CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 25

Sabato di “straordinari” al Museo del Tessile

In occasione della Rassegna “Di Freisa in Freisa”, Open Ateliers al “Museo del Tessile” di Chieri

Sabato 10 maggio, apertura fino alle 19

Chieri (Torino)

Autentica “perla culturale” della città collinare, nato nel 1995 su idea di Armando Brunetti (imprenditore e grande collezionista di reperti tessili) nonché membro della “European Texitile Network” e parte dell’“Itinerario European Texitile Routes”, anche il chierese “Museo del Tessile” (che, a oggi, conserva circa 3.500 pezzi di tutte le dimensioni e le epoche, dal XVI secolo ad oggi) partecipa a suo modo alla XV edizione della manifestazione “Di Freisa in Freisa” organizzata per il prossimo sabato 10 maggio dal “Comune di Chieri” insieme al “Consorzio di Tutela e Valorizzazione delle DOC Freisa di Chieri e Colline Torinesi”. “Freisa” e “Tessile”. Come dire: aprire pienamente le porte alle grandi secolari tradizioni di  un territorio ricco di un patrimonio storico-culturale ed enogastronomico assolutamente da conservare e da non disperdere nei tempi a venire.

Come si inserirà, dunque, nelle celebrazioni dedicate al grande “nettare di Bacco” delle colline torinesi, lo storico “Museo” di via Santa Clara 6 a Chieri? Nella maniera più semplice, ma ben accetta, possibile: primo, prorogando l’orario di apertura, dalle 14 alle 19, e, in secondo luogo, offrendo ai visitatori la possibilità di accedere ai “laboratori artistici” nel complesso di “Santa Chiara”, lungo il portico che conduce all’“Orto del Tessile” (progettato da Clara Bertolini nel 2017 e rinnovato nel 2021 con un progetto a cura di Melanie Zefferino, Claudio Zucca e Giulia Perin), anch’esso aperto al pubblico.

In particolare, sarà possibile accedere all’atelier di “ricamo Bandera”, a “punti liberi” (particolarmente apprezzato dall’aristocrazia torinese dell’‘800) diretto da Orsola Benente, alla “sartoria” che attualmente accoglie i lavori dell’artista e designer Lev Nikitin (originario del Kazakistan, oggi artista in residenza presso la “Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile” a Chieri), e al laboratorio di “tintura naturale” e “tecniche orientali” di stampa su tessuto tenuto da Emina – Giulia Perin. In questo modo sarà possibile vedere alcune delle creazioni che gli artisti realizzano operando stabilmente al “Museo del Tessile” dove, ciascuno a proprio modo, coniuga tradizione e innovazione, identità e apertura verso altre culture.

Dichiara Melanie Zefferino, presidente della “Fondazione Chierese per il Tessile” e de “Museo del Tessile”: “Anche quest’anno si è inteso rinnovare la collaborazione tra il ‘Museo’ e la tradizionale rassegna dedicata al ‘Freisa’, poiché i valori di creatività e sostenibilità uniscono, accomunano impresa e Musei, così come la filiera del cibo e quella del tessile”.

Restando in tema, altro appuntamento da non perdere, il “Tour del Tessile”, con partenza alle 15,30 dall’ex cotonificio “Tabasso” presso la “Biblioteca Civica”. Da qui prenderà il via un percorso cittadino gratuito lungo le strade che hanno ospitato gli insediamenti produttivi della storica tessitura chierese con l’obiettivo di mostrare ai partecipanti la fitta trama di edifici destinati nel passato alle attività produttive: ciminiere, finestre a shed, grandi o piccoli depositi, ingressi e insegne che danno l’idea della grande rilevanza economica del comparto tessile della città nel corso di due secoli dalla fine del Settecento all’inizio del XXI secolo. L’arrivo del tour sarà, naturalmente, al “Museo del Tessile”. Premio: un buon bicchiere di “Freisa”!

Per info e programmawww.fmtessilchieri.org

g.m.

Nelle foto: “Museo del Tessile”, Orsola Benente e Lev Nikitin

“Figure-miraggi domestici. Pittori a Torino 1900-1960”

Il gallerista Gian Enzo Sperone inaugura il 7 maggio, alle ore 19, presso lo Spazio Ersel di piazza Solferino 11

