CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 28

“Una vita colorata”

Tra colori e solidarietà (e un’asta benefica), l’Associazione “Volere la luna” ospita la mostra del giovane artista torinese Michele Lovisolo

Fino al 22 novembre

Chissà se a metterci lo zampino è stato il caso o, al contrario, l’evento espositivo dedicato a Michele(Miki) Lovisolo ha trovato una perfetta regia (che di più non si poteva) in una casuale combinazione di opere e sito espositivo? Sta di fatto che in “Quel volere la luna” (nome dato all’Associazione di via Trivero, a Torino, dal 2018 di casa in una palazzina a “Parella” di proprietà del “Centro Studi Gobetti” dove si organizzano attività mutualistiche e momenti vari di incontri culturali e politici) ci si può ben leggere anche tutto il percorso compiuto da Miki nel mondo dei colori e da oltre vent’anni di attività e prove su prove mirate al linguaggio dell’arte. Eh sì, perché “Volere la luna”, in fondo, non è impossibile (come tradizionalmente si crede), “non siamo illusi o sognatori – precisa il presidente dell’Associazione, l’ex magistrato torinese Livio Pepinoma pensiamo che senza entusiasmo, senza pensare in grande, senza utopia non si esca dalla crisi etica, sociale, culturale e politica in cui ci ha precipitati il pensiero unico”.

Entusiasmo, passione, forza di volontà a cascate: ecco il segreto per arrivare alla “luna”. Lo stesso, per l’appunto, che fa da abito costante a quel “fare arte” che Miki pratica da anni sotto l’attenta maestria del suo “Angelo custode artistico”, la bravissima Anna Maria Borgna, nel magico atelier di via Belfiore. E allora ognuna delle opere esposte, fino al prossimo sabato 22 novembre (tempere, acrilici, acquerelli, lavori in legno o su formelle di argilla e cartoncino) sono ogni volta un nuovo spicchio di “luna” toccato con mano e stretto con affetto, con gli smisurati abbracci di cui solo Miki è capace.“Volere la luna”, inoltre, e riuscire, anche solo in parte ad ottenerla, aiuta a far diventare la vita “vita colorata”, come recita il titolo della personale in cui si alternano, fra i più svariati soggetti le 40 opere portate da Miki in via Trivero. E che caratterizzano oltre vent’anni di attività. Da quell’oceano, forse involontariamente espressionistico, di colori (dai gialli intensi ai blu e ai rossi) di “Pesce serpente” (2002) all’essenzialità, quasi astratta della “Sacra di San Michele vista da Caprie” del 2008. E poi i raffinati “lavori a cartoncino” e gli estrosi “colore su legno”, fino a quella serie di “ritratti femminili” che raccontano quanto sia stata preziosa “figura didattica” per Miki, Anna Maria Borgna nel riuscire a calarne le doti non solo nell’aspetto più concreto ed esecutivo della materia ma pur anche in un contesto di valore storico-culturale che agli occhi del giovane allievo hanno impresso, trattenendole nel tempo, le immagini di alcune “grandi” figure del panorama dell’arte moderna e contemporanea da Picasso a Klimt agli “spruzzi” di Pollock fino ad alcune morandiane “nature morte” e a quel caratteristico “Omaggio a Manzù”, tratto a sua volta da un Manzù “Omaggio a Picasso”.

Scrive bene Anna Maria Borgna: “Michele si avventura nel mondo della pittura con l’audacia di un nuotatore nel suo elemento: cattura e domina lo spazio, traccia con forza le forme e accosta con intensità i colori preferiti (tra cui il viola, il giallo e il rosso) usando a volte pastose materie, a volte colori ad acqua trasparenti, lasciandosi andare a pennellate rapide o lente e morbide, oppure aggredendo il foglio con segni graffianti di spatola, fino a che non è appagato dal risultato”. E fa capolino un po’ di qua  e un po’ di là. Del resto, i campi su cui correre e agguantare la lunga scala che porta alla “luna” sono tanti. E inaspettati. Fra i lavori in legno di geometrica, astratta spazialità, notiamo anche una “chitarra classica”. Un lavoro a quattro mani magnificamente realizzato insieme all’amico – fraterno Andrea Albrile, fra i massimi “passionate luthiers” di Torino, che racconta: “Il legno gioca con i colori così come l’arte di Michele incontra la mia passione per la liuteria … E proprio per gioco, attraverso questi anni, ci siamo divertiti a dare nuova vita a ritagli e forme, a capovolgere i cosiddetti errori e scarti di lavorazione … fino all’incontro dei nostri due mondi nella chitarra classica esposta in mostra”.

