CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 28

Quartetto Jerusalem con Sharon Kam al Conservatorio

Mercoledì 19 febbraio alle 20.30 al teatro Conservatorio Giuseppe Verdi, in piazza Bodoni, per i concerti della serie Pari, si esibirà il Quartetto Jerusalem con Sharon Kam al clarinetto, di cui è uno degli interpreti più  prestigiosi.

Passione, precisione, calore, una miscela aurea. Questi sono i segni distintivi, secondo il New York Times, del Quartetto Jerusalem, che mercoledì 19 febbraio approda per la prima vota al Conservatorio si Torino.

Rinomato a livello mondiale, Jerusalem si inserisce nella tradizione dei quartetti d’archi in modo unico e originale, avendo trovato il proprio cuore espressivo in un suono caldo, pieno e umano che fa risplendere sia il repertorio classico sia le opere più recenti.

A partire dalla sua fondazione nella stagione ’93-’94, e dal suo debutto nel 1996, il Quartetto ha intrapreso un percorso di crescita e maturazione che lo ha riportato a eseguire un vasto repertorio e a conquistare un’impressionante profondità interpretativa, un cammino che è tutt’oggi motivato dalla stessa energia e curiosità originarie.

Ospite regolare delle sale da concerto più rinomate in Europa e Nord America, lo Jerusalem arriva finalmente a Torino per l’Unione Musicale, nell’ambito del tour che festeggia i trent’anni di attività. Il programma si apre con il celebre Quartetto in Do maggiore K 465 che fa parte delle sei partiture dedicate da Mozart all’amico e maestro Haydn, il padre della ffoma quartettistica. L’anziano compositore, dopo aver ascoltato gli ultimi tre Quartetti, dichiarò a Leopold Mozart: “Suo figlio è il più grande compositore che conosca di persona e di fama, ha gusto e soprattutto la più grande scienza della composizione. Certamente questa raccolta segna un momento cruciale nella storia per quartetto per archi: quello della compiuta definizione della scrittura quartettistica tipica dello stile classico. Il Quartetto delle dissonanze, come fu soprannominato, è dovuto all’introduzione lenta della partitura, densa di dissonanze che sconcertarono gli ascoltatori dell’epoca. Tuttavia, dopo la tensione espressiva dell’introduzione, il brano si apre a un’ambientazione più spensierata e a una logica di contrasti quasi teatrale.

A seguire il Quartetto op. 133 di Šostakóvič, pagina che riflette quell’ansia e quel tormento spirituale che si accentuarono negli ultimi anni di vita del compositore sovietico, sempre alla ricerca di un linguaggio legato alla realtà culturale e sociale del suo Paese, ma aperto alle innovazioni tonali provenienti dalle esperienze occidentali.

Nel brano si alternano un senso di riflessione e assorta malinconia ad un sentimento di gioiosa comunicativa. Nel finale, tra i più esaltanti e robusti scritti da Šostakóvič, i quattro archi sviluppano un ampio e serrato crescendo che sembra riaffermare l’impegno e la fiducia nella vita.

Nella seconda parte della serata l’ensemble si arricchisce di una stella, Sharon Kam, una delle clarinettiste più apprezzate al mondo, nonché una delle partner musicali con cui il Quartetto collabora da più tempo. Interpreti di riferimento del repertorio mozartiano, e non solo, Sharon Kam ha debuttato all’età di 16 anni eseguendo il Concerto per clarinetto di Mozart con la Israel Philarmonic, sotto la direzione di Zubin Mehta. Da allora collabora con le migliori orchestre di Stati Uniti, Europa e Giappone.

Clarinettista dall’eccezionale gamma espressiva, Sharon Kam è anche un’appassionata camerista, che collabora con artisti come Enrico Pace, Christian Tetzlaff, Carolina Widmann, Leif Ove Andsnes e, appunto, il Quartetto Jerusalem.

I cinque musicisti insieme eseguiranno il Quintetto per clarinetto e archi op. 115 di Brahms, opera della maturità che deve la sua origine all’incontro con Richard Von Mühlfeld, uno straordinario clarinettista al quale il compositore chiese di introdurlo ai dettagli tecnici ed espressivi dello strumento a fiato. Dall’amicizia tra i due nacquero di getto il Trio, il Quintetto e le due Sonate, ma soprattutto il Quintetto a suscitare fin da subito una unanime ammirazione. Brahms esalta, in questa partitura, la dolcezza e la duttilità del clarinetto, che si dimostra uno strumento affine ai toni intimi e malinconici della sua produzione degli ultimi anni.

Mercoledì 19 febbraio, ore 20.30, Torino, Teatro Conservatorio Giuseppe Verdi, piazza Bodoni

Concerto Unione Musicale Serie Pari

Mara Martellotta

I Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa portano in scena “Le Baccanti”

Al teatro Gobetti, in prima nazionale dal 25 febbraio al 9 marzo, da Euripide

Nel quarantennale della loro avventura artistica (1985-2025), i Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa ritornano alla tragedia greca in una sorta di fil rouge nella loro produzione. Per celebrare questo anniversario, martedì 25 febbraio 2025, alle ore 19.30, debutteranno in prima nazionale al Teatro Gobetti con “Istruzioni per l’uso del Divino Amore: mana enigmistico. LE BACCANTI di Euripide che “precipitano” a contatto col reagente Marcido”, una riscrittura integrale di Marco Isidori da Euripide. Diretto dallo stesso Isidori, con un allestimento scenografico di grande impatto visivo curato da Daniela Dal Cin, lo spettacolo è interpretato da Paolo Oricco, Maria Luisa Abate, Valentina Battistone, Ottavia Della Porta, Alessio Arbustini e Marco Isidori (L’Isi). Assistente alla regia Mattia Pirandello e alle luci Fabio Bonfanti. Questo nuovo allestimento, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e dalla compagnia Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, resterà in scena fino a domenica 9 marzo 2025.

