CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 297

Tutta l’arte di Artissima in mostra all’Oval

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Artissima, la kermesse Internazionale d’Arte Contemporanea di Torino, è l’unica fiera in Italia dedicata esclusivamente all’arte contemporanea

Quest’anno avrà per la prima volta il patrocinio del Ministero della Cultura. La ventinovesima edizione della Fiera è in programma da venerdì 4 a domenica 6 novembre all’Oval di Torino. Saranno presenti 174 gallerie italiane e internazionali che provengono da 28 Paesi e 4 continenti. C’è anche una galleria dall’Alaska. La rassegna è stata presentata a Torino presso Gallerie d’Italia. Artissima presenta un nuovo logo e avrà quattro sezioni principali, Main Section, New Entries, Monologue/Dialogue e Art Spaces & Editions , e le tre sezioni curate, Disegni, Present Future e Back to the Future. Il tema di questa edizione  è ‘Transformative Experience’. La manifestazione  assegna  quattro premi ad artisti e gallerie, due in memoria di figure del mondo dell’arte e quattro supporti istituzionali da parte  di fondazioni ed enti culturali. Si tratta dei premi “Illy Present Future”, “Fpt for Sustainable Art”, “Vanni occhiali #artistroom”,”Tosetti Value per la fotografia”, più i riconoscimenti “Matteo Viglietta Award” e “Carol Rama Award”. I supporti istituzionali sono di Fondazione per l’arte Crt con Ogr Award, Fondazione Merz, Fondazione Oelle e Museo Ettore Fico. Da citare i progetti speciali che propongono un nucleo di opere fotografiche di Gregory Crewdson realizzate per Gallerie d’Italia, e la nuova edizione del progetto per i piccoli visitatori  “Artissima Junior” in collaborazione con Juventus. Infine, le “AudioGuide” accompagneranno il pubblico in visita per la fiera.

“Premio Pavese 2022” A Santo Stefano Belbo inaugurazione di “Dialoghi”

Il nuovo spazio museale della “Fondazione Cesare Pavese”

Sabato 5 e domenica 6 novembre

Santo Stefano Belbo (Cuneo)

Sarà un’intensa due giorni dedicata al grande scrittore di Langa nella sua  Santo Stefano Belbo (Cuneo), mitico scenario in cui prende vita il suo ultimo romanzo, “La luna e i falò”, edito nel 1950. L’appuntamento è per sabato 5 e domenica 6 novembre prossimi. Particolarmente attesa, nel pomeriggio di sabato, la premiazione dei sei vincitori della 39^ edizione del “Premio Cesare Pavese”, i cui nomi erano già stati annunciati il 13 settembre scorso (da una giuria guidata da Alberto Sinigaglia, presidente del Comitato Scientifico della “Fondazione Cesare Pavese”) e che si sono distinti – in linea con l’attitudine pavesiana – nei rispettivi ambiti di attività. I loro nomi: Norman Gobetti (traduzione), Emilia Lodigiani (editoria), Gavino Ledda (poesia), Ludovica Maconi e Mirko Volpi (saggistica) e Michele Mari (narrativa).

La cerimonia si terrà sabato pomeriggio, alle 15,30, nella chiesa sconsacrata dei “SS. Giacomo e Cristoforo”, ora Auditorium e spazio espositivo della “Fondazione Cesare Pavese”, in piazza Luigi Ciriotti, già piazza Confraternita al civico 1. L’iniziativa sarà accompagnata da due interessanti eventi artistici: l’esposizione dell’immagine di Pavese realizzata dall’artista torinese Paolo Galletto (eccellente grafico ed acquerellista, collaboratore de “La Stampa” e “Vogue Italia”, nonché inserito fra i 150 migliori illustratori al mondo da “Illustration now!”) e di una serie di sculture e disegni (“Sei di sangue e di terra”) di Paolo Spinoglio (Torino, 1956 – Asti, 2002) visitabili nella chiesa dei “SS. Giacomo e Cristoforo” fino all’8 gennaio 2023. La mostra, inaugurata durante il recente “Pavese Festival” per i vent’anni dalla scomparsa dell’artista, vuole suggerire un dialogo tra la poesia di Pavese – il titolo è un verso tratto da “Anche tu sei l’amore” – e la scultura di Spinoglio: tanto essenziali (“quei visi di Spinoglio che sorridono senza occhi”) quanto potenti nella loro capacità di scandagliare il segreto intimo dell’umanità. Sempre sabato 5 novembre, in mattinata alle 11,30, al secondo piano della “Fondazione  Cesare Pavese”, si terrà un altro importante evento, di grande valore simbolico, oltre che scientifico, per la “Fondazione”: l’inaugurazione di  “Dialoghi”, il nuovo spazio museale che – oltre alla copia dei “Dialoghi con Leucò” su cui lo scrittore lasciò il suo ultimo messaggio – ospiterà anche una serie di inediti pavesiani donati dalle famiglie Molina e Vaudagna. Libri annotati, lettere, manoscritti, articoli di giornale appuntati e sottolineati, cartoline, bozze di racconti che – adeguatamente custoditi e valorizzati grazie a un innovativo allestimento multimediale – sono ora messi a disposizione del pubblico. Il progetto – che ha ripensato il museo pavesiano nella sua totalità – è stato realizzato con il contributo del “Comune di Santo Stefano Belbo” e prevede un allestimento modulare che possa ampliarsi nel tempo, nell’auspicio che altre famiglie vicine a Cesare Pavese scelgano di mettere a disposizione della collettività documenti simili in loro possesso. La nuova sala è dedicata inoltre alla memoria di Maurizio Cossa Majno di Capriglio, pronipote di Cesare Pavese e consigliere della “Fondazione” prematuramente scomparso lo scorso febbraio.

