volgare”), tanta è la preziosità con cui Carcano definisce la propria opera. Come è doveroso soffermarsi davanti a “La femme de Claude” (o “L’adultera”) di Francesco Mosso (un’esistenza brevissima, nacque a Torino nel 1848 e morì a Rivalta nel 1877), composto nell’ultimo anno di vita e derivato da un dramma di Alexandre Dumas figlio di quattro anni prima. Inutile dire che, pur riconoscendosi da molti l’attualità spregiudicata del quadro e Mosso “vero pittore del presente”, lo scandalo esplose tra il pubblico benpensante, affievolito appena dall’acquisto per le collezioni del Museo Civico (“la più vivace, ardita e significante” opera tra quelle esposte, la definì Marco Calderini), ma oggi riconosciuto autentico capolavoro, la giovane donna distesa sulla dormeuse, il corpo avvolto in una raffinata “robe d’intérieur”, il soffoco dell’ambiente in quei tendaggi fitti ed eguali, i particolari del cilindro e del revolver a terra a definire il compimento di una cruenta vendetta maschile.

Altri preziosi capolavori i paesaggi di Fontanesi e i vari studi che guardano alle acque e alle luci posate sugli stagni nelle diverse ore del giorno, il “Ritorno alla stalla” di Carlo Pittara, uno dei maggiori paesisti dell’Ottocento piemontese e l’esponente principale della Scuola di Rivara, capace di allargare i propri orizzonti e di guardare ai colleghi francesi dell’Ecole di Barbison, la palude di “Castelfusano” dipinta da de Andrade, il famosissimo “Lungo Po” di Enrico Reycend del 1883 dove lo spettatore di oggi individua ancora con curiosità le antiche costruzioni attorno alla Gran Madre. Come davanti a capolavori ci troviamo con “Nuda” e con il ritratto d “Virginia Reiter”, del 1896, di Giacomo Grosso, giocato quest’ultimo sull’uso “sfacciato” della gamma di gialli e proposto in un ambiente raffinatissimo, dove troneggia la figura della grande attrice, reduce dal successo ottenuto tra il gennaio e il febbraio di quell’anno con “La lupa” di Giovanni Verga, rappresentato per la prima volta al torinese teatro Gerbino.

Mentre le sculture di Bistolfi (“Crepuscolo”, “Le lagrime”) e di Rubino (“La danza” del 1902) punteggiano il percorso attraverso la ricchezza delle sale, il divisionismo di fine secolo vede nello “Specchio della vita” di Pellizza da Volpedo forse uno dei suoi punti più alti del Divisionismo come “L’edera” di Tranquillo Cremona viene considerato una delle immagini più affascinanti della scapigliatura di area milanese, un’immagine disperata e struggente, un successo che si è prolungato lungo i decenni, “una delle opere più note e riconoscibili dell’Ottocento italiano”, nelle parole di Enrico Thovez una “preziosissima opere che molte Gallerie invidieranno al nostro Civico museo”, una lunga gestazione fatta di riprese e ripensamenti, che attraverso le parole di Camillo Boito accompagnerà la sepoltura dell’artista scomparso troppo prematuramente nel 1878, all’età di quarantuno anni, una morte dovuta ad una intossicazione che lo colpì per l’abitudine di stemperare i colori direttamente sulla mano e sul braccio.

 

Elio Rabbione

 

 

DIDASCALIE

Nelle immagini (Ph. Perottino): Giacomo Grosso (Cambiano 1860 – Torino 1938), “Nuda”, 1896, olio su tela, 105 x 205 cm, dono di Eugenio Pollone, GAM Torino e “Ritratto dell’attrice Virginia Reiter”1896, olio su tela, 245 x 177 cm, acquisto presso la Società Promotrice delle Belle Arti, Prima Esposizione Triennale, Torino 1896, GAM Torino; Filippo Carcano (Milano 1840 – 1914), “Una lezione di ballo”, 1865, olio su tela 133 x 168 cm, lascito di Ada Olmo Serra Torino 1977, GAM Torino; Francesco Mosso (Torino 1848 – Rivalta 1877), “La femme de Claude (“L’adultera”), 1877, olio su tela, 201 x 154 cm, acquisto presso la Società Promotrice delle Belle Arti, Torino, 1877, GAM Torino; Tranquillo Cremona (Pavia 1837 – Milano 1878), “L’edera”, 1878 ca, olio su tela, 132 x 98 cm, Legato di Benedetto Junck, Torino 1920, GAM Torino; Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato 1859 – La Loggia 1933), “Crepuscolo” 1893, gesso, 52 x 60 x 45 cm, pervenuto dai depositi di Palazzo Madama Torino nel 1981, GAM Torino

