CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 25

Brava gente: teatro di vite ai margini secondo Margherita Oggero

TORINO TRA LE RIGHE

Dovete sapere che in piemontese l’espressione “brava gente” ha un significato tutto suo, quasi opposto a quello che ci si aspetterebbe: non indica persone oneste e perbene, ma individui che vivono ai margini, in quel confine sfumato e instabile tra legalità e illegalità. È proprio questo il mondo che Margherita Oggero ci racconta nel suo romanzo Brava gente, edito da HarperCollins: una periferia torinese viva, pulsante, sgangherata e umanissima, dove ogni personaggio è una maschera e insieme una verità.
Margherita Oggero è nata e vive a Torino. Ha svolto l’attività di insegnante nei più svariati tipi di scuole e in seguito si è dedicata a scrivere a tempo pieno. Il suo primo romanzo, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore nel 2002, è stato La collega tatuata (da cui è stato tratto nel 2004 il film Se devo essere sincera, di Davide Ferrario, con Luciana Littizzetto). Tra le altre sue opere i romanzi pubblicati con Mondadori Una piccola bestia ferita (2003), L’amica americana (2005), Qualcosa da tenere per sé (2007), che hanno ispirato la fortunata serie televisiva della Rai Provaci ancora prof, con Veronica Pivetti come protagonista. Ancora per Mondadori ha pubblicato, tra gli altri, L’ora di pietra (2011), La ragazza di fronte (2015, premio Bancarella 2016) e La vita è un cicles (2018).Con Einaudi ha pubblicato Così parlò il nano da giardino (2006), Il compito di un gatto di strada (2009), Non fa niente (2017, vincitore del Premio Maria Teresa Di Lascia) e Il gioco delle ultime volte (2021). Il suo ultimo romanzo è Brava Gente (2023), pubblicato con HarperCollins.
Siamo a Barriera di Milano, quartiere a nord di Torino, dove convivono disperazione e voglia di riscatto, degrado e solidarietà, truffe improvvisate e sogni a occhi aperti. Un luogo reale, duro, ma anche narrativamente fertile, che la penna di Oggero sa trasformare in teatro, nel vero senso della parola: prima ancora che la storia abbia inizio, l’autrice presenta l’elenco dei personaggi come in un copione, pronti a salire sul palcoscenico di una quotidianità che sa di noir e commedia sociale.
C’è Deborah, detta Debby, quindici anni e già più disillusa di quanto dovrebbe. Ha lasciato la scuola, fa la baby-sitter e la badante “a ore”, e tra le sue fantasie c’è anche quella – tutt’altro che innocua – di uccidere il padre Oreste, ex bellone ora camionista, colpevole di aver dilapidato il patrimonio di sua moglie Linda. Linda, madre immatura e svampita, vive in un mondo tutto suo, dove la realtà si tinge di illusioni mai sopite.
E poi c’è lei, Caterina Mazzacurati, anziana vedova energica e indimenticabile, che Debby accudisce e rifornisce abitualmente di cannabis. Una figura ironica, tenera e ribelle, che lotta con le unghie e con i ricordi contro l’idea di finire in una casa di riposo. Sarà Arturo, vecchio amore riapparso dal passato, a cambiare le carte in tavola?
Intorno a loro si muove un microcosmo di anime: Florin, giovane camionista rumeno con la nonna da mantenere in patria e il sogno di un appartamento tutto suo; Albachiara, la cartolaia/edicolaia/souvenirista in perenne battaglia con la vanitosa Giuseppina-Vanessa Delice, manicurista e amante del parrucchiere Alexander The Best; fino a una Lana Turner in versione fantasmatica che compare, in bilico tra memoria e immaginazione, come simbolo di un passato glamour e irreale.
Oggero ci regala una carrellata continua di personaggi e situazioni, in un tempo narrativo che salta avanti e indietro, seguendo i fili intrecciati delle vite di “brava gente” che cerca di cavarsela tra uno scivolone e un colpo di fortuna. Nessun giudizio morale, nessuna forzatura: solo l’osservazione precisa, affettuosa, a volte tagliente di una realtà periferica raccontata senza pietismi.
Il quartiere di Barriera si rivela un set perfetto: ci sono bande, traffici, sparatorie, furti, ma anche momenti comici e slanci generosi, l’aria satura di smog e l’umanità densa che si respira in ogni riga. Perché qui, dove nulla è scontato, anche una vecchia auto può diventare il luogo di un incontro, e ogni piccolo furto è una forma di resistenza o una rivendicazione.
Brava gente è un romanzo corale, una mappa emotiva delle nostre periferie e delle loro mille contraddizioni. Un libro che intrattiene, fa riflettere e racconta Torino da una prospettiva vera, marginale forse, ma più che mai centrale. Come sempre, Margherita Oggero si conferma una voce lucida, elegante, profondamente radicata nel territorio e capace di dar voce agli invisibili con grazia e intelligenza.
MARZIA ESTINI
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Conti Langosco di Langosco. L’espansione torinese