Oggetto inusuale, ma fortemente apprezzato in una rassegna che, seguendo gli obiettivi basilari dell’Associazione ospitante non è stata solo un evento artistico, “ma anche – racconta ancora il presidente Livio Pepinol’occasione per contribuire, mettendo all’asta alcuni dei dipinti, alla realizzazione della ‘mensa popolare’ gratuita che l’associazione ‘Volere la Luna aprirà’, sempre in via Trivero, nel prossimo gennaio: un’iniziativa di sostegno a chi è meno fortunato ma anche – e soprattutto – un luogo di socialità e di incontro per rompere l’individualismo e la frammentazione. L’incontro tra arte e solidarietà è stato felice e affollato. E promette bene anche per il futuro”. “I care” (“ho a cuore”) era il motto che Don Milani volle scritto su una parete della sua “Scuola di Barbiana”. Quanto potrebbe starci bene impresso in parete e a fianco di quel coinvolgente “Volere la luna”!.

Gianni Milani

“Una vita colorata”

Associazione “Volere la luna”, via Trivero 16, Torino; tel. 371/4442275 o www.viatrivero@volerelaluna.it

Fino al 22 novembre Orari: mart. e giov. 18/20; merc. e sab. 11/13

Nelle foto: immagini opere in mostra

 

Musiche e parole contro la violenza di genere al Teatro Regio 

Il Teatro Regio propone un concerto speciale in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza contro le Donne, programmato martedì 25 novembre prossimo, alle ore 18.30, nel foyer Del Toro. Si tratterà di un momento di ascolto e riflessione aperto alla città, a ingresso libero. L’iniziativa nasce da una proposta delle artiste del Coro del Teatro Regio, che hanno scelto di mettere la propria voce e sensibilità al servizio di una causa che interroga profondamente la coscienza civile attraverso un programma che alterna pagine musicali e letture. Nel corso della serata verranno raccolte offerte a sostegno dei centri antiviolenza E.M.M.A. ETS, realtà attiva sul territorio torinese che offre accoglienza, aiuto e supporto alle donne vittime di violenza, con assistenza psicologica e legale gratuita, interventi d’emergenza e percorsi di empowerment. Sotto la direzione del Maestro Ulisse Trabacchin, il programma è affidato alle artiste del Coro del Teatro Regio, affiancate dal soprano Albina Tonkinkh e dal mezzosoprano Martina Myskohljd, insieme alle prime parti dell’orchestra del Teatro: Sara Tenagli, flauto, e Alessandra Vico, contrabbasso, con Jeong Unkin al pianoforte. Le letture saranno interpretate dall’attrice Sara Gedeone, formatasi alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino.

“Ringrazio le artiste del Coro del Regio – ha dichiarato il Sovrintendente del Teatro Regio Mathieu Jouvin – per aver proposto alla direzione del Teatro questa iniziativa; hanno dimostrato grande sensibilità nei confronti di un tema che tocca tutti noi e drammaticamente attuale. Da subito abbiamo deciso non solo di accogliere ma di unirci convintamente alla realizzazione del concerto, certi che un luogo di cultura come il nostro teatro possa anche essere sede di riflessione e impegno civile. Si tratta di un’opportunità per ricordare i valori su cui si fonda una comunità, tra i quali non è contemplata la violenza”.

