CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 25

In scena al Gobetti la pièce “Anna Cappelli” dell’autore napoletano Annibale Ruccello

Debutto martedì 11 novembre, alle ore 19.30, presso il teatro Gobetti, della pièce teatrale “Anna Cappelli” di Annibale Ruccello, diretta dal drammaturgo e regista argentino Claudio Tolcachir, interpretato da Valentina Picello, recentemente insignita del premio ANCT -Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. La scenografia è di Cosimo Ferrigolo, le luci di Fabio Bozzetta. Lo spettacolo, co-prodotto da Carnezzeria, Teatro di Bari e Teatro di Roma, Teatro Nazionale in collaborazione con AMAT & Teatri di Pesaro per RAM Residenze Artistiche Marchigiane, resterà in scena al Gobetti fino a domenica 16 novembre prossimo. Al centro del testo di Ruccello, che il regista argentino Claudio Tolcachir non aveva conosceva prima, cosiccome le precedenti interpretazioni italiane di Anna Marchesini o di Maria Paiato, vi è la protagonista femminile Anna, giovane impiegata, oppressa dalla famiglia e dalla padrona di casa, una giovane che tenta con tutte le sue forze di emanciparsi per costruire la vita che ha sempre desiderato. Cruciale nel suo percorso è l’incontro con l’ingegnere Tonino Scarpa, che le propone una convivenza a due condizioni: no al matrimonio e ai figli. Nonostante l’offerta di Tonino non rispecchi del tutto i sogni di Anna, lei accetta, e i successivi tentativi della donna di autodeterminarsi si trasformeranno presto in ossessione, fino ad approdare a un tragico epilogo.

“Si tratta di un testo che si interroga sul ruolo della donna nel tempo – dichiara Claudio Tolcachir – l’indipendenza, la prospettiva di futuro e la solitudine, la mancanza di mezzi e risorse emergono con un umorismo pungente e assurdo all’interno della pièce, che ci conduce attraverso i labirinti della mente di un personaggio inconsueto e pieno di contraddizioni, commovente e imbarazzante al tempo stesso. Ognuno di noi potrebbe incrociarla nella propria vita, ma potremmo anche sentirci come lei, così impotenti da prendere le decisioni peggiori. La pièce teatrale è un gioiello sul corpo di un’attrice unica, Valentina. La sua sensibilità, la sua immaginazione, l’infinita delicatezza del suo humour danno a questo testo un’impronta unica e fresca. Una proposta molto netta: questa donna, il pubblico e la vita in mezzo a loro, lo humour e la tragedia mischiati, quel sorriso doloroso che attraversa gli spettatori e non li lascia mai indifferenti”.
Annibale Ruccello, scomparso nel 1986, a trent’anni, è oggi un autore di culto, dalla voce lirica e beffarda. Arrivato dalla scuola di Roberto De Simone, rappresenta la punta di diamante della drammaturgia napoletana accanto a Enzo Boscato e Manlio Santanelli. Attraverso i suoi testi ha raccontato la deriva della nostra società servendosi di una scrittura oscillante tra la verità del dialetto e la parodia, intrecciando echi storici con il quotidiano. “Anna Cappelli” si può considerare come una black comedy tra ossessione e solitudine.

Teatro Gobetti – via Rossini 8, Torino

11 – 16 novembre “Anna Cappelli”

Orario: martedì, giovedì, sabato ore 19.30 / mercoledì, venerdì ore 20.45 /dedicata ore 16

Biglietteria: teatro Carignano, piazza Carignano 6, Torino – 011 5169555 – biglietteria@teatrostabiletorino.it

Mara Martellotta

Rock Jazz e dintorni a Torino: Edoardo Bennato e Richard Galliano

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Lunedì. Al Lambic suona il fisarmonicista Richard Galliano. Al Teatro Alfieri arriva Edoardo Bennato.

Mercoledì. Al teatro Colosseo si esibisce Filippo Graziani. All’Off Topic è di scena il trio Fonema- Garau- Giachino. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Mùm.

Giovedì. All’Hiroshima sono di scena gli Studio Murena. Al Magazzino sul Po si esibiscono gli Aldways + Dirty Noise. Al Blah Blah suonano i Fvzz Popvli + Giulia.

Venerdì . Al teatro Colosseo si esibiscono i 40 Fingers. All’Off Topic è di scena Anna And Vulkan. Al Magazzino sul Po suonano gli Earth Ball + Shizune. All’Hiroshima si esibiscono i Sarafine. Al Cap 10100 sono di scena Generic Animal and Devin YU. Al Circolino suonano gli After Dark Experience. Al Blah Blah si esibiscono I Monaci del Surf.

Sabato. Allo Spazio 211 è di scena Mille. Al Blah Blah suonano gli Scream 3 Days + Deathox.