Si inaugura il 7 maggio, alle 19, presso lo Spazio Ersel di piazza Solferino 11, a Torino, la mostra voluta e curata dal gallerista Gian Enzo Sperone dal titolo “Figure- miraggi domestici. Pittori a Torino 1900-1960). La mostra rimarrà aperta al pubblico dall’8 al 30 maggio prossimo. L’esposizione è divisa per temi, come dimostra la sala dedicata alle opere dei futuristi, che rappresentavano un gruppo unito, e comprende 120 opere di 42 artisti, tutti protagonisti della Torino del 1900 fino al 1960, opere prestate dallo stesso collezionista, anche se provenienti per la maggior parte da collezionisti privati. Per Sperone era necessario fare una carrellata il più completa possibile di quegli artisti che hanno dominato sessant’anni di pittura del Novecento italiano, prima dell’avvento dell’arte povera e concettuale che, secondo lui, ha oscurato la bellezza della pittura. Tra gli artisti in mostra compaiono Spazzapan, Mario Merz, Carlo Levi, Mastroianni, Balla e Carol Rama, quest’ultima già protagonista di una personale in corso presso la Fondazione Accorsi Ometto di via Po.

Dopo l’apprendistato alla galleria Galatea e la direzione della galleria Il Punto, nel maggio del 1964 Gian Enzo Sperone apre un suo spazio in via Cesare Battisti 15 angolo via Carlo Alberto. Fin dalla mostra inaugurale con Rotella, Mondino, Pistoletto, Lichtenstein, la galleria Sperone assume un profilo votato alle sperimentazioni del presente. Grazie all’appoggio di Leo Castello e Ileana Sonnabend ospita i principali rappresentanti della pop art, da Robert Rauschenberg a James Rosenquist, nel 1964. Da Warhol a Jim Dine, nel 1965, a Tom Wesselmann nel 1967. La mostra personale di Pino Pascali, con le finte armi da guerra nel gennaio del 1966 e quella intitolata “Arte abitabile” con opere del Pistoletto, Piero Gilardi e Gianni Piacentino nell’estate del 1966, manifestano un precoce orientamento verso un’arte di carattere installativo, confermato dalla mostra “Con/Temp/L’Azione”, tenuta nel dicembre 1967 insieme alle gallerie Stein e il Punto. Nel settembre 1969 la personale di Carl Andre inaugura la nuova sede di corso San Maurizio 27, ricavata da un edificio industriale di 400 mq e gestita con Pierluigi Pero. Parallelamente Sperone collabora con il fotografo Paolo Mussat Sartor e intraprende un’attività editoriale finalizzata alla pubblicazione di libri d’artista. Con il decennio degli anni Settanta si lega professionalmente a Conrad Fischer e, nel novembre del 1972, aprono insieme una galleria a Roma, in piazza Santi Apostoli, con una mostra di Gilbert & George, fondando nel 1974, con Angela Westwater, una succursale newyorchese tuttora attiva. Da metà degli anni Settanta, fino alla chiusura torinese del 1981, Sperone si riavvicina alla pittura figurativa con mostre su Sandro Chia, Carlo Maria Mariani, Enzo Cucchi e Francesco Clemente.

Mara Martellotta

“E amami, amami, stringimi, sgonfiami…”

Music Tales, la rubrica musicale 

“E amami, amami, stringimi, sgonfiami
e allora amami, sdentami, stracciami, applicami
e stringimi, dammi l’ebrezza dei tendini
prendimi, con le tue labbra fracassami.”
Non ho mai apprezzato particolarmente la musica di Enzo Jannacci (Milano, 3 giugno 1935 – Milano, 29 marzo 2013), ma lui è stato un cantautore, cabarettista, pianista, attore, sceneggiatore e medico italiano, tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra. Caposcuola lui del cabaret italiano,
che lo si voglia o meno.
Non so se mi sarei mai fatta operare da costui ma di sicuro “Silvano” mi ha fatta sorridere.
È il brano che apre la facciata B di Ci vuole orecchio, il suo undicesimo album in studio, appena pubblicato dalla Dischi Ricordi. Il pezzo è stato scritto a sei mani due anni prima insieme al duo comico Cochi e Renato, al secolo Aurelio Ponzoni e Renato Pozzetto. Lo pubblicarono nel 1978 poco prima di separarsi, dando spazio alla loro tipica demenzialità pop, canto del cigno di un sodalizio artistico lungo vent’anni. Jannacci decide di riappropriarsene, interpretandolo sotto una luce nuova: nel brano si parla di un amore gay, tra Rino e Silvano, alle prese tra contorsioni erotiche e nonsense, abbandoni, tradimenti e tentativi, da parte di Rino, di lasciarsi la storia alle spalle. Il più grande nonsense è contenuto all’interno del ritornello che precede la strofa “Silvano Non Valevole Ciccioli”.
Cosa significa Non Valevole?
La risposta la diede lo stesso Jannacci, dialogando col pubblico in sala durante un concerto, in una pausa tra una canzone e un’altra. Quando la mamma diede alla luce Silvano, il signor Ciccioli si recò all’anagrafe per registrarlo. All’impiegato disse che volevano chiamarlo Silvano e poi aveva farfugliato un secondo nome; l’impiegato inizialmente fece segno di aver compreso, ma poi, non avendo capito bene quale fosse il secondo nome, scrisse sul registro dell’anagrafe “Non Valevole”. Da quel momento “Non Valevole” diventò il secondo nome del Silvano di Enzo Jannacci.
“La comicità implica l’esperienza indispensabile della serietà, mentre la serietà non implica affatto l’esperienza della comicità.”
Buon ascolto
CHIARA DE CARLO
scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!
Ecco a voi gli eventi da non perdere

