CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 28

Classificazioni particolari

CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60

Nella storia della musica rock non di rado ci si imbatte in termini ingannevoli, che ci portano a costruire mentalmente categorie, pregiudizi, convinzioni errate, classificazioni forzate ed ingiustificate. La lista di questi termini sarebbe lunga, ma tra essi spicca senz’altro la definizione “sottoetichetta”, di fronte alla quale anche inconsapevolmente ci poniamo come prevenuti, immaginando qualità minore, artisti di cabotaggio discutibile, budget approssimativi. Niente di più sbagliato, tantopiù se ci troviamo a che fare con “sottoetichette di lusso”, che semplicemente sono una ramificazione “di nicchia” o “di settore” di etichette gigantesche e monumentali. Parliamo qui della “sottoetichetta” “Date Records”, sottoposta di Columbia Records, nella sua riedizione dal 1966 sotto la guida di Tom Noonan, nata per gestire l’acquisto di master e la produzione indipendente, cioè musica al di fuori della registrazione e produzione “interna” della Columbia Records. Sciolta nel 1970, vide numerosi “reissues” successivi ad opera della stessa Columbia Records e di Epic Records. Attualmente l’intero catalogo “Date Records” è nella proprietà di Sony Music Entertainment, gestito dalla controllata Legacy Recordings.

Data la vasta gamma di generi coperti, qui di seguito verranno elencati esclusivamente i 45 giri di garage rock e psychedelic rock degli anni 1966-1970:

– THE DISTANT COUSINS “No More You / Gently Goodbye” (2-1501) [1966];

– LONDON & THE BRIDGES “It Just Ain’t Right / Leave Her Alone” (2-1502) [1966];

– CLEFS OF LAVENDER HILL “Stop – Get A Ticket / First Tell Me Why” (2-1510) [1966];

– THE DISTANT COUSINS “She Ain’t Lovin’ You / Here Today, Gone Tomorrow” (2-1514) [1966];

– LONDON & THE BRIDGES “Tell It To The Preacher / City I Was Born In” (2-1517) [1966];

– THE LEGEND[S] “Raining In My Heart / How Can I Find Her” (2-1521) [1966];

– CANNIBAL & THE HEADHUNTERS “Land Of A Thousand Dances / Love Bird” (2-1525) [1966];

– CLEFS OF LAVENDER HILL “So I’ll Try / One More Time” (2-1530) [1966];

– CLEFS OF LAVENDER HILL “It Won’t Be Long / Play With Fire” (2-1533) [1966];

– THE CHAIN REACTION “The Sun / When I Needed You” (2-1538) [1966];

– THE DISTANT COUSINS “Stop Runnin’ Round, Baby / (Will You) Take This Woman” (2-1542) [1966];

– THE BLUEBEARDS “Come On-A My House / I’m Home” (2-1547) [1967];

– TRAVIS / COVENTRY & CLEFS OF LAVENDER HILL “Gimme One Good Reason / Oh, Say My Love” (2-1567) [1967];

– PLANT LIFE “Flower Girl / Say It Over Again” (2-1572) [1967];

– NEW HUDSON EXIT “Come With Me / Waiting For Her” (2-1576) [1967];

– DICK WAGNER & THE FROSTS “Bad Girl / A Rainy Day” (2-1577) [1967];

– THE WILL-O-BEES “It’s Not Easy / Looking Glass” (2-1583) [1967];

– THE MUSIC BACHS “Dig Yourself / Dream Machine” (2-1584) [1967];

– DICK WAGNER & THE FROSTS “Sunshine / Little Girl” (2-1596) [1968];

– THE SCARECROW “Kisses Sweeter Than Wine / Hold Back The Sun” (2-1602) [1968];

– THE ZOMBIES “Butchers Tale (Western Front 1914) / This Will Be Our Year” (2-1612) [1968];

– THE YOUNG IDEAS “Melody / Barney Buss” (2-1614) [1968];

– THE ZOMBIES “Time Of The Season / Friends Of Mine” (2-1628) [1968];

– FREE FERRY “Mary, What Have You Become / Friend” (2-1658) [1968];

– THE ZOMBIES “Imagine The Swan / Conversation Of Floral Street” (2-1644) [1969].

Gian Marchisio

Teatro Colosseo, il Galà G.E.T. e il premio Gian Mesturino

Mercoledì 19 novembre, alle ore 20.30, il teatro Colosseo di Torino accoglie nella sua prestigiosa stagione un nuovo appuntamento del galà del G.E.T., ovvero dei Germana Erba’s Talents, per una serata di musical, danza e teatro. Si tratta di un evento pensato come una vetrina sulle arti performative del futuro con protagonisti 130 giovani danzatori, cantanti, attori impegnati in una messa in scena articolata che propone un susseguirsi di quadri spaziando dal grande repertorio del balletto classico fini alla prosa, dai quadri colorifici e canori tratti da celebri musical della danza contemporaneo. Una kermesse che è uno sguardo sulla fucina artistica torinese che esporta talenti in tutto il mondo, come è successo per molti componenti del G.E.T., che dal capoluogo piemontese hanno spiccato il volo andando alla conquista dei palcoscenici internazionali. I veri protagonisti saranno i 130 talenti che, con la loro bravura galvanizzeranno tutta la sala con passi a due e momenti insieme di incantevole danza classica, costellato di virtuosismi con musiche di Johann Strauss, creazioni coreografiche contemporanee, come l’elegante “Somewhere in between” su musiche di Vivaldi. Le pagine dedicate al musical consacrano alcuni dei titoli più amati, quali “Fame”, “High School Musical”, “Mary Poppins”, “Alladin” e “West Side Story”. Tra i momenti di prosa vi sono il racconto di prosa pirandelliano “Il treno ha fischiato” e “Molto Rumore per nulla” di Shakespeare, o l’esilarante monologo comico “Quando diventi un G.E.T.”. Sul piano dei meravigliosi cori plenari, la chiusura della serata è affidata allo stellare Counting Star. Lo spettacolo è firmato da docenti, coreografi e registi Niurka De Saa, Gianni Mancini, Laura Boltri, Laura Fonte, Silvia Iannoli, Isabella Legato, Luciano Caratto, Andrea Beltramo, Stefano Fiorillo, Elia Tedesco e dai vocale coach Simone Gulli e Gabriele Bolletta, Presidente della Fondazione Germana Erba, con coordinamento di Girolamo Angione, direttore artistico del liceo Germana Erba. Nel corso della serata verrà conferito il premio Gian Mesturino ad Antonio Aguila Carralero, danzatore cubano di grande fascino formatosi all’Escuela Profesional de Arte, e alla compagnia Fernando Alonso a Cuba, e perfezionatosi presso la Fondazione Teatro Nuovo, entrando giovanissimo nella compagnia e vivendo una carriera artistica di primo piano, vincitore del concorso di Rieti, del premio Vignale Danza, del premio Positano che sempre ha caratterizzato, per una sua sorprendente versatilità, che lo ha portato a frequentare diversi generi coreutici con una grande padronanza tecnica ed eleganza. È stato primo ballerino al Maître de Ballet, lavorando per l’Ensemble, la Compagnia del Teatro Massimo di Palermo, Campo Amor di Oviedo, l’Ente Luglio Musicale Trapanese.