La scelta dei brani segna un sottile fil rouge che lega la raffinata malinconia del repertorio cameristico francese, comprende Madrigal e la Pavane di Gabriel Fauré, la Less Chemins de l’Amour di Francis Poulenc, la Nuit di Camille Saint-Saëns, e André Caplet con Viens un flute invisibile supire, alla profondità meditativa dei Seven Part Songs di Gustav Holst.

Si tratta di una selezione che, muovendo dalla rappresentazione della passione e dell’intimità della notte, arriva a esplorare come la tenerezza e la poesia possano essere sopraffatte dal dolore, ma anche riscattate dalla speranza. Le letture intrecceranno versi e parole a partire dalla Gelosia di Cesare Pavese, che svela il germe del possesso e su confronta con una lucida espressione di libertà di Maria Giorgia Ulmar, Luce Nuda, per giungere alle testimonianze di Gino Cecchettin, sotto il titolo di “Cara Giulia”, e Neige Sinno con Triste Tigre.

Ingresso gratuito fino a esaurimento posti

Teatro Regio – piazza Castello 215, Torino

Mara Martellotta

L’umanità disillusa di Contrera: il noir torinese di Christian Frascella

TORINO TRA LE RIGHE

Il protagonista di questa settimana di Torino tra le righe è Christian Frascella, autore torinese che con Non si uccide il primo che passa (Einaudi, 2023) torna a raccontarci la città attraverso lo sguardo disilluso e ironico del suo investigatore più amato: Contrera. Un antieroe unico nel panorama del noir italiano, capace di incarnare con irresistibile sarcasmo le contraddizioni e la malinconia di una Torino che, tra cemento e umanità, si rivela specchio del nostro tempo. Christian Frascella è nato e cresciuto a Torino. Dopo diversi lavori, anche come operaio in fabbrica, si è dedicato alla scrittura a tempo pieno. Esordisce nel 2009 con Mia sorella è una foca monaca (Fazi), candidato al Premio Viareggio. Con Einaudi ha pubblicato La sfuriata di Bet (2011), Il panico quotidiano (2013) e, dal 2018, la serie noir dedicata a Contrera, inaugurata da Fa troppo freddo per morire e ambientata nel quartiere torinese di Barriera di Milano.
Nel cuore di una città torrida e brulicante, tra i palazzi popolari e le vie di Barriera di Milano, Contrera conduce la sua quinta indagine. Non ha un ufficio, non ha un’auto, non ha neppure una casa: vive in un camper malridotto, parcheggiato davanti all’abitazione della sorella, come un ancoraggio precario a una quotidianità che gli sfugge. Quando Paola gli chiede di aiutare un’amica, Giulia, sospettosa del compagno Enzo Marsala, accetta l’incarico quasi per noia. Dovrebbe essere un lavoro semplice: qualche pedinamento, una conferma di tradimento, un compenso rapido. Ma quella che sembra una banale indagine coniugale si trasforma presto in un omicidio, quando Marsala viene freddato sotto i suoi occhi.
Da quel momento, l’estate torinese di Contrera diventa un vortice di indagini, sospetti e incontri ai limiti dell’assurdo. Con il suo camper sgangherato e la sua lingua tagliente, si muove tra le periferie e le strade roventi della città, cercando una verità che si dissolve a ogni passo. Tra una birra e una riflessione amara, tra una battuta sarcastica e un gesto di inaspettata tenerezza, il nostro investigatore affronta i propri fantasmi, oscillando tra disincanto e un’irriducibile voglia di giustizia.
Frascella costruisce un noir che va ben oltre la trama investigativa. Il cuore del romanzo è l’umanità dolente del protagonista, capace di ironizzare sui propri fallimenti e di intenerirsi per un’anatroccola in pericolo. La narrazione in prima persona, diretta e vivida, ci trascina nel suo mondo di contraddizioni e malinconie, restituendoci una Torino viva, contraddittoria e autentica.
In Non si uccide il primo che passa, l’autore alterna ironia e introspezione, sarcasmo e poesia, delineando un personaggio che, pur vivendo ai margini, conserva una luminosa umanità. E la città – con le sue periferie, le sue ferite e i suoi scorci reali – si trasforma in un personaggio a sua volta: silenzioso, presente, talvolta crudele, ma sempre vivo.
Ancora una volta, Christian Frascella ci regala un romanzo che parla di noi, delle nostre fragilità e delle piccole resistenze quotidiane che ci tengono in piedi. Perché forse, come suggerisce il titolo, non si uccide mai davvero “il primo che passa”, ma la parte più vulnerabile che in lui ci somiglia.
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MARZIA ESTINI