Vi invito inoltre  a seguire le pagine ed I link  sottostanti per far parte di una comunità che vuole cambiare il mondo radicalmente.
Che vuole più educazione al rispetto per le donne e lo fa con uno spettacolo chiamato “Respect” che, a breve, sarà nelle vostre pcittà italiane.
Uno spettacolo intenso interamente cantato da uomini affinchè sia la voce maschile ad esortare al rispetto per le donne.
Oltre 30 artisti tra cantanti musicisti ballerini e performer, al lavoro per offrire un’esperienza immersiva che trasmette un grande senso di appartenenza e gruppo.
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Prossime date 13 Settembre 2025 Bologna
                       25 novembre 2025 Livorno

Dall’8 maggio in sala il film “Chi sono io” di Roberto Gasparro 

 

“Per la prima volta prendo la distanza da tutti i miei personaggi. Li ho creati, amati sul set, accompagnati nel loro percorso scenico ma ora è giusto lasciarli andare via, non prenderli d’esempio – Roberto Gasparro”

Al cinema Massaua di Torino dal giorno 8 maggio per una settimana e in tour in varie località italiane il  film ‘Chi sono io‘, scritto e diretto da Roberto Gasparro, regista torinese, al suo sesto film. Le riprese, tenutesi a Montaldo Torinese presso una location riservata della famiglia Borello – main sponsor del film insieme all’azienda MFGA – Make Fashion Great Again che ha fornito tutti gli abiti di scena, si sono concluse il giorno 30 ottobre e dopo 6 mesi di post produzione l’opera è giunta alla sua fase finale. Il film, prodotto dalla 35MM Produzioni srl, si è avvalso del sostegno di Film Commission Torino Piemonte e dell’ Accademia delle Belle Arti di Torino.

Chi sono io‘ è stato interpretato da Massimiliano Rossi, Stefania De Francesco, Vittoria Chiolero, Max Cavallari, Tony Sperandeo, Gianni Parisi, Fabio Fulco, Gianpiero Perone, Massimo Walz Brenta, Massimo De Rosa, Rosanna Pantano, Marco Serra Degani e Ylenia Norbedo. L’uscita in sala è curata da 35MM produzioni srl, società indipendente di produzione e distribuzione cinematografica. Il film sarà disponibile sulla piattaforma streaming Prime Video Italia, Usa, Uk dal 16 settembre 2025.

Le musiche sono state composte da Stefano Lori, Paolo Ottimo e Gianluca Savia.

 

Questa è la storia di due amiche e di una famiglia che si troveranno ad affrontare una realtà fatta di segreti e continui colpi di scena, in un viaggio tra le parafilie ed i precari equilibri di una società immorale e perversa. Attraverso le loro vicende si avrà una fotografia in bianco e nero di una umanità che evidenzia un bisogno di continuo di novità, di comprensione e in ultima analisi di accettazione.

Tutti i personaggi saranno costretti ad affrontare le loro menzogne.

Al centro del racconto le diverse personalità di ogni personaggio – i diversi IO – sono un chiaro e incondizionato omaggio a Luigi Pirandello e al suo libro “Uno, nessuno e centomila”.



Ci sono film che rappresentano un cammino, una crescita, una visione e che sono in grado di aiutarci ad analizzare la realtà con assoluta lucidità. Essi hanno un potere così forte che sono all’altezza, nella finzione, quale è l’opera filmica, di aiutarci a comprendere una verità, di assisterci ad interpretare meglio i tempi moderni di cui siamo molto spesso protagonisti ingrati. La scrittura di un film per l’autore è sempre un viaggio, una trasformazione. Esiste un prima del film e un dopo il film. Esiste un uomo con delle convinzioni che lo portano a scrivere, ad immaginare una storia e, contemporaneamente, ne nasce un altro che lo porta a riflettere, ad interrogarsi, a verificare. Spesso i due uomini che compongono la stessa persona sono in totale disaccordo: su una frase, su un dialogo, su un’azione. Sono la stessa persona ma di fatto si ha a che fare con due proiezioni diverse dello stesso, quello che ha sviluppato l’idea, il soggetto, e quell’altro che si deve occupare di scrivere la sceneggiatura. Come si fa a non perdersi? Come si fa a trovare un equilibrio tra i due? Occorre tornare allora ai grandi film, a quelli citati poche righe fa. Loro riescono a mettere d’accordo tutti, a trovare la giusta strada per arrivare alla conclusione. Per me, per la scrittura di questo film, il punto di riferimento è stato il Maestro Paolo Sorrentino e la sua opera immensa “La grande bellezza”.