La vicenda è riletta attraverso la lente del grottesco: la via dell’antica catarsi è percorsa da una spiccata dimensione ludica; trionfa il gioco del Teatro, affidato alla voce di un coro tragico che diventa Coro Marcido, catalizzatore di un’energia scenica travolgente, una voce sola, un tutt’uno con la macchina scenica che campeggia sul palco. Questa volta è il Palazzo di Penteo, l’ultima delle straordinarie invenzioni della scenografa Daniela Dal Cin: gli interpreti lo scalano, lo assediano, s’inerpicano sopra e dentro l’architettura aprendo botole e svelando meccanismi nascosti, nel segno di quella fantasia sorprendente che è il simbolo più vivo e più conosciuto del teatro dei Marcido.

“I Marcido hanno già affrontato i temi della tragedia attica attraverso spettacoli che segnarono una tappa non secondaria dell’interpretazione moderna di questa forma teatrale (Agamennone 1988, Persiani 1990, Prometeo 2000, Edipo 2012) – ha spiegato il regista e capocomico Marco Isidori – ma da sempre l’obbiettivo principe fu quello di riuscire a varare una ‘loro’ edizione, magari sognandola ‘definitiva’, delle Baccanti di Euripide, tanto che possono affermare, a ragione, che gli allestimenti sopra citati non furono che una rincorsa, un’ouverture diciamo d’allenamento poetico, affinché la Compagnia si facesse le ossa per incontrare finalmente la fatalità feroce del gran testo euripideo. Perché questo sotterraneo timore di fronte alle Baccanti? Semplice: i nodi di irrisoluzione scenica che avviluppano, quasi strutturandone lo scheletro, tutta la produzione tragica dell’età classica diventano, nella spira dionisiaca delle Baccanti, nodo scorsoio, rischiando di far naufragare nel mare della retorica più sfacciata chi tentasse di portare sul palcoscenico la vicenda, senza aver prima considerato che la sua intimità drammatica non è solo sfuggente, ma primariamente enigmatica. Tale carattere, o meglio, la presa d’atto che questo fosse il carattere precipuo della tragedia in predicato, ci impediva finora di osarne un nostro ‘assalto’: adesso l’esperienza ci detta e ci consiglia che invece d’intestardirci a voler sciogliere gli enigmi, sarebbe più opportuno, e teatralmente assai più proficuo, entrare a capofitto nel magma dionisiaco che innerva la materia dell’opera, cercando di stanare il parallelismo dei motivi che allora ne fecero elemento indispensabile alla coesione politica della comunità greca, e oggi ne dovrebbero fare, se il Teatro non vuol abdicare al suo senso più proprio, evento spettacolare altrettanto necessario alla ‘misura’ del consorzio sociale degli attuali umani. Tali premesse hanno guidato le coordinate produttive delle Baccanti in una direzione complessa ma inequivoca: la costruzione di una trappola sensuale dove far precipitare ogni istanza del dettato storico della tragedia, per restituire, attraverso il filtro di una teatralità esercitata al massimo della potenza espositiva, il centro pulsante del discorso filosofico euripideo: la ricerca di una tensione orgiastica generale per la nostra specie, che, superando gli scogli nefasti dell’individuazione, anzi negando a essa positività e anche funzionalità naturale, traguardi l’uomo, almeno per il tempo della rappresentazione, in una zona sentimentale antipodica rispetto alla normalità del vissuto quotidiano”.

Teatro: Gobetti, via Rossini 8, Torino

Orari degli spettacoli: martedì, giovedì e sabato ore 19.30; mercoledì e venerdì ore 20.45;

domenica ore 16.00. Lunedì riposo.

Prezzo dei biglietti: Intero € 28,00 – Ridotto € 25,00

Biglietteria: Teatro Carignano, piazza Carignano, 6 – Torino

Tel: 011 5169555 – email: biglietteria@teatrostabiletorino.it

Online: www.teatrostabiletorino.it

Mara Martellotta

LABGRAAL in action once again all’Hiroshima Mon Amour

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Ritorna in concerto il LabGraal all’Hiroshima Mon Amour, giovedì 20 Febbraio 2025 alle ore 21.30.
Il gruppo presenterà brani inediti, come “Stop this bloody cruelty” di stampo animalista o “Waves of Time”, antica canzone norvegese suonata con la Tagelharpa (violino vichingo), o ancora “Krummavisur” raccolta durante un viaggio in Islanda.

Ancora da evidenziare, sono i brani in lingua norrena, come “Herr Mannelig”, anche questi raccolti in viaggi che di consueto hanno questo scopo, o “Kan Ar Kann” in lingua bretone ispirata alle lotte per l’indipendenza della Bretagna.

Accompagnerà il gruppo il violista armeno Maurizio Redegoso Kharitian e la violinista Chiara Cesano, non nuova alle collaborazioni con il LabGraal.
Il nuovo repertorio del gruppo verrà accompagnato da poesie del compianto Giancarlo Barbadoro (fondatore del gruppo insieme a Rosalba Nattero) lette dall’attrice Gabriella Pochini.