“Mine Vaganti” di Ferzan Ozpetek di scena al Carignano

Dal 20 dicembre prossimo fino all’8 gennaio

 

Lo spettacolo teatrale “Mine vaganti” di Ferzan Ozpetek è in scena al teatro Carignano di Torino dal 20 dicembre all’8 gennaio 2023, inclusa la festa di Capodanno del 2023.

Rappresenta sicuramente uno dei film maggiormente apprezzati di questo regista di grande sensibilità nel tratteggiare l’animo umano. Si tratta di uno dei titoli più amati e premiati della sua filmografia, con tredici candidature al David di Donatello nel 2010 e cinque Nastri d’Argento, tra i principali riconoscimenti.

Ferzan Ozpetek firma la sua prima regia teatrale mettendo in scena l’adattamento di uno dei titoli più  amati e premiati della sua filmografia. Protagonista l’attore Francesco Pannofino, insieme a un valente Iaia Forte, accanto a Edoardo Purgatori, Carmine Recano e Simona Marchini.

Protagonista della pièce la famiglia Cantone, proprietaria di un grosso pastificio, che presenta radicate  tradizioni culturali altoborghesi e risulta dominata dalla figura del padre, un soggetto piuttosto conservatore che ha, quale unico desiderio, quello di lasciare in eredità la direzione dell’azienda ai due figli. La situazione precipita quando uno dei due si dichiara omosessuale, battendo sul tempo il minore tornato da Roma proprio per rivelare la sua verità ai genitori.

La commedia risulta vorticosa e ironica, caratterizzata da dialoghi incalzanti e con costanti interazioni con il pubblico in sala. Una commedia capace di raccontare la resistenza dell’uomo al cambiamento e a mettere a nudo quelle convenzioni che troppo spesso ci condizionano.

“Come trasporto i sentimenti, i momenti malinconici, le risate sul palcoscenico? –  si chiede Ferzan Ozpetek  – Questa è stata la prima domanda che mi sono posto e che mi ha portato un po’ di ansia, quando ha cominciato a prendere corpo l’ipotesi di teatralizzare “Mine vaganti”. La prima volta che raccontai la storia al produttore cinematografico Domenico Procacci, lui rimase molto colpito, ma anche entusiasta, affermando che sarebbe potuto diventare anche un ottimo testo teatrale. Poco dopo avviamo il progetto del film e chiamammo Ivan Cotroneo a collaborare alla sceneggiatura.

Dietro invito di Marco Balsamo la prospettiva di traduzione teatrale si è realizzata con un cast corale e un impianto che lascia intatto lo spirito della pellicola. Certo ho dovuto lavorare per sottrazioni, lasciando quell’essenziale intrigante, attraente, umoristico. Ho tralasciato circostanze che mi piacevano molto, ma quello che il cinema mostra, il teatro nasconde e, così, ho sacrificato scene e ne ho inventate altre, per dare nuova linfa all’allestimento.

L’ambientazione cambia. Una vicenda del genere non potrebbe svolgersi nel Salento, per questo l’ho ambientata in una cittadina tipo Gragnano o lì vicino,  in un posto dove un coming out ancora susciterebbe scandalo. Rimane la famiglia Cantone, proprietaria di un grosso pastificio, che presenta radicate tradizioni culturali alto borghesi, che si concentrano in un padre desideroso di lasciare in eredità la direzione dell’azienda ai due figli. La situazione precipita quando uno dei due si dichiara omosessuale, battendo sul tempo il minore, tornato da Roma per aprirsi ai suoi cari e svelare questa verità “.

