CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 259

Rock Jazz e dintorni a Torino: Max Pezzali e Tommy Emmanuel

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Lambic è di scena Tricarico. Al Pala Alpitour  doppio “sold out” per Max Pezzali. Al Cafè Des Arts suona il sassofonista Gianni Denitto. All’Alfieri si esibisce il virtuoso chitarrista Tommy Emmanuel affiancato da Mike Dawes.

Martedì. Al Blah Blah suona il Trio Marciano. Al Teatro Concordia di Venaria si esibisce il rapper Shiva mentre al MAO è di scena Ana Roxanne.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana suonano i Manomanouche. Al Teatro Concordia si esibiscono, festeggiando il loro  decennale, gli Eugenio in Via di Gioia.

Giovedì. All’Open Factory di Nichelino è di scena il cantautore Setak. Al Pala Alpitour arriva Gianni Morandi. Al Jazz Club si esibisce la cantautrice Amanda Pascali. Al Teatro Colosseo è di scena Francesca Michielin.

Venerdì. Al Magazzino sul Po si esibiscono i Crema. Al Pala Alpitour arriva Salmo. Al Teatro Colosseo suonano I Musici di Francesco Guccini. Omaggio a Nina simone da parte della cantante americana Judi Jackson all’Off Topic. Al Blah Blah si esibiscono i MalClango. Al Folk Club è di scena Rhiannon Giddens in coppia con Francesco Turrisi. Al Bunker suonano i Cripple Bastards mentre allo Ziggy sono di scena gli Sewerheads.

Sabato. Alla Suoneria di Settimo Torinese si esibisce il duo Magoni-Spinetti in arte Musica Nuda. Al Teatro Colosseo recital di Nino D’Angelo. Al Folk Club è di scena Baba Sissoko in duo con il jazzista Antonello Salis. Al Pala Alpitour arriva Eros Ramazzotti. A El Paso suona Kent Nielsen.

Domenica. Al Jazz Club è di scena il pianista Emanuele Sartoris in duo con il trombettista Giampaolo Casati. All’Hiroshima Mon Amour rap con i Ketama 126.

Pier Luigi Fuggetta

Dicesi “Family” In mostra alla “Palazzina di Caccia” di Stupinigi

Settant’anni di storia della famiglia negli scatti in bianco e nero del grande Elliott Erwitt

 Fino all’11 giugno

I cani, fra i temi più fotografati nella sua lunghissima carriera. A loro ha dedicato 4 dei suoi oltre 40 libri a tema fotografico. Non c’è quindi da stupirsi del soggetto preso a pubblico manifesto della mostra a lui dedicata, fino al prossimo 11 giugno, dalla “Palazzina di Caccia” di Stupinigi. Siamo a New York, 1974. Lo scatto, catturato (alla Cartier-Bresson) nel suo più indifferibile “attimo fuggente” ci mostra gli stivali alti e lucidi di un’elegante (si presume) signora dal lungo soprabito, alla sua sinistra un buffo e simpatico cagnolino agghindato per le feste e alla sua destra le lunghe zampe di un cagnolone di alta taglia. Iconico e ironico trio. Anche questa è “Famiglia”.

Una delle mille sfaccettature in cui s’è evoluto nel tempo il concetto (ed il termine) di “Famiglia”. O di “Family”, come racconta il titolo della mostra in cui passano settant’anni di carriera di un artista che ha fatto la storia fotografica del nostro Novecento. Parliamo dell’oggi 94enne Elliott Erwitt (al secolo Elio Romano Erwitz) nato a Parigi nel luglio del ’28, da genitori ebrei di origine russa ed emigrato nel ’39 negli States (dopo aver vissuto, fino al ’38, anche in Italia) a causa delle leggi razziali fasciste. Prodotta da “Next Exhibition” – in collaborazione con “SUDEST 57” e l’Associazione Culturale “Dreams”, con il patrocinio della “Città Metropolitana” di Torino – la mostra è a cura di Biba Giacchetti e ospitata nelle antiche Cucine della “Palazzina” di piazza Principe Amedeo a Nichelino. Gli scatti esposti sono stati selezionati dallo stesso Erwitt (fra i nomi di massimo prestigio della “Magnum Photos” cui aderì nel ’53 su invito dello stesso Robert Capa, socio fondatore, e di cui divenne presidente nel ’68 per tre mandati); fil rouge dell’intera esposizione le fotografie che, nel corso di sette decenni, meglio hanno descritto e rappresentato, in modo potente ma anche ironico e fantasioso e poetico, il sistema – famiglia.

Sempre sotteso alla ferma convinzione che “la fotografia – come sosteneva lo stesso artista– è il lavoro dell’anima”, compiuto in questo caso specifico su un tema che certamente ha avuto un’importanza determinante nella sua vita personale, visti i suoi quattro matrimoni, i sei figli e un numero di nipoti e pronipoti tuttora in divenire. “Come sempre Elliott Erwitt – spiega Biba Giacchetti – è voluto uscire dai canoni classici e sviluppare il concetto di famiglia in modo libero e provocatorio. Immagini romantiche si alternano a immagini di denuncia (come quella del ‘Ku Klux Klan’), fino alla ben nota ironia che vuole assolvere chi elegge a membro prediletto della propria famiglia l’animale più amato, che sia un cane, un maiale o un cavallo, e celebrare così con serietà e sorriso, il sentimento universale che ci lega a chi amiamo”. La “Family” è tante cose e ha tante chiavi di lettura per il fotografo americano.