“Si tratta di una grande opportunità per la ‘Fondazione Cesare Pavese’ – spiega il direttore Pierluigi Vaccaneoche si posiziona così come ente di riferimento in Italia e nel mondo per la custodia e la diffusione dei documenti editi e inediti relativi allo scrittore”. Altrettanto ricca di appuntamenti l’agenda di domenica 6 novembre, con un programma all’insegna dei libri. Si inizia infatti alle 10.30 con la presentazione del romanzo “L’EDOnista” scritto a quattro mani da Francesca Angeleri e Alessandra Contin, che ne parleranno con Natalia Ceravolo sempre nella Chiesa dei “SS. Giacomo e Cristoforo”. A seguire, alle 11.30, il tenore astigiano Enrico Iviglia presenterà il libro “Donne all’Opera. Dialoghi con un tenore”. Nel pomeriggio (dalle 16), la chiesa ospiterà ancora l’evento benefico organizzato dal “Leo Club Santo Stefano Belbo – Colline Pavesiane” “ConVinum: un calice tra le righe” (ingresso 8 euro). L’iniziativa unisce la presentazione di alcune giovani autrici di Langhe, Roero e Monferrato a quella di alcuni dei migliori prodotti vinicoli delle colline “UNESCO”, frutto del lavoro di altrettanti giovani produttori locali. Il ricavato andrà a sostenere il servizio di logopedia dell’Istituto Comprensivo “Cesare Pavese” di Santo Stefano Belbo.

Per ulteriori info sul programma nel dettaglio: “Fondazione Cesare Pavese”, piazza Luigi Ciriotti 1, Santo Stefano Belbo (Cuneo); tel. 0141/840894 – 366/7529255 o www.fondazionecesarepavese.it

g.m.

Nelle foto:

–       Cesare Pavese

–       Sala “Dialoghi” Fondazione Cesare Pavese

–       Paolo Spinoglio: “Grande ragazza con collana”, Ph. FabjoHazizaj

Sette giovani fotografi europei in mostra a “Camera”

“On the Verge”

Sull’onda lunga di “Artissima” impazza a Torino il “Contemporaneo”.

Dal 4 novembre all’8 gennaio 2023

I grandi temi del nostro tempo, sviluppati in tre sezioni tematiche (“Sulla politica”, “Sull’uguaglianza di genere” e “Sull’ecologia”), sono al centro di “On the Verge” (“Nel limite”), la nuova mostra che “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia” di Torino propone all’interno della sua “Project Room” da venerdì 4 novembre a domenica 8 gennaio 2023. Oltre settanta le opere esposte realizzate da sette giovani fotografi selezionati all’interno del network europeo “FUTURES” (EPP – European Photography Platform), piattaforma di ricerca sulla fotografia contemporanea sostenuta dall’Unione Europea – focalizzata nella mappatura e supporto di autori emergenti oltre i confini nazionali – di cui “CAMERA” è l’unica rappresentante italiana in una rete di venti realtà europee.

 

I progetti esposti portano le firme degli irlandesi Cian Burke e Mark Duffy, delle francesi Pauline Hisbacq, Alice Palliot e del loro connazionale Ugo Woatzi, di Julia Klewaniec (Polonia) e dell’ungherese Daniel Szalai. Si tratta di scatti “a forte effetto” che raccontano storie personali e collettive riguardanti i conflitti, le lotte per l’uguaglianza di genere, la sostenibilità alimentare ed ecologica, l’ascesa di populismi e nazionalismi nel continente europeo. Allo stesso tempo, sotto l’aspetto estetico e linguistico, raccontano di esperienze fra le più innovative e rilevanti nell’attuale panorama fotografico europeo. “In questo senso la mostra – commenta il curatore Giangavino Pazzolaanzitutto interroga la contemporaneità, raccontando con le immagini le esperienze che maggiormente investono e condizionano l’Europa dopo la pandemia. Vivere il limite, la frontiera o il margine di ‘qualcosa’, sia essa una guerra, una lotta o una catastrofe naturale, ci permette di osservare il cuore pulsante della società e stabilire, così, un discorso sull’evoluzione odierna di quei valori di rispetto della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza che fondano la collettività europea, ormai sempre più frammentata e disunita da virus, disuguaglianze e divari”.

 

“On the Verge” si inserisce all’interno del ricco programma dell’“Annual Event” proposto ogni anno da “FUTURES” e che quest’anno si terrà in Italia, proprio a  “CAMERA” a Torino, che , dal 4 al 6 novembre (nella tre giorni di “Artissima”), diventerà il quartier generale di un intenso calendario di attività che coinvolgerà, oltre a 100 giovani fotografi e artisti e 20 curatori, come gli artisti Laia Abril (Spagna), Tayio Onorato e Nico Krebs (Svizzera) e Max Pinckers (Belgio), insieme ai curatori Julija Reklaitė (Lituania, direttrice di “Rupert”, Vilnius) e Krzysztof Candrowicz (Polonia, curatore di “CICLO Biennal” in Porto, Portogallo) che saranno tutor del programma educativo riservato agli “artisti FUTURES” e protagonisti dei talk aperti al pubblico nel “Gymnasium” di “CAMERA”. A completare il programma di incontri sulla fotografia e l’immagine contemporanea, si terrà ad “Artissima” (Oval-Lingotto Fiere”) un appuntamento che vede come relatori Irene Fenara (artista), Salvatore Vitale (direttore artistico di “FUTURES”) oltre a Giangavino Pazzola (coordinatore del progetto e curatore di “CAMERA”) e Walter Guadagnini (direttore di “CAMERA”).

g.m.