Mara Martellotta

Mari Froes, la nuova stella della musica brasiliana in concerto a Hiroshima Mon Amour  

 

Lunedì 17 novembre il palco dello Hiroshima Mon Amour (Via Bossoli 83) accoglierà una delle artiste più sorprendenti della nuova scena musicale sudamericana: Mariana Ferreira “Mari” Froes, cantante e chitarrista diventata in poco tempo un fenomeno globale. Le porte del locale si apriranno alle 20.00, mentre il concerto inizierà alle 21.00Ingresso: 25 euro. A soli vent’anni, la giovane musicista brasiliana ha conquistato un pubblico internazionale grazie al singolo “Vantimora”, esploso su TikTok e ormai oltre quota 60 milioni di streaming. La sua cifra artistica mescola la tradizione della MPB — dal samba al baião, dalla bossa nova al jazz — con influenze rock ed elettroniche, dando vita a un linguaggio sonoro moderno, intimo e profondamente radicato nella cultura brasiliana. Un tratto distintivo amplificato dal timbro vocale personale e immediatamente riconoscibile.Il successo digitale di Mari Froes è altrettanto impressionante: oltre 1,3 milioni di follower su Instagram, 7 milioni di ascoltatori mensili su Spotify, più di 2 milioni di fan su TikTok e quasi 900.000 iscritti al suo canale YouTube.

Dopo aver conquistato il continente americano, l’artista arriva ora per la prima volta in Italia per una serie di quattro date molto attese: Torino il 17 novembre — proprio sul palco dell’Hiroshima Mon Amour — seguita da Milano (18 novembre), Roma (20 novembre) e Bologna (21 novembre).

 Valeria Rombolà

Il Toret: quando i simboli dissetano

 

Malinconica e borghese, Torino è una cartolina daltri tempi che non accetta di piegarsi allestetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre larancione dei tram storici continua a brillare ancorata ai cavi elettrici, mentre le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano allirruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo a misura duomo, con tutti i pro e i controche tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma lantica città dei Savoia si conferma unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri sudaticcima ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti, in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.

 

1. Torino capitale… anche del cinema!

2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo

3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici

4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio

5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente

6. Chi ce lha la piazza più grande dEuropa? Piazza Vittorio sotto accusa

7. Torino policulturale: Portapalazzo

8.Torino, la città più magica

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

10. Liberty torinese: quando leleganza si fa ferro

 

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

Eccoci quasi arrivati alla fine del ciclo di articoli sui primati torinesi, e come in tutti gli elenchi ho voluto lasciare “il meglio” per ultimo.
Lo sapete da dove deriva la parola “rubinetto”? Questa la definizione dal dizionario: “Dal fr. robinet, der. di robin, nome dato pop. ai montoni, perché le chiavette, in passato, avevano spesso la forma di una testa di montone •sec. XVI.” Si, l’etimologia fa riferimento ai “montoni”, forse proprio per questo motivo le fontane costruite tra il Quattrocento e il Cinquecento hanno spesso forma di testa di animale, tale tradizione svanisce tuttavia nel corso dei secoli, per lasciare spazio a costruzioni più semplici e lineari. Questo accade quasi dappertutto, tranne che in una città, indovinate quale?
Il record di cui vorrei raccontarvi oggi è assai peculiare, nonché decisamente riconducibile alla nostra urbe, mi riferisco ai famosi “torèt”.
Credo che per noi abitanti del luogo, tale dettaglio urbano, sia qualcosa di “abituale”, una presenza quasi scontata e banale, perché come tutti siamo anestetizzati e distaccati nei confronti dei beni che già possediamo, mentre tutto il nostro desiderio si rivolge costantemente alle meraviglie che si trovano dall’altra parte del mondo.
Quando re-impareremo a guardare, ci accorgeremo del minuzioso incanto delle fontanelle che pullulano tra le nostre piazze e le nostre vie, mi riferisco a quelle strutture a forma di “torèt” che i turisti si fermano a fotografare, spesso divertiti e stupiti, giacché non capita in molte altre metropoli di imbattersi in simili fonti d’acqua.


Anche il numero di tali impianti è sbalorditivo: sono 800 i “piccoli tori” che si occupano senza sosta di dissetare gratuitamente la cittadinanza e i visitatori.
È bene ricordare che la comunità pedemontana continua a costruire le proprie sorgenti cittadine, sempre con tali sembianze, da più di centosessant’anni, rifacendosi all’antica tradizione che associa per assonanza – e altre motivazioni relative alla mitologia- l’effige del toro e la denominazione “Torino”.
Si sa, l’acqua corrente non è sempre stata disponibile presso le abitazioni del popolo. Nell’Ottocento le persone prelevavano l’acqua dai pozzi dislocati nei vari cortili o in quelli artesiani, dove le acque sotterranee emergevano naturalmente, senza bisogno di specifici strumenti di estrazione. Tale abitudine comportava però problemi igienico-sanitari, annessi ad esempio all’inquinamento delle fonti o alle eventuali contamizioni delle falde.
La città sabauda allora – che ci piaccia o meno- si ispira ad un progetto diffusosi nelle capitali della Francia, ossia
un sistema idrico costituito da fontanelle che forniscono acqua 24 ore su 24. Per differenziarsi dai nemici-amici gallici i torinesi ideano una specifica forma, tutta nostrana, per sorgenti urbane: ecco la nascita del “torèt”.


Grazie a tali invenzioni, anche nel capoluogo piemontese, diventa possibile ovviare alle numerose difficoltà quotidiane incontrate dalla popolazione. Intorno al 1859, viene progettato il primo acquedotto che irrori svariate fontanelle pubbliche, inoltre, nel 1861 – dopo un mese dall’unità d’Italia- la Giunta Comunale individua ben 81 zone da predisporre proprio come “punti d’acqua” potabile.
Un anno dopo vengono presentati i famigerati progetti delle “fontanelle”, tali e quali a quelli che tutt’ora possiamo visionare passeggiando per le strade. Da subito vengono redatte delle mappe per rendere più facilmente trovabili queste costruzioni, all’inizio si contano ben 45 “torèt”, poi nel tempo, il numero delle fontane aumenta sempre più, fino a raggiungere la moltitudine da record odierna.
Il primo esemplare viene edificato all’angolo tra via San Donato e via Balbis, nei pressi di Piazza Statuto; oggi però la struttura appare piuttosto nuova, questo perchè dopo più di cent’anni di onorato servizio il piccolo toro originale è stato sostituito, la collocazione però è rimasta la medesima.
Il “torèt” si presenta sempre uguale in ciascuna delle sue copie: forma parallelepipeda di circa un metro d’altezza, l’estremità superiore è arcuata, con una griglia di scolo in basso, spesso dotata di una conca centrale da cui possono bere anche gli amici a quattro zampe. Il materiale utilizzato è la ghisa, il colore che ricopre la lega ferrosa è un particolare tono di verde, facilmente definibile “verde bottiglia”. E poi c’è ovviamente l’elemento distintivo:
il rubinetto a forma di testa di toro.