E’ la tragedia della giovane first lady Jackie al funerale di Stato del marito e presidente degli Stati Uniti, JFK, assassinato a Dallas il 22 novembre del ’63, ma è anche la dolce intimità della mamma che osserva rapita la sua piccola Ellen, primogenita di Erwitt. Scatti, sempre rigorosamente in bianco e nero, che abbracciano il mondo. Ecco allora dalla Provenza (foto celeberrima) un nonno che, in bicicletta su un lungo infinito viale alberato trasporta il nipotino, entrambi con il tipico basco alla sghimbescia ben calato in testa, e, pinzate dietro, due baguettes oltre le quali (verso il fotografo?) si rivolge sbarazzino lo sguardo del bimbo; e poi ancora la non più giovane coppia irlandese colta di spalle a godersi la brezza e la bellezza del mare. Una vita insieme. La poesia in un fermo-immagine. Quella che ti guida per l’intera rassegna. Poesia e amore. Perché dove c’è amore, ci ricorda l’artista, “lì c’è famiglia”.

E, proprio su  questo concetto gli organizzatori hanno inventato il contest fotografico “MY FAMILY”. Fino al 28 maggio incluso il pubblico potrà inviare  a info@elliotterwitt.it la foto della propria famiglia. Tutte le foto verranno inserite in un album sulla pagina facebook di “Next Exhibition”, oltre ad essere esposte nella sala didattica in mostra alla “Palazzina di Caccia”. La foto più votata dagli utenti su facebook sarà stampata ed esposta ufficialmente sempre nell’area didattica della mostra, mentre l’autore dello scatto potrà accedere gratuitamente a tutte le esposizioni realizzate in Italia da “Next Exhibition” fino a fine 2023.

Gianni Milani

“Elliott Erwitt. Family”

Palazzina di Caccia di Stupinigi, piazza Principe Amedeo 7, Nichelino (Torino); tel. 011/6200634 o www.elliotterwitt.it

Fino all’11 giugno

Orari:dal mart. al ven. 10/17,30 ; sab. e dom. 10/18

Nelle foto:

–       USA. New York City, 1974

–       USA. Arlington, Virginia, Jacqueline Kennedy at John F. Kennedy’s funeral, 1963

–       France. Provence, 1955

–       Ireland, 1964

La meridiana che non segna l’ora

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Torino, bellezza, magia e mistero / Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume?

Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo  3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna lora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli



Articolo 4: La meridiana che non segna lora


Passeggiare per Torino è così, non sai mai che mistero puoi incontrare una volta girato langolo. Se siete per caso nei pressi di Palazzo Reale e svoltate verso sinistra vi ritroverete vicino al Duomo, il principale centro di culto cattolico della città, ma anche lennesimo edificio in cui si nasconde una leggenda da raccontare. Il fabbricato si trova nella zona storica di Torino, quasi adiacente al teatro romano dellantica Julia Augusta Taurinorum. Inizialmente nellarea si ergevano tre chiese paleocristiane, forse edificate sulla base di templi pagani preesistenti, e dedicate a San Salvatore, Santa Maria in Campo e San Giovanni Battista. Le tre chiese vennero demolite tra il 1490 e il 1492, al contrario della torre campanaria che, terminata nel 1469,  non venne minimamente toccata, e resta ancor oggi ben visibile a fianco del Duomo. Il 22 luglio 1491 Bianca di Monferrato, reggente di Casa Savoia, posò la prima pietra delledificio religioso, dedicato a San Giovanni, patrono della nostra città. La costruzione venne affidata ad Amedeo de Francisco da Settignano, il quale vi si dedicò fino alla morte, avvenuta nel 1501. Il Duomo fu completato nel 1505 e nello stesso anno, il 21 settembre, fu consacrato. Durante il Seicento venne portato avanti un progetto di ampliamento della struttura, in modo da creare un ambiente degno per la conservazione della Santa Sindone. Si iniziò con un progetto di Bernardino Quadri, basato su alcune correzioni che egli stesso aveva apportato agli studi precedenti di Carlo di Castellamonte. Tuttavia nel 1667 il compito di concludere ilavori venne affidato a Guarino Guarini, già attivo in molti altri cantieri piemontesi, tra cui la non lontana Chiesa di San Lorenzo. Ledificio si presentava allesterno maestoso ed imponente, allinterno, invece, sbalordiva i visitatori con i preziosi giochi cromatici dei marmi che da neri andavano via via schiarendosi verso lalto. Carlo Alberto I volle impreziosire ulteriormente la costruzione e ordinò a Luigi Cagna di eseguire una copia dellUltima Cena, da porre sulla controfacciata della chiesa, unico punto in cui era possibile ancorare unopera da 900 Kg. Anche il campanile, in forme romaniche, venne in seguito modificato, questa volta per volere di Vittorio Amedeo II, ad opera di Juvarra, che lo sopraelevò di ben 12 m, portando la torre campanaria ad unaltezza complessiva di 60 metri, nel 1720. Il Duomo oggi si mostra come una struttura rinascimentale inconfondibile nel panorama cittadino. Allesterno il bianco marmoreo della facciata principale risplende ai raggi del sole, e il gioco di luci e ombre che si crea rende ancora più visibili gli altri elementi architettonici lì presenti, quali i tre portoni, il timpano che sovrasta  lingresso mediano e le due volute laterali. Linterno, severo, è costruito su pianta a croce latina e diviso in tre navate, lunghe 40 metri, le due laterali di 5,80 m., quella centrale di 9,50 m.