“On the Verge”

“CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Dal 4 novembre all’8 gennaio 2023

Orari: lun. mart. merc. ven. sab. dom. 11/19 e giov. 11/21

Nelle foto:

–       Daniel Szalai: Calf Igloos”

–       Ugo Woatzi: “Camouflage”

–       Giangavino Pazzola

Le autentiche radici dei “Sei Personaggi” pirandelliani (forse)

È uscito sugli schermi “La stranezza” di Roberto Andò

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

“È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle. Cinque ore, dalle otto alle tredici.” Ovvero “la tragedia di un personaggio”, un mondo di persone e di ombre che si raccoglie nella mente di Luigi Pirandello.

 

Ovvero uno dei ritorni che abitano i momenti di solitudine di Servillo/Pirandello nella “Stranezza” che Roberto Andò ha dedicato per lo schermo alla figura del drammaturgo siciliano, alla nascita dei “Sei personaggi”, uno dei migliori film che si siano costruiti attorno al mondo del teatro, un’opera d’arte che sa unire in se stessa intelligenza e divulgazione, comicità e la grande responsabilità di un autore. Un film, uscito giovedì scorso nelle sale, che scaccia gli ultimi demoni della pandemia, che va incontro ad un pubblico che ha perso il piacere della frequentazione, che preferisce le serate tra divano e tivù, un film che riconcilia con il cinema italiano, in un lungo periodo di povertà, di piattaforme che derubano i poveri esercenti come di soggetti irrisolti e di scritture buttate via, di personaggi messi a fuoco malamente e con trasandatezza e di trascrizioni che ci portano a nuovi sguardi che poco hanno a che fare con la limpidezza della pagina. Quasi due milioni di euro superati al botteghino sino a questo momento vorranno pure dire qualcosa – “Triangle of Sadness”, Palmarès a Cannes raggranella poco più di 62mila euro -, la coppia Ficarra&Picone a trainare il loro pubblico, il secondo un piccolo gioiello di rara “semplicità” e stupore, sfavillanti, pirotecnici, felicissimi nel divertimento della loro messinscena e nel “travesti”, un Toni Servillo ancora una volta in stato di grazia (è sufficiente vederlo qui, contenuto e signorile, e confrontarlo con lo Scarpetta di “Qui rido io, gigionescamente sopra le righe), un soggetto impensato e “favoloso” (da “fabula”) e una sceneggiatura (con il regista, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso: forse, a cercare il difetto con la lente, una macchina che si mette in moto con qualche lentezza nella parte iniziale) che più gradevole non si potrebbe, scolpita di azioni e di impagabili statuine del presepe, il servizio pieno di rispetto ad un’opera che davvero ha mutato la storia della drammaturgia.


È il 1920, quando Pirandello deve raggiungere la Sicilia in occasione del compleanno dell’amico Giovanni Verga. S’imbatte in Sebastiano Vella e Onofrio Principato, responsabili (!) di un’agenzia di pompe funebri ma anche “dilettanti professionisti” di una affollata compagnia amatoriale con cui stanno allestendo uno spettacolo. La crisi creativa dell’autore – causa non ultima, la moglie Antonietta Portulano, vive dentro tutta la sua pazzia – s’incrocia con la farsa vivacissima del duo, con le loro piccole tragedie familiari, con l’arte d’arrangiarsi di qualche impiegato comunale ad ogni richiesta d’aiuto, con la messinscena ed il debutto che finiscono con l’abbandonare la finzione scenica per addentrarsi nella realtà dei tradimenti, del malaffare, delle bugie della realtà del quotidiano. Con il piacere e il divertimento forsennato di un pubblico che fa sempre più suo quell’insperato passaggio dalle tavole del palcoscenico alla vita che lo circonda nel piccolo centro di Girgenti. Al teatro Valle, pochi mesi dopo, dietro amichevole invito dell’autore, Sebastiano e Onofrio saranno i testimoni di una nuova finzione e di una nuova realtà, che ogni sera si consuma in palcoscenico, la verità della tragedia di un padre e di una figliastra, del dolore di una madre, di una bambIna che affoga in una fontana, di un ragazzo che si spara un colpo di rivoltella. Era la rivoluzione del teatro, di cui certo, per come l’ha inventata Andò, non c’è parola nei manuali di regia: o forse è andata per certi versi proprio così. La fotografia è di Maurizio Calvesi, Fausto Russo Alesi e Galatea Ranzi vivono la disperazione del padre e della madre, un’intensa Giordana Faggiano è la figliastra, Luigi Lo Cascio il capocomico, Donatella Finocchiaro in una pennellata per la moglie pazza. Assolutamente da vedere (in attesa che Binasco ci regali, a fine stagione, la sua versione).