A Borgaro arriva Mark the Hammer

Mescolando abilmente musica e comicità, Mark the Hammer offre uno sguardo irriverente e politicamente scorretto sul processo di creazione artistica degli spettacoli dal vivo.

Sul palco protagonista anche l’Intelligenza Artificiale, con la quale Mark, esperto e grande conoscitore, si sfida costantemente. Grazie all’uso dell’AI il pubblico verrà coinvolto diventando parte integrante dello spettacolo e vivendo un’esperienza interattiva e unica, come se entrasse fisicamente all’interno di un video dell’artista. Le persone in sala diventeranno addirittura decisivi in alcuni momenti del live.

La produzione, insieme a Mark, tengono a sottolineare e precisare che tutto lo spettacolo è assolutamente inedito, canzoni comprese. Per un live basato sull’effetto sorpresa.

L’artista nel dettaglio dichiara:

Come creare un live show senza alcun talento” non è un live delle mie canzoni già pubblicate. In effetti, tecnicamente non è nemmeno un concerto, anche se c’è moltissima musica! 

È uno show sperimentale che vuole rappresentare tutte le mie passioni (ed ossessioni): musica, comedy, intelligenza artificiale e… satira.

Lo spettacolo è altamente scorretto e sconsigliatissimo sotto i 14 anni.

Ci sarà una band? No. Sarò da solo sul palco? No.

Vi ho confuso? Bene così… Preparatevi ad essere stupiti!

LA BIOGRAFIA DI MARK THE HAMMER

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Mark The Hammer, al secolo Marco Arata, è un musicista e polistrumentista classe ‘86.

Nato a Genova, inizia a suonare all’età di otto anni il pianoforte; a quindici anni aggiunge la batteria, a sedici la chitarra, a diciassette il basso e non smette mai di cantare.

Nel 2006 diventa chitarrista di J-AX e uno YouTuber, diventando famoso su questa piattaforma grazie alle “sfide impossibili” e a tutorial ironici su come creare canzoni senza avere alcun talento oppure a come sfruttare follemente tutti gli AI attualmente disponibili sul web.

Dal giorno d’iscrizione ad oggi ha così superato i 170 milioni di visualizzazioni.

Grazie al successo sul web Mark pubblica cinque album e centinaia di musiche e canzoni

originali. Ora tocca al teatro con lo spettacolo “Come creare un live show… senza alcun

talento” che ha sperimentato già nei club ottenendo un grandissimo successo.

Per conoscere al meglio personaggio e follia di Mark The Hammer è possibile visitare i suoi canali ufficiali

https://www.youtube.com/markthehammerhttps://www.instagram.com/markthehammer86/

IL TOUR

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Le date del tour 2025 di Mark The Hammer già annunciate sono le seguenti:

  • venerdì 14 novembre: GENOVA – Teatro Govi

  • venerdì 21 novembre: VERONA – Teatro Alcione

  • sabato 22 novembre: Borgaro Torinese (TO) – Teatro Atlantic

  • domenica 30 novembre: MILANO – Santeria Toscana

Il Teatro Atlantic è sito all’interno del complesso alberghiero dell’Hotel Atlantic in Via Lanzo 163 a Borgaro Torinese.