Decorata ai lati da numerose cappelle, a cui lavorarono artisti di pregio, la cattedrale ospita nel transetto destro il grande organo a trasmissione meccanica costruito nel 1874, strumento che ne sostituisce un altro del 1741. Lelemento più discusso del complesso è la Cupola del Guarini, definita da costoloni che si intrecciano frantumando la superficie del soffitto e precisata dalla luce diffusa per mezzo di numerose finestre che emergono curiosamente all’esterno della struttura, dove il tamburo è recinto da una linea sinuosa che racchiude i finestroni. La mirabile opera venne pesantemente danneggiata dallincendio dell11 aprile 1997, ed è stata oggetto di un restauro ricostruttivo di particolare difficoltà; la riapertura al  pubblico risale al 27 settembre 2018. La maestosità delledificio del Duomo nasconde un dettaglio singolare: sulla parete destra -arrivando dalla Piazzetta Reale- appare una meridiana dallaspetto non comune. Si tratta di una meridiana zodiacale, meglio qualificata come planetaria. Essa appartiene alla piùantica concezione di meridiane, utilizzate già tempo addietro dai Babilonesi, dagli Ebrei e dagli Egizi. Questa tipologia di oggetti presenta al posto dei numeri i dodici segni astrologici, poiché la tradizione vuole che ad ognuna delle dodici ore corrisponda linfluenza di un pianeta. Anche laspetto della meridiana è piuttosto insolito, con il quadrante costituito da una croce: lasta verticale è una freccia che punta verso il basso, Capricorno-Cancro; lasta orizzontale congiunge Ariete e Bilancia. I segni ai vertici coincidono con linizio delle stagioni e ne determinano il ciclo: 21 marzo – Ariete; 21 giugno- Cancro; 23 settembre – Bilancia; 22 dicembre – Capricorno. Lasta centrale congiunge il Capricorno, segno di Gesù, con il suo ascendente, il Cancro. Lincrocio delle due assi rappresenta il Cristo, centro dellUniverso.

Tale meridiana zodiacale può anche essere intesa, in chiave esoterico-cristiana, come una sorta di talismano, formato dai quattro elementi da cui è nato tutto luniverso: la terra è il lino in cui è avvolto Gesù; laria è il tempo da lui impiegato per giungere fino a noi; lacqua sono i viaggi che egli ha dovuto compiere; il fuoco è la fiamma energetica della Resurrezione. Le due interpretazioni si sovrappongono e conferiscono una doppia energia alloggetto. Il talismano ha dunque sia forza intrinseca che estrinseca, infatti esso viene caricato dalla fede dei fedeli che venerano la Sindone, e si crea così uno scambio energetico in più direzioni, dallinterno verso lesterno e viceversa, ossia dalla Sindone verso Torino e dalla Sindone verso ciascun fedele. Tuttavia il discorso sui segni zodiacali non termina qui. Larchitetto Enrico Castiglioni (1914-2000), uno dei membri fondatori del CIDA, (Centro Italiano Discipline Astrologiche), intraprese uno studio secondo il quale ad ogni zona torinese sarebbe associato  un elemento zodiacale. Egli divise la mappa della città in una raggiera a dodici quadranti, con centro in piazza Castello, allo scopo di evidenziare il nesso tra la porzione di città selezionata nei vari spicchi, le attività che lì si svolgono e le persone che vi abitano, con le caratteristiche del segno zodiacale corrispondente. Ad esempio allAriete, che è il segno piùmaschile, collegato allelemento fuoco, che a sua volta rimanda a Marte, dio greco della guerra, corrisponde la zona di Madonna di Campagna, territorio caratterizzato dalla presenza di molte industrie metallurgiche. Ed ecco come continua lelenco: al Toro, segno di elevazione dellanima, è affine lasse di Corso Regina Margherita (dove c’è una moltitudine di chiese); ai Gemelli si accorda la zona che va da Corso Francia a Borgata Parella, area propizia per intellettuali, commercianti e occultisti; al Cancro fa riscontro il territorio di Borgo San Paolo; al Leone, segno di comando, spetta la Crocetta, dove sta la crème de la crème della città; la Vergine è in simmetria con  il settore di Porta Nuova, Corso Massimo fino agli ospedali; alla Bilancia soddisfa piazza Maria Teresa, verso Valsalice, luogo in cui è larte a farla da padrone; allo Scorpione, segno magico per eccellenza, aderiscono piazza Castello, via Po e la Gran Madre; al Sagittario compete la Mole Antonelliana; al Capricorno, segno che governa lAldilà, ben si adatta la zona dei cimiteri; all Acquario tocca  la Barriera di Milano: il segno è collegato alla speranza, e nel territorio le molte autostrade possono essere intese come frecce che puntano verso il destino; affine ai  Pesci è la  Falchera, là dove vivono assembramenti di persone semplici ma autentiche. Davanti allo zodiaco ci comportiamo tutti allo stesso modo, come di fronte alloroscopo, nessuno ci crede ma tutti lo leggiamo.