Fin dal principio tali gorghi mostrano un’estetica inconfondibile, divengono subito un caratteristico arredo urbano, tant’è che oggi sono addirittura acquistabili in formato di gadget-portachiavi, piccoli souvenir ideati dal Comune di Torino per promuovere l’immagine dell’antica città dei Savoia.
Dietro all’apparente frivolezza dell’oggetto si cela un’attenzione rivolta all’ambiente e alla salute, la manutenzione delle fontane è affidata alla SMAT (la Società Metropolitana Acque Torino), che si occupa di erogare agli avventori assetati acqua gratuita, di buona qualità e regolarmente controllata, il ricambio costante del flusso impedisce così la formazione di ristagni che potrebbero generare la proliferazione di batteri. È bene sottolineare inoltre che non vi è alcuno spreco idrico: l’acqua “non bevuta” ritorna infatti nelle falde sotterranee –
oltretutto in qualità ancora migliore rispetto a prima-.
Esistono anche dei “torèt” versione “ingrandita”, si tratta delle ironiche e bizzarre sculture realizzate da Nicola Russo a partire dal 2021. Il lavoro dell’artista nasce dall’idea che i piccoli tori possano rompere la fontanella che li tiene soggiogati, mostrandosi in tutta la propria possanza di mammifero artiodattilo. Le sculture possono apparire panciute e goffe, ma si sa, “noi del nord” non siamo noti per ilarità e autoironia, Nicola Russo ha così dovuto spiegare le proprie creazioni poste sul territorio cittadino: “il toret vede la sua amata città vivere un momento di difficoltà a causa del Covid e allora decide di uscire dal suo guscio in ghisa, per dare un segno di cambiamento e per spingere tutta la città a una rinascita.

 

Non importa se è panciuto e goffo, lui si mostra così com’è fatto per portare il suo messaggio di speranza. Il suo è quindi “un gesto di coraggio, perché senza coraggio non c’è futuro”.
È bene dunque superare lo scetticismo del primo sguardo, anche perchè l’iniziativa dello scultore ha un duplice intento virtuoso: da una parte egli si appoggia solo ad aziende piemontesi, in modo da incentivare una ricaduta economica sul territorio, dall’altra lo scultore ha deciso di devolvere parte dei ricavati alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus di Candiolo.
Anche stavolta mi viene da terminare con un “ Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι ” (“la favola insegna che”). Mai fermarsi alle apparenze, perché dietro la semplicità si cela sempre la preziosità di un grande insegnamento e nella goffaggine di un sorriso si può trovare la forza per proseguire ciascuno nel proprio percorso.

Alessia Cagnotto

Susanna Egri, una vita straordinaria

Un appuntamento da non perdere per gli appassionati del mondo dello spettacolo ed in particolare della danza è la proiezione ad ingresso libero, lunedì 17 novembre, alle ore 19, al Cinema Romano in Galleria Subalpina, dell’emozionante docu-film presentato dall’Accademia d’Ungheria in Roma, dedicato alla vita straordinaria di Susanna Egri.

 

Il film-ritratto intitolato “Illanó pillanat – L’attimo fuggente” per la regia di Zsuzsanna Bak e Gábor Zsigmond Papp, racconta la ballerina, insegnante e coreografa di origine ungherese tra danza, arte e memoria seguendo appunto la Egri mentre riprende una sua coreografia di ben 72 anni fa, “Istantanee”, la cui registrazione televisiva realizzata nel 1953 fece parte della prima trasmissione sperimentale della televisione italiana.

 

“Istantanee” è anche attualmente in fase di rimessa in scena con la Compagnia EgriBiancoDanza per il Centenario di Susanna Egri che verrà festeggiato con un grande spettacolo la sera del 18 febbraio 2026 al Teatro Maggiore di Verbania.

Igino Macagno

“Istantanee dal Senegal”, un viaggio umano e spirituale

Il libro di Elisabetta Picco presentato presso lo studio del Maestro Roberto Demarchi dall’editrice Paola Caramella e dalla giornalista Mara Martellotta

Esiste un sottile fil rouge tra la mostra del Maestro Roberto Demarchi, ispirata alla poesia “Sereno” di Giuseppe Ungaretti e intitolata “Immagini passeggere”, e il volume “Istantanee dal Senegal – appunti di un viaggio lungo il filo perduto dei miei passi”, un racconto intenso di un viaggio umano e spirituale in Africa, precisamente nella terra del Senegal, dove la sofferenza si apre all’incontro, alla solidarietà e alla rinascita.

“Jean Cocteau diceva ‘Scrivere è un atto d’amore, se non c’è è solo scrittura – ha raccontato il Maestro Roberto Demarchi – e penso sia proprio questo grande sentimento dell’amore, ormai tanto abusato, a trasformare lo scrivere in vera poesia. L’amore nasce dal dolore, che spesso è associato a un’idea di morte e rinascita, e che rappresenta un grande tema contenuto nel toccante libro di Elisabetta Picco. Il suo libro incarna proprio quella forza dell’amore capace di segnare speranze e nuovi inizi”.

Nel dialogo con la giornalista Mara Martellotta, Elisabetta Picco ha raccontato le fasi che hanno poi portato alla stesura del libro. I temi principali sono il senso della mancanza, il dolore, le nuove consapevolezze e il ritorno, poiché solo nel ritorno vi è la possibilità di racconto, narrazione e memoria.

“La partenza per il Senegal è stata una fuga – ha raccontato l’autrice Elisabetta Picco – una fuga per porre una distanza tra me e i miei problemi, in un momento di vuoto e in cui vari pezzi del mio puzzle non combaciavano più. In questo mio libro ho recuperato le esperienze vissute in quella magica terra come fossero i nuovi fili della mia vita nata dopo il viaggio. Grazie al Senegal e a tutti gli incontri capitati lungo la strada, ho ritrovato identità dopo essermi sentita come acqua fuori da un contenitore, senza più forma. Partita nel dolore, ho rivisto la luce ritrovando una me stessa più consapevole”.

