CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 25

Torino Fringe Festival. La Vita è un Varietà

C’è stato un tempo in cui il teatro era sogno, trasformismo, eccesso. Nel cuore della Belle Époque, il varietà era il regno dell’immaginazione, un turbinio di luci e colori, di canzoni e battute fulminanti, di eleganza e irriverenza. La XIII edizione del Torino Fringe Festival 2025 ne raccoglie lo spirito trasformando la città in un palcoscenico diffuso dove il passato incontra il presente in un’esplosione di creatività: “La Vita è un Varietà” è un omaggio alla grande tradizione italiana del varietà e del teatro di rivista, dei cabaret, dei cafè chantant e degli anni del proibizionismo.

Dal 13 maggio all’1 giugno, più di 40 spettacoli, tra prosa, danza, musica e performance, più di 15 eventi speciali, 6 prime assolute, nazionali e anteprime, più di 170 repliche, rendono omaggio all’arte del varietà mescolandola con le nuove frontiere della drammaturgia contemporanea. Dai protagonisti della scena teatrale italiana indipendente alle compagnie emergenti under 35, il Torino Fringe Festival sarà un viaggio tra il teatro civile, la comicità tagliente della stand-up comedy, il teatro fisico, le drammaturgie originali e le sperimentazioni più audaci. Tra i nomi: Arturo Brachetti, il grande Maestro del trasformismo internazionale e Matthias MartelliDomiziano Pontone, autore di spettacoli sul cinema; Francesca Cola, l’artista che esplora i confini tra danza, performance e arti visive; Simone Sims Longo, l’artista sonoro che opera tra musica elettronica, sound design e installazioni. La Conventicola degli ULTRAMODERNI, il cabaret italiano per eccellenza; Alessandro Ciacci, Premio Alberto Sordi 2022, vincitore di LOL Talent Show 2 e nel cast di LOL5; Igor Sibaldi, lo scrittore, studioso di teologia e storia delle religioni; Giorgia Mazzucato, attrice, autrice e regista, miglior artista internazionale al San Diego Fringe Festival; Caroline Baglioni e Michelangelo BellaniWalter Leonardi, attore, giullare e comico, volto storico de Il Terzo Segreto di Satira. Lucia Raffaella Mariani, Premio Hystrio alla Vocazione Ugo Ronfani 2018; Mauro Piombo e Gilda Rinaldi Bertanza; lo scrittore Alessandro Ferraro; Flavio AlbaneseMassimiliano Loizzi; la compagnia Enchiridion che porta in scena testi inediti di autori stranieri mai rappresentati; Teatro Strappato, la compagnia nomade di attori-artigiani che disegna e crea le sorprendenti maschere; Garu e Isaac, il Duo Padella, artisti di strada, giocolieri, equilibristi, clown.

Palcoscenico del festival di teatro off e delle arti performative tra i più originali d’Italia, l’intero capoluogo piemontese, dai luoghi considerati più canonici a quelli off, anticonvenzionali e quasi sconosciuti, come The Heat Garden, impianto di accumulo e riserva calore del Gruppo Iren completamente immerso nel verde; Le Roi, tempio storico dello spettacolo torinese firmato da Carlo Mollino; il Polo del ‘900.

 

«Siamo felici di celebrare il 13° anniversario del Torino Fringe Festival con un’edizione che omaggia il mondo del Varietà, intitolata “La Vita è un Varietà” – spiega Cecilia Bozzolini, direttrice del Torino Fringe Festival -. Per tre settimane, Torino si anima di teatro e arti performative e la creatività prende forma nei luoghi più inattesi della città. Con questo tema, abbiamo voluto abbracciare la vitalità e la molteplicità dei linguaggi artistici per offrire una riflessione profonda sulla complessità del nostro presente. Il Varietà, con la sua capacità di mescolare leggerezza, ironia e visione, è il punto di partenza per attraversare il contemporaneo con occhi nuovi, valorizzando la contaminazione tra generi, formati e sensibilità. Ogni spettacolo è un tassello di un mosaico che racconta la vita, in tutta la sua varietà, tra contraddizioni, poesia ed eccentricità. In un’epoca di cambiamento profondo per il mondo dello spettacolo dal vivo, il Fringe ribadisce la sua natura inclusiva e aperta alla sperimentazione. È un festival che parla a tutte e tutti, che cerca di portare il teatro fuori dai teatri e la cultura dentro la quotidianità. Ringraziamo il pubblico, nuovo e affezionato, che ogni anno sceglie di attraversare con noi questo viaggio artistico, e le istituzioni che, da tredici anni, credono e investono in questa visione».

Per l’Assessorato alla Cultura della Città di Torino, questa edizione del Torino Fringe Festival lancia un prezioso messaggio di diversità e contaminazione artistica, coinvolgendo tutta la città con tanti luoghi in zone diverse, portando la cultura nella quotidianità, vicino alle persone e rendendo l’arte accessibile e viva per tutti. E questo è di particolare rilevanza, oltre al fatto che la manifestazione si espande e costruisce nuove reti come la collaborazione con Napoli Fringe Festival in occasione delle celebrazioni di Napoli 2500. Il Torino Fringe Festival dimostra, grazie alla collaborazione di enti, istituzioni e partner che hanno deciso di sostenere il progetto, che solo lavorando insieme si può offrire ai cittadini un’importante offerta culturale.