Due parole, per chi ancora non lo conoscesse, su questo originale gruppo…

Il LabGraal – che si è conquistato un posto di rilievo sulla scena internazionale – si occupa di musica celtica (anche detta KELTIC ROCK), accompagnata da un filosofico discorso di amicizia verso la natura, diritti del mondo animale, le culture umane dette naturali, iniziative per la Pace.

Infatti non è solo musica, ma scuola di danze particolari, conferenze, ricerca storica, fenomeni culturali, archeologia, con un attivissimo centro operativo principale sito in piazza Statuto 15 (La grotta di Merlino – negozio aperto dalle 10,30).

In che consiste questa musica, spesso sconosciuta ai più?

Il corpus narrativo – liberamente rievocativo o spesso fedele ai testi – come sopra citato, appartiene a ritmi e ballate irlandesi, bretoni, scozzesi che la Nattero e i suoi musicisti meticciano anche con evocativi motivi scandinavi, russi e qualsiasi ritmo appartenga alla cultura profonda delle culture. Chiaramente vengono proposte anche musiche composte in proprio.

La trama musicale non si basa su una infinita serie di melodie anzi, questa musica ha spesso una costruzione piuttosto semplice e particolarmente sincopata, quasi esicasmica, senza inaspettate fughe tonali.

Ed è proprio questa caratteristica incalzante, introspettiva, ritmica, evocatrice di dimenticati passaggi tribali, forse selvaggi … che stravolge chi l’ascolta, divertendo, non raramente turbando, sempre esaltando!

Ma non può che essere così: il Graal è una scoperta, una forma di Illuminazione che ci scuote, liberandoci dal velo di un primordiale passato che nascondiamo nel nostro inconscio, sigillato da una cultura occidentale che vuole omogenizzati ritmi, gusti e passioni.

Tamburi, cornamuse, chitarre, la tonante voce della cantante, pezzo dopo pezzo coinvolgono sempre l’uditorio e lentamente ma inesorabilmente ne stravolgono i sensi come effetto psicotropo di antiche danze sciamaniche.

Ad ogni esibizione, il presente si fonde con il passato; archetipi come la guerra, l’amore, il fuoco, la sofferenza e il piacere si uniscono, forse stordendo e inevitabilmente avvicinando chi arte produce a chi arte fruisce.

Ancora una volta, all’Hiroshima si riaccenderà la magia tra Noi e Loro, perché il Graal è un brodo primordiale di fascinazione totale, sempre in grado di ricordarci che la vita siamo tutti noi e che scorre sempre calda nelle nostre vene.

Ferruccio Capra Quarelli

LabGraal: Rosalba Nattero: Voce solista, Luca Colarelli: Cornamusa, Chitarra, Andrea Lesmo: Bouzuki, Tastiere, Gianluca Roggero: Tamburi

Giovedì 20 Febbraio 2025, ore 21.30

Hiroshima Mon Amour – Via Carlo Bossoli 83 – Torino

Ingresso libero – Per informazioni: 011 530 846 – www.labgraal.org – info@labgraal.org

“Torino città delle donne” al Circolo dei Lettori

Un omaggio alla citta’ e alle sue protagoniste

Mercoledi’ 19 febbraio alle 19 sara’ presentato al Circolo dei lettori di Torino il libro “Torino citta’ delle donne -nelle parole di 22 protagoniste”. Insieme all’autrice, Maria La Barbera (nella foto), parteciperanno l’Assessora alla Cultura di Torino Rosanna Purchia, il vice direttore della Stampa Gianni Armand Pilon e lo storico Gianni Oliva.

Torino citta’ delle donne e’ una interessante e vivace collezione di interviste fatte a 22 torinesi, di origine e di adozione, attraverso cui l’autrice, giornalista e sociologa, racconta  l’affezione per Torino, le sue potenzialita’ e la gratitudine nei confronti di una citta’ che non ha bisogno di assomigliare ad altre.  Le  straordinarie torinesi  che hanno partecipato a questo progetto editoriale posseggono una visione complessa e articolata della citta’ e hanno un comune denominatore: l’amore per Torino . Un tema importante trattato nel libro e’ quello del lavoro che andrebbe intrapreso per  fare di Torino  un luogo ancora piu’ attraente, sviluppare ulteriormente le sue potenzialita’ e risolvere quei problemi che la tengono ancora  troppo salda al suo  passato nonostante sia indiscutibilmente una laboratorio di idee e rappresenti un modello ispirazionale.

Le 22 protagoniste del libro sono:

Maria Caramelli, Evelina Christillin,  Maria Luisa Cosso, Sara D’Amario, Elena D’Ambrogio Navone, Elsa Fornero, Alessandra Giani, Paola Gribaudo, Piera Levi-Montalcini, Marina Marchisio, Licia Mattioli, Camilla Nata, Margherita Oggero, Enrica Pagella, Antonella Pannocchia, Laura Pompeo, Paola Prunastola Filippi di Baldissero, Fulvia Quagliotti, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Giulietta Revel, Carola  Vallarino Gancia Bianco di San Secondo Biondi, Tiziana Viora.