“Ho provato da subito un forte senso di empatia verso la popolazione – ha proseguito l’autrice – e molta compassione per il senso di povertà che esprimeva, oltre alla constatazione della difficile vita a cui sono costrette le donne, che devono occuparsi della famiglia, dei figli, in un regime poligamico, lavorando al posto del marito e vivendo ancora l’arretratezza di un patriarcato molto profondo. Quindi mi sono messa in ascolto della vita cercando di evitare i pregiudizi che potevano nascere da una differenza culturale così marcata, sentendomi spesso anche inerme di fronte alle sofferenze di quei bambini costretti a mendicare e a portare una sorta di ‘obolo’ ai marabout, i leader religiosi musulmani che li costringono a sottostare a questa dimensione di vita. Nonostante queste grandi difficoltà, mi hanno colpito, e ho potuto riflettere in me, il loro sorriso e la loro leggerezza, che porto ancora oggi nel cuore e nella vita quotidiana”.

“Il momento in cui mi sono sentita realmente accettata – ha concluso Elisabetta Picco – è stato quello in cui la popolazione locale, per la prima volta, mi ha definito una “Toubab”, termine che nella lingua Wolof significa ‘individuo bianco europeo’, quindi non più un’estranea, un’immagine passeggera nella loro vita, ma una forma, un modo di essere identitario e rappresentativo”.

Gian Giacomo Della Porta

È torinese la prima opera LGBTQ+ in italiano

Di Renato Verga

Nel melodramma le amicizie virili non sono certo una rarità: da Achille e Patroclo e poi Oreste e
Pilade nelle due Ifigenie gluckiane, fino a Zurga e Nadir dei Pescatori di perle, passando per Carlo e
Rodrigo del Don Carlos. Molto più rari, invece, i casi in cui l’amore omosessuale diventa motore
esplicito della vicenda: gli esempi recenti come il folgorante Lessons in Love and Violence di
George Benjamin (2019) o gli Edward II firmati da Cilluffo (2006) e Scartazzini (2017). Poi c’è
Britten, naturalmente, che meriterebbe un capitolo a parte.

In questo solco s’inserisce Davide e Gionata, di Marco Emanuele che tre anni fa aveva presentato la
sua “tragédie biblique” italiana proprio a Torino, nel giorno dedicato alla storia del movimento
omosessuale credente e ai cinquant’anni del F.U.O.R.I. Ora l’opera torna al Teatro Vittoria, anche
questa volta in forma di concerto. Si tratta un soggetto antichissimo — l’amicizia/amore tra Davide
e il figlio del re Saul – già affrontato nel 1688 da Charpentier in David et Jonathas, ma qui la
rilettura è esplicita, contemporanea, dichiarata: «Amo te solo…» cantano i protagonisti, e raramente
nel repertorio italiano tali parole si sono udite così nitide.

Il libretto, dello stesso Emanuele, parte dal Saul del Romani per montare con abilità un collage
poetico che attraversa i secoli: Metastasio, Landi, Goldoni, Cernuda, Testori. Un pastiche colto e
spregiudicato che trova nella musica un equivalente estetico: il compositore guarda al belcanto
primo Ottocento, con recitativi, pezzi chiusi, cabalette, strette, ma si diverte a disseminare echi
vivaldiani, ombre settecentesche e perfino pulsazioni da Piazzolla in un’opera “antica” ma
pienamente di oggi.

La storia è nota, ma assume qui una forza diversa. Il re Saul ha allontanato Davide, sospettoso del
suo legame col figlio Gionata, che intanto tenta di conformarsi al volere paterno sposandosi e
generando eredi. Davide torna, vuole smettere di nascondersi. Saul, accecato dalla gelosia politica e
paterna, trama di eliminarlo. In battaglia Gionata scambia l’armatura con l’amato e paga con la vita:
è il padre stesso a colpire suo figlio credendolo Davide. Solo davanti al cadavere, Saul comprende la
tragedia.

Emanuele costruisce una drammaturgia vocale di grande intelligenza. Davide e Gionata sono due
controtenori: timbri chiari, Davide più sopranile, Gionata più contraltile. Un omaggio al teatro
barocco e alla coppia soprano/contralto del belcanto rossiniano. Abner è un basso “villain”, mentre
la figura contprta del re Saul è affidata a una voce femminile en travesti, scelta che introduce un
gioco di rispecchiamenti e ambiguità molto contemporaneo: l’amante e il Padre condividono,
simbolicamente, lo stesso registro.

La partitura, per quattro voci e otto strumenti, è un cantiere di idee. Simone Lattes dirige con
precisione e trasporto l’Accademia dei Solinghi formata da Flavio Cappello al flauto, Gianluca
Calonghi al clarinetto, Stefano Arato alla fisarmonica, Lucia Caputo e Paola Nervi ai violini, Magda
Vasilescu alla viola e Massimo Barrera al violoncello. Al clavicembalo, festeggiatissima, Rita
Peiretti. I venti numeri musicali offrono una tavolozza sorprendente: cavatine rossiniane, arie “di
tempesta”, recitativi secchi, canzoni pastorali. Spicca la pagina tanghera dell’aria «Fra l’orror della
tempesta», con la fisarmonica in veste di bandoneón: un lampo ironico e geniale.

Fra i momenti più intensi, la scena del sonno di Saul, vegliato con struggimento da Gionata, che
intona l’aria metastasiana «Mentre dormi». Nel finale, la follia del re — un turbine virtuosistico —
e il lamento sul corpo del figlio portano l’opera verso un epilogo di sorprendente pathos.
Il soprano Marina Degrassi delinea un Saul complesso e sofferto, brillano i controtenori Angelo
Galeano (Gionata) e Maurice Beack (Davide), mentre il basso Yulin Wang (Abner) mostra margini
di crescita. Pubblico calorosissimo per tutti, e soprattutto per Marco Emanuele.

Questa seconda esecuzione in forma di concerto — arricchita dalla sobria mise en espace di Pietro
Giau — lascia il sospetto che Davide e Gionata meriterebbe una piena realizzazione scenica. Per
idee, qualità musicale e coraggio drammaturgico, sarebbe ora che la trovasse.

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

After The Hunt – Thriller. Regia di Luca Guadagnino, con Julia Roberts, Andrew Garfield e Ayo Edebiri. Terzo film su suolo americano del regista di “Chiamami col tuo nome”, dove Alma è insegnante di filosofia all’università di Yale, del suo gruppo fanno parte l’assistente Hank, quarantenne, e la dottoranda Maggie, in non completa armonia tra loro. Un giorno la ragazza si presenta a casa di Alma (che ha anche un proprio segreto da camuffare) e le confessa di aver subito molestie da Hank: all’insegna del me too, da un lato una credibilità verso chi combatte per il presente delle donne e dall’altro in beneficio del dubbio da riconoscere comunque a Hank, entrambi metteranno a dura prova il fisico e la mente dell’insegnante. Scrive Maurizio Porro nelle colonne del Corriere: “Guadagnino padroneggia l’atmosfera con un certo esibizionismo dialettico, che però si dipana òlungo la bravura notevole di tutto il cast, tra ambiguità, sottintesi e dialoghi quasi vintage tanto sono ben scritti e una Julia Roberts che colpisce, di raffinata malinconia.” Durata 139 minuti. (Lux sala 2)