Il mondo pittorico di Dora Maar, che Picasso tentò di cancellare

Alla Galleria Pirra, unartista da riscoprire

Cammino sola dentro un paesaggio. È bel tempo. Ma il sole non c’è. Non c’è lo scandire delle ore. Da molto non c’è più un amico, qualcuno che passi. Io cammino sola. Io parlo da sola.Il suo nome era Henriette Theodora Markovitch, era nata a Parigi nel 1907 da un architetto croato e da madre francese. Dal mondo verrà ricordata come Dora Maar, la musa e lamante di Picasso, per lui sarà sempre La donna che piange, lei darà il suo volto nella figura che sorregge la lanterna al centro di Guernica.

Si incontrarono per la prima volta a Parigi nel 1935, sul set di un film di Jean Renoir, lei aveva 28 anni e lartista 54, lei se ne stava seduta ad un tavolino, sulla terrazza dei Deux Magots, a Saint-Germain-des-Près, giocando con un coltellino a colpire lo spazio tra un dito e laltro delle mani, non fermandosi nemmeno davanti a qualche piccola ferita e a qualche goccia di sangue. Davanti agli occhi incuriositi di Paul Éluard che li stava presentando, Picasso le richiese i guanti insanguinati: li esporrà su una mensola del proprio appartamento. E poi iniziò una relazione, che durerà nove anni, fatta di venerazione per la bellezza di Dora ma soprattutto di umiliazioni, di gelosie, di sopraffazioni, di uno sguardo pronto a considerarla sempre lincarnazione stessa del dolore. Dietro la spinta, lobbligo, di Picasso, Dora abbandonò la fotografia in cui eccelleva – tra i Venti e i Trenta si era affermata con ritratti e pubblicità, ammirava le avanguardie, aveva incontrato Henri Cartier-Bresson, aveva frequentato i surrealisti, Bataille, Breton, Man Ray, aveva dato un nuovo corso alle sue immagini, tra collage, sovrapposizioni, solarizzazioni, fotomontaggi – per entrare nel mondo della pittura, dove certo non era in grado di competere con il genio.


Nella Parigi occupata dai tedeschi Picasso si congeda (aveva da qualche mese incontrato la giovane Fran
çoise Gilot: Tutti pensarono che mi sarei suicidata dopo che Picasso mi aveva lasciata, ma non lo feci per non dargli questa soddisfazione.), in maniera definitiva, le lascia come regalo daddio un disegno di trentanni prima, con alcune nature morte e una casa in Provenza: per Dora significa entrare in una profonda depressione, il ricovero in una clinica psichiatrica, il calvario dei numerosi elettroshock, le cure di Jacques Lacan, lisolamento e la rinuncia a esporre, lontana da tutti e da tutto, dividendosi tra Parigi e la campagna provenzale, dove alterna pittura e spiritualità, una reclusione volontaria sino a spegnersi novantenne in una casa di riposo. Era solita ripetere: Io non sono stata lamante di Picasso. Lui era soltanto il mio padrone.

Interessante la mostra che, con il titolo Dora Maar. Oltre Picasso, sta proponendo la Galleria Pirra (corso Vittorio Emanuele 82), dove le opere rappresentate mettono in luce quella natura che fu la sua fonte dispirazione principale, paesaggi che, dopo una ricercata illustrazione, virano completamente verso lastrazione, verso un mondo rarefatto in cui la donna che piange cerca un rifugio di serenità. Le opere si fanno essenza poetica, il tutto si riveste di quella poesia che Dora ha sempre frequentato e che intimamente fa parte del suo percorso artistico. Gli ultimi quarantanni di vita sono il tempo in cui indagare, sperimentare, esplorare, formulando studi preparatori e schizzi, nellimmediatezza dello svolgimento. Ogni cosa è costruita sulla scia di una passione che non è mai venuta meno, una passione e una personalità che un uomo aveva cercato di cancellare in ogni sua forma.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Dora Maar fotografata da Man Ray, ancora Dora e Pablo Picasso colti dallobiettivo di Man Ray; opere di Dora Maar.

Quelli che inventarono la tv privata. L’avventura leggendaria di Antennatre

45 ANNI: 3/11/1977 – 3/11/2022

La storia della mitica emittente lombarda fondata da Renzo Villa ed Enzo Tortora si intreccia con  il Piemonte: dalle origini di Tele Biella a Grp che ripeteva a Torino il segnale di Antennatre, agli spot del mobilificio Aiazzone che cambiarono il mondo della pubblicità. E il conduttore della “Bustarella”, Ettore Andenna, è ormai da tempo cittadino piemontese

di Cristiano Bussola

Era il 1977, nella prospera Lombardia, terra di fabbriche e mobilifici. L’uomo che fece l’impresa si chiamava Renzo Villa. Da sempre appassionato di recitazione e cabaret, impegnato nell’Acli e nelle compagnie teatrali della sua Varese si licenziò da dipendente comunale per dare vita al proprio sogno. Un visionario tanto “folle” quanto lucido.