 

 

Polledro, il violinista ritrovato di Piová. Dal Teatro Regio al concerto con Beethoven

A Piová Massaia, borgo del Monferrato astigiano, nacque Giovanni Battista Polledro (1781-1853) violinista e compositore allievo del maestro Maurizio Calderara di Casale Monferrato che impartì lezioni quotidiane per oltre tre anni al musicista piovese attivo nella prima metà del 1800, oggi dimenticato, che raggiunse una celebrità di dimensione europea. Il padre Teodoro, vista la passione del figlio per il violino già sviluppatasi dall’infanzia, lo affidò al primo violino astigiano Gaetano Vay apprendendo l’arte e l’abilità che lo distingueranno tra gli altri violinisti.
Nel 1796 il quindicenne Polledro si trasferì a Torino e diventò allievo del maestro Pietro Paris della Regia Cappella, trovando impiego l’anno successivo nell’orchestra del Teatro Regio con un compenso di 100 lire tramite Gaetano Pugnani, uno dei migliori violinisti dell’epoca e primo virtuoso della Camera Reale. Polledro si trasferì nel 1805 da Torino a San Pietroburgo e Mosca, nel 1811 a Varsavia e Bratislava, nel 1812 a Berlino e Lipsia, raggiungendo una fama continentale che nessun musicista avrebbe potuto vantare, tranne Mozart. Il 6 agosto 1812 a Karlsbad avvenne l’incontro tra il modesto Polledro e il grande Beethoven che rese celebre il nostro violinista. I due musicisti organizzarono in sole dodici ore un concerto di beneficenza definito “un povero concerto dei poveri”, dedicato ai superstiti dell’incendio della città di Baden.

Beethoven lo accompagnò al pianoforte riferendo che il “signor Polledrone aveva suonato bene dopo aver superato il suo abituale nervosismo”. Nel 1816 la competizione tra i monarchi europei proiettò Polledro dal re di Sassonia come primo violino per 1500 talleri e Dresda fu definita la città della musica di Corte grazie al suo virtuosismo. Definito uno dei più eccellenti concertisti dell’epoca, fu assunto a Praga nel 1821 come maestro di cappella. In quello stesso anno si concludeva il regno di Vittorio Emanuele I° il quale, costretto anche dalla ribellione al suo governo dei militari della Cittadella, abdicava in favore del fratello Carlo Felice. Molto assente da Torino, Carlo Felice preferiva soggiornare a Genova e in Savoia, oppure nei castelli di Govone e di Agliè. Per risollevare le sorti del suo Teatro, ritornato all’antico appellativo di Regio, richiamò in patria Giovanni Battista Polledro conosciuto in Europa come uno dei pochi emuli di Paganini.

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Il compenso per il suo ritorno fu di 5000 lire equivalenti ai 1500 talleri percepiti in Sassonia, oltre ad un alloggio nei Palazzi Reali, facendo conoscere ai torinesi le grandi composizioni del classicismo viennese acquistando partiture di editori tedeschi. Nel 1831 Polledro rivendicava l’importanza della funzione del direttore d’orchestra in sostituzione del tradizionale ruolo del primo violino che imponeva un ruolo subalterno all’orchestra e al direttore. Fu fortemente contestato dall’autoritarismo della Società dei Cavalieri, rinato gruppo di aristocratici avversi alla sua ventata di novità. Dopo la morte di Carlo Felice la società fu sciolta con l’avvento di Carlo Alberto, non incline alla musica, assegnando ad una gestione impresariale le sorti del Teatro Regio ed il Teatro Carignano.

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Le sue più importanti composizioni furono la Missa Solennis per coro e orchestra e la Sinfonia Pastorale. Acquistò due violini, un Amati e un Guarneri del Gesù, le industrie cremonesi che produssero l’eccellenza della liuteria mondiale unitamente a Stradivari. A Torino nel 2012 è stata fondata l’orchestra da camera Giovanni Battista Polledro diretta dal maestro Federico Bisio, intitolata all’ultimo rappresentante della scuola violinistica piemontese. La storia dell’illustre piovatese è emersa grazie alle ricerche dell’avvocato Paolo Lupo e della professoressa Clelia Parvopassu.

Armano Luigi Gozzano 

La marchesa Beatrice Bergera Gozzani. Da Chieri a Casale Monferrato

 