 

IL REGISTA

Roberto Gasparro nasce a Moncalieri, provincia di Torino, il 7 febbraio 1975. Dall’età di 15 anni scrive canzoni, testi per sit-com e per molti comici della TV. Studia sceneggiatura sulle dispense di colui che definisce il suo faro, Claudio Dedola che lo indirizza definitivamente a scrivere per il cinema. Dal 2015 al 2018 scrive 98 puntate di sitcom e collabora con molti comici di Zelig tra cui Franco Neri con il quale realizza il suo primo lungometraggio dal titolo “IL CIELO GUARDA SOTTO”. Nel 2019 scrive e dirige il suo secondo lungometraggio con protagonista il David di Donatello Tony Sperandeo dal titolo “QUI NON SI MUORE” vincendo al Festival Internazionale del Cinema di Salerno il premio per la migliore sceneggiatura e miglior soggetto e ricevendo lo stesso anno l’onorificenza del Comune di Montiglio Monferrato che lo nomina CITTADINO ONORARIO. Nel 2020 scrive e dirige la sua opera terza dal titolo “LUI E’ MIO PADRE” con protagonista Gianni Parisi vincendo al Festival Internazionale del Cinema di Salerno il premio come miglior Regista e al Vesuvius International Film Fest il premio per la migliore sceneggiatura. Il lungometraggio è stato in concorso per i David di Donatello ed ha ricevuto i patrocini della Regione Campania, della Città di Agropoli, del Parco Nazionale del Cilento, della Valle di Diano e di Alburni e premiato da LEGAMBIENTE CAMPANIA. Nel 2020 scrive e produce il suo quarto lungometraggio dal titolo “STESSI BATTITI” e lancia per la prima volta sullo schermo tre giovani nella parte di protagonisti del film. Nell’opera sono presenti anche l’attore Gianni Parisi, l’attrice Stefania De Francesco e il campione del mondo di ciclismo Claudio Chiappucci.
Nel 2023 scrive e dirige il suo quinto lungometraggio dal titolo “LA CHIOCCIOLA” che vede protagonista l’attore Enzo Decaro e la partecipazione di Tony Sperandeo, Massimiliano Rossi e Massimiliano Cavallari. Il film è stato proiettato in oltre 200 sale con numerosi incontri con gli studenti delle scuole medie e superiori. Il 17 giugno il film sarà proiettato anche al Parlamento Italiano.

Dal giorno 8 maggio esce in sala la sua opera sesta dal titolo “Chi sono io” con protagonisti Massimiliano Rossi e Vittoria Chiolero.

Tutti i suoi film sono distribuiti da PRIME VIDEO e in tre continenti: America – Europa – Asia

Filmografia:

IL CIELO GUARDA SOTTO – Lungometraggio 105’ – 2019

QUI NON SI MUORE – Lungometraggio 98’ – 2019

LUI E’ MIO PADRE – Lungometraggio 89’ – 2020

STESSI BATTITI – Lungometraggio 104’ – 2022

LA CHIOCCIOLA – Lungometraggio 110’’ – 2023

CHI SONO IO – Lungometraggio 107 – 2024

A Torino la Notte delle Hit

Il 12 e 13 settembre 2025 l’Inalpi Arena di Torino si trasformerà nel cuore pulsante della musica che ha segnato intere generazioni con “Jukebox – La notte delle hit”, due serate memorabili condotte da Antonella Clerici con le canzoni più amate degli anni ’70, ’80, ’90 e 2000. Se l’Arena di Verona era stata la casa della musica su Rai1 con Amadeus la Clerici sceglie invece Torino per far ballare e cantare tutti! Nel cast di Jukebox troveremo tra gli altri: gli Hearth; i Wind & Fire Experience by Al Mckay con la partecipazione speciale di Greg Moore che offriranno un’esibizione che rievoca l’epoca d’oro del funk e del soul americano; i Gipsy Kings by Diego Baliardo che con le note di “Bamboléo”, “Volare” e “Djobi Djoba” faranno vibrare l’Arena tra flamenco e ritmi latini inconfondibili. Tra gli ospiti internazionali ci sarà inoltre Michael Sambello con il brano simbolo “Maniac” del film “Flashdance”. E poi gli italianissimi Nomadi, Rettore e Gemelli Diversi. In tutto saranno venti i protagonisti di questo Jukebox umano che riaccenderà con ogni sua nota ricordi ed emozioni. I biglietti per le due serate sono già in vendita ed a breve è atteso l’annuncio della messa in onda dell’evento su Rai1.