“Racconto – spiega Ferzan Ozpetek – storie di persone, di scelte sessuali, di una fatica a adeguarsi a un cambiamento sociale ormai irreversibile. Qui la parte del pater familias risulta drammatica e ironica al tempo stesso. Le emozioni dei primi piani hanno lasciato il posto a punteggiatura e parole. I tre amici gay sono diventati due e ho integrato le parti mancanti con uno spettacolino, per poter marcare, facendone quasi una caricatura, quelle loro caratteristiche che, prima, arrivavano alla gente secondo le modalità  mediate dallo schermo. Il teatro può, infatti, permettersi il lusso dei silenzi, ma devono essere esilaranti, altrimenti vanno riempiti con molte frasi e una modulazione forte e travolgente. Ho optato per un ritmo continuo che non si ferma mai, neanche durante il cambio delle scene, e il cui merito va a Luigi Ferrigno, che si è inventato un gioco di movimenti con i tendaggi. Fondamentali le luci di Pasquale Mari e i costumi di Alessandro Lai, colorati e sgargianti. Ho realizzato una commedia che mi farebbe piacere vedere a teatro, in cui lo spettatore è parte integrante della messa in scena e interagisce con gli attori, che spesso recitano in platea come se si trovassero nella piazza del paese e verso cui guardano quando parlano. La piazza/pubblico rappresenta il cuore pulsante che scandisce i battiti della pièce”.

MARA MARTELLOTTA

 

Biglietteria del Teatro Stabile di Torino

Tel. 0115169555

Numero verde

800235333

Teatro Carignano, Piazza Carignano 6

Dal martedì al sabato dalle 13:00 alle 19:00

Domenica dalle 14:00 alle 19:00

Lunedi riposo

Orari straordinari in occasione delle Feste

Sabato 24 dicembre dalle 10:00 alle 17:00

Il 25 dicembre la biglietteria resterà chiusa

Le donne del Risorgimento piemontese

I salotti erano i luoghi dell’incontro sociale, della cultura, della lettura e della conversazione a cui partecipava l’aristocrazia e la borghesia nascente, erano luoghi in cui c’erano tante idee.

A partire dal 1848, diventarono luoghi di attiva discussione politica fra le élites di potere e della borghesia che aspirava al cambiamento. Inoltre, i salotti erano i punti di ritrovo per eccellenza delle donne della media e alta società, le quali svolsero un ruolo importante sul piano civile e politico del Risorgimento Nazionale. Infatti, le donne avevano un ruolo di attiva partecipazione all’interno dei salotti. Durante la metà dell’Ottocento, i salotti torinesi erano dei centri di aggregazione e formazione dell’opinione pubblica, ma anche luogo in cui l’élite torinese, i diplomatici e politici, intellettuali e artisti si riunivano. Un ruolo molto importante lo svolgeva la politica, dato che si stava iniziando ad elaborare il processo di unità nazionale, e dopo la promulgazione dello Statuto albertino, Torino divento il posto per molti esuli italiani, i quali trovarono nei salotti lo spazio per la diffusione di idee patriottiche, ma anche antiliberali. Tra i salotti possiamo ricordare quello della
Contessa Balbo Bertone di Sambuy, antiliberale e legittimista; quello della Marchesa Giulia di Barolo; quello di Costanza d’Azeglio a Palazzo Tapparelli, salotto politico e diplomatico. Tra i più famosi vi era il salotto della Marchesa Alfieri, nipote di Cavour, il cui salotto veniva considerato il vero circolo politico di Torino, nel quale si incontravano anche gli ambasciatori dei Paesi amici; e quello della Baronessa Perrone, nel palazzo di Via XX Settembre, attualmente sede della Banca Unicredit.