 
Genealogia di un territorio e il canto 
popolare di Cavoretto 
Le proprietà della nobildonna torinese residente nel palazzo Gozzani San Giorgio di Casale Monferrato furono molto ambite e oggetto di svariate controversie e cause civili tra l’avvicendamento dei successori e le comunità di Asti e Villanova d’Asti (vassalla di Dusino) per la giurisdizione del territorio del Ducato di Savoia e Principato di Piemonte. Il feudo di Cly nel comitato di Aosta risalente al XII° secolo che comprendeva Verrayes, Dièmoz, Saint-Denis, Chambave, Torgnon e tutta la Valtournenche apparteneva alla famiglia Bosoni Challant visconti di Aosta, signori di Cly e Châtillon. Pietro, ultimo esponente Challant, ereditò il feudo dal padre Bonifacio ma il conte verde Amedeo IV° di Savoia confiscò i suoi beni per fellonia nel 1376, privandolo del titolo a causa della collera, prepotenza e tirannia verso i sudditi. Il conte, visto l’atteggiamento nei suoi confronti, cedette per transazione allo Challant il feudo di Chatel Saint-Denis nel 1384, amministrato dai suoi castellani fino al 1500, in cambio del mandamento di Cly assunto dai signori di Vernier. Il feudo di Cly fu venduto dal duca Carlo III° di Savoia, il despota illuminato, a Cesareo Cristoforo Morales nel 1550, capitano delle truppe spagnole in guerra contro i francesi ed in seguito confinato a Lipari per tradimento.
Il duca Emanuele Filiberto di Savoia lo vendette con beneficio di riscatto al suo segretario di Stato Giovanni Fabbri di Aosta nel 1562, baroni di Cly fino al 1637. Il marchese di Caselle Pietro Filiberto Roncas ereditò la proprietà nel 1638 trasferendo i resti delle vecchie mura del castello di Cly segnandone l’inevitabile declino per edificare il proprio palazzo con torre a scalare. Il feudo fu ereditato dal barone Giacomo Francesco Antonio Bergera nel 1735, marito di Giovanna Margherita dei conti Possavino di Chieri, conti di Brassicarda dal 1580 e baroni di Cly. Beatrice Teresa Bergera marchesa di San Giorgio Monferrato, contessa di Cly e Brassicarda fu infeudata dei territori nel 1778 con il marito Giovanni Battista Gozzani marchese di San Giorgio, Perletto e Pontestura, detto il marchese d’Olmo Gentile che edificarono i palazzi San Giorgio di Casale e Torino. I feudi furono ereditati da Carlo Antonio Gozzani e da Sofia Doria di Ciriè, immortalati nei ritratti casalesi di Vittorio Amedeo Grassi di Agliè, pittore ufficiale di Corte a Torino e nel 1816 da Carlo Giovanni Gozzani, cresciuto sotto tutela della zia Clara Gozzani contessa di San Giorgio.
Il groviglio feudale si concluse con Evasio Gozzani detto il cavaliere di Brassicarda (Roma 1838-Pisa 1913) nipote del più famoso Evasio detto il marchese pazzo, amministratore del principe Camillo Borghese e di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone. Da ricordare il vescovo di Torino Giulio Cesare Bergera (1593-1660) dei conti di Beinasco, Piobesi e consignori di Villarbasse e Cavallerleone che ingrandì la chiesa di Chieri. La bergera è anche un canto arcaico dal testo pastorale amoroso in  dialetto piemontese originario della collina di Cavoretto, elaborato secondo la lirica da camera tedesca senza stravolgere la forma da Leone Sinigaglia, compositore torinese dell’alta borghesia ebraica perseguitato dal nazifascismo. Trasferitosi a Vienna incontrò Brahms, Mahler e a Praga conobbe Dvorák, da cui ereditò l’interesse per il canto popolare, raccogliendo oltre 500 melodie  quasi scomparse. Il brano fa parte del repertorio del Casale Coro diretto dal maestro Giulio Castagnoli. Per ricordarlo è stata posta una pietra d’inciampo davanti al Conservatorio di Torino dove fu direttore del liceo musicale e Chivasso gli ha intitolato un istituto musicale comunale.
Armano Luigi Gozzano

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Valérie Perrin “Tatà” -Edizioni e/o- euro 21,00

La Perrin ha l’innegabile capacità di inserire tombe e cimiteri nelle storie che racconta, riuscendo a rendere l’argomento magnetico ed accattivante. Dopo l’esordio con il best seller “Cambiare l’acqua ai fiori”, anche in questo romanzo, morte, segreti e famiglie fanno la parte del leone. E nonostante “Tatà” non sia superlativo come il primo romanzo, lo stile Perrin aleggia comunque.

L’inizio è di quelli che catalizzano subito l’attenzione.

Una telefonata dalla gendarmeria di Gueugnon annuncia la morte di Colette Septembre all’unica parente indicata in uno scritto della defunta. Ma come si spiega che la donna era già stata dichiarata morta e sepolta tre anni prima?

Al telefono risponde Agnès Dugain, regista parigina 38enne, in piena crisi professionale e sentimentale; Colette era la sorella di suo padre.

Immaginate la sorpresa dato che la notizia della dipartita della zia le era già stata comunicata in passato; all’epoca però lei era in America e dei funerali si era occupato un amico dell’anziana signora. Il rebus è: chi era stato seppellito?

Questa volta Agnès sta attraversando un momento difficile e nulla la trattiene nella capitale francese; dopo che il fascinoso marito Pierre, attore in tutti i suoi film e padre della loro figlia Ana, l’ha lasciata per un’attrice.

La protagonista parte subito alla volta del minuscolo paesino della Borgogna per fare luce sulla doppia morte di “Tatà”.

E’ così che la chiamava affettuosamente quando, da bambina, trascorreva con lei le vacanze estive; mentre i genitori -entrambi affermati musicisti- andavano in tournée in giro per il mondo.

Colette era stata una zitella silenziosa e anonima la cui vita si animava intorno a due interessi: il suo lavoro di calzolaia nella piccola bottega del villaggio e la dirompente passione per la squadra di calcio locale della quale non perdeva neanche una partita.

Ora, all’obitorio, la salma che Agnès riconosce è proprio quella di Tatà; più vecchia e magra di quando l’aveva vista l’ultima volta, ma è lei senz’ombra di dubbio. Come spiegare che Colette sarebbe morta due volte? E chi giace sotto la sua lapide?

Agnès si sistema su un materasso buttato in terra nella casa della buon’anima e cerca di capire il mistero della sua duplice dipartita. In eredità la zia le ha lasciato una valigia piena di cassette registrate in cui svela i segreti della sua vita.