Domenica. Alla Divina Commedia si esibiscono i Girinsoliti. Al Blah Blah suona Bob Wayne special guest Munly J Munly.

Pier Luigi Fuggetta

A Torre Pellice “Una Torre di libri”

Il festival letterario “Una Torre di libri” torna a novembre e dicembre a Torre Pellice con nuovi appuntamenti “fuori stagione”. Si parte venerdì 14 novembre alle 21 con la presentazione di “Ed ecco, io vi manderò il diluvio” di Stefano Fenoglio, in dialogo con Marco Baltieri e il pastore Davide Rostan. Il secondo appuntamento è in programma sabato 22 novembre alle 17, quando Monica Cristina Gallo presenterà “18 + 1. Diciotto anni e un giorno” insieme a Claudio Foti. Venerdì 28 novembre alle 21 sarà lo stesso Claudio Foti a parlare del suo libro “Sopravvissuto. Il dramma di Bibbiano”, dialogando con Lorenzo Tibaldo. Sabato 29 novembre alle 17 Egon Botteghi presenterà invece “Storie di genitori trans*”, in un confronto con l’avvocata Sara Moiso. “Una Torre di Libri – Fuori Stagione” proseguirà venerdì 5 dicembre alle 21 con “La libertà è un organismo vivente” di Beppe Battaglia, a confronto con Andrea Bouchard e con il pastore Ciccio Sciotto. Venerdì 12 dicembre alle 21 sarà la volta del volume “Donne e religioni in Italia” di Alessia Passarelli ed Elisabetta Ribet. Infine, sabato 13 dicembre alle 17 verrà presentato “La traccia di Toni” di Gian Luca Gasca, in dialogo con Roberto Rigano.

Promossa dal Comune di Torre Pellice e patrocinata dalla Città metropolitana di Torino, la rassegna è stata realizzata in collaborazione con gli organizzatori dell’edizione estiva di “Una Torre di Libri” e con diverse associazioni locali. Tutti gli appuntamenti sono ad ingresso gratuito e si svolgeranno nella Civica Galleria Filippo Scroppo di via via Roberto d’Azeglio 10.

La generazione Z, ultima anche dell’alfabeto

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Pier Franco Quaglieni

La generazione Z forse è una delle tante semplificazioni sociologiche volte a creare categorie di persone. Io ho sempre diffidato dalla sociologia ,ma in effetti  la generazione Z esplosa quest’anno nelle manifestazioni pro Pal non è una semplice catalogazione sociologica. Ha riempito le piazze italiane e ha occupato le università, lasciandosi andare anche al vandalismo . L’episodio di uno studente torinese che ha puntato una pistola (per fortuna giocattolo, ma del tutto simile al vero) contro un suo docente, lascia un po’ sbigottiti anche se le generalizzazioni sono sempre sbagliate e non basta un caso per creare un fenomeno. La generazione Z sarebbe  la generazione dei nati a partire dagli ultimi anni ‘90, quelli  che invece del biberon hanno convissuto con i pc e gli Smartphone. In parte può essere una definizione temporale vera, ma in parte i tanti difetti che ho voluto elencare, raccogliendo esempi attinti negli ambiti più disparati,  a ben vedere, appartengono anche ad altre generazioni, compresa, almeno in parte , anche alla mia .I giovani della generazione Z – è stato scritto autorevolmente  –  a scuola- quando l’hanno frequentata – hanno scelto studi tecnici e scientifici, schifando quelli classici. Il Latino e il Greco sono supplizi arcaici e inutili a loro modo di vedere da evitare. A scuola – va detto a loro parziale discolpa – hanno avuto professori più simili a profumieri o profughi, come diceva nei momenti di ironica  sincerità il vecchio Bruno Segre. Prof. imbevuti dei peggiori cascami settantottini, iscritti al Cobas della Scuola, sempre pronti a scioperare. Erano così distanti dalla funzione docente da parlare  solo sempre sempre di salario. Non potevano capire cosa dovesse essere un professore e infatti hanno impersonificato  i nuovi travet in jeans e giacca a vento. Fare una lezione degna di questo nome era un obiettivo impossibile. I loro allievi della generazione Z  non sanno cosa sia una cravatta o un abito completo o anche solo una giacca  o un paio di  scarpe in pelle. Hanno una divisa h 24 fatta di vestiti a volte anche sbrindellati che loro considerano i migliori.