I conti Langosco di Langosco discendono da un ramo dei conti di Lomello e Pavia, nominati dall’imperatore Ottone III. Come i conti Sannazzaro di Giarole e i marchesi Faà di Bruno, fanno parte delle 100 famiglie italiane ed europee dalla storia millenaria, dai Longobardi al Sacro Romano Impero, dalle lotte tra comuni e signorie medievali ai nostri giorni. Oltre al feudo pavese di Langosco in Lomellina possedevano le contee di Stroppiana, Pavia, Carisio, Caresana, Motta dei Conti, Villarboit, Castelgrana, Borgomale e il marchesato di Ticineto. Importante la loro espansione nel territorio torinese con le contee di Caselle, Borgaro Torinese e il marchesato di Pianezza, proprietà della marchesa Beatrice di Langosco alla fine del 1500.
La nobile famiglia si scompose nel XIII secolo in tre rami, i Langosco di Stroppiana, Motta dei Conti e Langosco, ramo principale. Edificarono nel 1742 il loro palazzo in stile tardo barocco a Vercelli, oggi sede del Museo Leone e nel 1776 il complesso di Santa Croce a Casale, ex convento degli Agostiniani sede del Senato, palazzo dei Gonzaga duchi di Mantova e Monferrato e sede della biblioteca civica. Ricordiamo le loro parentele monferrine con i conti Sannazzaro e Pico Gonzaga, cognati del conte Luigi Teofilo Langosco sposato con Giuseppina Callori del conte Giulio Cesare Federico di Vignale, marito di Eleonora Ricci dei marchesi di Cereseto e conti di Piová Massaia.

Teresa Gozzani, contessa di Monromeo di Serralunga di Crea figlia di Giovanni Battista e Petronilla Callori del conte Camillo e Maria Teresa Pateroni, proseguì la parentela con i conti di Vignale tramite il matrimonio con Giulio Cesare, figlio di Luigi Teofilo Langosco. Giuseppina Callori, il marito Luigi Teofilo Langosco e il figlio Giulio Cesare con la moglie Teresa Gozzani furono sepolti nella chiesetta della tenuta Regina di Langosco, proprietà di famiglia. Alla vendita della tenuta Regina, le tombe furono translate nel cimitero di Langosco dal conte Guglielmo Langosco (1843-1895) marito di Giuditta Mascazzini (1854-1934).

Giovanni Battista Gozzani, capitano nella battaglia di Austerlitz a fianco di Napoleone,  maggiore nel reggimento di Cuneo e colonnello comandante di Vercelli e Casale, fu promosso maggiore generale dopo Austerlitz con 3000 lire di pensione più 981 franchi francesi. L’attuale discendente della casata nobiliare conte Riccardo Langosco ha partecipato nel 2018 all’inaugurazione del gonfalone comunale e all’intitolazione dell’area di fronte alla chiesa dedicata alla propria famiglia. Nel 2022 ha presenziato con l’amministrazione comunale e l’ANPI provinciale alla posa della pietra d’inciampo davanti al municipio dedicata all’antenato Luigi Langosco di Langosco nato nel 1876, colonnello in pensione domiciliato a Milano e patriota della valle varesina di Olona, cuore del Contado di Seprio luogo d’origine delle nobili famiglie Contin-Gozzano di Cereseto, Venezia e Roma.

Deportato in Germania come detenuto politico dall’organizzazione criminale nazista delle SS il 13-3-1944 a Mauthausen e nel castello di Hartheim, campo di sterminio per malati convalescenti allestito per mascherare le operazioni di eutanasia di oltre 30000 persone provenienti dai vicini campi di concentramento, morì il 18-7-1944. Lo stemma dei conti Langosco con il motto “Cum mero et mixto imperio” ossia con governo puro e misto, diretto richiamo alle funzioni sovrane del conte Palatino, è rappresentato dalla giustizia vestita di rosso e azzurro con spada e bilancia, visibile nella cappella gentilizia del cimitero di Casale situata accanto a quelle dei cognati Gozzani e Savio. Nel cimitero di Langosco sono conservate le lapidi e lo stemma in marmo della nobile famiglia. Il conte Riccardo Langosco vive a Genova con la moglie Maria Clarice.
Armano Luigi Gozzano 

Sauze d’Oulx, le serate del Cai

Nove tappe, nove giorni di cammino, quasi 200 chilometri da Palermo ad Agrigento: è la lunghezza della “Magna Via Francigena” siciliana, un percorso tra campi, strade e luoghi di passaggio, tracciato con la segnaletica convenzionale europea, la figura del pellegrino con mantello, bisaccia e bastone, il simbolo ufficiale dei cammini storici, culturali e religiosi francigeni. Certo, anche la Sicilia ha la sua Via Francigena, l’antica via di pellegrinaggio che attraversava l’Europa fino a Roma e poi nelle Terre d’Oltremare, fino a Gerusalemme. Disegnata dai normanni siculi mille anni fa è andata via via scomparendo nei secoli ma di recente è stata riscoperta grazie a nuove ricerche sulle antiche topografie. La “Magna Via Francigena” siciliana è solo una delle tante conferenze organizzate dal Cai, Club alpino italiano, a Sauze d’Oulx, la tradizionale rassegna di incontri culturali e informativi che si tiene, tra luglio e agosto, al bar Scacco Matto (da Paola) sul piazzale Miramonti, a Sauze, con ingresso gratuito. Ecco, di seguito, la locandina con le conferenze.                                                 Filippo Re

Gli appartamenti reali del castello della Mandria

Gli Appartamenti Reali abitati da Vittorio Emanuele II di Savoia e Rosa Vercellana, “la Bela Rosin”, contessa di Mirafiori e Fontanafredda, sono stati recentemente restaurati grazie ad un importante finanziamento pubblico ed al contributo di Compagnia di San Paolo.