Sofia Scodino

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Livia Manera Sambuy “Il segreto di Amrit Kaur” -Feltrinelli- euro 20,00
La scrittrice e giornalista culturale del “Corriere della sera”, Livia Manera Sambuy, è profonda conoscitrice della letteratura americana ed abilissima nel ricostruire vite partendo da uno spunto iniziale, un’affascinazione che la spinge ad approfondite ricerche fino a ricomporre biografie di personaggi unici. Ed è l’autrice di due documentari su Philip Roth, pietre miliari per capire il complesso scrittore americano.
Il 2007 è stato il suo “annus horribilis”, quello in cui ha dovuto fare i conti con la morte del fratello, il capolinea del suo matrimonio e difficoltà pure sul lavoro, dal momento che la crisi economica aveva costretto il suo giornale a sfoltire i dipendenti. E’ in questa colata di lava che si imbatte, mentre è a Mumbay, in un’immagine che la folgora e dà l’avvio alle ricerche e ai contatti che le permetteranno di ricostruire le vicissitudini di una principessa indiana dalla vita rocambolesca.
Nelle sale della mostra che ospita temporaneamente i ritratti di vari maharaja (scattati dal fotografo irlandese Lafayette e provenienti dal Victoria & Albert Museum) la giornalista viene letteralmente ammaliata dagli occhi scuri di Amrit Kaur. Principessa indiana, unica figlia femmina del maharaja di Kapurthala, ritratta 20enne nel 1924 quando fu presentata a Buckingham Palace a re Giorgio e alla regina Mary. Era stata educata in Inghilterra e in Francia, aveva vissuto negli anni 30 a Parigi e la sua famiglia possedeva una collezione di gioielli particolarmente importanti.
A colpire la Manera ancor di più è la didascalia che accompagna l’immagine; nel 1940 Amrit era stata arrestata dalla Gestapo a Parigi, colpevole di aver venduto i suoi favolosi gioielli per aiutare alcuni ebrei a fuggire. Mandata in campo di concentramento era morta circa un anno dopo.
Livia Manera Sambuy diventa una specie di detective e per 12 anni rincorre i vari tasselli che le permettono di capire la vita della principessa indiana; vola più volte tra India, Parigi, Usa e Inghilterra. Una storia complicata che interseca i destini in qualche modo collegati di Amrit, la fine del Raj, dell’Impero Britannico in India, il declino della famiglia di Amrit, la Shoa e il ruolo dei famosi gioiellieri ebrei Rosenthal.
A Parigi, negli archivi di Stato, troverà molto materiale sulla sua famiglia che era decisamente glamour, conosciuta e fulcro di tutte le feste. Ma su Amrit non c’è nulla. Manera continua a cercare e a Londra mette insieme altri pezzi del puzzle.

Il livello di coinvolgimento della Sambuy aumenta ancora di più quando incontra la figlia di Amrit. E’ Bubbles, oggi 92enne elegantissima e quasi cieca, che dalla madre era stata abbandonata da piccola nel 1933 e della quale non aveva più saputo nulla (in famiglia non era mai più stata nominata). Sarà lei, che all’epoca aveva solo 4 anni e da sempre si interrogava su quell’abbandono, a chiedere alla giornalista di trovare risposte alle sue domande.
Ed ecco un altro sprint per la scrittrice che riprende le ricerche e finirà per trovare perigliosamente una valigetta di coccodrillo con le iniziali dorate di Amrit Kaur nientemeno che a San Diego in California. Lì dentro – tra foto, lettere e documenti- è racchiusa la vita di Amrit. Una messe che ha consentito la nascita di questo libro affascinante che ricostruisce la vita di una figura modernissima per i suoi tempi, coraggiosa, colta e sensibile, che attraversò la storia e momenti difficilissimi.

William Dalrymple “Anarchia” -Adelphi- euro 34,00
Come negli altri suoi libri, lo storico e scrittore inglese, ha scritto “Anarchia” basandosi sull’assoluto rigore della ricerca storica ammantandola poi di scorrevolezza narrativa. Ha ricostruito la monumentale e corposa storia della Compagnia delle Indie, fin dalla sua nascita e lungo la sua inarrestabile ascesa, in quasi 500 pagine corredate da immagini dell’epoca.
Un percorso affascinante che parte dal 1599 quando si sviluppa una piccola compagnia, la società anonima per il commercio con l’Oriente, in competizione con altre potenze europee (l’Olanda in testa).
Dapprima una compagine di temerari mercanti inglesi che individuano nell’India l’area in cui avviare lucrosi commerci, importando in Europa prodotti nuovi e fino ad allora sconosciuti. Sarà la regina Elisabetta I d’Inghilterra a fornire alla compagnia una patente reale “per muovere guerra” e ricorrere anche alla forza per realizzare gli obiettivi prefissi.Una partenza prevalentemente commerciale, in cui con determinazione fu progressivamente conquistato il mercato di spezie e tessuti di lusso provenienti dalle Indie orientali, con l’importazione ed esportazione di materie prime.
Lungo i due secoli successivi la Compagnia britannica delle Indie orientali si trasforma in violenta macchina di espropriazione e dominazione. La sua diventa una storia di conquista economica, azioni predatorie e colonizzazione di un paese e popolazioni di storia antichissima.Dalrymple ci conduce in un viaggio affascinante in cui ricostruisce anche le biografie di alcuni protagonisti che contribuirono in prima persona. Sottolinea quanto acquistassero potere personaggi come il barone Clive, contabile della Compagnia nel 700, che tornò dall’India ricchissimo, tanto che poteva comprarsi anche i membri del Parlamento. E di fatto la Compagnia delle Indie fu colei che costituì la prima lobby in grado di manovrare il governo britannico.Uomini ambiziosi e spesso spietati che operarono secondo interessi economici e fecero la loro parte nell’opera di dissoluzione del Regno e della dinastia Moghul. Dinastia potente, raffinata, e rispettata che dominò il territorio indiano dal 1500 al 1700; poi per incapacità governativa ed inferiorità tecnologica in campo militare finirà per cedere di fronte all’Impero Inglese.Lo storico ripercorre i passaggi che hanno fatto in modo che la Compagnia delle Indie Orientali nel 700 si trasformasse in una società extraterritoriale con un potere immenso e superiore a quello della stessa Inghilterra che le aveva dato i natali. Una della prime Società per Azioni partita con un manipolo di dipendenti, 200 anni dopo ha accumulato profitti esorbitanti dal commercio con le Indie, e dispone di uno dei più grandi eserciti che controllava territori sconfinati, dominandoli con pugno di ferro e lontano da ogni legittimazione democratica.