Igino Macagno

Concerto di primavera al Teatro Vittoria

 TRA I PROTAGONISTI I GIOVANI MUSICISTI DELL’ACCADEMIA DI MUSICA E I TALENTI MUSICALI DELLA FONDAZIONE CRT
Il 7 maggio torna l’evento annuale di musica classica promosso da Fondazione CRT e Fondazione Accademia di Musica, aperto a tutta la città
Mercoledì 7 maggio 2025, ore 20
Teatro Vittoria, Torino
Via Antonio Gramsci 4, Torino TO
Ingresso gratuito su prenotazione
Un appuntamento da non perdere per gli amanti della musica da camera e per chi crede nella forza della formazione di eccellenza: mercoledì 7 maggio alle ore 20, al Teatro Vittoria di Torino, va in scena il Concerto di Primavera, promosso da Fondazione CRT e Fondazione Accademia di Musica.
Sul palco l’Orchestra da Camera Accademia della Fondazione Accademia di Musica, formata da sedici tra i più promettenti allievi dei corsi di alta formazione dell’Accademia, insieme a cinque ex borsisti del progetto Talenti Musicali della Fondazione CRT, che saranno le prime parti dell’ensemble: Matteo Ruffo (primo violino), Alice Costamagna (violino), Giorgia Cervini (viola), Michelangelo Mafucci (violoncello) e Pamela Massa (contrabbasso). Un’occasione per celebrare l’impegno congiunto delle due istituzioni nel sostenere concretamente l’avvio alla carriera artistica delle nuove generazioni.
A dirigere l’orchestra sarà Alessandro Milani, spalla dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e docente presso l’Accademia di Musica.
In programma due capolavori assoluti del repertorio cameristico: il Divertimento K 136 in re maggiore di Wolfgang Amadeus Mozart e la Serenata per archi op. 22 in mi maggiore di Antonín Dvořák.
Laura Richaud, Presidente e Direttore artistico della Fondazione Accademia di Musica sottolinea: “L’Orchestra da Camera Accademia è nata molti anni fa per autodeterminazione degli allievi dei nostri corsi di alta formazione che intendevano perseguire livelli di eccellenza nella preparazione dei programmi musicali e nel tempo ha collaborato con musicisti di fama quali Riccardo Donati, Giampaolo Pretto, Simone Rubino, Uto Ughi, Francesco Manara, Enrico Dindo e Alessandro Milani. Oggi è guidata dal Maestro Alessandro Milani ed è coordinata dal Maestro Claudio Voghera. Sentirli suonare insieme a ex Borsisti della Fondazione CRT è per noi il simbolo dell’impegno insieme profuso da più di 30 anni nei confronti dei giovani musicisti che si affacciano alla professione. Non possiamo che ringraziare la Fondazione CRT per la continuità del suo sostegno.”
Il progetto Talenti Musicali: investire nel futuro attraverso la cultura
Dal Teatro Regio di Torino alla Royal Academy of Music di Londra, passando per l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, l’Accademia di Santa Cecilia, la Camerata Salzburg e l’Orchestre de la Suisse Romande: i cinque ex borsisti di Talenti Musicali che saliranno sul palco del Concerto di Primavera – Matteo Ruffo, Alice Costamagna, Giorgia Cervini, Michelangiolo Mafucci e Pamela Massa – si sono affermati a livello internazionale, distinguendosi in concerti solistici, attività cameristiche e ruoli stabili nelle più prestigiose orchestre sinfoniche europee.
Percorsi di talento resi possibili anche grazie alla Fondazione CRT, la cui collaborazione con Fondazione Accademia di Musica si fonda su una visione condivisa: investire nell’eccellenza formativa e sostenere concretamente l’ingresso nel mondo professionale di giovani musicisti di talento.
Un impegno da cui è nato nel 2004 il progetto Master dei Talenti Musicali e che ha rappresentato uno dei programmi più significativi a livello nazionale per il sostegno alla formazione artistica. Da qui si sviluppa nel 2006 l’Orchestra Master dei Talenti, composta dai migliori diplomati dei Conservatori piemontesi e valdostani e attiva per oltre un decennio con un repertorio da Bach ai contemporanei, includendo rielaborazioni operistiche e programmi innovativi.
“Con il progetto Talenti Musicali, la Fondazione CRT ha accompagnato giovani musicisti dai Conservatori italiani fino ai palcoscenici più prestigiosi del mondo. Alcuni di loro si esibiranno nel Concerto di Primavera al Teatro Vittoria: un appuntamento che, insieme alla Fondazione Accademia di Musica, abbiamo voluto offrire al pubblico – dichiara Patrizia Polliotto, Segretario Generale della Fondazione CRT –.  Oggi, come Fondazione, continuiamo a sostenere con convinzione percorsi di eccellenza come quelli promossi dall’Accademia, investendo in quel capitale umano che rappresenta il futuro della nostra comunità.”
L’ingresso è libero fino a esaurimento posti.
Prenotazione obbligatoria: 
0121321040 | 3939062821 | organizzazione@accademiadimusica.it