Leggi l’articolo su piemonteitalia.eu:

https://www.piemonteitalia.eu/it/cultura/musei/appartamenti-reali-del-castello-de-la-mandria-0

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Carla Madeira “Preludio” -Fazi Editore- euro 18,50

Il secondo romanzo della scrittrice brasiliana (nata a Belo Horizonte nel 1964) riprende i temi a lei più cari e mette a fuoco: gli abissi dell’animo umano, i sentimenti che possono diventare tenebra, la violenza fisica, psicologica e sessuale. Al centro della trama, il più ancestrale dei miti, che sconvolge una complicata famiglia disfunzionale.

Il preludio del titolo è l’annuncio della tragedia che seguirà. Vedina è una giovane madre tormentata e sta per compiere qualcosa di inaudito.

Ferma la macchina, costringe il figlio di 5 anni, Augusto, a scendere; poi, sgomma e riparte, abbandonandolo sul marciapiede. Fa poca strada e subito si pente dell’orribile gesto; torna indietro, ma del piccolo non c’è più traccia.

L’azione impulsiva è la disperata vendetta verso il marito Abel per tutta la sofferenza e la violenza che le infligge; per l’amore che le nega e che riversa, invece, esclusivamente sul piccolo Augusto.

Ma per capire meglio occorre partire dalle origini dell’inquietante Abel e dai suoi genitori.

Sono Antunes e Custódia. Lui ha una ferramenta, è alcolizzato (con un esempio familiare di alcolista fuori dagli schemi) e vuole una donna da amare.

Lei sogna di allontanarsi dalla famiglia bigotta che le va stretta, ma ne ha comunque assorbito i dictat.

E’ una fervente cattolica disgustata dal sesso. Mal sopporta questa pratica e la vive come un sacrificio obbligato, giusto-solo ai fini della procreazione.

Non esattamente un connubio perfetto!

Tanto più che appena Custódia partorisce due gemelli, estromette Antunes dal talamo nuziale, impone camere separate e bandisce per sempre i rapporti intimi, instaurando una dittatura “non negoziabile” di assoluta astinenza.

La vendetta di Antunes colpisce duro laddove fa più male, ovvero la religiosità della moglie.

All’anagrafe decide di registrare i pargoli con i nomi dei figli di Adamo ed Eva; nientemeno che Caino e Abele, protagonisti del primo fratricidio il cui sangue ha segnato la storia dell’umanità.

E’ così che si scatena una tempesta di odio e rancore destinata a logorare le vite di tutta la famiglia. Custodia non perdonerà mai più il marito e vivrà logorata dall’ossessione di tenere sempre uniti i gemelli. Li chiama Abel e Abelzinho, e cerca di elidere ogni differenza tra loro, per scongiurare il possibile ripetersi della tragedia.

Ma con l’ingresso nelle aule scolastiche si spezza la simbiosi con cui Custodia aveva cercato di proteggere i gemelli dai loro nomi maledetti, che ora vengono svelati.

Ed è così che inevitabilmente emergono lampanti le loro colossali differenze. Anzi, è più che evidente che Caim e Abel, seppure somaticamente identici, sono caratterialmente agli antipodi.

Caim primeggia in tutto: dallo studio allo sport, è popolare tra gli amici e ambita preda delle ragazze. Insomma, un vincente nato.

Di tutt’altra pasta è plasmato Abel: introverso, imperscrutabile, apatico, indifferente alla sequela di insuccessi scolastici e al vuoto di amicizie in cui si adagia. Per tutti è solo il fratello difettoso di Caim.

C’è una sola persona che gli accende l’anima, la compagna di scuola Veneza, per la quale gli divampa dentro -silenziosa e sconvolgente- una passione morbosa.

Peccato che la giovane, invece, si innamori perdutamente di Caim, al quale si legherà per la vita.

Abel vive il matrimonio del gemello, con la donna dei suoi sogni erotici, come un tormento perpetuo che gli segna l’esistenza.

Quando poi lui ripiega, sposando la migliore amica di Veneza, Vedina, su di lei sfoga tutta la sua violenza, insieme alla rabbia e al profondo malessere di vivere.

Fino a sviluppi inaspettati da non svelare anticipatamente.

 

 

Marina Pierri “Gotico Salentino” -Einaudi- euro 17,50

E’ il primo romanzo di Marina Pierri -giornalista, saggista, esperta di narratologia, direttrice artistica del Festival delle Serie Tv di Milano- che in queste circa 200 pagine intreccia più tematiche.

Un palazzo infestato, atmosfere gotiche e fantasmi, il Salento, un mistero, la cura e l’amore per i genitori anziani, il patriarcato, il femminismo, indagini coadiuvate da aiutanti molto particolati.

Protagonista è Filomena, vive in quel di Milano; ex giornalista in via di trasformazione in scrittrice.

Cambio di programma doloroso quando il padre muore, lei si ritrova in bolletta e con un’eredità che pesa come un macigno: la Dimora Quarta.

E’ un enorme villa, nella Palude del Salento, che appartiene alla famiglia da generazioni.

Filomena lascia Milano alla volta della Puglia, con il progetto di trasformare l’avita magione in un Bed and Breakfast di alta gamma a pochi chilometri dal Mar Ionio.

Pensa in grande: ristrutturare la casa, renderla più funzionale, dotarla di almeno 10 camere da letto.

Ma c’è un problema e non è di quelli da poco. La dimora ha un aspetto parecchio inquietante; è infestata da un fantasma che Filomena stessa aveva visto quando aveva 6 anni e viveva tra quelle mura.

Era la “Malumbra” lo spettro rabbioso di un’oscura monaca; e l’averla incontrata aveva segnato la protagonista.

Anche perché da allora gli abitanti della zona la chiamavano “la striacaite li muerti”, ovvero “la bambina che vede i morti”.