Villa, che in cuor suo coltivava il desiderio di fare teatro e presentare spettacoli  in pubblico fu affascinato dagli albori dell’emittenza privata. Nel 1974,  dopo aver letto delle peripezie di Peppo Sacchi, altro  “visionario”, lui biellese, che sfidò il monopolio Rai creando la tv libera via cavo Tele Biella (prima tv privata italiana in assoluto) venne qui in Piemonte a conoscere quel temerario che osava mettersi contro la tv di Stato.
E fu così che incontrò Enzo Tortora, già celebre presentatore, allora in rotta con la Rai, che  si fece paladino della libertà d’antenna. Villa a quel tempo non era nessuno, ma la sua personalità e il  suo entusiasmo convinsero Tortora a sostenerlo nel progetto che nacque di lì a poco: una nuova stazione televisiva via etere, Tam – Tele Alto Milanese, di Busto Arsizio, nel 1975, una delle prime TV con trasmissioni a colori.
Quando Tam venne chiusa dopo pochi mesi, perché ritenuta illegittima (le trasmissioni erano concesse esclusivamente via cavo per le TV libere), il combattivo duo “Enzo & Renzo”, sconfisse il monopolio nel 1976 grazie a una sentenza storica che diede il via libera all’apertura di nuove televisioni seppure solo a livello locale.
Una tappa epocale che aprì la strada alle emittenti private, che meriterebbe di essere sempre ricordata attribuendone a Villa e Tortora l’indiscutibile  paternità.
Renzo Villa con la figlia Roberta sulla copertina del disco “Caro papà”

È a questo punto che nel 1977,  Renzo Villa ed Enzo Tortora, ancora una volta insieme (il loro rapporto di amicizia fu intenso e Villa sostenne pubblicamente l’innocenza del presentatore fin dal giorno dell’arresto di Tortora per il noto e vergognoso errore giudiziario) dopo l’esperienza di TeleAltoMilanese pensarono in grande e fondarono Antennatre Lombardia. A loro supporto una grande iniziativa di azionariato popolare che raccolse 50 mila quote da diecimila lire ciascuna.

La nuova televisione trovò sede a Legnano, con  studi e attrezzature all’avanguardia per l’epoca. Le avveniristiche telecamere Ampex costavano cento milioni di lire e fecero la prima apparizione i radiomicrofoni, quelli senza filo.
Lo studio Uno di Antennatre: ospitava 1200 spettatori

 

Il glorioso  studio 1, noi ci siamo entrati, oggi purtroppo in stato di abbandono,  suscita ancora emozione pensando a quando – allora il più grande d’Europa – era gremito da 1200 persone che, tutte le sere, acclamavano i loro artisti e conduttori preferiti. Sembra ancora di vederli tutti lì, dove ora ci sono solo sedie vuote.
Stiamo parlando  di  Ric e Gian, Lucio Flauto, Walter Chiari, I Gufi, Gerry Bruno, Teo Teocoli, Massimo Boldi, Rettore, Giorgio Faletti, Maurizio Costanzo, Zuzzurro e Gaspare, I Gatti di Vicolo Miracoli, Roberto Vecchioni, il regista Beppe Recchia.
E naturalmente il conduttore della Bustarella (in Rai presentava Giochi senza frontiere) Ettore Andenna, da anni piemontese acquisito, residente in Monferrato.
Senza scordarci dello stesso Renzo Villa che, coronando finalmente il suo sogno, oltre ad essere amministratore e direttore dell’emittente, si trasformava in conduttore ed interprete delle proprie canzoni (il brano “Caro papà”, autoprodotto, vendette oltre un milione di copie!) ogni martedì quando presentava  il “Bingooo”, tombolone a premi entrato nella storia della televisione.
Enzo Tortora, Lucio Flauto e Renzo Villa
Antennatre non era puro  intrattenimento. E’ rimasta negli annali televisivi la famosa asta in diretta dallo Studio Uno nel 1980, dopo il terremoto in Irpinia. La gente portava oggetti, quadri, abiti da mettere all’incanto. Villa e Tortora che condussero quella antesignana maratona televisiva raccolsero ben due miliardi di lire che permisero di costruire il “Villaggio Antennatre” per i terremotati di Sant’Angelo dei Lombardi.
Gerry Bruno
Con un accordo innovativo per quei tempi, l’emittente strinse un’intesa con il quotidiano “Il Giorno”, la cui redazione realizzava le edizioni del telegiornale.
La Bustarella con Ettore Andenna
Da citare anche le interviste di Enzo Tortora ai grandi della politica di allora, mentre un barbiere faceva loro pelo e contropelo in diretta, con tanto di schiuma e pennello.
Molti ricorderanno, inoltre, che a  metà anni 80 la tv privata piemontese Grp replicava a Torino e sul territorio “sabaudo” i programmi dell’antenna legnanese, compresi gli spot del mobilificio Aiazzone di Biella, che grazie ad Antennatre divenne un caso di marketing nazionale.

 

 

 

Per mantenere viva quella irripetibile avventura che fu fenomeno culturale, imprenditoriale e di costume, oggi è preziosissimo il lavoro di Wally Giambelli Villa, la moglie del fondatore,  che ha dato vita all’Associazione Amici di Renzo Villa. Siamo andati a trovarla a Legnano, in via per Busto 15, nella sede storica di Antennatre.