La “Gatta” non era quella di Liz Taylor

Al Carignano, repliche sino a domenica 11 maggio

Non piacque affatto a Tennessee Williams il film che Richard Brooks nel ‘58, tre anni dopo il successo teatrale al Morosco di New York, trasse dalla ”Gatta sul tetto che scotta”, con la Taylor dagli occhi viola accovacciata, e mielosamente sexy, sul suo bel letto d’ottone a lanciare languidi sguardi (“This is Maggie the Cat…”, occhieggiava blandamente spudorata in quei tre punti di sospensione la locandina del film) mentre Newman dagli occhi azzurri sgambettava con la sua stampella a mettere in mostra la propria eterosessualità, tutta suggellata dal focoso bacio nel finale alla moglie. Aveva gridato al tradimento (accidenti a quel Codice Hays sempre in agguato!) nei confronti di quella sua provocazione, “la critica della società attraverso la lente d’ingrandimento della famiglia”, e s’era preso la sua vendetta, venti anni dopo esatti, dando alle stampe e ai palcoscenici una rinnovata versione che diceva pane al pane e vino al vino. Noi abbiamo peccato un po’ troppo nel costruirci un’atmosfera sdolcinata e amorosa, tutta “da cinema” anni Cinquanta, che non poteva scalfire neppure di un minimo graffio una figura maschile che nell’immaginario collettivo fatto di rotocalchi e ruoli giusti e interviste splendeva per le proprie doti di maschio (anche se qualche malalingua di Hollywood in vena di pettegolezzi aveva buttato lì che…). Accresciuto altresì l’errore per il fatto che il titolo in pochissime sparute occasioni si sia fatto vedere nelle stagioni teatrali di casa nostra. Quelli erano e dovevano essere Maggie e Brick, quello era il vecchio Papà con la stazza di Burl Ives, quella era la stridula, indimenticabile, Mae di Madeleine Sherwood. Già Paolo Bertinetti, nel terminare non molti anni fa la prefazione all’edizione Einaudi, sottolineava: “In un certo senso, quindi, dimenticare il testo e tornare al vero testo di Williams, al suo significato e ai suoi personaggi tratteggiati da lui sarà per il lettore un’operazione di riscrittura dell’immaginario.”

Rendo grazie quindi a Leonardo Lidi, alla sua teatrale esattezza, per la lettura veritiera che ha dato alla “Gatta”, nella nuova, cruda, a tratti in completo sembiante di ferocia, traduzione di Monica Capuani, penultima produzione (con lo Stabile del Veneto) nella stagione del Teatro Stabile di Torino, regista non sempre nelle mie corde, continuo a credere troppo libero in altre occasioni, troppo ad personam, troppo disponibile a “usare i testi classici come canovacci”, forse di uno sguardo troppo avveniristico, forse troppo colpevole allo sguardo di chi scrive queste note di entrare dentro un testo per (il piacere di) prevaricarlo, di sradicarlo da quell’humus in cui da sempre siamo stati abituati a leggerlo e vederlo, a immaginarlo. È stato così nelle passate stagioni, in gran parte, per l’humus cecoviano, attraverso la sua intera trilogia, forzato, fuorviato, sghembo in certe soluzioni. In un presente che ha fin troppo sottolineato. Un filo rosso con l’autore del “Giardino” che Lidi continua – giustamente – a scorgere e reclamare, la descrizione della famiglia tradizionale, con i suoi rapporti consunti, con Maggie che guarda ai figli della cognata – lei sì con l’approvazione del patriarca grazie ai suoi cinque marmocchi caciarosi che ha sfornato e un sesto in arrivo, mentre Maggie non ha ancora figliato – per definirli “mostriciattoli senza collo”, per il vecchio che festeggia i suoi sessantacinque anni continuando a ripetere alla moglie “io non ti amo” e Mamma a ripetere “non è vero, lui mi ama”, con l’ipocrisia qui a circolare in piena libertà, tutti a salvaguardare i tanti sguardi esterni, come pure il possesso della terra, vero orgoglio del vecchio proprietario terriero del Mississippi, quei ventotto acri qui della terra “più fertile da questa parte del Nilo”, e il figlio maggiore con la moglie a volersene impadronire, con quelle scartoffie da firmare immediatamente, quando Papà viene a conoscenza che quello che lui chiama spasmo al colon è un cancro bell’e buono e che a lui non rimane più molto da vivere.