Da allora: i suoi coetanei la evitavano, era emarginata, sempre sola, mentre gli adulti le chiedevano di comunicare con i loro cari trapassati.

Inoltre c’è un mistero che ha avvelenato la famiglia per anni ed ora Filomena cerca di risolverlo con l’aiuto di 2 pseudo detective davvero speciali che arrivano direttamente dalla letteratura gotica…..

 

 

Oliver Pötzsch “Il becchino e la ragazza” -SEM- euro 22,00

Per chi ancora non conoscesse questo autore, Pötzsch è un affermato scrittore tedesco che ha raggiunto il successo con la saga “La figlia del boia”.

Pötzsch stesso discende da una celebre famiglia di boia di Schongau in Baviera e la saga è ispirata alla storia dei suoi antenati.

Ora veniamo al romanzo.

Fine del XIX sec. Vienna -città intrisa di pregiudizi e criminalità- lì vive e lavora Augustin Rothmayer: becchino e studioso, che si ritrova ad aiutare l’ispettore Leo von Herzfeldt e la fotografa del crimine, Julia Wolf, impegnati in indagini complesse.

Il cardiopalma è assicurato fin dall’inizio, con pagine inquietanti, specialmente per chi soffre di tafofobia.

E’ la paura di essere sepolti vivi, non esattamente un’esperienza desiderabile; come potrebbe confermare il Professor Strössner.

L’egittologo viennese di fama mondiale che finisce quasi sepolto vivo in fondo a un pozzo in cui ha appena fatto una scoperta eccezionale; una camera funeraria di cui non si sapeva nulla, contenente un unico sarcofago.

Il libro è un thriller storico che corre su due strade.

Una ha tratti gotici, tendenze al trascendente e vi compaiono: mummie, elisir di lunga vita, esperimenti scientifici, studi sulla vita oltre la morte, cimiteri, tentativi di trafugamenti e vilipendio di cadaveri, impalatori seriali, valzer neri, e via così…

L’altra via, invece, segue le tecniche investigative dell’epoca: le novità per rilevare le impronte digitali, l’uso della macchina fotografica sulla scena del crimine.

Tra i personaggi di spicco: l’ispettore von Herzfeldt, è un ebreo non sempre ben visto dai colleghi.

Il becchino Rothmayer: è anche uno studioso e una figura oscura. Esperto nella preparazione dei cadaveri, delle fasi della decomposizione, delle cause di morte, dotato di un fiuto eccezionale in grado di fiutare ogni minima sfumatura del disfacimento del corpo.

Affascinante poi la figura di Julia Wolf: tostissima fotografa, madre single che cresce faticosamente la sua bambina, e contemporaneamente lavora sulle scene di crimini efferati.

E’ lei che, con nervi d’acciaio, anche di fronte agli scempi più raccapriccianti delle vittime di omicidi, immortala le immagini degli orrori e ogni minimo dettaglio, fornendo così un nuovo fondamentale supporto alle indagini.

Siate pronti a colpi di scena, via uno, sotto un altro….

 

 

Sandra Lawrence “Giardini perduti” -L’ippocampo- euro 19,90

Bellissimo volume, illustrato magicamente dalla talentuosa Lucille Clerc, che ci trasporta direttamente in meravigliosi giardini ormai perduti, ma dei quali è doveroso conservare almeno la memoria.

La Lawrence, con il supporto delle immagini della Clerc, ci guida alla scoperta di 40 paradisi terrestri disseminati a varie latitudini del pianeta. Un po’ il giro del mondo in 80 alberi, in cui viene ricostruita la loro storia; l’epopea d’oro e più gloriosa, seguita dalla decadenza e dal degrado.

Da un capo all’altro del mondo, le immagini e i testi ci riportano agli antichi splendori di giardini magici, autentiche oasi di pace e bellezza, curate, visitate e ammirate.

Poi il desolante abbandono, l’oblio e il degrado che comportano sempre danni incalcolabili e spreco di incommensurabili tesori di bellezza.

Quelli che nei secoli erano stati veri e propri eden e parchi di delizie, sono poi diventati tristemente giungle incolte, disseminate di: archi, grotte, fontane, serre e colonne che conservano parvenze di ricordi antichi ma, ormai, fatiscenti.

La torinese Elena Fontanella alla guida dell’Istituto Italiano di Cultura di Madrid

Una nuova visione culturale strategica per lo storico Palazzo de Abrantes

È Elena Fontanella la nuova Direttrice di Chiara Fama dell’Istituto Italiano di Cultura di Madrid, nominata a seguito del bando indetto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Giornalista, saggista, curatrice e docente universitaria, Elena Fontanella è laureata con lode in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Torino, affermandosi da decenni come figura di riferimento nel panorama culturale italiano. La sua carriera vanta un’esperienza consolidata nella diplomazia culturale, nella valorizzazione del patrimonio e nella progettazione internazionale.
Ha svolto attività accademica in Estetica presso l’Università Statale di Milano, in Storia Medievale presso l’Università Cattolica di Milano e in Storia dell’Arte Romana presso l’Università di Restauro Botticino di Valore Italia. Con il Ministero della Cultura ha collaborato fino al 2024, realizzando progetti di respiro internazionale e guidando, in qualità di presidente, Comitati per le Celebrazioni Nazionali.
Ultima in ordine di tempo, l’esperienza come Consigliere per la Cultura prima a fianco del Sottosegretario alla Editoria e Comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giuseppe Moles, poi a fianco del Vice Presidente della Camera dei Deputati Giorgio Mulè.
Identità forte, accoglienza, attrattività e promozione della lingua italiana: sono questi i punti cardinali su cui Elena Fontanella intende orientare da subito il suo percorso alla guida dell’Istituto Italiano di Cultura di Madrid.
Nella visione di Fontanella, lo storico Palazzo di Abrantes, sede dell’Istituto nella centralissima Calle Mayor, si configura come uno stilema culturale dell’italianità: un vero e proprio Palazzo Italia, capace di animare lo scenario e l’immaginario culturale dei madrileni, e dei tanti italiani residenti in Spagna, con la forza evocativa di un brand riconoscibile ovunque e da tutti.