INFO BIGLIETTI

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I biglietti di tutte le date del tour sono in vendita:

Per maggiori informazioni contattare

Dimensione Eventi all’indirizzo e-mail biglietteria@dimensioneeventi.it

www.dimensioneeventi.it

FB /dimensioneeventi.it

IG /dimensioneeventi

I marchesi Scozia. Dal Monferrato alla Campania

Il feudo astigiano di Calliano, elevato a marchesato dai Gonzaga di Mantova, fu affidato dopo lunghe vertenze al primo marchese Carlo Bernardino Scozia, padre della contessa Maria Anna Caterina, moglie del marchese di San Giorgio Antonino Felice Gozzani. Giunti in Italia nel XIII secolo, gli Scozia si inserirono nel territorio napoletano nel 1550 provenienti dal Monferrato. Nello Stemmario delle Famiglie Italiane del 1780, manoscritto in sei tomi di Gaetano Montefuscoli conservato nella Biblioteca Universitaria di Napoli, è stato ritrovato lo scudo araldico dei nobili Scozia di Somma Vesuviana. Le partiture dello stemma rappresentano a sinistra don Pietro Antonio Scozia, marito di Sanchez de Luna e a destra la croce nera di Cornelia Marzano, moglie di Scipione Scozia. Della nobile e ricca famiglia che possedeva a Somma Vesuviana una residenza estiva secolare con palazzo e masserie con vigneti, conosciamo antiche memorie specialmente della scrittrice e filosofa Costanza Scozia che frequentava i migliori salotti letterari napoletani e di lei restano oggi pochi sonetti e qualche scritto filosofico conservati dal gesuita Mattia Doria.

L’insigne poetessa visse l’infanzia con la sorella donna Carlotta nel tempio degli Escorziati di Napoli, il conservatorio per nobili fanciulle e per le due sorelle entrambe nate a Somma Vesuviana. Ultimo discendente degli Scozia napoletani fu Pasqualino, morto senza figli nel 1838, marito di donna Teresa Rogadei, abitanti all’Infrascata di Napoli. Pasqualino era figlio di Michele Scozia e Maria Celaja, pronipote ed unico erede di Costanza. La relazione tra le famiglie Scozia monferrine e napoletane è emersa grazie alla collaborazione di Alessandro Masulli, giornalista pubblicista Ordine Giornalisti della Campania, editore e redattore del Mediano di Napoli e archivista del Comune di Somma Vesuviana che ha ritrovato i processi familiari dell’epoca presso l’Arcidiocesi napoletana. L’ultima Scozia di Calliano fu la marchesa Tarsilla, moglie del principe don Francesco Guasco,  marchese di Bisio, Verduno, Gavi e nuovo signore di Murisengo, fondamentale genealogista alessandrino. Il castello cuneese di Verduno fu in parte ricostruito dall’architetto Juvarra e ceduto agli ospedali San Giovanni e Carità di Torino, acquistato dal re Carlo Alberto e utilizzato per lunghi periodi di soggiorno da Oddone, figlio di Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide. Lo stemma gentilizio di casa Scozia fu abbellito con “due rostri di nave nelle antiche memorie chiamati anche scogli”, dal motto “A bon rendre”.
Armano Luigi Gozzano

Matthias Martelli mette in scena al teatro Gobetti “Eretici” 

Debutta al teatro Gobetti, martedì 18 novembre prossimo, alle ore 19.30, la pièce teatrale “Eretici – il fuoco degli spiriti liberi”, scritto, diretto e interpretato da Matthias Martelli. Lo spettacolo intreccia le vite di donne e uomini che nei secoli hanno percorso strade diverse da quelle indicate. Si tratta di scienziati, filosofi, artisti, pittori, giornalisti e liberi pensatori che hanno scelto di essere dissidenti, rischiando la loro stessa esistenza. Martelli intreccia le vite di questi spiriti liberi e narra come il loro pensiero ardente abbia oltrepassato il tempo. Esempi ne sono Giordano Bruno, Galileo, Caravaggio e Pasolini, passando per streghe e papesse rivoluzionarie, fino a giungere ai nostri tempi. Sulla scena lo stesso Matthias Martelli e tre cantanti: Laura Capretti, Flavia Chiacchella e Roberta Penta, che disegnano con voce e corpo personaggi, epoche, luoghi e storie, unendo il tragico al comico, il grottesco alla poesia, per scoprire che gli eretici sono ancora fra noi. Le musiche originali sono di Matteo Castellan, i costumi di Roberta Spegne.