Maud Ventura “Mio marito” -Sem- euro 19,00
Maud Ventura ha 29 anni, è parigina con lontane origini italiane, ha un podcast molto seguito, “Lalala”, con questo romanzo di esordio ha vinto il “Prix Du Premier Roman” e innescato un vero e proprio caso letterario. Il racconto si basa in parte sulla sua esperienza personale, ma ha chiarito che la protagonista è molto diversa da lei, anche se la storia nasce comunque nelle paure e nelle ansie dell’autrice.Il tema è fondamentalmente: è possibile amare troppo e vivere nel terrore di non essere amate come si vorrebbe? E’ vero amore? Oppure un desiderio incolmabile di essere viste, considerate, amate?
Dove affonda le radici un’ossessione del genere?Voce narrante è quella di una quarantenne sposata da 15 anni che sembra avere tutto dalla vita, eppure è divorata dall’ansia di venire abbandonata dal marito. La loro sembr una coppia perfetta: lei è insegnante di inglese part time e traduttrice, sempre impeccabile ma con il tarlo irrisolto di provenire da una famiglia più modesta di quella del consorte che per molti è il suo “principe azzurro”.
Di lui non sappiamo neanche il nome, ma è solo e sempre “mio marito”: benestante, colto, con una prestigiosa professione che garantisce alla famiglia un alto e invidiabile tenore di vita, in una bella casa in un quartiere di quelli giusti e due figli che non danno problemi.Eppure nell’arco di 7 giorni, scanditi da una sorta di diario intimo, la protagonista si mette a nudo e racconta con dovizia di particolari minuziosi la sua strisciante angoscia di non essere più amata come vorrebbe.
Sotto l’apparenza controllata si nasconde una donna passionale, per niente appagata dal tranquillo tran tran di una collaudata relazione serena, come se il marito non fosse più attratto da lei.
La questione via via si fa più complessa e vengono descritti stati d’animo altalenanti, una passione dai toni adolescenziali, una costante e minuziosa osservazione di ogni gesto, sguardo o respiro del marito alla ricerca di indizi, una deriva patologica che esprime l’infelicità di questa donna.Mania di controllo, insicurezza profonda, costante ricerca di perfezione in ossequio dei dictat dei social, e altre mille sfaccettature che vengono sviscerate con una scrittura veloce, magnetica e coinvolgente. Emerge il quadro di un matrimonio intriso di malcontento, mistificazioni e sotterfugi, con colpo di scena finale.