Da sinistra: Angelo Costanza, Wally Villa e Alessandro Di Milia
“Tra le nostre iniziative merita particolare attenzione il sito  https://viaperbusto15.it/Oltre all’interessantissimo docufilm di Marco Pugno “Via per Busto 15. La tv commerciale è nata qui” https://viaperbusto15.it/film/  il sito propone un’ampia selezione della immensa produzione di Antennatre: le sigle delle trasmissioni storiche, gli spot pubblicitari di allora, interviste, fotografie”, ci spiega Wally Villa. “Vogliamo poi mantenere viva quell’esperienza – conclude – promuovendo iniziative a favore dei giovani che vogliono cimentarsi nel mondo della tv e della comunicazione”.
Renzo Villa e Walter Chiari

 

Inoltre, una decina di anni fa, prima della sua scomparsa, Renzo Villa scrisse a quattro mani con la figlia Roberta il libro “Ti ricordi quella sera?”, ricco di aneddoti e splendide fotografie che testimoniano quell’appassionante stagione. L’associazione promuove anche una mostra itinerante dedicata alle origini e al percorso di Antennatre, ospitata già da diversi comuni e presso il Pirellone di Milano, sede del Consiglio regionale.

Se tutto fu straordinario, ancor più lo fu il ruolo della pubblicità. “Inventammo un nuovo modo di fare televisione commerciale – ci spiega il responsabile del marketing di allora, Angelo Costanza – Ric e Gian piuttosto che Andenna e tutti gli altri personaggi, improvvisavano battute, canzoni e sketch durante le trasmissioni citando lo sponsor che diventava così protagonista. Il boom fu immediato. Gli inserzionisti il giorno dopo la pubblicità vendevano immediatamente i loro prodotti. La “Bustarella” o il “Bingooo” fatturavano, e stiamo parlando della fine degli anni 70, 100 milioni di lire a puntata.”

Uno scaffale della nastroteca

Prosegue Costanza: “proponevamo spazi accessibili a tutte quelle piccole e medie aziende che non potevano permettersi la TV di Stato, e poi arrivarono anche aziende nazionali. Sono tanti gli aneddoti che potrei raccontare. Ad esempio i responsabili dell’azienda tedesca di elettrodomestici Braun, in visita agli studi di Antennatre mi dissero che avrebbero potuto tracciarmi una mappa precisa del territorio raggiunto dal segnale dell’emittente. Dissi: ma come è possibile? Semplice, mi risposero. Dove vendiamo il Minipimer (un frullatore, ndr) significa che Antennatre lì si vede, dove non lo vendiamo allora vuol dire che là, invece, il segnale non si riceve”.

Nella palazzina di via per Busto 15, che originariamente era una fabbrica metalmeccanica, incontriamo anche  l’unica persona che ancora vi lavora. E’ Alessandro Di Milia, amministratore del televideo della nuova Antennatre (che da anni si è trasferita a Milano ma nell’antica sede conserva ancora questa parte di attività). Di Milia è anche il “custode” del patrimonio di migliaia di videocassette conservate nella nastroteca dell’emittente, che poco per volta sta riversando in formato digitale. “Questa nastroteca – ci racconta- è probabilmente seconda solo a quella della Rai. Qui troviamo tutte le stagioni delle più note trasmissioni. Ci sono delle chicche come le parodie storiche del Quartetto Cetra. Una curiosità: le possiede anche la Rai, ma in bianco e nero. Le nostre sono a colori! Era un altro modo di fare televisione.

Ric & Gian

Poteva capitare che il conduttore facesse una introduzione di 20 minuti, impensabile per i tempi televisivi attuali.  Mentre duplico i video mi capita ancora di sorridere di gusto alle battute dei grandi protagonisti di quei programmi, segno che la comicità di allora era già molto moderna. Questa è storia. E per chi volesse ripercorrere le tappe dell’emittente, sul nostro televideo troverà una precisa cronologia dei personaggi e delle trasmissioni che hanno fatto epoca”.

Antennatre ebbe un successo strepitoso per un decennio. Rappresentò, senza dubbio, un fenomeno unico in Italia e non solo, come pure testimoniano le diverse tesi di laurea dedicate alla tv

Renzo Villa con il “Ciuffo”, mascotte del Bingooo creata da Maria Perego, l’ideatrice di Topo Gigio

 

 

 

lombarda. Poi, con l’avvento dei grandi network nazionali e con l’evoluzione dei gusti del pubblico, iniziò una lenta decadenza dell’emittente. Fino al fallimento del 1987, quando Villa si prodigò fino all’ultimo con fondi personali per ripianare il rosso e pagare i dipendenti.

La storia di Antennatre è  “solo”  la storia  della TV commerciale? No, è molto di più. E’ stata una avventura magnifica e leggendaria che va oltre il mezzo televisivo. Anche chi scrive appartiene a quella “generazione Antennatre”, cresciuta guardando trasmissioni e conduttori che parlavano linguaggi nuovi.  Le decine di migliaia di spettatori, molti dei quali piemontesi, ospitati negli anni sugli spalti dello Studio uno – così come i milioni e milioni succedutisi davanti al televisore – ricordano ancora con un sorriso e molta nostalgia quei giorni  belli e spensierati.

La potenza di una leggenda sta nella sua capacità di tramandarsi e di non morire mai. In particolare quando essa  solo leggenda non è ma trae origine da una storia realmente vissuta, anche se ormai conclusa e irripetibile. Una storia fatta di persone e di momenti che hanno lasciato traccia nella società e nel costume.

 

 

Flashback, l’arte nella quotidianità

La decima edizione di Flashback, con ‘he.art’, introduce nuovi modi di appassionare all’arte, riqualificando il Borgo Crimea

 

Flashback Art Fair è  giunta alla sua decima edizione e quest’anno,  intitolata “he.art”, si tiene per la prima volta negli spazi di Flashback Habitat in corso Giovanni Lanza 75, a Torino.