L’attachement – La tenerezza – Drammatico. Regia di Carine Tardieu, con Valeria Bruni Tedeschi e Pio Marmaï. L’occupazione di Sandra è la gestione di una libreria, conduce una vita tutta sua tra molte sigarette, vari compagni occasionali, la certezza di non aver mai voluto avere figli. Ma se poi prevale l’incontro con la propria vicina di casa che s’allontanerà qualche giorno per andare in ospedale a partorire, vicina che le rifila il primogenito Elliott di cinque anni perché sia lei a occuparsene? Una tragedia inaspettata stravolgerà la via e le abitudini di Sandra, costringendola a far parte contro ogni sua volontà del ménage della porta accanto. Ma intanto stanno entrando in scena un grande attaccamento e una immensa tenerezza. Tratto dal romanzo “L’intimité” di Alice Ferney. Durata 106 minuti. (Centrale)

Bugonia – Commedia / Fantascienza. Regia di Yorgos Lanthimos, con Emma Stone, Jesse Plemons e Alicia Silverstone. Due giovani ossessionati dalle teorie del complotto che decidono di rapire l’influente CEO di una grande azienda, convinti che sia un’aliena decisa a distruggere la terra. Convinti della sua natura extraterrestre, passano alla cattura e a un serrato interrogatorio. La situazione si complica quando la ragazza del giovane rapinatore, l’imprenditrice e un investigatore privato coinvolto nella vicenda si ritrovano intrappolati in una battaglia mentale ad alta tensione. La Stone nuovamente musa ispiratrice del regista di origini greche. Presentato a Cannes. Durata 120 minuti. (Fratelli Marx sala Chico V.O., Greenwich Village sala 1 anche V.O., Ideal V.O., Reposi sala 1)

Cinque secondi – Drammatico. Regia di Paolo Virzì, con Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi e Galatea Bellugi. Chi è quel tipo dall’aria trascurata che vive da solo nelle stalle di Villa Guelfi? Passa le giornate a non far nulla ed evitando il contatto con tutti. E quando si accorge che nella vita si è stabilita abusivamente una comunità di ragazzi che si dedicano a curare quella campagna e i vigneti abbandonati, si innervosisce e vorrebbe cacciarli. Sono studenti, neolaureati, agronomi e tra loro c’è Matilde, che è nata in quel posto e da bambina lavorava la vigna con il nonno Conte Guelfo Guelfi. Anche loro sono incuriositi da quel signore misantropo dal passato misterioso: perché sta lì da solo e non vuole avere contatti con nessuno? Mentre avanzano le stagioni, il conflitto con quella comunità di ragazze e ragazzi si trasforma in convivenza, fino a diventare un’alleanza. E adriano si troverà ad accudire nel suo modo brusco la contessina Matilde, che è incinta di uno di quei ragazzi… Durata 105 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Eliseo Grande, Ideal, Nazionale sala 3, Reposi sala 4)

Le città di pianura – Commedia. Regia di Francesco Sossai, con Filippo Scotti, Sergio Romano, Andrea Pennacchi e Robero Citran. Due spiantati cinquantenni sono ossessionati di bere l’ultimo bicchiere. Una sera incontrano un ragazzo, Giulio, timido studente di architettura e il modo di vedere il mondo e l’amore all’improvviso si trasforma pian piano mentre i tre girano tra i locali del Veneto. Durata 90 minuti. (Romano sala 2)

La divina di Francia – Sarah Bernhardt – Biografico. Regia di Guillaume Nicloux, con Sandrine Kiberlein e Laurent Lafitte. Definita da Victor Hugo “la voce d’oro”, ritratto di una certa Francia ad inizio dell’altro secolo, campionessa della Belle Epoque, un racconto e tanti aneddoti che riempiono l’esistenza della “divina di Francia”, una gamba tagliata e “L’aiglon”, libertà sessuale e ribellioni estreme, un boa che si trascina per casa, un teatro tutto suo a disposizione, omaggi in grandi quantità, i suoi cento amanti e un unico grande amore, Lucien Guitry, al cui figlio Sacha, nuovo astro nascente del teatro e del cinema d’oltralpe, la grande attrice renderà piene confessioni. Durata 98 minuti. (Centrale V.O., Fratelli Marx sala Chico)

DJ Ahmet – Commedia. Regia di Georgi M. Unkovski, con Arif Jakup. Ahmet, un ragazzo quindicenne, proveniente da uno sperduto villaggio nella Macedonia del Nord, trova rifugio nella musica mentre cerca di destreggiarsi tra le aspettative del padre, una comunità conservatrice e la sua prima esperienza amorosa con una ragazza già promessa a un altro. Durata 99 minuti. (Greenwich Village sala 2)

Dracula – L’amore perduto – Fantasy, horror. Regia di Luc Besson, con Caleb Landry Jones, Christoph Waltz e Matilda De Angelis. Transilvania, XV secolo. Il principe Vladimir, dopo la perdita improvvisa della sua amata, rinnega Dio, ereditando così una maledizione eterna: diventare un vampiro. Condannato a vagare per secoli, sfida il destino e la morte stessa, guidato da un’unica speranza: ritrovare l’amore perduto. Durata 129 minuti. (Massaua, Ideal, Nazionale sala 4, The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Eddington – Drammatico. Regia di Ari Aster, con Joaquin Phoenix, Pedro Pascal, Austin Butler ed Emma Stone. Maggio 2020, in periodo di piena pandemia, nella piccola cittadina di Eddington, nel New Mexico, lo sceriffo Cross si ritrova a dover osteggiare l’imposizione della mascherina protettiva, venendo immediatamente in contrasto con il sindaco Garcìa, che della moglie di Cross, donna mentalmente instabile, è stato in passato l’amante. Contrasti politici riversati nel personale. Quando Cross decide di candidarsi a sindaco, ecco che la cittadine si divide in gruppi di diversi interessi, il tutto coinvolgendo proteste giovanili e post e messaggi virali, sino a degenerare in un fatto di violenza che metterà a repentaglio la vita della comunità. Durata 148 minuti. (Centrale V.O.)