Alessia Cagnotto

I traumi dell’esordio

CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60 🇺🇸 

Nella storia del garage rock americano degli anni ‘60 abbiamo incontrato innumerevoli bands di giovani liceali che si trovavano perfettamente a proprio agio dal vivo durante i concerti e parallelamente riuscivano a gestire le pulsioni creative anche in studio di registrazione, dosando sapientemente suoni ed impasti.

In altri casi il tutto si ribaltava, specialmente quando il gruppo si dimostrava discretamente coeso in sala di registrazione ma perdeva amalgama nella dimensione “live”, magari distratto dal pubblico o dal contesto del caos di un “teenage club” o peggio di un “frat party” universitario, allorquando il “rumore disordinato e caotico” non di rado copriva la stessa amplificazione. Vi era inoltre un terzo caso, vale a dire la magia e l’empatia nelle “performances” dal vivo cui si contrapponeva il vero e proprio “trauma da blocco psicologico” in studio. I motivi potevano essere i più variegati ed il “trauma” trovava le sue cause in molteplici fattori: ambientali (luoghi inappropriati e quasi improvvisati), umani (attriti con il personale di registrazione, disagio all’interno della band per la presa di coscienza della differenza tra suono da studio e suono “live”), economici (insoddisfazione per il “budget” ristretto, ansia da “time is money”, equivoci sugli accordi presi “a monte”), creativi (aspettative frustrate dalla volontà dei discografici, soluzioni musicali imposte dall’alto e non condivise dal gruppo) etc. Si può affermare che il trauma “di natura ambientale” investì in pieno la band “The Individuals”, formatasi nel suo nucleo-base a fine 1964 nell’area tra Danville e South Boston, al confine tra Virginia e North Carolina. I membri erano Glenn Meadows (V), Ronnie Vaughan (V, chit), Ben Vaughan (chit), Tommy Redd (b, V), Sammy Moser (org), Ronnie Couch (batt); con management autogestito sfruttavano un volenteroso e generoso vicino di casa come “autista” per trasferirsi per esibizioni e “gigs” nelle zone vicine. Il suono della band si rifaceva ai Rolling Stones, ma in seguito fu forte anche la suggestione dai Blues Magoos; nonostante la gestione “home made”, la band suonò a più riprese per le feste di teenagers all’American Legion e in svariate “venues” quali Hupps Mill Bowling Alley, Moorefields, Oak Level Club, T-Bird Country, The Skylark Club, The Danville City Armory e all’Halifax County Fair. Nel 1967 vissero l’esperienza della sala di registrazione, da cui scaturì il primo (e unico) 45 giri: “I Want Love” [T. Redd] (Hos-45-2018; side B: “I Really Do”), con etichetta Raven Records, inciso a Danville (Virginia) presso The House Of Sound. Fu un esordio traumatico per la band a livello ambientale, data l’angustia del luogo, la limitatezza del budget e del tempo a disposizione e con dotazione strumentale e tecnologica di scarso livello. Il disagio che probabilmente avvolse la compagine… in un certo senso traspare anche dall’esito qualitativamente non eccezionale del disco. In seguito “The Individuals” continuarono con buoni risultati nei “gigs”, grazie anche alla programmazione del 45 giri sulla radio locale WHLF e ad Al Mapes nel suo show “1400 Club”. Tuttavia gradualmente la spinta propulsiva venne meno; entro la primavera del 1968 la band si sciolse, anche per sopravvenute gravidanze di fidanzate, chiamate in esercito e necessità economiche stringenti ed insostenibili.