Si presentano agli esami universitari scamiciati, come per altro ,fanno tanti loro professori. Non leggono giornali, al massimo sfogliano “ Il fatto“ e snobbano la Tv, anche se amano Crozza e la Litizzetto. Non leggono neppure libri e non sanno cosa sia una biblioteca o tentare di costituirne una personale. Non sanno neppure chi siano i grandi Classici. Di fronte ad un terzina dantesca si troverebbero in serio imbarazzo, anche potendo usufruire di note. Quando scrivono, i periodi formati di soggetto, verbo, complementi sono un retaggio del passato. La sintassi del periodo è cosa del tutto sconosciuta.  Quando ascoltano un discorso fatto da altri che non siano  i loro coetanei, stentano a capire il senso del discorso. Se leggono un testo che non sia la cronaca di una partita di calcio, si arenano dopo poche righe. Tendono a dare del tu a tutti indiscriminatamente ,non rispettano i titoli accademici degli altri, ritengono che uno sia uguale ad uno. Infatti sovente votano grillino. Vedono in Appendino la loro leader maxima. Vogliono ridurre o, meglio, annullare le disuguaglianze perché questo è  l’unico modo che hanno per far  carriera, demolendo quella degli altri. Da ambientalisti doc amano la decrescita felice delle città, vanno in bici e pretendono, quando sono in sella, la precedenza assoluta. Amano tantissimo anche i monopattini su cui vanno senza fare uso del casco. Ritengono la cultura un inutile retaggio del passato e vivono solo nel presente. Sono aridi, totalmente privi di ideali, forse anche abbastanza cinici.

Il pc è come una protesi del loro cervello che, di norma, ha dimensioni minime. Stranamente del passato si ricordano solo del fascismo e credono che esso sia vivo e vegeto anche oggi. Lo combattono a colpi di slogan in cui confondono la Resistenza italiana con il 7 ottobre del massacro degli israeliani, sono totalmente privi di senso della storia, mancano di coordinate culturali, anche le più elementari. Se, per assurdo, dovessero ripetere ciò che fecero i partigiani, si rivelerebbero totalmente privi di coraggio. La Patria per loro è un’idea truffaldina. Sanno a memoria solo l’inizio dell’articolo 11 della Costituzione che recitano come una giaculatoria laica .Hanno invidia nei confronti di chi ha fatto una qualche carriera, disprezzano gli anziani verso cui manifestano un’evidente e cinica ingratitudine. Non amano visitare gli ammalati, anche se sono loro parenti. La religione per loro è un orpello del passato (al massimo sono filo islamici), non vanno neppure al cimitero a visitare i nonni della cui benevolenza pure  hanno goduto in modo smisurato.  L’inverno demografico  è in prevalenza causa loro perché considerano il matrimonio un qualcosa di arcaico, mentre vedono l’omosessualità una delle cose più naturali e vedono nella fluidità sessuale un diritto civile. Il loro femminismo è totale e assoluto almeno a parole.

Poi nella vita privata ognuno si regolerà come vuole. Questa generazione lascerà ai posteri le macerie di un nichilismo neppure consapevole che li ha resi vecchi prima ancora di invecchiare. Non pensano a mettere su famiglia, ma gigioneggiano con l’auto di papà, quando il monopattino non basta. Ovviamente non hanno mai pensato ad associarsi ad un‘associazione culturale che forse  ritengono l’anticamera dell‘obitorio. In fondo non sanno neppure mangiare in modo adeguato .Sono quasi sempre vegani intransigenti  e intolleranti e sono la causa inconsapevole  del declassamento della cucina e dei ristoranti perché a loro piace solo il panino imbottito all’amerikana, ovviamente quello prediletto dal nuovo sindaco di New York. Hanno un‘idea della droga molto edulcorata ed a volte ricorrono ad essa  per trovare delle emozioni.  Cosa verrà fuori da questa generazione Z ? Forse la fine del mondo o almeno un secondo diluvio universale. Forse continuerà all’infinito il grigiore del nuovo millennio in attesa di una terza guerra mondiale. Le “magnifiche sorti e progressive “ sono con loro comunque  davvero finite.

“Bianco al Femminile”. In mostra sei secoli di autentici capolavori tessili

Appartenenti alle Collezioni di “Palazzo Madama”

Fino al 2 febbraio 2026

Occasione contingente, il riallestimento della “Sala Tessuti”. Da questa pratica incombenza, nasce una mostra di notevole valore culturale, storico e didattico che racconta, attraverso sei secoli di altissima arte tessile una storia che passa per ricami minuti e intricati e preziosi merletti, arrivando al più iconico degli abiti femminili di colore bianco, il colore naturale della seta e del lino: l’abito da sposa. Si presenta così la mostra dal titolo (non per nulla) di “Bianco al Femminile” curata da Paola Ruffino e allestita nella “Sala Tessuti” di “Palazzo Madama” fino a lunedì 2 febbraio 2026. In rassegna, trovano adeguato spazio cinquanta manufatti tessili, appartenenti alle Collezioni del Palazzo che fu “Casa dei secoli” per Guido Gozzano, di cui sei restaurati per questa precisa occasione e quattordici esposti per la prima volta: autentici capolavori nati dal sorprendente lavoro (più che artigianale) passato, per tradizioni secolari, attraverso “mani femminili” che hanno operato con minuta diligenza sul “ricamo in lino medievale”, così come sulla lavorazione dei “merletti ad ago” o “a fuselli” o ancora sul “ricamo in bianco su bianco”. Donne artigiane, donne artiste, donne “autrici, creatrici, nonché raffinate fruitrici e committenti di tessuti e accessori di moda”. Comune fil rouge, per tutte, il colore bianco, colore “in stretta connessione, materiale e simbolica, proprio con la donna”. E che trova il suo massimo apice in Francia e in Europa, sul finire del XVIII secolo, complice il fascino esercitato dalla statuaria greca e romana su una moda che guarda, affascinata non poco, all’antico. “Le giovani – si legge in nota – adottano semplici abiti ‘en-chemise’, trattenuti in vita da una fusciacca; il modello del ‘cingulum’ delle donne romane sposate, portato alto sotto al seno, dà avvio ad una moda che durerà per trent’anni. I tessuti preferiti sono mussole di cotone, garze di seta, rasi leggeri, bianchi o a disegni minuti, come le porcellane dei servizi da tè”.