E poi il rapporto, ipocrita, tra Maggie e Brick, quello che spingerà lei a inventare la fasullaggine di un erede per rientrare in uno stretto sistema casa/famiglia, con l’inevitabile equazione madre eguale donna. Si chiude con un secco “da morir dal ridere” da parte di Brick lo spettacolo di Lidi, Brick che nei 100’ s’è caparbiamente – e Fausto Cabra rafforza e pone in lodevole crescita, di attimo in attimo, la sua presenza, rabbia e infelicità di grande spessore, la costruisce prepotentemente, interagendo, nella lunga, legatissima, straziante scena di confronto con una figura paterna sempre negata, con Nicola Pannelli: e ai due attori va indirizzato l’applauso più convinto della serata, nell’autentica verità che imprimono ai propri personaggi – rifugiato nel ricordo di Skipper, compagno di università e di sport, vittima di (autentiche) maldicenze dietro la facciata di una amicizia “pura”, una scommessa a cancellarle finendo a letto con Maggie, a dimostrazione di una virilità che non c’è e non ci sarà mai e che lo porterà al suicidio. Un atto che ha allontanato Brick dalla “gatta”, che gli ha fatto rifiutare ogni rapporto sessuale, che ha svelato appieno il suo lato omoerotico e lo ha portato a bere oltre ogni misura. Ci sono due belle invenzioni di Lidi nella sua trascinante messinscena, nel biancore della scena marmorea inventata con le belle luci da Nicolas Bovey – una tomba dell’amore e della famiglia o un monumento a una passione o una macelleria entro cui scannarsi? -, le bottiglie di liquore che invadono il palcoscenico, parola dopo parola, non detto dopo non detto, spiegazione dopo spiegazione; e la presenza costante di Skipper (Riccardo Micheletti), che nel testo di Williams non compare al contrario mai, qui fantasma e servo di scena a muovere un affatto marginale gioco di specchi, a sfiorarsi e a guardarsi per un solo attimo con Brick ad ogni passaggio, presenza ingombrante ma duratura e inestricabile. È la tematica, la giusta motivazione attorno a cui ruota l’intera vicenda, che Brooks aveva nascosto e che Lidi intelligentemente qui ricompone.

Valentina Picello come Maggie tenta di rimanere ben salda nella sua passione e dentro un meccanismo di potere che la vuole allontanare, Giuliana Vigogna e Giordano Agrusta è la coppia di rapaci da cui guardarsi, Orietta Notari ancora una volta è attrice di rango, che sempre lascia il suo personale segno, agguerrita, incisiva, una Mamma fatta di piccoli quanto assai precisi momenti. Grande successo, repliche al Carignano sino a domenica 11 maggio.

Elio Rabbione

Le immagini di “La gatta sul tetto che scotta” di Tennessee Williams, regia di Leonardo Lidi, sono di Luigi Di Palma.