Gian Marchisio

Le nove vite di una donna speciale

IL LIBRO DI JUNE ROSE YADANA BELLAMY “LE MIE NOVE VITE”, AUTOBIOGRAFIA DELL’ULTIMA PRINCIPESSA BIRMANA.
I libri è noto non si giudicano dalla copertina, però la foto a corredo del titolo ritrae una donna dallo sguardo fiero, una bellezza e una forza rara che appartiene ad una principessa.
Forse neppure bastano nove vite per contenere tutte le avventure di una donna così speciale per l’epoca e le circostanze vissute. La storia di una dinastia e anche la storia di una donna che non si è lasciata intimorire e soggiogare dal potere. Con la leggerezza di una piuma è volata tra mondi e culture diverse dove ha saputo destreggiarsi, come una donna libera, indipendente e concreta.
Senza lesinare l’arte del fare nonostante le nobili origini. Una vita imprevedibile e qualche volta dolorosamente vera, in cui ha saputo incantare e affascinare chiunque con la sua arte, cultura e bellezza. Un fiume in piena innanzi alla politica del tempo, una principessa che ha amato sempre il suo popolo e che ha cercato di proteggere a scapito della sua stessa vita. Una pioniera dei nostri tempi anche in cucina, dove ha interpretato l’ultima sua parte in modo magistrale
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Rosy Menniti Lombardo
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Le mie nove vite. Da Mandalay a Firenze. L’autobiografia dell’ultima principessa birmana

Bellamy June Rose Yadana – Francesco Moscatelli

pubblicato da ADD Editore

Carlo Antonio Gozani vescovo di Acqui

Armano Luigi Gozzano presenta l’immagine, la personalità e il carattere del Gozani più importante del ‘600,con cenni storici e vicende della sua missione nel territorio diocesano analizzata da “I vescovi della chiesa di Acqui”(Impr.Grafiche 1997 Acqui) e dai segni rimasti immutati nel tempo.

Carlo Antonio Gozani (1641-1721) marchese di Olmo Gentile (At) e Perletto (Cn) della stessa diocesi, principe S.R.I. terzogenito dei  17 figli della seconda moglie Antonia Ghione, linea di Treville generata dal padre  conte Giovanni il giovane da Luzzogno, famoso per la incredibile azione speculativa durante la guerra di successione del ducato di Mantova e del Monferrato.Era ricchissimo come il secondogenito Giacomo Bartolomeo marchese di Treville e Perletto, signore di Cereseto e Serralunga di Crea,vice presidente del Senato monferrino.Di intelligenza non comune,fu avviato agli studi accademici a Pavia e Milano e quindi a Roma dove si laureò in leggi e teologia.Ordinato sacerdote nel 1664 fu promosso nel 1665 ad arcidiacono della cattedrale di Casale e onorato del titolo di protonotario apostolico. Nel 1671 acquistò mezzo feudo di Pontestura dal marchese Paolo Scarampi di  Camino e infeudato con titolo signorile dal  duca Ferdinando Gonzaga. Era proprietario della tuttora esistente masseria Tomarengo di Moncalvo.Nel 1675 fu consacrato vescovo di Acqui nella chiesa di S.Andrea a Casale,e lo stesso giorno consacrò la nuova  chiesa della Madonna delle Mura o Madonnina lacrimante dei miracoli.Nel 1676, giorno del funerale del padre, nel palazzo di  famiglia ora sede municipale di Casale, acquistato nel 1569 da Giovanni Bellone  economo di Isabella Gonzaga marchesa di Pescara, radunò 3127 poveri per distribuire loro viveri e denaro.
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Trasmise il suo stile e il  suo animo ai curati esortando, minacciando, ammonendo e pregando.Al suo arrivo in diocesi regnava la pace come nel resto dell’alta Italia.Ma la vita facile del momento portò a ostilità politiche e militari e contrasti nel clero contro lo stesso vescovo da parte  di famiglie nobili e potenti, perché “vescovo  marchese forestiero troppo austero”.Nel 1680 richiamò i padri barnabiti che erano stati allontanati nel 1654 dalla città sopprimendo i conventini, rimettendo i canonici nelle scuole e alla direzione amministrativa.Nel 1690 denunciava il grave degrado della città senza leggi e senza fede. Nel 1693 le famiglie potenti appesero ai muri
della città e della cattedrale un manifesto raffigurante una testa d’asino mitrata con la  scritta “inizio e fine del vescovo Gozani”, procurandogli dure e umilianti sofferenze.La  curia romana li definì “bricconi di primo rango”. Durante il terribile assedio del 1696,le truppe tedesche minacciavano la distruzione della città se non venivano pagate loro le  somme richieste.La comunità si rivolse al vescovo che riuscì a raccogliere il denaro condizionando come caparra l’argenteria della cattedrale.
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I suoi rapporti con l’imperatore Leopoldo I° erano di stima e fiducia e l’imperatore gli confermò a Vienna nel 1699 il privilegio di  usare il sigillo come principe,conferire lauree,coniare monete d’oro con la propria effige e il titolo di S.R.I. secondo la tradizione dei privilegi concessi alla chiesa di Acqui fin dal 890.Per i solenni pontificali veniva esibita la spada portata da due chierici e un verde cappello cardinalizio, quali insegne del principe.Tra il 1696 e il 1704 i parroci di Mombaruzzo e S.Marzano appoggiati dai Savoia denunciarono il vescovo che li aveva rimproverati,accuse poi risultate meschine calunnie.Le avversioni nei suoi confronti continuarono nel 1708 col passaggio del Monferrato ai Savoia,e i rapporti con il vescovo autoritario e partigiano del duca di Mantova erano peggiorati per i tentativi di interferenza in  campo ecclesiastico anche nella Repubblica di Genova.I Savoia eliminarono i diritti  giuridici dei diplomi imperiali che restarono solo come titolo onorifico.Il clima di contrasto portò la popolazione a disertare gli incontri durante le visite pastorali,e per anni  fu anche sospesa la somministrazione della cresima.Stanco ed avvilito presentò lettera di dimissioni,rifiutata da Roma per i suoi meriti e in difesa delle leggi.
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In questa delicata situazione il Gozani si ritirò nel castello di famiglia di Olmo Gentile, edificandone la zona residenziale. Importanti i suoi Sinodi per una efficace riforma della diocesi. Il primo celebrato nel 1679,il secondo nel 1699 fu molto contrastato.Altro tentativo per il terzo nel 1706,mentre il quarto ebbe esito negativo. A testimoniare la sua devozione alla Madonna, costruì a sue spese la basilica di San Pietro sulla decadente antica cattedrale, donando la bellissima statua lignea settecentesca della Addolorata. Ristrutturò a proprie spese la nuova cattedrale inserendo le due entrate laterali e  la nuova porta centrale con lo stemma di famiglia applicato a pastiglia,il nuovo altare e i nuovi pavimenti.
Ammirevole fu il chiedere perdono a tutti gli  offesi e il volere la scritta “Deo Gratias” sulla  sua lapide funeraria.Il vuoto di potere e la ribellione del clero nei suoi confronti portò all’abbandono dei chierici che a stento ritornarono riconoscendo la valenza del fondo lasciato loro nel suo testamento.Un  ritratto eseguito da P.F.Guala si trova nella  sacrestia del duomo di Casale databile 1750,
30 anni dopo la morte del vescovo,e si presume che l’artista si sia ispirato alla vera immagine che si trova nel salone dei vescovi di Acqui.Svolgere la sua attività pastorale per 46 anni,il periodo più lungo della diocesi di Acqui,é stata la sua più grande impresa.
Giuliana Romano Bussola