Dal XIV – XV secolo fino al Novecento (dietro l’angolo) l’iter espositivo prende avvio dai primi “ricami dei monasteri femminili”, in particolare di area tedesca e della regione del lago di Costanza (lavorati su tela di lino naturale e poi diffusisi, per la povertà dei materiali e per la facilità di esecuzione, anche in ambito domestico – laico, per la decorazione di tovaglie e cuscini) per poi passare a documentare la lavorazione del “merletto” nell’Europa del XVI e XVII secolo che vide protagonisti i lini bianchissimi e la straordinaria abilità delle “merlettaie veneziane e fiamminghe”. In rassegna una scelta di bordi e accessori in pizzo italiani e belgi illustra gli eccezionali risultati decorativi di quest’arte “esclusivamente femminile”, che nel Settecento superò gli stretti confini della casa o del convento e si organizzò in “manifatture”. E proprio l’inizio della “produzione meccanizzata” causò, nel XIX secolo, la perdita di quell’insostituibile virtuosismo nell’arte manuale del “merletto”, che riemerse invece nel ricamo in filo bianco sulle sottili “tele batista” (in trama fatta con filati di titolo sottile) e sulle “mussole” dei “fazzoletti femminili”. Quattro splendidi esemplari illustrano l’alta raffinatezza raggiunta da questi accessori, decorati con un lavoro a ricamo che restò sempre un’attività soltanto al femminile, anche quando esercitata a livello professionale.

L’esposizione si conclude nel XX secolo con uno dei temi che più vedono uniti la donna e il colore bianco nella nostra tradizione, l’ “abito da sposa”, con un abito del 1970, corto, accompagnato non dal velo ma da una avveniristica cagoule (cappuccio), scelta non scontata “che ribadisce la forza e la persistenza del rapporto tra l’immagine della donna e il candore del bianco”.

La selezione di tessuti è accostata nell’allestimento a diverse “opere di arte applicata”, fra cui miniature, incisioni, porcellane e legature provenienti dalle Collezioni del “Museo”. 

In occasione del nuovo allestimento delle Collezioni Tessili, “Palazzo Madama” propone, inoltre, un laboratorio di cucitura in forma meditativa” a cura di Rita Hokai Piana nelle giornate di sabato 15 e 22 marzo, 5 12 aprile,  dalle ore 10 alle ore 13. Tutte le info su: www.palazzomadamatorino.it

Gianni Milani

“Bianco al Femminile”

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it

Fino al 2 febbraio 2026

Orari: lun. e da merc. a dom. 10/18; mart. chiuso

 

Nelle foto: “Sala Tessuti” (Ph. Studio Gonella); Caracò, Italia 1750-60; Corpetto, Germania sud-occidentale, 1750-75

 Eleonora Setaro e Giulia Donini in “Gigi e Luigi”

Il Piccolo Teatro Comico, con il patrocinio di Regione Piemonte, Città di Torino e Città Metropolitana di Torino, Circoscrizione 2 di Torino, e in collaborazione con altri Enti, presenta la stagione teatrale 2025/2026, il cui tema è “Punti di vista, armonie”. Una stagione unica comprendente diverse forme teatrali: dal teatro comico a quello di prosa, da quello del genere lgbtq+ al teatro danza, dalla stand up comedy al cabaret e musica, fino alla commedia. Il progetto nasce da un’esigenza del Piccolo Teatro Comico nel rendere la cultura un via da percorrere, incrociando il cammino di uomini e donne con esperienze diverse, tutte preziose, che si arricchiscono incontrandosi, scontrandosi e premiandosi a vicenda, tenendo conto del rispetto, in tutte le sue forme, verso gli altri e la natura che li circonda. Gli spettacoli danno spazio all’idea di integrazione.
Venerdì 14 novembre, alle ore 21, Eleonora Setaro e Giulia Donini interpreteranno la pièce  “Gigi e Luigi”(lgbtq+). Gigi e Luigi sono due frizzanti cabarettiste della Ville Lumière di Parigi, negli anni Venti del secolo scorso, che una sera esagerano con la baldoria e si ritrovano per qualche ragione catapultati nel 2025. Questo viaggio nel tempo, apparentemente irreversibile, li costringe a provare a integrarsi nella società odierna, e cercare di mantenersi come artiste squattrinate, da grandi star quali erano. In un ritmo incalzante di gag e sagace comicità, lo spettacolo affronta tematiche come l’identità di genere, l’orientamento sessuale, il transfemminismo, il precariato nel mondo dell’arte e la crescente limitazione delle libertà individuali, destreggiandosi tra clown, drag queen, drag king, danza e teatro fisico.