 

Louisa May Alcott “L’amuleto d’ambra” -elliot- euro 15,00

Questo racconto dell’India coloniale è un testo inedito della scrittrice americana (nata nel 1832 e morta nel 1888) la cui fama è legata soprattutto alla tetralogia di “Piccole donne”, ma che spaziò anche nel thriller e nel gotico in scritti meno conosciuti.
Il testo è un’opera inedita: manoscritto di 4 capitoli trovato per caso da Daniela Daniele che è anglista e ricercatrice all’Università di Udine, e l’ha scovato durante le sue ricerche alla Houghton Library di Harvard.
E’ una storia scritta dalla Alcott in due epoche diverse, così che risulta difficile stabilire con esattezza la data, si ritiene che la seconda parte del racconto sia stata scritta nel 1887.
E’ ambientata a Delhi nel 1857 e l’amuleto d’ambra del titolo sarebbe il pegno d’amore che l’ufficiale inglese Duke Gordon ricevette da una misteriosa e bellissima fanciulla indiana. Il militare era rimasto ferito durante la ribellione dei Sepoy (i soldati locali ribelli ai colonizzatori); era riuscito a sopravvivere, ma della ragazza che gli aveva salvato la vita non trovò più traccia.Seconda parte del racconto, altro scenario, anni dopo, Duke è a Parigi. Una sera assiste ad un spettacolo esotico la cui protagonista è una ballerina misteriosa. Sullo sfondo di scenografie maestose, domatori di belve, si muove una vedette che manda il pubblico in visibilio. Sulla sua identità si vocifera che sia di origini indiane o spagnole; ma Duke è convinto di aver ritrovato la sua salvatrice. Sarà l’amuleto del titolo ad aiutarlo a scoprire la verità.

 

Scott Spencer “Un oceano senza sponde” -Sellerio- euro 17,00
E’ una storia di ossessione, dolore e scoperta della propria natura più profonda, quella che si sviluppa in questo romanzo dello scrittore americano nato nel 1945 a Washington, autore di 11 romanzi e docente di scrittura alla Columbia University.
Il suo libro di grande successo “Un amore senza fine” del 2015, classificato come testo con alto tasso di erotismo, ha ispirato due film; nel 1981 uno per la regia di Zeffirelli, e il successivo nel 2014, entrambi al centro di polemiche e critiche.“Un oceano senza sponde” inizia con il protagonista, Kip, in attesa della sentenza di un giudice per qualcosa che il lettore non sa ancora… ed è già curiosità assicurata.
Capiamo subito che Kip sta già vivendo una prigionia interiore, di gran lunga peggiore di qualsiasi verdetto di tribunale.
Fa risalire l’inizio del disastro a una data ben precisa, 12 marzo 1997, quando ha ricevuto la telefonata del tutto inaspettata di una conoscenza dei tempi del college, Thaddeus.
Non un compagno qualunque; perché Kip era stato attratto, affascinato ed infine si era innamorato di Thaddeus. Una devozione che l’amico non aveva minimamente colto, tantomeno corrisposto.
Poi le loro esistenze erano andate avanti e loro si erano persi.Ora Kip conduce una vita tranquilla e benestante lavorando in una società di investimenti; non è esattamente ricco, ma se la passa parecchio bene.
Thaddeus invece è inguaiato in pesanti problemi economici e chiede aiuto.Sposato con un’artista che non riesce ad emergere, hanno due figli adolescenti e vivono nell’enorme proprietà di Orkney, 18 stanze sontuose sull’Hudson. L’avevano acquistata con i guadagni dell’unico successo di Taddheus come sceneggiatore di un film campione di incassi al botteghino. Convinta di essere ormai saldamente sulla cresta dell’onda la coppia aveva vissuto alla grande e sperperando a piene mani.
Poi in un attimo Thaddeus si era bruciato carriera e futuro gettando un drink in faccia al figlio di un importante produttore. Da allora l’ostracismo aveva bloccato ogni suo progetto, i soldi erano finiti, la proprietà e la vita della famiglia ormai prossime al tracollo.Alla richiesta di aiuto economico dell’amico, Kip non sa resistere, lui che lavora per i ricchi ma di suo ricco non è, semmai un professionista di successo. Il lavoro è l’unico punto fermo della sua vita che sul versante affettivo è tutt’altro che pienamente realizzata. Quanto riuscirà a tenere a freno la sua non dichiarata omosessualità e l’amore per l’amico che non ha mai svelato?
Cosa succederà in questa dinamica tra i due uomini in cui si mischiano elementi a doppio taglio come sesso e soldi?
Scoprirete tutto leggendo le pagine in cui Scott Spencer è maestro nel dipanare temi scottanti.