Fuori la verità – Commedia. Regia di Davide Minnella, con Claudio Amendola, Leo Gassmann, Claudia Pandolfi e Claudia Gerini. Quando una famiglia affiatata – padre e madre si occupano dell’azienda che organizza eventi, il figlio Flavio laureando in economia e la giovane Prisca studentessa universitaria – decide di partecipare a un reality, auspice la più piccola Micol, di professione influencer. Dura la presentatrice, solo sei domande, in diretta televisiva, grande onestà nelle sei risposte, altrimenti “via di qua!”. La borsa vincitrice è, più che appetibile, di un milione di euro. Ma tutti riusciranno a dire la (propria) verità? E quella verità, non farà soffrire a qualcuno? Durata 112 minuti. (Ideal, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

Io sono Rosa Ricci – Drammatico. Regia di Lyda Patitucci, con Maria Esposito, Andrea Arcangeli e Raiz. Figlia minore di Don Salvatore, Rosa cresce all’ombra della malavita, tra lusso e pericoli. Un invito a cena da parte di un potente narcotrafficante che vuole impadronirsi dell’impero della famiglia si rivelerà un agguato: ma Rosa, uscitane salva, tornerà a Napoli capace di riaffermare il potere di un tempo. Durata 91 minuti. (The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Il maestro – Drammatico. Regia di Andrea Di Stefano, con Pierfrancesco Favino, Roberto Zibetti, Edwige Fenech e Tiziano Menichelli. Felice Milella ha 13 anni, un talento per il tennis e un padre pronto a sacrificare ogni cosa per fare di lui un campione – che il ragazzo voglia o no. Raul Gatti è un ex tennista un tempo arrivato agli ottavi di finale al Foro Italico, ma al momento in cura presso un centro di salute mentale. Raul pubblica un annuncio offrendosi come insegnante privato e il padre del ragazzo, ingegnere gestionale della SIP privo di grandi disponibilità economiche ma non di sogni di gloria, vede in lui l’uomo ideale per aiutare suo figlio a passare dai tornei regionali a quelli del circuito nazionale, facendogli da maestro accompagnatore. Felice si rende però presto conche che Raul potrebbe non aver nulla da insegnargli su un campo da tennis, ma forse qualcosa su come liberarsi dell’ingerenza paterna. Durata 125 minuti. (Massaua, Fratelli Marx sala Groucho, Greenwich Village sala 2, Ideal, Lux sala 1, The Space Torino, The Space Beinasco, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

Il sentiero azzurro – Drammatico. Regia di Gabriel Mascaro, con Denise Weinberg. Tereza è una delle tante vittime, in età avanzata, che un Brasile prossimo venturo ha deciso di relegare in una qualche parte lontana, impedita di lavorare e sotto la tutela completa della figlia. Ma Tereza vuole ancora sentirsi, ed è tale, indipendente, non volendo certo arrendersi a quella decisione: si ribella intraprendendo in solitaria un viaggio tra il reale e il fantastico. Orso d’Argento alla Berlinale 2025. Durata 85 minuti. (Centrale V.O., Fratelli Marx sala Chico)

Springsteen – Liberami dal nulla – Drammatico/Biografico. Regia di Scott Cooper, con Jeremy Allen White e Stephen Graham. Il film segue il cantante nella realizzazione dell’album “Nebraska” del 1982, anno in cui era un giovane musicista sul punto di diventare una superstar mondiale, alle prese con il difficile equilibrio tra la pressione del successo e i fantasmi del suo passato. Inciso con un registratore a quattro piste nella sua camera da letto in New Jersey, l’album segnò un momento di svolta nella sua vita ed è considerato una delle sue opere più durature: un album acustico puro e tormentato, popolato da anime perse in cerca di una ragione in cui credere. Durata 112 minuti. (Greenwich Village sala 3 anche V.O., Lux sala 3)

The Running Man – Drammatico. Regia di Edgar Wright, con Glen Powell e Michael Cera. Il programma televisivo tra i più seguiti, concorrenti che devono fuggire per 30 giorni, ogni attimo in diretta tv, inseguiti da killer che sono veri e propri professionisti, il pubblico a seguirli a ogni insidia ed esecuzione. Ben è costretto a partecipare al reality a causa della malattia della figlia, diventerà un vero campione, seguitissimo. Durata 133 minuti. (Massaua,Ideal, Reposi sala 4, The Space Torino, The Space Beinasco, Uci Lingotto, Uci Moncalieri) sala 3

Tre ciotole – Drammatico. Regia di Isabel Coixet, con Elio Germano e Alba Rohrwacher. Dopo quello che sembrava un banale litigio, Marta e Antonio si lasciano. Marta reagisce alla rottura chiudendosi in se stessa. L’unico sintomo che non può ignorare è la sua improvvisa mancanza di appetito. Antonio, chef in rampa di lancio, si butta sul lavoro. Ma sebbene sia stato lui a lasciare Marta, non riesce a dimenticarla. Quando Marta scopre che la mancanza di appetito ha più a che fare con la propria salute che con il dolore della separazione, tutto cambia: il sapore del cibo, la musica, il desiderio, la certezza delle scelte fatte. Dal romanzo di Michela Murgia. Durata 122 minuti. (Romano sala 3)

Un crimine imperfetto – Thriller. Regia e con Franck Dubosc, con Laure Calamy e Benoît Poelvoorde. Ambientato in un remoto villaggio del Giura, dove Michel e Cathy tirano avanti vendendo alberi di Natale. Con il figlio dodicenne Doudou, ragazzino con difficoltà, vivono in una vecchia fattoria tra montagne innevate, conti in rosso e sogni ormai sbiaditi. La coppia è allo stremo: troppe rate da pagare, troppe delusioni e un inverno che non sembra finire mai. Una sera, sulla strada del ritorno, Michel inchioda di colpo per evitare quello che sembra un orso sulla carreggiata. La manovra azzardata lo fa schiantare contro un’auto sul ciglio della sttada, i cui passeggeri a bordo muoiono sul colpo. Preso dal panico, Michel chiama Cathy. Dopo un breve, gelido silenzio, decidono insieme di nascondere tutto. Mentre tentano di far sparire i corpi, nel bagagliaio dell’auto incidentata scoprono una borsa con oltre due milioni di euro in contanti. Quello che inizialmente sembra un miracolo natalizio si trasforma in un incubo a occhi aperti, innescando una serie di eventi caotici e assurdi. Ha scritto Maurizio Porro nelle colonne del Corriere della Sera: “Il problema è l’accumulazione dei fatti, tanti da sembrare un sogno, indagini e rimorsi, euro ed etica, un’alta tensione che si stempera in osservazioni di colore umoristico ma in un panorama notturno tenebroso, come se fosse tutto una paurosa favola per grandi.” Durata 109 minuti. (Classico)

Una battaglia dopo l’altra – Thriller, azione. Regia di Paul Thomas Anderson, con Leonardo Di Caprio, Sean Penn, Benicio Del Toro e Chase Infiniti. Un gruppo di ex rivoluzionari si riunisce quando un loro perfido nemico riemerge dal loro passato, dopo sedici anni di silenzio. Tra loro, Bob Ferguson, che ha sognato per anni un mondo migliore ai confini tra Messico e States. Appeso al chiodo l’artiglieria e il nome di battaglia, Ghetto Pat, fa il padre a tempo pieno di Willa, adolescente esperta di arti marziali. Tra una canna e un rimorso prova a proteggerla dal suo passato che puntualmente bussa alla porta e chiede il conto. Dall’ombra riemerge il colonnello Lockjaw, che più di ogni altra cosa vuole integrare un movimento suprematista devoto a San Nicola. Il gruppo avrà il duro compito di salvare la ragazza, che verrà rapita, prima che accada l’inevitabile. Durata 161 minuti. (Greenwich Village V.O. sala 3)