“Ho scritto ‘Eretici’ – dichiara Matthias Martelli parlando della drammaturgia – tenendo presente quello che sarebbe accaduto sul palco. Uno spettacolo giullaresco non è mai una narrazione lineare, vigono le leggi di un linguaggio fisico e letterario. Questo tipo di testo teatrale è un esempio di letteratura corporea, e risulta tanto più ricco, tanto più sensi tiene l’occhio rivolto sulla scena. ‘Eretici’ è il soggetto ideale per questo tipo di scrittura, data la varietà rei luoghi e dei personaggi. Con un tema così vasto nel tempo e nello spazio, le atmosfere e i protagonisti si moltiplicano, ampliando le loro possibilità creative. Contemporaneamente ho cercato di mantenere un costante umorismo presente in ogni storia tragica. Basta un cerchio di luce, un cambio di intenzione per passare dall’ironia al dramma, dallo sghignazzo alla poesia. Mentre la tragedia travolge ed emoziona, la comicità aiuta lo spettatore a illuminare il racconto con spirito distaccato. L’ironia emerge dalla Storia, spesso involontariamente paradossale, e poi al gioco scenico, corporeo e vocale, dai cambi di ritmo e dai grammelot. In ‘Eretici’ lo spettatore non deve mai stare comodo sulla sedia; è spinto a partecipare, ad alzare l’anima dalla poltrona, pèrche gli eretici ci stimolano continuamente ad agire. Lo spettacolo è stato scritto tenendo a mente un concetto allargato di eresia. L’eretico non è solo il ribelle religioso, ma chi sceglie di percorrere la strada meno battuta, attraversando il suo tempo in direzione ostinata e contraria”.

Info: teatro Gobetti, via Rossini 8, Torino  – orari: martedi, giovedi 19.30/ mercoledi e venerdi 20.45 / sabato ore 16 e 19.30 / domenica ore 16

Biglietteria: teatro Carignano, piazza Carignano 6, tel: 011 5169555

Mara Martellotta

“Studio per le Serve”, l’inizio della lunga strada dei Marcido

Da martedì 18, nel teatro Marcidofilm

Era il giugno del 1985, quarant’anni fa, tondi tondi. Tutt’altra aria a Torino, forse non teatrale, dico la stagione appena conclusa, in mezzo ai vecchi e consolidati – la vecchia triade – Pirandello Shakespeare Goldoni gli Stabili e le compagnie di giro si buttano a tentare sorprese e innovazioni, Testori propone “I Promessi Sposi alla prova” e Otomar Krejca guarda con occhi nuovi a Cecov, Brusati (quando ancora si scrivevano testi) mette in scena la sua “Donna sul letto” per Edmonda Aldini – oggi molti si chiederanno, come don Abbondio, “ma costoro, chi erano?” -, arriva Peter Handke con “Attraverso i villaggi” e il russo Yurij Ljubimov guarda al Dostoevskij di “Delitto e castigo”, sopraggiunge un altro sberleffo di Paolo Poli, “Magnificat”. Ma tutto rimaneva più o meno chiuso in certe regole ben precise e delimitate. Per restare da quelle parti manzoniane: il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare. Invece il coraggio arrivò, proprio in quello stesso giugno, in una mansarda di via Berthollet, tra quelle vie in cui oggi non ci piace più tanto passare, lassù, “per le antiche scale” avrebbe detto Mario Tobino, lassù dove i neonati Marcido Marcodorjs – una sorta di declinazione? – e Famosa Mimosa – una pianta rarissima? – mettevano in scena “Studio per le Serve, una danza di guerra” di Jean Genet poeta maledetto. E l’atto rivoluzionario era compiuto: “una performance che produsse un’eco non secondaria nel panorama della ricerca teatrale italiana – scrive oggi il Marco Isidori, anima del gruppo, ricordando quel tempo -, suscitando adesioni appassionate ed altrettanto appassionati dissensi.