Poco per volta emergono infiniti e sorprendenti retroscena che restituiscono una Colette Septembre completamente diversa, inaspettata e capace di gesti di grande coraggio.

Nel romanzo di 600 pagine sono ricostruite anche le vite di altri personaggi che avevano incrociato il tragitto di Tatà; con il fardello di tragedie, violenze, amori, fughe, omicidi e segreti che compongono l’affresco di una vita unica.

Quella che Colette aveva celato, adottando la tecnica difensiva di apparire una donna insignificante.

 

 

J. Bernlef “Chimere” -Fazi Editore- euro 16,50

E’ uno dei romanzi più notevoli del Novecento letterario olandese e le chimere del titolo alludono al tema delle illusioni; qualcosa che rincorriamo senza mai riuscire ad afferrarlo. Tema centrale è la perdita di memoria che sta affossando il protagonista Maarten Klein; 70enne che dall’Olanda si era stabilito da tempo sulla costa nord di Boston in America.

Trascorre una vita appartata insieme alla moglie Vera, scandita da piccoli rituali e rasserenanti abitudini; mentre i figli, ormai adulti, vivono lontani e latitanti.

Il confortante tran tran quotidiano si infrange la mattina in cui Maarten confonde i giorni e dalla consueta passeggiata con il cane torna a casa senza di lui. Da anni è in pensione ma un giorno si veste come per andare al lavoro; poi scambia la notte con il giorno…..e così via, penalizzato dalla memoria che si appanna sempre più.

La malattia inizia con questa modalità, poi avanza come un panzer.

Marteen regredisce al punto di non riuscire ad alzarsi da solo o andare in bagno, e si dice convinto che i suoi genitori -morti da anni- siano ancora vivi.

Al costante declino assiste con crescente angoscia la moglie, impreparata al tornado della malattia che le sta portando via il compagno di 50 anni di vita. Poi subentrano altri personaggi ai quali Vera chiede aiuto; il medico e la giovane badante Phyl, che Maarten scambia per un’amica dei figli.

Se è vero che gli anziani vivono di ricordi, quando li smarriscono, alla fine rimane solo il nulla e una vita sfumata.

Bernlef è straordinario nel descrivere la discesa agli inferi della malattia che spazza via tutto e si chiede se sia peggio il destino di lei o quello di lui.

Infatti, non sembra meno doloroso il ruolo di Vera che, impotente e disperata, vede la persona amata perdersi progressivamente nell’ oblio, fino a dimenticarla.

 

 

A cura di Maria Luisa Frisa “I racconti della moda” Einaudi- euro 19,50

La curatrice è un’esperta di moda, critica e fondatrice del corso di laurea in Design della moda e Arti Multimediali, docente all’Iuav di Venezia. Ha raccolto scritti sull’argomento ad opera di svariati autori.

Risultato: un poliedrico collage che mette a fuoco il linguaggio universale della moda. Un sistema ibrido che veleggia tra: cultura, gusti, industria, creatività, sogno (a volte irraggiungibile); ma anche necessità quotidiana, mercato e molto altro.

15 storie concentrate in una sorta di breve antologia; altrettanti pensieri intorno all’universo “moda” espressi da scrittori diversissimi tra loro. Da Bret Easton Ellis a Joyce Carol Oates, da Jhumpa Lahiri a Irene Brin, passando per Michela Murgia e Pier Vittorio Tondelli; giusto per darvi l’idea del livello del libro.

Un viaggio colto e affascinante che traccia un percorso a partire dagli sfarzosi salotti di inizio Novecento per giungere alle variegate creazioni contemporanee. E poiché la moda non è solo il modo di vestirsi, il libro percorre anche le traiettorie di filosofia, sociologia, psicologia, storia, economia……

L’abbigliamento come vestito di un’epoca, con la sua estetica e le esigenze del vivere quotidiano, il modo di essere ed apparire. Basti pensare allo scritto di Jhumpa Lahiri che descrive le uniformi degli studenti di Calcutta, spiegando il loro significato sociale e l’identità imposta attraverso gli abiti indiani tradizionali.

Uno spaccato del senso più intrinseco e profondo dei vestiti che non fanno solo da intercapedine tra il nostro corpo e il resto del mondo; ma sono anche espressione di come siamo e come vorremmo essere. 15 voci che, pur nelle diverse idee, corrono sul filo comune che riconosce la moda come un aspetto fondante della nostra vita. E infiniti possono essere i modi di decodificarne i significati e funzioni.

 

 

Louise Penny “Il più crudele dei mesi” -Einaudi- euro 17,00

La pluripremiata scrittrice nata a Toronto, l’unica ad aver vinto per 4 anni consecutivi il prestigioso premio Agatha Award for Best Novel, imbastisce una nuova avventura per l’amato ispettore Armand Gamache, protagonista di altri suoi libri.

Il noir è ambientato nell’idilliaco paesino creato dalla fantasia dell’autrice, Three Pines, in Quebec. Siamo nei giorni precedenti la Pasqua, Gabri e il compagno Oliver gestiscono un B&B nel centro del villaggio ed ospitano una veggente e maga, Jeanne Chauvet, il cui arrivo crea un certo scompiglio.

Un po’ per gioco, per curiosità, per spezzare la monotonia e anche per scacciare l’aura di tristezza che -secondo gli abitanti- aleggia da tempo, decidono di fare organizzare alla medium una seduta spiritica.