Rock Jazz e dintorni: Dream Theater e Fabri Fibra

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Chiusura del Flowers Festival a Collegno con l’esibizione di Fabri Fibra. Al Set Scalo Eventi Torino Sonic Park concerto di Nino D’Angelo. Per AstiMusica in piazza Alfieri è di scena Tony Hadley (cantante dei Spandau Ballet).

Martedì. Per Sonic Park al Set Scalo Torino arriva Gianna Nannini. Al Blah Blah suonano i The Wind. Per Astimusica arriva Roberto Vecchioni

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana è di scena Leonardo Gallato. Per Sonic Park al Set Scalo Torino, si esibisce Jacob Collier. All’Hiroshima Mon Amour è di scena Vera Gheno. Al Blah Blah suonano i Private Function. Per Astimusica si esibiscono i Coma Cose.

Giovedì. Inaugurazione del “Due Laghi Jazz Festival” con il concerto del quintetto della vocalist Rossana Casale. Doppio appuntamento e chiusura per Sonic Park. Al Set Scalo Eventi Torino suonano i Dream Theater mentre al Parco della Certosa di Collegno si esibisce Paul Kalkbrenner. Vi sarà in realtà ancora un concerto il 19 novembre alle OGR con l’esibizione di Asco. A Cervere inizia l’Anima Festival con la cantante Noemi. Al Blah Blah suona la Momo Rock Band.

Venerdì.A Cervere per l’Anima Festival si esibisce Nek. Al Circolino suona l’Art Explorers Jazz 4Tet. Per Astimusica è di scena Alessandra Amoroso.

Sabato. Allo Ziggy sono di scena gli Zolle e a seguire Bezoar. Al Blah Blah suonano gli Hateworld+ Rawfoil. Per Cervere Festival si esibisce Marco Masini.

Domenica. Per Evergreenfest al parco della Tesoriera, suonano gli Smoking Monkey. A Cervere per “Anima Festival” è di scena Simone Cristicchi.

Pier Luigi Fuggetta

Il castello di Rivoli per i suoi 40 anni ospita la mostra ‘Inserzioni’

Protagoniste le opere di Guglielmo Castelli, Lydia Ourahmane e Oscar Murillo

Il castello di Rivoli presenta, nel solco dei festeggiamenti dei quaranta anni dell’istituzione, una nuova serie intitolata “Inserzioni”, un  nuovo formato volto a commissionare ad artisti contemporanei un’opera pensata per il castello, che saranno tutte esposte dal 26 settembre prossimo al febbraio 2026.
Gli artisti coinvolti nella prima edizione del progetto sono Guglielmo Castelli, nativo di Torino nel 1987, Lydia Ourahmane, nativa dell’Algeria nel 1992, e il colombiano Oscar Murillo, nativo della valle del Cauca nel 1986.

In  concomitanza con Inserzioni il Museo presenta anche l’opera vincitrice del Premio Collective 2025 ‘Culture Lost and Learned by Heart: Butterfly’,  del 2021 di Adiji Dieye ( Milano 1991)  e la recente acquisizione attraverso il bando PAC del Ministero  della Cultira italiano di “Mare con gabbiano” del 1967 di Piero Gilardi ( Torino 1942- 2023) e di a.C. di Roberto Cuoghi (Modena, Italia, 1973).

Ispirandosi alla formula inaugurata  dal primo direttore Rudi Fuchs per la prima mostra Ouverture del 1984, ogni artista è  invitato a creare un’opera specificatamente  concepita per una delle sale auliche del castello, quasi a collaborare con esse, attraverso il tempo storico.
Come per la prima mostra gli artisti verranno messi al centro del progetto, sottolineando il valore delle ricerche individuali di ciascuno di loro. Il Museo Intende mantenere la sua caratteristica apertura alle voci degli artisti come momento chiave nella scrittura della storia dell’arte. Questo modus operandi incorpora principi che oggi appaiono di sempre maggiore urgenza, come quello dell’inclusione, dell’apertura ad altre culture e di partecipazione sociale e culturale.
Una delle caratteristiche del castello di Rivoli è il suo carattere di luogo non finito, carattere che lo trasforma in contenitore che gli artisti possono letteralmente o metaforicamente completare inserendosi, tanto da far nascere degli allestimenti unici. Spesso le opere sono arricchite dal dialogo con le sale in cui vengono allestite e, dall’altro fronte, le sale a volte diventano più forti grazie agli interventi artistici in esse contenuti.
‘Inserzioni’ apre al pubblico da venerdì 26 settembre al febbraio 2026. Il progetto è sostenuto da Radical Comissioning Group, un gruppo ristretto di benefattori che crede, come il Museo, nella necessità di dare agli artisti carta bianca  per creare opere visionarie, dando la possibilità all’istituzione di estendere la propria voce.