Il Piccolo Teatro Comico, costituito nel 2002, è la continuazione di un progetto artistico e di una poetica teatrale iniziata nel 1988 con uno stesso staff denominato, all’epoca, ‘Canovaccio’. Obiettivo artistico e di programmazione del Piccolo Teatro Comico, la rivalutazione del concetto di teatro, partendo dalla commedia e dal “classico”, da proporre nella sua essenza primordiale fino a performance di spettacolo eterogeneo, dalla danza al cabaret, al teatro multietnico e di genere, creando uno spazio organico vivo, che possa raggiungere un pubblico vario che frequenti il teatro in modo attivo e creativo.

Info e prenotazioni: Franco Abba – 339 3010381

Piccolo Teatro Comico: via Mombarcaro 99/B, Torino

Mara Martellotta

“Ritorno a casa” di Harold Pinter, regia di Massimo Popolizio

Al Teatro Carignano sarà di scena, dall’11 al 16 novembre, la pièce , che ne è anche l’interprete, con Christian La Rosa, Paolo Musio, Alberto Onofrietti, Eros Pascale e Giorgia Salari, con la Compagni di Umberto Sini Teatro di Roma-Teatro Nazionale Piccolo Teatro di Milano.

“Ritorno a casa” è il celebre capolavoro di Harold Pinter che, a sessant’anni dalla sua prima rappresentazione, mantiene intatta la sua forza nell’esplorare le dinamiche familiari distorte, il potere, la violenza e la disgregazione dei rapporti. Ambientato in una claustrofobica casa nella periferia di Londra, lo spettacolo ritrae un vero e proprio “gruppo di famiglia in un interno”, in cui si innesca una tensione di desideri repressi. In questo soffocante contesto casalingo, la cui solitudine è spezzata solo da continue liti familiari, è presente il padre, Max, interpretato da Popolizio, ex macellaio e frequentatore di ippodromi, con i suoi figli Lenny (Christian La Rosa), un trentenne con tendenze mitomani che si vanta di avventure erotiche violente, e Joey (Alberto Onofrietti), il fratello più giovane, aspirante pugile professionista, il più fragile della famiglia. Insieme a loro convive lo zio Sam (Paolo Musio), che vive a spese del fratello Max, da cui subisce costanti rimproveri. Il precario equilibrio familiare verrà sconvolto dall’arrivo notturno del figlio Teddy (Eros Pascale), affermato professore di filosofia che, dopo sei anni, torna dall’America con l’enigmatica moglie Ruth (Giorgia Salari), madre dei loro tre figli e unica figura femminile in un contesto tutto maschile, che accende desideri e scatena dinamiche conflittuali. Il cinismo e la cattiveria di Harold Pinter raggiungono la massima espressione in quest’ opera del 1964 dalla struttura quasi cinematografica, che Massimo Popolizio riesce a tradurre in una messa in scena divertente, muovendosi tra umorismo e tragedia, con un ritmo da “spartito emotivo linguistico” per svelare le tensioni psicologiche e i silenzi eloquenti tipici della scrittura di Pinter. Con un approccio radicale e innovativo, Popolazione affronta questo testo fondamentale del teatro contemporaneo, portando alla luce le più inquietanti verità sulla natura umana e sulle dinamiche di potere all’interno della famiglia.

Teatro Carignano: piazza Carignano 6, Torino

Biglietteria: biglietteria@teatrostabiletorino.it – tel: 011 5169555

Orario spettacoli: martedì, giovedì, sabato ore 19.30 / mercoledì, venerdì ore 20.45 / domenica ore 16

Mara Martellotta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: I professori gabbati e difesi dalla CGIL – Giù le mani dalla Lancia – La vivandiera delle Br – Lettere