Videomaker in erba, ecco i vincitori del progetto di storia

“Approfondire, conoscere, appassionarsi per i ragazzi è segno distintivo sempre e per ogni settore e argomento. Ma quando questo voler sapere ed entusiasmarsi si rivolge alla storia, ancor più a quella contemporanea, diventa vero elemento di crescita. Per ogni singolo ragazzo certo, ma di conseguenza per l’intera comunità in cui questi giovani crescono e vivono”, dichiara Stefano Allasia, presidente del Consiglio regionale. “Investire risorse su progetti come questo, che ha visto vincitori gli studenti della VBT del Bodoni-Paravia di Torino, vuol dire investire nella nostra società. Significa dedicarsi e spendersi per rendere migliore questo nostro tempo”.

“La Regione Piemonte è stata tra le prime realtà a promuovere un progetto di studio sulla storia contemporanea, che è arrivato alla sua 42° edizione, e che nel corso di questi decenni ha coinvolto decine di migliaia di studenti delle scuole secondarie e degli enti di formazione professionale, organizzando viaggi studio nei luoghi della memoria in Italia e Europa”, commenta Daniele Valle, vicepresidente del Consiglio regionale, delegato al Comitato Resistenza e Costituzione. “Tutto questo è stato possibile grazie al coinvolgimento dei docenti e al lavoro degli Istituti storici della Resistenza in Piemonte, che sono tra i partner più importanti del Comitato Resistenza e Costituzione. Il Comitato è nato a metà degli anni Settanta dalla convinzione che per fare Memoria e per difendere i valori della Resistenza e i principi della nostra Carta costituzionale è necessario un lavoro istituzionale ma soprattutto culturale ed educativo. Cercando di utilizzare linguaggi nuovi per riuscire a coinvolgere i più giovani. Per questo, quest’anno, accanto al tradizionale elaborato scritto, abbiamo voluto prevedere più forme di partecipazione, come la fotografia, il torneo di dibattito e il cortometraggio”.

Il bando di concorso prevedeva tre tracce: la prima invitava ad approfondire il tema della violenza politica nella storia dell’Italia e dell’Europa nella prima metà del Novecento, in occasione del centenario della Marcia su Roma e della strage di Torino del 18 dicembre 1922, la seconda era incentrata sul racconto della guerra in corso in Ucraina e la terza sull’emergenza ambientale.

Gli studenti potevano partecipare presentando un elaborato scritto, una foto, un breve trailer video oppure prendendo parte a un torneo di dibattito.

La classe 5BT del Bodoni-Paravia ha proposto un breve video, interpretato dagli studenti stessi che, anche attraverso alcuni flashback fra passato e presente, hanno ricordato la strage del 18 dicembre 1922, perpetrata dai fascisti contro gli oppositori del regime e riflettuto sugli ideali che animavano antifascisti e liberali.

Come premio, i vincitori potranno sviluppare il soggetto proposto nel trailer realizzando un vero e proprio cortometraggio, grazie a un percorso formativo finalizzato a questo obiettivo, organizzato dall’Associazione Aiace Torino. Il film verrà poi proiettato in occasione della premiazione al Salone del libro e successivamente in una sala cinematografica con una proiezione dedicata alle famiglie e alle scuole.