Guglielmo Castelli ha lavorato a un nuovo corpo di opere da inserire nella sala affrescata dedicata ai Continenti. L’artista presenta una nuova serie scultorea, che vede alcuni personaggi che popolano i suoi dipinti sfuggire da essi per esibire in forma bidimensionale  in curiosi ambienti tridimensionali, un’idea di infanzia silenziosa e d’attesa. Realizzate su ritagli di carta, le figure umane delle opere sono coreografate attorno a piccole maquette di tavoli progettati dall’artista di un ambiente casalingo e teatrale immaginario. Alle pareti una serie di nuovi dipinti, tra cui uno monumentale di oltre tre metri, raffigurano le atmosfere fantastiche e condensate tipiche di Castelli, in cui si svolgono molteplici azioni, ripetute cadute e altrettanti fallimenti. Nella sala adiacente, lunga e sottile, sono esposte alcune opere su carta e, per la prima volta, una speciale presentazione dei materiali preparatori e dei quaderni di schizzi di Castelli, che comprendono  studi per i personaggi del suo mondo inventato, apparenti scarti che divengono ecosistema e stratificazione insieme a prove di composizione, che rivelano il processo di realizzazione delle sue opere.

Lydia Ourahmane ha realizzato la nuova commissione in collaborazione con la sorella Sarah, compositrice e musicista. Una composizione scritta per tre cantanti ipovedenti si sviluppa in tre stanze del museo. Appena visibile, ma percepibile al tatto, la partitura è incastonata nelle pareti di ogni stanza e rimane dunque permanentemente a disposizione per future esecuzioni. Ogni cantante, per leggere la partitura, si muove lungo i muri o le ringhiere del castello, seguendo con il tatto le frasi musicali.
Negoziando i limiti della composizione come linguaggio e della stessa in Braille come mezzo, la partitura viene interpretata dai cantanti mentre si muovono; il margine dell’interpretazione è  aumentato dalla coreografia spaziale perché i cantanti camminano mentre parlano. Quando si traduce una frase musicale  in Braille, la cella  a sei punti riporta uno dopo l’altro vari dati, tra cui l’altezza e il ritmo di ogni nota, oltre alla chiave e all’ottava in cui è  scritta la composizione. Le partiture si presentano come un’unica riga, con le loro note, la loro durata, l’altezza in ottave , le legature, le pause e le istruzioni comunicate in sequenza. Riducendo la quantità di ornamenti o istruzioni interpretative, ogni cantante apporta la propria logica personale ad ogni frase.  A dare forma alla partitura contribuiscono il coro di elementi composto dall’architettura, lo spazio e il corpo.
L’artista Oscar Murillo, in seguito ad una visita al Museo ha scelto la stanza 18 come ambientazione per la sua installazione site-specific,  “A See of History” del 2025, opera che riunisce 48 dipinti della serie Disrupted Frequencies di Murillo, esperendo l’opera dal basso, come un affresco caduto e sospeso nel tempo. Composta da un arazzo di tele intrecciate, provenienti dal database ‘Frequencies’ di Murillo, l’installazione esplora una tensione tra visione e vastità,  immaginando nuovi territori scolpiti in un mare di segni stratificati. Iniziata nel 2013, Frequencies prevedeva il posizionamento di tele vuote sui banchi di scuola di tutto il mondo e la cattura dei segni consci e inconsci lasciati dagli studenti. Concepite dall’artista come dispositivi di registrazione analogica, queste tele fungono da registro frammentato di una sequenza culturale e sociale globale. Su questi frammenti Murillo ha lavorato in varie tonalità di blu, applicando pennellate gestuali di pittura a olio e una miscela di pigmento iridescente che ricorda sia l’oceano sia il cielo, elementi che contemporaneamente legano e separano lo spazio geografico. In questo terreno sospeso, storia e tempo diventano fluidi, incerti, aperti alla riconfigurazione.

Mara Martellotta

Addio a Goffredo Fofi, il colto illiberale

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
Goffredo Fofi è stato l’esatto opposto della mia idea di uomo o donna di cultura. Quasi tutto ciò che ha prodotto va contro il mio modo di pensare. Gli sono grato per aver rivalutato Mario Soldati regista, ma lo ha fatto tardivamente. La mia gratitudine finisce qui, al massimo si allarga al fatto di  aver fatto conoscere in Italia il romanzetto più sconcio che  erotico “Emanuelle“ che contribuì a liberare il sesso dal perbenismo e consentì a noi giovani di liberarci della  nostra pruderie  adolescenziale.  E’ anche l’unico merito che riconosco al ‘68 che consenti’ una vita sessuale non inibita dai formalismi tornati con il politicamente corretto di questi anni. Ma la pubblicazione del libro Fofi la volle soprattutto  per finanziare la sua battaglia politica di estrema sinistra. Ha collaborato con tutti quelli che io non apprezzo: Danilo Dolci, Pier Giorgio Bellocchio, Lucio Lombardo Radice ecc. : tutto il comunistume possibile. Ha sostenuto nell’ esordio Baricco e Saviano, per non parlare di “Torino Ombre rosse” e “Quaderni piacentini”, la quintessenza della contestazione  sfociata nel 67 – 68.  Un  suo libro sull’immigrazione a Torino era così fazioso che l’Einaudi non lo pubblicò forse per non dispiacere alla Fiat. Ha incredibilmente rivalutato Totò ed è un altro dei suoi pochissimi meriti. Non ha mai avuto un seggio in Parlamento come tanti suoi colleghi, ma certamente è appartenuto al culturame engagé che tanto male ha arrecato alla cultura e alla scuola italiana. Fondò anche la rivista “Gli asini”, pur essendo un uomo colto. Appartenne a quella cultura illiberale che fece indignare Pannunzio. Su Wikipedia sta scritto che nel 1972 collaborò con Gaetano Salvemini morto nel 1957. E’ a gente come Fofi che va attribuita la crisi dei valori veri in nome di un’ideologia falsa, smentita in modo vistoso dalla storia.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Il caso Garlasco, il processo mediatico e la politica che inquina – Ius Scholae e altro – Lettere