Tutti conoscono tutti: un giallo torinese dove nessuno è davvero innocente

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TORINO TRA LE RIGHE
Per Torino tra le righe oggi vi porto tra le atmosfere sospese e ambigue di un giallo tutto torinese: Tutti conoscono tutti, il nuovo romanzo di Francesca Mautino, edito da Longanesi nel 2025.
L’autrice, nata a Ivrea e laureata in Storia del Cinema, ha lavorato per la televisione prima di approdare alla narrativa con Qualcuno che conoscevo (2024). Ora torna a far parlare di sé e della sua città con una nuova protagonista: Valentina Bronti, podcaster investigativa e mamma alle prese con la sua caotica quotidianità.
Torino, in questa storia, è più di uno sfondo: è un personaggio vivo, contraddittorio, pieno di magia e segreti. In una città dove davvero “tutti conoscono tutti”, Valentina si muove tra l’incertezza lavorativa e relazionale, con l’unica certezza delle telefonate dalla scuola per qualche nuovo guaio delle sue pestifere gemelline. Ma sarà un Capodanno in una villa sulla collina a riaprire una ferita mai del tutto chiusa.
Tra gli invitati, Valentina riconosce una donna elegante che le rivolge frasi sibilline prima di sparire nella notte. È Cristiana Landorni, coinquilina ai tempi dell’università e amica di Mattia, un ragazzo che all’epoca faceva parte della compagnia e che è morto anni prima in circostanze mai del tutto chiarite.
Ma se non fosse stata una fatalità? Se quelle parole fossero un indizio? Inizia così un’indagine personale e arbitraria, che spinge Valentina a rivivere amicizie sbagliate, tradimenti, crudeltà adolescenziali e silenzi pesanti come pietre.
Francesca Mautino ci racconta una Torino che conosce profondamente: la città dei salotti borghesi e delle periferie dimenticate, dei ricordi universitari e delle solitudini metropolitane. Il romanzo è scritto con stile fluido e tagliente, capace di scavare tra le pieghe dell’animo umano con precisione e autenticità.
Per chi ha amato il romanzo d’esordio dell’autrice, questo secondo libro è una conferma del suo talento. Non mancano i rimandi al precedente caso, ma Tutti conoscono tutti si può leggere anche in totale autonomia.
Un cold case che diventa occasione di riscatto, riflessione e rivelazione. Un giallo tutto torinese da leggere e divorare in un battibaleno.
MARZIA ESTINI
Nino the mischievous elf an incredible Christmas adventure of friendship and magic
linktr.ee

Gli “Antifascisti immaginari” di Padellaro

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Il prof. Quaglieni

Antonio Padellaro ha pubblicato un polemico  libro  dal titolo significativo: “Antifascisti immaginari” (ed.Paperfirst) che ha  subito suscitato l’aspra critica di Gad  Lerner da poco uscito da  “Il fatto quotidiano” di Travaglio autore della prefazione.

Ho letto con una certa  diffidenza il libro,  notando subito quell’aggettivo “immaginari” che ricorda il titolo del celebre libro di Vittoria Ronchey dedicato ai marxisti immaginari di 50 anni  fa, cioè i contestatori violenti e dogmatici dai quali nacque la scintilla del terrorismo rosso.
Non sono libri rapportabili perché quello della Ronchey è inimitabile per la scrittura e l’ironia angosciata con cui affronta il tema della scuola al collasso. Gli “antifascisti immaginari” di Padellaro sono  soprattutto i giornalisti e i commentatori televisivi e della carta stampata (di cui lui stesso fa parte) che esibiscono un antifascismo fatto di slogan, frasi fatte,  parole d’ordine che altri urlano nei cortei e nelle piazze dopo aver cantato a squarciagola “Bella ciao”.
Padellaro rivela onestà, ricordando l’eroico (e dimenticato) antifascismo del Colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo vittima delle Fosse Ardeatine,  capo della Resistenza romana, che fu contrario al terrorismo dei Gap, responsabile dell’attentato di via Rasella da cui scaturì la rappresaglia bestiale delle Fosse Ardeatine.
Padellaro, scrivendo questo libro, si inimichera’ sicuramente l’Anpi e tutto l’associazionismo che fa della militanza antifascista ad 80 dalla Liberazione la sua unica ragion d’essere. Le pagine di Padellaro meritano di essere lette e sono anche  un sicuro  antidoto al velenoso ideologismo  di Canfora e di  Scurati. Fa piacere ad uno come me (che certe cose le scrive  da decine d’anni, trovando spesso indifferenza e ostilità) vedere che molte delle sue riflessioni siano state sdoganate da Padellaro che solo in parte riesce a separare l’attualità politica dalla riflessione storica perché è un giornalista militante.
Infatti il vero punto su cui concentrare l’attenzione è la storicizzazione del fascismo che maestri come Renzo De Felice e Gian Enrico Rusconi hanno avvviato con scarso seguito.
Bastano questi due nomi per ridimensionare  Padellaro che resta infatti un giornalista. Mi domando se anche a lui verrà appioppata l’accusa di revisionismo che è stata affibbiata a tanti come fosse un’eresia meritevole di scomunica. Lerner ha già dato qualche segnale di intolleranza che avrà sicuramente dei seguaci.
Nell’elenco degli “antifascisti immaginari” aggiungerei anche i piccoli storici torinesi che rinvigoriscono le vulgate pseudo-storiche del passato.
Solo Oliva è riuscito a scrivere con il distacco dello
storico vero, partendo dal tema negato delle foibe, per giungere ad essere il vero erede di De Felice e soprattutto di Pavone. Anche lui subì in passato attacchi feroci da parte di una certa accademia settaria  e non è in televisione così di frequente come lo è  Barbero che, invece di limitarsi al Medio Evo, fa continue scorribande nella contemporaneità, prediligendo l’antifascismo.