Alla categoria video del concorso, che è una modalità proposta per la prima volta dal bando, hanno partecipato 10 istituti superiori per un totale di 188 allievi.

“La stanza di Artemisia” alla Fondazione “Giorgio Amendola”

Gli scatti di Marco Corongi e Stefano Greco raccontano gli atelier di ventisette artiste in prevalenza piemontesi

Fino al 30 marzo

Nel titolo (ben pensato!), un omaggio a uno dei più grandi talenti artistici del Seicento: quell’Artemisia Gentileschi (Roma, 1593 – Napoli, dopo il 1653), figlia  del grande Orazio e come lui, fortemente e ancor più, legata alla cifra pittorica caravaggesca, prima donna nel 1616 ad essere ammessa (miracolata, per quei tempi!) all’“Accademia del Disegno” di Firenze. A lei è dunque volutamente dedicato il progetto fotografico di Marco Corongi e Stefano Greco (entrambi torinesi e architetti-fotografi), ideato con il contributo della storica dell’arte Paola Malato e saggiamente proposto dalla “Fondazione Giorgio Amendola” di via Tollegno, a Torino, fino a giovedì 30 marzo.

Visualizzare ed esplorare con l’obiettivo fotografico gli studi degli artisti, aprendo uno spiraglio su luoghi spesso solo immaginati, sacrali (“Studio is sanctuary”, scriveva il pittore e scultore newyorkese Barnett Nwman) e accessibili solo in virtù di “comprovate fedeltà”: questo il progetto avviato già alcuni fa da Corongi e Greco, lavorando su un’idea ripresa oggi con l’intento e la curiosità di focalizzare il lavoro specificamente sull’universo artistico femminile, aprendo le  porte agli atelier  di alcune  artiste operanti prevalentemente nell’area piemontese. Nasce così “La stanza di Artemisia”, inaugurata non a caso mercoledì 8 marzo “Giornata Internazionale della Donna”. E sono ben ventisette gli studi, stanze di lavoro e di vita quotidiana cristallizzate nelle loro peculiarità dai due fotografi, per un buon centinaio di immagini esposte accanto ad un’opera a firma di ogni artista coinvolta nel progetto. Dagli spazi in cui si muove la ricerca di irrequiete figure femminili di Laura Avondoglio, fino allo studio della torinese Elisabetta Viarengo Miniotti, scomparsa nel 2020 e allieva di Giacomo Soffiantino, colta nella meraviglia della sua attività incisoria, via via, il percorso si dipana attraverso fucine di armoniose o vulcaniche attività creative accomunate da una caratteristica comune (che vale, credo, per tutti gli artisti, uomini e donne): una confusione e un caos da “Big Bang”, da cui pare svilupparsi il tutto e il ricomporsi di forme e intuizioni da percorrere con pennello e colore . Non mettete ordine nello studio degli artisti! L’ordine potrebbe interrompere il loro gesto creativo. Chissà?!

Dagli scatti proposti in rassegna, l’artista appare infatti quasi sempre, ma benevolmente, una sorta di “accumulatore seriale” che accanto agli strumenti del mestiere (tubetti di colore, bombolette spray, pennelli, fogli, matite, legni, metalli e odori, che par di sentire, dal forte impatto olfattivo) si porta in studio e “ama accumulare – scrive Paola Malato – cose, vecchi ricordi o anche frammenti di scarto, portatori di una storia sconosciuta, recuperati come tracce di un evento vissuto, di un momento intimo perduto, ma riesumati perché potrebbero diventare potenziali stimoli per un nuovo percorso mentale”. Di foto in foto, eccoci allora nelle “stanze” segrete in cui vivono e lavorano la giovane Viola Barovero e poi in via Guastalla a Torino con l’artista tessile Silvia Beccariache d’ogni sua opera fa un racconto “sulla metafora del filo”, per spostarci a Milano fra le secrèta di Enrica Borghi che ci parlano di tematiche legate al discorso ambientale e del riciclo. E poi ancora, ad accoglierci sono l’eclettica Sarah Bowyer, origini inglesi (diplomata e poi docente all’ “Accademia di Belle Arti” di Torino) e con lei l’artista italiana di origine belga Anne Cecile Breuer, con le sue donne sperdute in atmosfere di intrigante riflessione, per proseguire con la scultrice Tegi Canfari, con Laura Castagno artista  concettuale nelle sue“migrazioni di segni nello spazio” e Clotilde Ceriana Mayneri (di recente scomparsa) con le sue “scritture arboree” e i suoi “microcosmi” plurimaterici. Li Chen, artista cinese dello Zhejiang, laurea al Politecnico torinese, ci accoglie nel cortile del suo studio in via Principe Tommaso a Torino. Le serve spazio per l’ampia informale gestualità dei suoi segni “tirati a scopa” dai rossi e dai blu intensi. A seguire eccoci nelle “segrete stanze” di Matilde Domestico con i suoi mondi in “tazza”, di Silvia Giardina, Ambra Guerrieri e Angela Guiffrey e ancora della scultrice Olga Maggiora, di Paola Malato, Lucia Nazzaro, della “ribelle”, scomparsa nel 2015, Michela Pachner.