Il caso Garlasco, il processo mediatico e la politica che inquina
Quando in estate i giornali riproponevano- in assenza di notizie –  i grandi processi del passato, era l’occasione per rinnovare qualche chiacchiera da bar tra i vacanzieri.  Per lo più si trattava di delitti riguardanti donne ammazzate o mantidi avvelenatrici dei loro amanti o mariti. Soprattutto erano i giornali della sera a riempire le loro pagine di storie passate, in mancanza di cronache presenti. Oggi l’interesse per il delitto di Garlasco e due giovani che,  secondo le diverse partigianerie, avrebbero ucciso la giovane Chiara, è diventato patologico. Mi è capitato di ascoltare un’attempata ex PM che non è mai neppure toccata dal dubbio perché i magistrati, anche quando sbagliano, hanno sempre  ragione come Mussolini  (ricordiamo il caso Tortora!) ha dichiarato che la condanna di Stasi è una condanna giustissima, malgrado due precedenti assoluzioni  che hanno scarsa importanza. L’ex magistrata,  tanto per non smentirsi mai, ha colto anche  l’occasione per attaccare il ministro Nordio. E’ stato patetico ascoltare una autentica fesseria da parte sua  come quella  di definire “sacre” le aule giudiziarie anche perché in uno Stato laico neppure le chiese dovrebbero considerarsi sacre, almeno  dalle leggi Siccardi in poi. L’ex Pm con toni da requisitoria della Santa Inquisizione ha definito ogni revisione del processo una delegittimazione della Magistratura che rientra nel piano più ampio del governo di rendere autoritario il Paese. Poi ho ascoltato dei giornalisti che porterebbero a sentirsi estranei alla categoria: hanno imbastito un processo mediatico che rende  le persone colpevoli o innocenti prima ancora che i processi abbiano inizio. La corporazione dei magistrati ha molto da farsi perdonare se un suo capo ha detto con disarmante sincerità  che occorrerebbero due magistrati vittime per riscattare la categoria.
La politica settaria  ha portato a smarrire per strada la terzietà, l’indipendenza , la riservatezza dei giudici tanto amata da Calamandrei, sempre citato a senso unico. C’è un Pm che ha dichiarato  nei giorni scorsi ai giornali  che lui ha il “dovere “ di parlare in Tv e altrove, magari anche in piazza, confondendo il diritto con il dovere  che, invocato a sproposito, è un’offesa per la grande maggioranza dei magistrati silenti che lavorano seriamente senza aspirare alla notorietà.  Ne ho conosciuto tanti, ne cito uno per tutti, quel Bruno Caccia ammazzato sotto casa che tirò sempre dritto per la sua strada, rifiutando perfino l’idea di scioperare che riteneva estranea allo stile di un magistrato. Il volto di Caccia era sconosciuto ai più mentre ci sono magistrati che anelano alle foto e alle interviste. Il delitto di Garlasco è in alcuni casi l’occasione non tanto per dare sfogo alla morbosità del popolino, ma alle sparate politiche più incredibili e faziose. Il diritto di cronaca non va mai confuso con la fuga di notizie: i giornalisti che ho citato si sono addirittura vantati di “aver messo  le mani nelle carte“ , fatto indebito in termini assoluti perché la segretezza degli atti giudiziari va sempre rispettata specie nella fase istruttoria. I processi indiziari sono molto delicati e andrebbe sempre ribadito che un indizio non è una prova e che i teoremi giudiziari sono l’esatto opposto della giustizia  che si fonda sui fatti. Nel dubbio deve valere l’antica massima latina  “pro reo”. Davvero questo Paese è molto mal messo se dà  voce e credibilità a certe persone che  non sanno nulla del Diritto che forse inconsciamente calpestano con disinvoltura, senza tenere conto che dietro ad ogni delitto ci sono vittime da rispettare e imputati che vanno considerati innocenti fino al terzo grado di giudizio. Anche l’uso e l’abuso del carcere preventivo adoperato durante Tangentopoli per far parlare gli accusati, è  una forma di barbarie da condannare.  Ascoltando l’altra sera certi discorsi che rivelano una certa oscenità anche morale, ho pensato al mio amico Vittorio Chiusano che sperava , sia pure tra qualche dubbio – il dubbio dei liberali – che la Legge Vassalli avrebbe cambiato le cose. Purtroppo  non è  stato così e la musica  non cambierà mai fino a che il Parlamento non vari una vera riforma della Giustizia.
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Ius Scholae e altro 
All’indomani di un referendum in cui gli Italiani con il non voto e con il voto (ambedue strumenti ammessi dalla Costituzione che ha fissato un quorum di votanti per ritenere valido un referendum) hanno bocciato in modo massiccio l’abbassamento da 10 a 5 anni  il periodo  per l’acquisizione della cittadinanza italiana appare quasi  una boutade estiva quella dello Ius Scholae. L’acquisizione della cittadinanza attraverso la frequenza di una scuola italiana potrebbe anche essere una strada percorribile, ma oggi l’attuale opposizione è arroccata su posizioni iper-  permissive in materia di immigrazione che non consentono compromessi.