I professori gabbati e difesi dalla CGIL
È stato finalmente firmato il contratto collettivo di lavoro per i docenti con aumenti poco significativi e in ritardo di un triennio. Chiuso il contratto, si dovrebbero subito riaprire altre trattative. Hanno firmato tutti, salvo la CGIL. Snal e Gilda si sono allineati a UIL e CIsl, tradendo il sindacato autonomo. I professori non sono mai stati nelle corde dei sindacati confederali che sono sempre partiti dal fatto che i docenti non lavorano. Fu la CGIL a chiedere 36 ore per i docenti come per gli impiegati, senza neppure capire cosa significhi insegnare, un mestiere atipico e non confrontabile con quello di un impiegato. La CGIL volle anche la bollatrice per i professori per equipararli ai bidelli, promossi ad operatori scolastici. Ebbene, questa volta è la CGIL di Landini a non firmare il contratto che certo non è entusiasmante. I docenti sono considerati a destra degli irrecuperabili sinistroidi, una vera enclave di faziosità.
In parte è così, ma mettersi contro i docenti non è una politica giusta ,capace di guardare al futuro. Molti docenti – pensiamo ai fanatici proPal – sono intollerabili, ma non costituiscono la totalità della categoria. Solo quando i professori di rifiutarono per mesi di svolgere gli scrutini, ottennero un trattamento decoroso degno del loro ruolo professionale. Era  ministro della Funzione pubblica l’andreottiano Pomicino che dovette cedere ai docenti per una volta uniti, malgrado la fronda dei presidi della CGIL. Eravamo alla fine del secolo scorso. Poi la CGIL prese il sopravvento, avendo anche ministri alla PI  comunisti come Berlinguer  e De Mauro e  che fecero il bello e il cattivo tempo alla Minerva, esercitò un’egemonia soffocante nella e  sulla scuola di ogni ordine e grado, esclusa l’ Università di cui si occuparono  direttamente  il partito, le sue cellule, i diversi compagni professori che fecero terra bruciata del dissenso. Adesso che la CGIL  non firmi il contratto è un fatto nuovo e contraddittorio perché quel sindacato è stato la rovina della classe docente italiana.
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Giù le mani dalla Lancia
Ho letto che Stellantis cerca di mettere,  a livello museale, le mani sulle auto Lancia che non ha mai prodotto perché ai vertici  c’era il grande Vincenzo Lancia, non un battilastra qualsiasi. E’ incredibile. Aprilia, Ardea, Aurelia, Appia, Flaminia  sono auto prodotte quando la Lancia era una temibile concorrente di  Fiat che faceva  orribili Topolino e Mille cento. Mio padre, finché le Lancia non passarono nelle mani della Fiat, ebbe sempre quelle macchine che erano anche un segno di distinzione.
Quando volle portarmi a inaugurare l’Aurelia, mi portò al famoso ristorante “il Muletto “ in corso Casale. Al parco Michelotti era in corso la festa del’ “Unità “All’ uscita dal locale si trovò il cofano rigato e con una sigaretta accesa che ne compromise la vernice. Vedere auto Lancia dava fastidio anche agli operai dell’Avvocato impegnati a cuocere salamelle. Io comprai solo una Lancia  Prisma ormai costruita da Fiat. Una macchina maledetta. Dovettero sostituirgli il motore dopo due mesi perché l’olio circolava male e dopo due fermi, uno dei quali in autostrada e un altro nella salita di Superga, la vendetti. La vendetti di corsa e comprai una BMW che non mi diede mai il più piccolo problema. Stellantis non metta le mani sul passato Lancia. Persino il figlio di Vincenzo Lancia, trasferito all’estero a fare la bella vita,  fu tutto sommato meglio di certi successori dell’avvocato perché non pretese di fare l’imprenditore e non vendette a stranieri.
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La vivandiera delle Br
E ‘ morta la vivandiera delle Br che portava il cibo nel carcere di Moro e che freddò il prof. Bachelet. Non la nomino neppure, ma credo di dover dire con fermezza che i giornali non debbono dedicare una pagina intera ad una persona spregevole che non merita la minima attenzione.
Il figlio di Bachelet come il figlio del Commissario Calabresi, l’ha perdonata. Io resto dell’idea del mio amico Massimo Coco che ebbe il padre magistrato ucciso delle Br e che non ha mai perdonato agli assassini. Quello è un passato che non passa e chi scrive sui giornali dovrebbe almeno andarci più cauto.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Iniziative culturali “fuori casa”
L’assessore Purchia è un assessore alla cultura forse simile  al faziosissimo maestro elementare Balmas, che seguiva le regole di partito per sostenere solo iniziative legate ai partiti di maggioranza? Non risponde neppure alle lettere. Quasi fosse una funzionaria  di partito messa a vigilare davanti a un bidone di benzina. Adesso segnala una proposta di finanziamento della Fondazione San Paolo che riguarda “iniziative culturali  fuori casa e  fuori dai luoghi convenzionali,  diversificando la base sociale e favorendo un maggior accesso per tutte e tutti“( sic!) Cosa significa?   Ettore Vincenzi