“he.art” nasce dall’elaborazione di “heart/cuore” e “art/Arte”. Come il cuore pulsa per inviare il sangue fino alla periferia del corpo, allo stesso modo da sempre l’arte in Flashback opera in modo capillare nelle periferie, sotto forma di opere, luoghi e persone. Proprio da questo concetto è nata l’immagine guida sulla base dell’opera di Alessandro Bulgini.

Identificando l’arte quale motore del cambiamento, il tema, scelto in “Opera viva”, ha rappresentato un’ispirazione naturale per individuare le direzioni di tutte le iniziative previste, a partire dalla scelta delle opere ai talk, dalle mostre fino ai laboratori didattici.

Con questa edizione prosegue la riflessione intrapresa nel 2021 sul “fare fiera” in modo differente, lontano dalle manifestazioni maggiori e tradizionali.

Gli espositori italiani e internazionali selezionati per rappresentare il cuore della Fiera sono affiancati da un importante programma che prende il via dalla sezione “Exhibition”, capace di offrire ai visitatori tre differenti mostre di artisti internazionali.

La prima si intitola “Barriera di Milano, il Manifesto”, a cura di Jòn Gnarr; la seconda “Cuba introspettiva”, curata da Giacomo Zaza e la terza intitolata “La natura e la sua gemella” a cura di Michela Casavola.

I tre progetti sono stati creati nell’ottica in cui l’arte rappresenti un dispositivo di pensiero, uno strumento sociale e uno stimolo di nutrimento per l’anima.

“Declinazioni” è, invece, il titolo di Talk, curati da Alessandro Stillo, che si tengono nella Lounge al terzo piano  e nascono dall’associazione  di un pronome personale abbinato a “art”, creando un legame con il tema proposto.

“Quest’anno  Flashback taglia un importante traguardo – spiega Stefania Porridge, direttrice della manifestazione insieme a Ginevra Pucci – Come ogni anno i nostri galleristi si sono impegnati presentando delle opere di grande qualità e il loro entusiasmo è  sempre più travolgente. Non vedo l’ora di aprire le porte della nostra nuova casa e accogliere il pubblico tra le tante opere e capolavori che presentiamo”.

“Dell’arte storicizzata sono affascinata dal tema della cura – spiega la direttrice Ginevra Pucci – che ritorna sempre rispetto a tutti i temi trattati da Flashback. Il fatto che un’opera sia arrivata fino a noi e che tante persone se ne siano prese cura rappresenta qualcosa di straordinario. Oltre al valore artistico in sé,  vi è  anche l’idea che qualcuno abbia pensato che potesse valerne la pena. Vuol dire che, per tanti secoli, quell’opera ha avuto un significato e continua ad averne”.

Sono duemila le opere presentate quest’anno dalle gallerie espositive, con tematiche che spaziano dalla natura, a volte onirica, a volte crudele, al sacro e al profano. Alla natura sono dedicati gli acquerelli  settecenteschi  di Giovanni Antonio Bottione, presentati dalla Galleria Alessandra Di Castro Antichità,  che riportano il pubblico dentro il Regio orto botanico di Torino. Tra sacro e profano figura l’opera “L’odalisca” di Francesco Hayez,  appartenente alla galleria Carlo Orsi, uno dei pochi quadri realizzati dall’artista, di carattere profano appartenente alla cosiddetta fase orientalistica, fino alla Madonna di Antonio Giolfino.

Sacro e profano, reale e simbolico si ritrovano anche  nelle opere di Hermann Nitsch, portate dalla Galleria Umberto Benappi.

Flashback propone anche al visitatore  un programma ricco di mostre, laboratori didattici e progetti ‘site-specific’, che si pongono come un ponte verso il futuro di Flashback Habitat.

I visitatori saranno, infatti, accolti dall’installazione olfattiva dal titolo ‘Roots pipeline” di Francesca Casale, che invita a connettersi attraverso nuovi e forti legami con il luogo circostante, attingendo alla storia che contraddistingue l’edificio.

Fino al 15 dicembre prossimo, all’interno degli spazi di Flashback, saranno aperte al pubblico tre mostre che coinvolgono artisti internazionali. “Opera viva Barriera di Milano, il Manifesto” rappresenta un progetto ideato da Alessandro Bulgini, che riprende il lavoro in città nel corso del 2022. Le scale che collegano i diversi piani del palazzo presentano le immagini di sette artisti islandesi selezionati dal curatore Jón Gnarr.

“Cuba introspettiva” rappresenta il progetto espositivo curato da Giacomo Zaza, che occupa le stanze del terzo piano e propone l’esplorazione delle pratiche intermediali da Cuba, stimolando un approfondimento sulla videoarte monocanale.

“La natura e la sua gemella. Davide Bertuccio- Camilla Migliani” è il titolo del percorso fotografico dei due artisti realizzato in Benin e Mozambico e curato da Michela Casavola. Il progetto vede il coinvolgimento di “WeWorld”, Ong impegnata a garantire i diritti di donne e bambini in ventisette paesi del mondo.

Altrettanto articolata è la proposta che Flashback ha ideato per gli studenti e le famiglie, dal titolo “Linfa vitale”, curato da Maria Chiara Guerra; dopo l’esplorazione del parco e la visita alle gallerie, ciascun partecipante dovrà immaginare e denominare una nuova forma di vita fatta di commistioni tra arte e natura.