La location scelta è la vecchia e abbandonata casa degli Hadley, in passato teatro di un omicidio e parecchie altre sventure. Ma, la seduta che dovrebbe servire a scacciare spiriti e fantasmi, si trasforma in tragedia. Una donna stramazza al suolo e muore. In un primo tempo si pensa che a ucciderla sia stato lo spavento.

La vittima è Madeleine Favreau, signora che sprigionava una luce tutta particolare, di quelle che mettevano in ombra chi la circondava.

Qui entra in scena il commissario Armand Gameche, della Sureté del Quebec; uomo integerrimo, con acume superiore alla media, autorevole, ma anche ricco di sentimento. Lui non crede alla morte per cause naturali e con la sua squadra inizia le indagini a tutto tondo.

Gameche cerca di individuare cosa e chi si nasconda dietro questa morte; ma finisce per infilarsi in una rete di eventi che potrebbero distruggergli carriera e famiglia…

 

La Liguria vince con Olly

Il maxischermo di Regione Liguria, in piazza De Ferrari, si è illuminato per celebrare la vittoria del cantante ligure Olly, che si è aggiudicato la settantacinquesima edizione del Festival di Sanremo. Sul maxischermo è stato presentato il ritratto del cantante, accompagnato dalla frase “Grazie Olly – la Liguria vince il festival”.

Protagoniste in piazza De Ferrari anche le note che hanno trionfato in finale: Regione Liguria e Comune di Genova hanno infatti omaggiato il vincitore trasmettendo nella piazza la sua canzone, ‘Balorda nostalgia’.

“Abbiamo voluto celebrare questa splendida vittoria condividendo le parole e la melodia che hanno vinto Sanremo con tutti i cittadini e i turisti che sono passati davanti alla sede della Regione – spiega il presidente della Regione Liguria Marco Bucci – Olly, che con la sua canzone ha fatto emozionare tutta Italia, è un vero e proprio orgoglio ligure. I migliori auguri, da parte mia e di tutta la Regione, per il prosieguo della sua carriera nel mondo della musica: Olly, con la sua arte e il suo legame con il nostro territorio, ci darà certo molte altre occasioni per portare un pizzico di Liguria nelle case e nei cuori di tanti ascoltatori”.

“Le note di Balorda Nostalgia, che riempiono piazza De Ferrari, sono l’ideale omaggio a Olly che con la sua vittoria al Festival di Sanremo ci ha regalato una gioia immensa – dichiara il facente funzioni sindaco di Genova Pietro Piciocchi – Lo abbiamo visto, in queste serate, esibirsi sul palco dell’Ariston con agli auricolari con la bandiera di San Giorgio, segno del forte legame con Genova: noi tutti genovesi siamo orgogliosi di lui e lo ringraziamo per le emozioni che ci sta regalando”.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Seeyousound e Uri Caine Trio

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Lunedi. All’auditorium del Lingotto 2 concerti consecutivi per Claudio Baglioni (il primo è andato in scena domenica 16).

Martedì. Per Vitamine Jazz all’ospedale Sant’Anna, omaggio a Pino Daniele a cura del chitarrista Max Gallo accompagnato dalla figlia Mirella.

Mercoledì. All’osteria Rabezzana musica argentina con Miguel e Lautaro Acosta. Al Capolinea 8 si esibisce Beppe Puso. Allo Ziggy suonano gli Actors+ Estetica Noir.

Giovedì. Al teatro Colosseo si esibisce Andrea Morricone. Al Blah Blah sono di scena i Sloks. Al Magazzino sul Po suonano i Lamita! Al Capolinea 8 si esibisce Gianluca Vigone. All’ Hiroshima Mon Amour suonano i LabGraal. Alla Divina Commedia sono di scena i Draft Impro NBA. Al teatro Bloom suona il gruppo di Giorgio Diaferia, che per l’occasione presenta il cd “A Planet to Save” con immagini e video sulla situazione dei cambiamenti climatici.

Venerdì. Comincia Seeyousound. L’inaugurazione al cinema Massimo è affidata al documentario “Blur: ToThe End”, dedicato a una delle band più famose del Britpop. Sarà presente in sala il regista Toby L. Verrà preceduto dall’esibizione live degli Sleap-E. Al Magazzino di Gilgamesh suona la Mike Sponza Band. Al Folk Club sono di scena Michele Gazich & Giovanna Famulari. Al teatro Colosseo si esibiscono i Break Free, una cover band molto quotata con “Long Live The Queen”. Allo Spazio 211è di scena Coca Puma. Allo Ziggy suonano Saam+ Gordonzola. Al Blah Blah si esibiscono gli SKW & AsThe Sun.

Sabato. Per Seeyousound da segnalare tra le varie proiezioni : “Misty- The Erroll Garner Story” alla presenza del regista Georges Gachot, “Imago” con in sala la regista Olga Chajdas, “BornTo BE Wild: The Story of Steppenwolf” alla presenza del regista Oliver Schwehm, “Soundtrack To A Coup D’ETAT” di Johan Grimonprez. Allo Ziggy si esibisce Davide Di Rosolini. Allo Spazio 211 è di scena Marta Del Grandi + Giulia Impache. Al Blah Blah si esibisce Umberto Maria Giardini in duo + Napodano+Manleva. Al Folk Club suona l’Uri Caine Trio. Al Capolinea 8 è di scena Beppe Golisano Post Jazz Project.