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Cosa significhi non so.  La cosa mi puzza. Con me è in debito, dopo due colloqui, di una risposta che non è mai venuta. Silvia Croce che la conosceva al “San Carlo” di Napoli, mi mise in guardia su questa “stakanovista prestata alla cultura”.  Mi sembra una follia da parte del San Paolo finanziare chi fa iniziative fuori delle sedi deputate  e non finanziare neppure con un centesimo chi svolge con regolarità e successo manifestazioni frequentate, oggetto di facile riscontro. L’eredità del presidente – rettore e ministro e quant’altro prof.   Profumo e di certi “scagnozzi” del Polo del 900 è rimasta viva. Forse sono io che non capisco, ma in compenso ricordo la loro faziosità inutile e offensiva.
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Emanuele Filiberto e il Principe Aimone
Sono un ragazzo di 17 anni che ama profondamente la storia del proprio paese e ne vede in Casa Savoia la protagonista. Ho letto con attenzione il commento che il Professor Pier Franco Quaglieni ha rilasciato su iltorinese.it riguardo il Principe Emanuele Filiberto di Savoia e il Principe Aimone e non posso essere d’accordo con quanto ha scritto. Cosa c’è di male nell’essere cordiale con degli inviati di Striscia la Notizia? Trovo anzi che la confidenza che Emanuele Filiberto ha con le persone sia meravigliosa perché le fa sentire subito a loro agio, senza ergersi su un piedistallo solo perché portatore di un cognome importante. Dovrebbe essere diffidente? Snobbare? Anche in quel caso ci sarebbero critiche. Emanuele Filiberto guida gli Ordini Dinastici, visita ogni anno venti tra le loro delegazioni, sia italiane che estere, che, grazie alla loro associazione raccolgono ogni anno un milione di euro per progetti di beneficenza. È molto impegnato anche con i giovani, visitando scuole e parlandoci vis-à-vi per raccontare la sua storia, quella della sua famiglia e, soprattutto, avendo creato un gruppo giovanile molto affiatato all’interno dei suoi Ordini. Non scordiamoci che è anche Presidente Onorario dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon, partecipandovi a tutte le manifestazioni ed è considerato da tutti il Capo della Real Casa. Con tutto il rispetto per Aimone, ma sembra che pubblicamente sia poco partecipativo, se non comparendo in qualche foto ogni tanto con le forze dell’ordine. Questo certamente non è un male, ma se si vuole far conoscere la storia italiana e tramandare quella di Casa Savoia, beh, forse è la strategia sbagliata. Ciò non deve andare certamente a penalizzare Emanuele Filiberto che invece fa tutto il possibile per essere presente e tramandare la storia del suo retaggio. Emanuele Filiberto non è potuto nascere e crescere in Italia, non ha potuto neanche prestarvi il servizio militare, richiesto esplicitamente dal padre per fargli servire il proprio paese. Dunque il fatto che, invece di rimanere chiuso nella “bolla dell’alta società”, abbia scelto di stare con le persone, conoscerle, aiutarle ed essere presente quanto possibile per l’Italia, non è solo un qualcosa che reputo meraviglioso, ma anche un grande motivo d’orgoglio. Quanto al fatto dei gossip, raccontare delle proprie situazioni sentimentali non dovrebbe essere certamente motivo di vergona o imbarazzo ma anzi, rivela la propria umanità. Motivo di imbarazzo dovrebbe essere invece, a parer mio, cercare di screditare qualcuno su questo argomento in favore di qualcun altro che invece appare di rado sulla scena. Per tutte queste motivazioni rispetto le opinioni del Professor Quaglieni ma non posso condividerle.   Mattia Novelli
Quaglieni e re Umberto II
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Ringrazio il giovane Novelli di cui ammiro l’entusiasmo e la pacatezza. Io alla sua età avevo solo l’entusiasmo. Le cose che scrive sono condivisibili. Io mi sono limitato a commentare due interviste giornalistiche. Il Principe ereditario Emanuele Filiberto l’ho conosciuto sia pure superficialmente in più occasioni, il Duca d’Aosta non l’ho mai incontrato, mentre conobbi suo Padre. Resto da sempre dell’idea che il passaggio della Corona al ramo Aosta sia qualcosa di  illegittimo e  di forzato, come ho avuto in più occasioni modo di esprimere. Io che all’età di Novelli conobbi Umberto II a Cascais, non posso che essere lieto che oggi esistano dei giovani intelligenti e colti che amano la Patria. Per alcuni è retorica, per me no.
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Torino come Vienna
Ho letto che l’assessore all’Urbanistica Mazzoleni vede come città modello di riferimento di Torino, Vienna. Che senso ha questa scelta? A me sembra assurda  e del tutto infondata.  Bruna Actis
Non so il perché di questa scelta di Vienna dove sono vissuto qualche tempo nella mia giovinezza e sono tornato molte volte. E’ quindi una città che conosco bene. Non vedo dei riferimenti validi per Torino. A Vienna esiste da tempo immemorabile una metropolitana molto funzionale che Torino si sogna. Vienna capitale asburgica distacca di molto Torino capitale sabauda, ma soprattutto è molto lontana dalla Torino attuale in decrescita infelice. Questa è una città di camerieri e di osti che ha perso il valore dell’impresa. Vienna ha un’attrattiva non comparabile. Qui dobbiamo adattarci al piccolo gioco senza futuro, alla rincorsa di emigratati per rimpolpare il numero degli abitanti caduto ad 850 mila. Si è realizzato il sogno sinistro di Diego Novelli che voleva che la città andasse sotto il milione di abitanti. Tra l’altro Vienna è invece oltre i 2 milioni di abitanti.