Una famiglia sottosopra – Commedia. Regia di Alessandro Genovesi, con Luca Argentero, Valentina Lodovini e Licia Maglietta. Alessandro e Margherita e la mamma di lei, tutti a vivere sotto lo stesso tetto, aggiungendoci la progenie Alice e Leo e la piccola Anna che in vista del suo compleanno chiede una gitarella a Gardalang, con tutti i festeggiamenti di rito. Alessandro anni fa ha perso il lavoro e superati i cinquanta è difficile che qualcuno ti regali qualcosa, mamma Margherita continua a ripetere che quella santa donna di sua figlia poteva certo trovare di meglio: forse quel tal collega, medico pure lui, con la signora da tempo intrattiene una vivacizzata relazione. Che lo sposo non ne possa più è fuor di luogo, sino a gridare a squarciagola di voler cambiare famiglia: ma se quel cambiamento avviene nel modo più strampalato, per cui un componente della family prende la identità di un altro componente, allora che succede? Quando si dice i soggettisti e gli sceneggiatori che ti vanno a inventare! Durata 100 minuti. (Reposi sala 4, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Una ragazza brillante – Drammatico. Regia di Agathe Riedinger, con Malou Khebizi. Liane vive a Fréjus con la madre e la sorella più piccola, è davvero molto bella, seguitissima sui social, vuole tentare la fortuna con la partecipazione al reality “Miracle Island”. Vuole soprattutto essere amata, a qualsiasi coso. Durata 103 minuti. (Massimo anche V.O.)

La vita va così – Commedia drammatica. Regia di Riccardo Milani, con Ignazio Mulas, Virginia Raffaele, Diego Abatantuono e Aldo Baglio. Il protagonista, un pastore sardo, abbandonato da moglie e figlia che si sono trasferite nel paese vicino, vive alla fine del millennio solitario in una casa che s’affaccia su una stupenda spiaggia dove le pecore possono pascolare. Non vuole assolutamente abbandonare quella propria casa: neppure quando un prestigioso gruppo immobiliare lo vorrebbe riempire di quattrini, nel progetto di costruire proprio in quel tratto di spiaggia un resort a cinque stelle. Ecosostenibile. Il responsabile del gruppo, al fine di convincerlo, manda sul posto Mariano, il capocantiere in cui ha piena fiducia: da quel momento Francesca, la figlia del pastore, si ritroverà tra la solidarietà nei confronti del padre e l’ostilità dei suoi concittadini. Durata 118 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Eliseo, Fratelli Marx sala Harpo, Ideal, Reposi sala 2, Romano sala 1, The Space Torino, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

“La Locandiera” a Chieri nell’edizione cult di Torino Spettacoli

Al via la nuova rassegna “Protagoniste tra scena e vita”

Sabato 15 novembre ore 21 e domenica 16 novembre ore 16 in scena alla Cappella San Filippo nel centro storico di Chieri

 

LA LOCANDIERA ovvero la “più bella commedia di Carlo Goldoni” (e una delle più divertenti) con 15 anni di repliche e successi in tutta Italia nell’edizione cult della Compagnia Torino Spettacoli sarà in scena sabato 15 novembre ore 21 e domenica 16 novembre ore 16 nel suggestivo contesto della Cappella San Filippo nel centro storico di Chieri (TO), uno scrigno che si apre a un appuntamento di grande teatro.

Si tratta di un evento della Città di Chieri, con cui nasce la rassegna Protagoniste tra scena e vita, in collaborazione con Torino Spettacoli e con il patrocinio della Città Metropolitana di Torino e del programma MAB Unesco.

L’allestimento di pregio, per la regia di Enrico Fasella e con scene del repertorio di Emanuele Luzzati, vede protagonisti Miriam Mesturino, Pietro Bontempo, Sebastiano Gavasso, Alessandro Marrapodi, Barbara Cinquatti, Maria Elvira Rao e Stefano Bianco e i Germana Erba’s Talents.

Questo brillantissimo capolavoro goldoniano, andato in scena al teatro Sant’Angelo di Venezia il 26 dicembre 1752, narra l’avventura di Mirandolina, serva e padrona al tempo stesso di una locanda fiorentina. Mirandolina è un’ottima locandiera; oggi la definiremmo una capace donna-manager.

Intorno a lei personaggi spassosissimi: il Conte parvenu e spendaccione; il Marchese spocchioso visionario d’una antica ricchezza e d’una presente, inutile nobiltà; il Cavaliere misogino ma più di ogni altro ingenuo e Fabrizio, sinceramente innamorato.

Dichiara l’assessora alla Cultura della Città di Chieri Antonella Giordano: «Prosegue la felice collaborazione tra Chieri e la Compagnia Torino Spettacoli e siamo orgogliosi di poter proporre un classico del teatro italiano in un luogo aulico come la Cappella San Filippo, restituita alla comunità chierese grazie a un importante intervento di restauro. Con “La Locandiera” di Goldoni il teatro torna a essere di casa nella Cappella San Filippo, che negli anni ’70 ospitò rassegne di grande rilevanza che hanno segnato la storia culturale della nostra città».

La Compagnia Torino Spettacoli affonda le sue radici sessantennali nell’attività del grande pioniere Giuseppe Erba e nella sua straordinaria esperienza produttiva, in Italia e nel mondo. La realizzazione de La Locandiera è una conferma importante per Torino Spettacoli che, partendo dall’allestimento di Pamela nel 1989, cura da quasi 30 anni il progetto di Germana Erba e Irene Mesturino Goldoni a Torino, articolato nell’omonimo convegno, numerosi incontri e giornate di studio e nella produzione degli spettacoli L’Osteria della posta, Gli innamorati, l’Avaro, La bottega del caffè e Un curioso accidente.

Dalle note di regia: “La storia di una donna che rifiuta Conti, Marchesi e Cavalieri, per impalmare Fabrizio, umile borghese quanto lei, al fine – neanche troppo dissimulato – di governare meglio la locanda, non può che essere una tipica allusione alla novità dei rapporti tra borghesia e nobiltà, nel particolare momento storico in cui l’intrigante vicenda si sviluppa. In Mirandolina, si visualizza, attraverso l’artificio scenico, quel mutamento, già ampiamente in atto nella vita reale, che vede la borghesia conquistare maggior spazio a danno della nobiltà veneziana e non solo (non dimentichiamoci che la commedia è ambientata a Firenze), dapprima quasi pacificamente coesistendo, per poi acquisire un primato che andrà via via consolidandosi negli anni successivi. L’immagine che Mirandolina mostra di sé, ammiccando con il pubblico e con la «storia», zittisce ogni commento critico sul suo personaggio: la locandiera, più che onesta o crudele, più che infida o virtuosa, è un’efficiente donna d’affari, che pone la locanda al centro della sua vita e che al suo buon andamento, subordinerà sempre e oltre qualsiasi apparenza, ogni motteggio ed ogni lusinga. In questo forse, è riconoscibile uno dei primi veri ritratti di donna «moderna» che il teatro ci ha offerto”.