Per concludere con Antonella Pirro, la tedesca – torinese Petra Probst, la scultrice Marina Sasso, Egle Scroppo figlia di cotanto padre e autrice di universi labirintici in continua trasformazione segnica e cromatica, Marcella Tisi, Roberta Toscano, Maria Troglia e Luisa Valentini. Un bel campionario di artiste. Donne-pittrici-scultrici. Artiste. Tutte ci lasciano entrare e curiosare nelle loro “stanze” e lo fanno “oltre il limite generalmente consentito”. Entrate però in punta di piedi. Senza profanare la “sacralità” dei luoghi. E, mi raccomando… senza la presunzione di dar ordine alle cose.

Gianni Milani

“La stanza di Artemisia” alla Fondazione “Giorgio Amendola”

In via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 o www.fondazioneamendola.it

Fino al 30 marzo

Orari: lun. – ven. 10/12,30 e 15,30/19; sab. 10/12,30

Nelle foto di Marco Corongi e Stefano Greco: le “stanze” di: Laura Avondoglio, Michela Pachner, Enrica Borghi, Le Chen e Sarah Bowyer

Italia-Brasile 3 a 2 Il ritorno. A teatro

TSN – Teatro Superga Nichelino (TO) 

Venerdì 17 marzo, ore 21

Nel 2022 si è festeggiato un doppio anniversario: il quarantennale dell’epica partita al Sarrià di Barcellona e il ventennale del debutto dello spettacolo Italia-Brasile 3 a 2.

La nuova messa in scena, al Teatro Superga venerdì 17 marzo, rivisita il testo originale anche in considerazione del fatto che nel frattempo il mondo è cambiato, diverse sono le urgenze, i vuoti urlano più dei pieni. Italia-Brasile 3 a 2 opera su un doppio binario: da un lato la coscienza collettiva per cui il ricordo della partita del mondiale del 1982 segna un atto identitario e comunitario, dall’altro la coscienza intima, ovvero l’operazione privata di scomposizione e ricomposizione dei temi e dei sentimenti affrontati e rapportati al proprio vissuto personale. La partita epica della nazionale contro il Brasile diventa uno strumento liberatorio, il suo ricordo è intriso di gioia e questo restituisce al dispositivo teatrale il suo ruolo di costituente della coscienza comunitaria.

Venerdì 17 marzo, ore 21

Italia Brasile 3 a 2 Il ritorno

Di e con Davide Enia

Musiche in scena Giulia Barocchieri, Fabio Finocchio

Luci Paolo Casati

Suoni Paolo Cillerai

Produzione Teatro Metastasio di Prato, Fondazione Sipario Toscana

Collaborazione alla produzione Fondazione Armunia Castello Pasquini Castiglioncello-Festival Inequilibrio

Biglietti: platea 20 euro, galleria 15 euro

Info

Teatro Superga, via Superga 44, Nichelino (TO)

www.teatrosuperga.itbiglietteria@teatrosuperga.it

IG + FB: teatrosuperga

Telegram: https://t.me/tsnteatrosuperga

 

So che stai ancora aspettando, chiedendoti dove sia il mio cuore

MUSIC TALES, LA RUBRICA MUSICALE 

“Quindi, anche se potessi, non tornerei al punto di partenza

So che stai ancora aspettando, chiedendoti dove sia il mio cuore

Preghi che le cose non cambino, ma la parte più difficile è che ti stai rendendo conto che forse io, forse non sono la stessa

e quello che stai aspettando non c’è più, comunque”

Non c’è troppo da dire ancora su Olivia Dean, classe 1999, giovanissima quindi ma molto molto brava a mio parere.

La cantante inglese ha iniziato la sua carriera lavorando in collaborazione con Rudimental .

È stata nominata artista rivoluzionaria dell’anno 2021 da Amazon Music ed ha registrato una versione esclusiva di ” The Christmas Song ” di Nat King Cole per la line-up di Christmas Originals 2021 di Amazon.

Dean è nata nel distretto londinese di Haringey da padre inglese e madre

giamaicano-guyanese ed è cresciuta a Walthamstow .

Ha preso lezioni di teatro musicale e ha partecipato a un coro gospel sin dalla giovane età.

Ha poi frequentato la BRIT School dove si è forgiata per regalarci quel che sentiamo.

Nulla di più di questa chioma meravigliosa dalla voce calda e profonda, almeno per ora, ma mi piace parlare di artisti magari non in vista come i “grandi” conosciuti agli occhi di tutti.

Dare spazio a nuove sonorità, a nuove idee ed ad artisti giovani ed onesti nella rappresentazione dell’arte.

“La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità.”

CHIARA DE CARLO

Buon ascolto di “The hardest part”

https://www.youtube.com/watch?v=72p1VhZhlMU&ab_channel=OliviaDeanVEVO

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!