Torna allo Stella Café il quinto appuntamento di Intrecci Sonori

Giovedì 13 novembre prossimo torna allo Stella Café, la caffetteria della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il quinto appuntamento di Intrecci Sonori, una rassegna curata da Siah e da Enrica Fenoglio. Un appuntamento che unisce musica a elettronica e arti visive, trasformando lo spazio in un paesaggio sonoro e unendo idealmente gli spazi dello Stella Café con quelli espositivi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Protagonisti della serata, durante la quale lo Stella Café proporrà uno speciale servizio di cocktail bar fino alle 23, e di tapas fino alle 22, saranno i Distorted Planet, con una performance che fonde il violino con elementi elettronici. A completare il viaggio sonoro saranno gli artisti e producer Ba§ic e Namera. Durante la serata, a partire dalle ore 20, la galleria della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo sarà aperta gratuitamente al pubblico, con la possibilità di visitare le mostre in corso, che sono “Portrait” di Angharad Williams e “News from the near future”, per celebrare i trent’anni della Fondazione. Il quinto appuntamento di Intrecci Sonori si inserisce al termine di una giornata speciale alla FSRR, quella in cui il Dipartimento Educativo della Fondazione presenta, insieme all’Associazione Volon Wright e al Disability Film Festival , il ciclo di incontri “Enjoy the difference”, dedicato al linguaggio, ai significati e agli immagini legati al tema della differenza. Si tratta di un invito a pensare e dialogare senza etichette, come è capace di fare l’arte, visiva o performativa che sia, e come dimostra Intrecci Sonori, che amplia il significato degli spazi di Stella Café e della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo con i luoghi di relazione ed esperienza condivisa.

Mara Martellotta

Un errore censurare D’Orsi: se le idee discordano, le idee crescono

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Sembra quasi un fatto di cannibalismo in famiglia perché il Polo del ‘900 è  da sempre settario a senso unico verso le idee liberali, moderate, considerate in modo censorio di destra. Il divieto a tenere una conferenza al Polo del ‘900 ha scatenato quindi  la giusta ira di Angelo d’Orsi, esponente di rango della cultura marxista e gramsciana torinese e candidato sindaco della estrema sinistra contro Lo Russo. D’Orsi è un militante di estrema sinistra coerente con sé stesso: la sua coerenza lo porta spesso all’intolleranza, ma per il professore il liberalismo è proprio  un’eresia impraticabile e forse… intollerabile. Gli hanno annullato la conferenza perché accusato di essere un  filoputiniano. Avrebbe dovuto presentare un libro sulla Russofilia. Il divieto appare del tutto immotivato perché il professore ha tutti i titoli per essere di casa al Polo. Io sono almeno 10 anni che non vengo invitato a parlare al Polo e me ne sono fatta una ragione. Ma d’Orsi ha  ragione da vendere per lamentarsi: è un compagno obbediente, un militante e financo un attivista. Non l’ho più seguito, ma penso che negli ultimi tempi si sia immolato per la Palestina e abbia criticato aspramente Israele, come è di norma tra i veri comunisti da sempre, perché a perseguitare e deportare gli ebrei fu  ci fu anche Stalin e non solo. Chiedo che diano la parola al professore, altrimenti gli offro piena e totale l’ospitalità al Centro Pannunzio dove venne una sola volta  25 anni fa a ricordare Massimo Mila che, in verità, fu solo un compagno strada. E ovviamente potrà dire tutto ciò che vuole, in assoluta libertà. Perché il Centro Pannunzio è una libera agorà  aperta a tutti i dissensi e a tutte le eresie. Anzi , le idee di d’Orsi non sono eresie, sono semplicemente  idee che vanno rispettate. Meglio, diceva Gobetti, se le idee discordano perché così crescono le idee. Un Gobetti un po’ ostico per il professore e adesso anche un po’ scomodo  per il Polo che ospita il settario centro Gobetti  e tende a distinguersi, nel caso di equivoci, con il defunto Polo delle libertà.
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Foto Facebook Angelo D’Orsi