 LA LOCANDIERA

sabato 15 novembre ore 21 e domenica 16 novembre ore 16

presso la Cappella San Filippo, via Vittorio Emanuele 63 – Chieri

posto unico: € 11 – ridotto under 26 e over 60, persona con disabilità e accompagnatore € 9

Acquisto biglietti direttamente al sito www.torinospettacoli.it

Informazioni e Prevendite: tel. 011.6615447/011.6618404/320.9050142 – info@torinospettacoli.it

“Sfavola. La non favola dei tre non supereroi”, il nuovo spettacolo di Onda Larsen

Sabato 15 e domenica 16 novembre alle 16 allo Spazio Kairos

Debutto nazionale sabato 15 e domenica 16 alle 16 per “Sfavola – La non favola dei tre non supereroi”, il nuovo spettacolo di Onda Larsen. La compagnia torinese, questa volta, mette in scena un testo, scritto da Lia Tomatis, per bambini dai 5 anni in avanti: firma la regia Paolo Carenzo, sul palco c’è la formazione al completo con Gianluca Guastella, Lia Tomatis e Riccardo De Leo.

Si tratta di uno spettacolo nella cifra di Onda Larsen: per tutte le età, con ironia e profondità, racconta il viaggio di una Fata, un Mago e un Principe verso la riscoperta di sé come “condividui”, superando la solitudine dell’eroe malinconico per abbracciare la forza della comunità.

Lo spettacolo

“Nessuno si salva da solo” – monito e pungolo che risuona ovunque dalla notte dei tempi tanto da sembrare incontestabile, quasi banale. E, si dice, quando tutti l’avranno capito ci sarà la salvezza. Eppure una voce contraria si alza da quella stessa notte dei tempi: “Sarà Uno che salverà tutti!”.  E, si  sostiene, che sia divino o superumano, è l’Uno che va cercato, perché è l’Uno che indicherà, condurrà sulla strada della salvezza.

Due visioni di mondo, due rappresentazioni di umanità messe da sempre a confronto che, ben lungi dall’essere soluzione, sono esse stesse il germe del conflitto. La terza voce sale dalle scoperte biologiche degli ultimi decenni e dalla moderna antropologia: “Nessuno è da solo”. Il verbo essere va qui inteso come esistere, realizzarsi, vivere.  Tecnicamente si usa il termine “condividuo”, per superare l’idea erronea dell’individuo a sé stante che può vivere/essere/svilupparsi da solo indipendentemente dal mondo. L’interdipendenza così evidente e ormai accettata dai più in campo biologico stenta, a volte, a prendere piede nelle scienze umane. Eppure è proprio qui il qualificante salto concettuale da “ognuno è e può dare il proprio contributo” a “ognuno è Uno solo in quanto persona”.

Il termine Persona implica l’essere fascio di relazioni con i simili e l’ambiente vicino e lontano, è costruzione ed evoluzione continua del sé.  Questa visione di mondo e di umanità, che si potrebbe anche riassumere con il motto della Gestalt: “Il tutto è più della somma delle parti”, è – se non vera in assoluto – sicuramente utile per trovare soluzioni efficaci ai problemi.

Questo è il percorso teorico e pratico che compiono Smemorina (la fata), Merlino (il mago) e Azzurro (il principe) che da super-eroi del passato, in piena crisi d’identità e in bolletta, nel tentativo di adattarsi ai moderni modelli di super eroi, infine si  riconoscono – felicemente – semplici condividui, comprendendo che convivere significa creare comunità, cioè collaborare e condividere. Azzurro abbandonerà la torre in cui si era volontariamente recluso non sentendosi adeguato e all’altezza del mondo fuori (proprio come troppi giovani oggi); Smemorina si spoglierà dei panni e dei ruoli fissi che le sono stati cuciti addosso per sostituirli con quelli che sente più adatti a sé; Merlino, alla ricorsa affannata – ma pasticciata e inconcludente – dell’intelligenza artificiale, affronterà il nuovo con più spirito critico e, essendo questa una “Sfavola”, il lieto fine ci sarà ma di fatto sarà un lieto inizio.

Sfavola non è solo uno spettacolo “per bambini”, ma per “condividui” di qualsiasi età, con un linguaggio comprensibile e coinvolgente per i più piccoli, ma costruito in modo da avere livelli di fruizione per permettere a tutti  di riflettere su questi temi. Quello che è certo è che  bambini “sentono” di essere condividui forse ancora più profondamente degli adulti, perché sperimentano quotidianamente il valore della socialità, hanno esperienza dell’impossibilità della vita stessa senza il rapporto con il mondo circostante.  Loro lo sanno che ci sono i Merlino, gli Azzurro e le Smemorina che a volte hanno paura, che si sentono soli, incompresi, svalutati, dimenticati e, per questo, sanno capire molto bene che ognuno va valorizzato per ciò che è e può diventare in relazione e all’interno del mondo circostante.

I personaggi dello spettacolo sono Una Fata, Un Mago e un Principe azzurro, personaggi iconici estremamente riconoscibili, provenienti dalle favole del passato, ma inseriti in un contesto che rompe con gli schemi delle favole classiche. I personaggi, infatti, hanno una loro profondità psicologica, paure, desideri e “fanno i conti” con le nuove mode e i nuovi schemi narrativi: i bambini si appassionano ormai a eroi e personaggi fantastici diversi, gli stessi modelli di cui sono portatori sono superati. Insomma: i nostri protagonisti non c’è più lavoro nelle nuove storie che vengono raccontate.  Per una serie di eventi i tre personaggi si ritrovano bloccati nella torre in cui il Principe vive ormai da tempo immemore segregato e in solitudine: devono capire come uscirne, ma soprattutto devono capire, una volta usciti, cosa fare delle loro vite. Tra un goffo tentativo di fuga e un altro rifletteranno sul loro posto/ruolo nel mondo e sull’irrealistico e anacronistico progetto di essere un eroe: “Uno Solo che salva tutti è impossibile”– dice il Principe – “tempo fa ne ho parlato anche con Superman, anche lui dice che sono tutti matti!”. Una delle peggiori minacce di oggi è la solitudine che il concetto stesso di “individuo” porta con sé, e da quella non ci si salva da soli, né tantomeno grazie ad un solo eroe.

Da Spazio Kairos, lo spettacolo è sempre anticipato da merenda, alle 16, offerta alle famiglie.
Biglietto unico 9 euro. Pacchetto famiglia (acquisto di minimo di 4 biglietti per lo stesso evento): 28 euro.