E’ chiaro che c’è gente in Italia che vuole i voti degli immigrati per ottenere una maggioranza che non ha mai realmente avuto. L’uso strumentale degli immigrati, non la loro integrazione è l’intento che muove una certa parte politica che osò far eleggere un deputato nero che ha intrallazzato in modo indecente  sulla immigrazione. Certo i diritti degli immigrati vanno riconosciuti, ma quello di voto è un’altra cosa. Io lo toglierei, come ho scritto più volte, a gran parte degli Italiani all’estero che non pagano tasse in Italia e sono ormai lontani sotto ogni punto di vista con la madre patria. Non è giusto che decidano sul futuro di un Paese che non conoscono. La stessa materia delle due cittadinanze andrebbe rivista in modo restrittivo perché il diritto di voto è una cosa seria per chi crede davvero nella democrazia partecipata.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Per Fusi sala pienissima, ma troppi assenti ingiustificati
Nella sala rossa del consiglio Comunale ho avuto il privilegio di ascoltare la sua  straordinaria orazione e quella del procuratore generale Marcello Maddalena, ma  ho avuto anche il dolore di vedere l’assenza di tutte le associazioni partigiane, dei Granatieri di Sardegna, dell’Ordine Mauriziano di cui Fusi fu presidente,  dell’Istoreto e del liceo d’Azeglio, ormai in mano a giovani turchi incredibili. Cosa ne pensa?  G. Ramella Figlio di un partigiano
Cosa vuole che ne pensi? L’andazzo dell’ oblio e degli studiati silenzi è ormai predominante. Ringrazio la presidente del Consiglio Comunale Grippo per aver voluto la commemorazione che ha presieduto fino alla fine, malgrado non stesse bene. E ringrazio gli ex consiglieri comunali presenti che sono davvero emeriti. Un solo consigliere in carica ha partecipato, l’ing. Ferrante  De Benedictis. C’è stata anche una fugace apparizione di Viale, ma poi ha capito che il tema Fusi non era per lui ed è uscito. Così si è perso del mio discorso l’incontro tra Fusi e Pannella nel 1974 al centro Pannunzio. A me è bastata la presenza di Giovanni Quaglia ex presidente della Crt ed esponente di spicco del mondo cattolico, per sentirmi  onorato e contento. Molti politici quel giovedì erano al funerale dell’ex direttore di Torino 2006 e hanno messo in secondo piano Fusi.
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(Nella foto di copertina la Sala Rossa in occasione della celebrazione in onore di Valdo Fusi, sopra e sotto altre immagini dell’evento)
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Scena muta agli orali
I casi dei quattro studenti promossi alla Maturità, malgrado la “scena muta” agli orali sono scandalosi, come vergognosi sono i giornalisti che esaltano questa nuova forma di contestazione a costo zero . E ovviamente anche la commissione che promuove senza che tutte le prove siano state affrontate, merita un biasimo sociale  evidente.
Cosa ne pensa? Loretta Galli
Penso che la Maturità vada ripensata, specie se consideriamo che già durante l’ultimo anno scolastico ci sono studenti che superano la prova di accesso a corsi universitari, di fatto vanificando le successive prove dell’Esame di Stato. Quest’ultimo è diventato un proforma con crediti per gli ultimi tre anni di frequenza scolastica, i due scritti e gli orali. Facendo la somma, si ha il voto finale, come fossimo ad un concorso di bellezza o al premio Strega. Così i due che si sono sottratti all’orale, sapendo i punteggi di ammissione e degli scritti,  hanno fatto i loro conti e hanno pensato che, avendo raggiunto la sufficienza, potevano sottrarsi alla prova orale che invece  è quella decisiva per valutare la maturità di un allievo. È infatti  nel dialogo collegiale con la commissione che si può verificare la maturità di un giovane. Le prove scritte potrebbero anche essere state copiate o non essere del tutto frutto dell’impegno dello studente. La possibilità di “contestare” la prova orale, sottraendosi all’orale in una scuola seria non può essere ammessa.  Se si contesta il sistema dei voti non si capisce perché non vengano contestati i voti dei due scritti che non sempre sono corretti in modo collegiale perché, ad esempio, una versione dal greco non può essere corretta collegialmente da una commissione in cui sono presenti persino gli insegnanti di ginnastica. Solo commissioni conformiste e pavide reagiscono alla contestazione, promuovendo oves et boves. La maturità così raggiunta è un foglio di carta e nulla di più. La valutazione complessiva dell’allievo non c’è più. È un calcolo di punteggi che può essere affidato ad una calcolatrice più che ad una commissione d’esame. Urgono provvedimenti volti ad abolire l’esame farsa o a ristabilire regole certe che giustifichino un esame vero.
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Libri e cioccolato
Al posto della libreria Luxemburg, erede della storica libreria Casanova, il proprietario dei muri Angelo Pezzana, già’ deputato radicale e fondatore del Fuori, ha pensato bene di affittare i locali a Venchi, cioccolato e gelati. Un pugno in un occhio in una piazza storica come la piazza Carignano. E nessuno dice nulla, ovviamente. Salvatore Alinovi
Se hanno ottenuto  le  licenze, c’è poco da discutere. La libreria fondata da Pezzana ha dovuto sloggiare in altri locali perché Pezzana l’aveva legittimamente venduta,  tenendosi i locali: era ormai più che ottantenne e con problemi di salute. Che una libreria diventi un negozio di cioccolato può dar fastidio, ma questo appartiene al degrado progressivo dell’immagine  della Città. Uno come Valdo Fusi non sarebbe stato zitto.