Il progetto “Flashback Habitat, Ecosistema per le Culture Contemporanee” dà anche il nome alla nuova sede delle attività dell’Associazione Flashback, per la direzione artistica di Alessandro Bulgini.

Scopo di questa Associazione è quello di fare entrare l’arte nella quotidianità e innescare un processo di riqualificazione urbana in Borgo Crimea, con l’obiettivo di rigenerare più di ventimila mq di spazio, attualmente in disuso, e dato in concessione all’Associazione, immerso in un’ampia area verde.

MARA MARTELLOTTA

Quaglieni ricorda Prezzolini

A TORINO AL “CENTRO PANNUNZIO”APPUNTAMENTO LUNEDI 7 NOVEMBRE ALLE ORE 17,30

Presso la sede di Via Maria Vittoria 35h, Pier Franco QUAGLIENI (nella foto) parlerà, con l’ausilio di un filmato, di “GIUSEPPE PREZZOLINI, ANARCHICO CONSERVATORE”. Con Prezzolini (1882-1982) nasce la figura dell’intellettuale moderno, immerso nelle contraddizioni della società di cui è allo stesso tempo testimone e protagonista. Le avanguardie del primo Novecento, l’esperienza della “Voce”, la più importante rivista culturale del secolo, la Grande Guerra, la nascita del fascismo, la Seconda guerra mondiale, il dopoguerra: Prezzolini ha marcato la vita culturale e politica italiana sfuggendo sempre alla tentazione delle ideologie e del conformismo. Amico di Papini e Longanesi, ma anche di Amendola, Croce e Gentile, anarchico ma conservatore, ha fatto della libertà la sua religione e della sua vita un romanzo dove nulla è inventato.

“E’ il momento dei saluti niente lacrime ora no…”

MUSIC TALES, LA RUBRICA MUSICALE 

E’ il momento dei saluti

niente lacrime ora no

siamo stati fortunati

un gran bel viaggio ti dirò

vita spesa fino in fondo

senza risparmiarci mai

non sempre onesto questo mondo

non sempre condivisi noi.

Un brindisi agli unici”

Unici è un singolo di Renato Zero pubblicato nel 2010 in download digitale, estratto dal video Presente ZeroNoveTour.

Il brano è stato cantato per la prima volta durante la tournée ZeroNoveTour ed è dedicato, a detta dell’artista, ai suoi fan.

La canzone, scritta da Renato Zero e Maurizio Fabrizio, è stata registrata nel 2009 durante un concerto dello ZeroNoveTour.

La canzone, estratta dal video Presente ZeroNoveTour come unico singolo, non è inclusa nella tracklist ufficiale dell’album Presente. Primo singolo di Zero non uscito su CD, ma in download digitale.

Il singolo è stato trasmesso dalle radio dal 24 maggio 2010. Il brano è stato usato come sigla di chiusura dei Wind Music Awards 2010

Questo quanto vi dovevo per “ambientazione” del brano, spettacolare, a mio avviso.

Ora, lo Zero nazionale, dice di averla dedicata ai fan; io ci vedo un’autocelebrazione invece. Ci vedo la grinta di un artista che sa di essere fortunato per questo grande meraviglioso “viaggio” che è la sua vita, all’insegna dell’arte, alla quale si è disposti ad immolarsi. Ci vedo la pacca sulla spalla ad un artista ostinato che non si risparmia mai.

In ogni caso, ad ognuno la propria interpretazione…amo questo brano, pur non essendo sorcina e nonostante non stimi l’uomo ma l’artista.

Un uomo che lavora con le sue mani è un operaio; un uomo che lavora con le sue mani e il suo cervello è un artigiano; ma un uomo che lavora con le sue mani, il suo cervello e il suo cuore è un artista.”

Aspetto di sapere come è stato questo ascolto e che cosa ci vedte voi!

Chiara De Carlo

Gli unici – ZeroNove tour Presente 2009 – Renato Zero

 
 
 

 

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Beyond the Collection, Tiepolo x Starling

Pinacoteca Agnelli presenta la seconda edizione di Beyond the Collection intitolata Tiepolo x Starling dal 2 novembre 2022 al 5 febbraio 2023.
Con il progetto espositivo Beyond the Collection la Pinacoteca Agnelli parte ogni volta da un’opera diversa della sua collezione. L’opera viene messa in dialogo con altri capolavori in prestito da prestigiose istituzioni nazionali e internazionali.

La famosa opera di Giambattista Tiepolo Alabardiere in un paesaggio conservata in Pinacoteca Agnelli diventa punto di partenza per il progetto espositivo di Simon Starling negli spazi della collezione.

L’artista concettuale inglese immagina di ricongiungere la tela alla sua parte mancante. Attraverso fotografia, scultura e installazione, Starling rilegge la narrazione del quadro del Tiepolo e identifica nel taglio della tela una metafora con la storia del contesto e della collezione che la ospita. Il progetto, che ora trova svolgimento nel luogo che lo ha simbolicamente originato, si arricchisce anche grazie alla presenza di altre opere del Tiepolo in prestito da collezioni internazionali, che offrono a Starling nuove chiavi di interpretazione nella lettura dell’Alabardiere in un paesaggio.

Contatti
Via Nizza, 230/103, 10126, Torino (TO)