Adesioni, come quella di Giuseppe Bartolucci che tre anni dopo avrebbe sottolineato “Bisogna rifarsi ai tempi gloriosi della soffitta di via Berthollet, per respirare, per cogliere il mito dei Marcido; quando salirne le scale era già un’iniziazione d’animo, un batter fitto del cuore, uno scoprire ed accogliere visi ed azioni di antica familiarità e di grande semplicità. E poi quell’improvviso squillo di battaglia, quel rovente duello con la lingua di Genet, in uno spazio ovattato e riflesso da tanto colore rosso da sembrare un palcoscenico pronto ad ospitare un assalto mortale”. Era nato qualcosa di nuovo, di inaspettato, un “rito svolto con pura passione, però esattissimo, esaltato fino al parossismo, però rigorosamente descritto”.

Quarant’anni, anniversario d’un evento e di una compagnia, e ritorna il successo delle “Serve”, oggi, primo esempio di un rigore costantemente inseguito, di un linguaggio “facilmente riconoscibile”, di una recitazione lucida e grottesca, dell’importanza e della ricerca continua del suono e della parola, portata suggerita urlata decifrata anatomizzata, di invenzioni scenografiche che, fattrice Daniela Dal Cin, hanno costruito la storia di testi e di palcoscenici: tutto questo mentre viene anche pubblicato per i caratteri della casa editrice Editoria&Spettacolo, con la prefazione di Raimondo Guarino, e presentato, “I Teatri della Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa II”, storia di una lunga avventura scenica. Ritorna il successo di Maria Luisa Abate, come Solange – affiancata da Paolo Oricco che è Claire -, espressione alta dell’odio verso la propria padrona, capaci entrambe di inscenarne ogni sera l’assassinio. Ritorna il testo di Genet (ispirato a un fatto di cronaca nera) che qui vede “la signora” sparire dalla scena per vivervi unicamente nei gesti, nelle parole e nelle viscerali imitazioni di Solange, innalzandosi con bella intuizione di Isidori al tema del doppio, una piena osmosi tra le due sorelle, la costruzione di un alter ego, nel lontano ricordo personale una Solange agghindata a Madonna e una corona fatta di mollette da bucato che le circonda la testa, un’unica lampadina a illuminarle il viso. Su tutto la voce, le voci, che si sprigionano acute e piane, feroci e melense, poetiche e acri. “Nella strenua condensazione dei suoi segnali, uno spettacolo dalla forza drammatica molto inusuale, sia per l’inflessibile determinazione coreografico/vocale che ne reggevo lo scheletro, sia per la prestazione superlativa e veramente fuori misura di Maria Luisa Abate”, riassume oggi l’Isi voltandosi a guardare ancora una volta alla sua creazione. Da martedì 18 novembre alle 20,45 (durata 45’, repliche sino a domenica 23, alle ore 16), spettacolo d’apertura della stagione 25/26, nel teatro Marcidofilm di corso Brescia 4.

Elio Rabbione

Nelle immagini, le “origini” delle “Serve”, con Maria Luisa Abate e Lauretta Dal Cin (credits Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa)

Asti, la città dalla storia millenaria

A cura di piemonteitalia.eu

Adagiata sulla riva del Tanaro e sulle colline del Monferrato, Asti è una cittadina piemontese che, oltre ai suoi eccellenti vini e prodotti enogastronimici, offre ai visitatori tante sorprese, che andrebbero gustate con calma.

La città vanta una storia millenaria, fondata inizialmente dai romani, nel IV secolo divenne ducato longobardo, almeno fino al 1159, quando si trasformò in un Comune libero, diventando, da questo momento in poi, la città più potente del Piemonte…

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https://www.piemonteitalia.eu/it/esperienze/asti-la-citta-dalla-storia-millenaria