Domenica. Per Seeyousound “Guido Harari- Sguardi Randagi” . Alla presenza del regista Daniele Cini, di Guido Harari e Shel Shapiro, “Musicanti Con La Pianola” con la presenza del regista Matteo Malatesta, di Pivio e Aldo De Scalzi preceduti dal live Pivio & Aldo DE Scalzi, “Garland Jeffreys-The King Of Between” di Claire Jeffreys + “Joshua Idehen- Mum Does The Washing”, “Booliron- Hip Hop In Riviera” di Francesco Figliola alla presenza del regista, a seguire live “Tormento e Dj Mastafive e altri

Pier Luigi Fuggetta

Le case floreali di Gribodo: l’edilizia gentile a Torino

Torino è la città del Liberty, si sa. Passeggiando per le belle ed eleganti vie della citta’, soprattutto nei quartieri di Cit Turin e di San Donato, e’ facile innamorarsi dei palazzi che rappresentano questo stile raffinato che, tra fine ‘800 e i primi del 1900, diede un tocco di gusto ai progetti urbani. Conosciamo bene i capolavori di Pietro Fenoglio come Villa Scott, Casa Lafleur, il Villaggio Leuman, ma anche le case popolari di Via Marco Polo e di Via Ravello. La citta’ della prima Esposizione di Arte Decorativa Moderna del 1902 ci regala scenari affascinanti e particolari unici e di pregio presenti non solo negli edifici residenziali ed industriali, ma anche nelle insegne, nelle vetrine dei negozi e dei caffe’.

Tra coloro che contribuirono alla realizzazione di queste palazzine e villini romantici e floreali, ornati da graziose minuzie, troviamo Giovanni Gribodo che visse a cavallo del 1800 e 1900. Ingegnere e architetto, laureato presso la Scuola di Applicazione di Torino, particolare che lo accomunava a Fenoglio, era anche un entomologo; un uomo dalle diverse passioni e interessi, dunque, dallo studio degli insetti, a cui si dedico’ di piu’ a fine vita, alla progettazione di residenze dal volto gentile.

I giri turistici della citta’ pianificano sempre piu’ percorsi dove queste belle opere edilizie del Liberty sono le protagoniste, ma passeggiare fuori dal centro ed ammirare questi veri e propri capolavori attira anche i cittadini che non si stancano di visitare le meraviglie affascinanti della loro Torino.

Tra gli edifici piu’ importanti realizzati da Giovanni Gribodo ne troviamo cinque solo a via Piffetti:

Cominciamo con il civico 3, la Palazzina Mazzetta con i suoi balconi in ferro dai disegni intrecciati su un fondo grigio che le da’ un tono austero; al numero 5, invece, c’e’ Casa Masino, un edificio in mattoni rossi caratterizzato dal balcone centrale che ospita due volti femminili in pietra. Le finestre sono decorate da fregi floreali come il bel portone d’ entrata. Al 7 scopriamo, con il suo stile un po’ fiabesco, una palazzina a due piani chiamata Pola-Majola come il suo committente, edificata nel 1907 che non ebbe speciali decorazioni come le altre, ma possiede un fascino particolare che ci riporta allo stile gotico. Le Palazzine, che si trovano al civico 10 e 12, sono probabilmente le piu’ famose opere di Gribodo, due villini magnifici decorati con un centrino di motivi naturalistici in pietra bianca, inferriate in ferro battuto, balconi e vetrate con particolari preziosi.

In via Belfiore 66, in zona San Salvario, si trova un altro edificio realizzato dall’ architetto Gribodo che fu un po’ dimenticato rispetto agli altri suoi colleghi che divennero piu’ noti. Si tratta di Casa Audiberti Mottura, una bella palazzina con balconi decorati e una scala interna con particolari vivaci e colorati. Nella zona della Crimea, sull’altra sponda del Po, lo stesso architetto ha studiato e costruito il Villino Giuliano, in via Luigi Gatti 17. Composto da tre piani, questa casa dai colori caldi, e’ caratterizzata da molti dettagli tipici all’Art Nouveau: immagini di fiori, pietra scolpita e disegni geometrici morbidi classici del periodo. Nel quartiere Cenisia, in via Perosa 56, c’e’ un piccolo edificio che rappresenta un esempio in miniatura del periodo Liberty: una piccola palazzina, con un portone davvero insolito, incastonata tra edifici piu’ moderni e dai toni delicati, chiamata Casa Bosco Tachis. Tornando al quartiere di San Donato non si puo’ rimanere indifferenti davanti ad edificio piu’ corposo e perfino possente dal nome Casa Cooperativa, un palazzo in mattoni rossi ornato con rose, foglie e con dei balconi caratterizzati da disegni che si ispirano ad un floreale piu’ moderno e tondeggiante. All’interno troviamo un meraviglioso scalone bianco e nero dalla forma ovoidale davvero suggestivo

A un’ora circa da Torino e precisamente a Coazze e’ si trova un’altra opera di questo fantasioso architetto: Villa Martini, divenuta poi Antonietta, dove il Liberty viene esaltato sia all’esterno, ma anche all’interno con i suoi mobili in stile. Questa casa, edificata al centro un bellissimo giardino, ebbe ospiti illustri come `Luigi Pirandello, il Conte Cavour e Vittorio Emanuele II.

MARIA LA BARBERA