 

IL GRAND OPENING

Il sipario si alza martedì 13 maggio alle 20.30 con un evento speciale a Le Roi Music Hall: un omaggio al teatro di varietà come arte della trasformazione e dello stupore. La Conventicola degli ULTRAMODERNI, il cabaret italiano per eccellenza diventato un luogo cult della Città Eterna, per il Grand Opening del Torino Fringe Festival XIII, porta in scena ULTRAvarietà! Dal trapassato prossimo al futuro anteriore, l’intera kermesse romana con 14 artisti pronti a far rivivere i fasti del varietà tra numeri di burlesque, canzoni d’epoca, sketch comici e coreografie spettacolari. Una serata dal fascino retrò, realizzata in collaborazione con Salone OFF 2025 e Club Silencio, per un tuffo nel passato tra sciantose e maliarde, fini dicitori e macchiettisti, musicisti e ballerine, tra numeri di burlesque, canzoni d’altri tempi e sketch irresistibili.

Il senso del racconto ne “Il seggio del peccato” di Travaglini

 

Di solito, quando scelgo un libro di narrativa, scelgo un romanzo, sono più coinvolta dallo sviluppo della trama ed è più forte lo stimolo a procedere nella lettura, per vedere come va a finire. Ma devo ammettere che, se uno scrittore è bravo, e Marco Travaglini lo è, sa fare di ogni racconto un breve romanzo, strutturando la narrazione. Confesso che a me, che amo scrivere, risulterebbe difficile. Mi chiedo anche, considerando che ogni racconto si conclude con un finale definitivo, che cosa spinge il lettore a passare al secondo racconto, al terzo e così via fino al ventisettesimo, leggendo con curiosità e piacere le 135 pagine del libro. Nella lettura de Il seggio del peccato lo stimolo a procedere permane vivo soprattutto per la scrittura, la ricchezza del linguaggio, il periodare lineare in descrizioni partecipate di luoghi vissuti o anche solo indagati, in cui si ambientano vicende significative, con risvolti spesso comici. E’ una scrittura comunicativa che fa intuire e quasi avvertire la  fatica e gli  umori della terra lavorata, ma anche l’ aria di festa, l’intensità degli aromi di  una cucina antica, l’ombra del bosco, l’odore dell’acqua dei laghi e quello invitante della  frittura di pesce. L’atmosfera ruvida delle osterie, con l’immancabile bicchiere di vino, il gioco delle carte, e l’ansia delle donne, le prime operaie, attente alla spesa nel negozio del paese, dove si segnava sul libretto in attesa di aggiustare i conti con la paga. Era nero il quaderno di Amelia, incanutita precocemente, che “quel pane amaro con la fatica e il sudore come companatico se l’era guadagnato per intero, dal giorno in cui aveva compiuto undici anni, varcando il cancello dello stabilimento”. Lo aggiornava puntualmente con cifre e annotazioni relative agli acquisti, tanto che le operaie che dipendevano da lei, maestra nel cotonificio, pensavano fosse un romanzo che forse avrebbe condiviso con loro. Sono tante e diverse le persone di cui Marco scrive, ricordano un po’ la poliedrica umanità di Piero Chiara, sbirciata da un immaginario buco dal quale scruta quella gente attiva che lotta e tira avanti. Ma c’è, a mio avviso, un collante, quasi un filo invisibile, che accomuna personaggi diversi anche come estrazione sociale, e un po’ fuori dagli schemi ortodossi; nessuno tra loro può considerarsi un vinto nella zuffa della vita, al contrario, in un dopoguerra difficile, si danno da fare, sfruttando le capacità di cui sono dotati, il buon senso della gente comune e, se architettano qualche progetto più ardito che si rivela fallimentare, si giustificano con l’eloquente verità dei luoghi comuni, il pensiero filosofico di quel tempo. Prendiamo ad esempio il signor Anacleto che “abitava a Torino, in pieno centro storico…nel Palazzo Bertalazone di San Fermo, che a suo dire l’aveva affascinato dal primo istante…Quell’ aria di nobiltà un poco demodè era perfetta per un uomo di mezza età che vestiva con eleganza”.

Clara Cipollina

Era un modesto falsario, più che altro dedito alla contraffazione di documenti. Giustificava così la tentazione di esercitarsi in un’attività commerciale che risultò fallimentare: “la truffa è necessaria al buon mercante quanto la lucidatura al vasellame di scarsa qualità” e ancora “un uomo non diventa ricco senza truffare; un cavallo non diventa grasso senza rubare il fieno agli altri”. Persino il maresciallo che compare ne Il seggio del peccato, vista la sua posizione critica fece finta di non sentire e di non vedere, sposando la filosofia del vivi e lascia vivere, “che in un piccolo paese toglieva di dosso un sacco di problemi”. A quest’umanità sognare era permesso, senza volare troppo in alto. Si può coltivare anche nella vecchiaia la passione del ballo ed accettare di essere applauditi come Fred e Ginger di periferia, con l’impaccio dell’età, basta sostituire, tacchi e decolté con delle Superga impreziosite da lustrini, del resto “che cos’è la bellezza se non una delicata espressione del meglio che possa inquadrare uno sguardo, della leggera ebbrezza che regala un gesto di così rara raffinatezza come può esserlo un volteggio, un casquè. Un passo doppio perfettamente eseguito..”. E c’è chi un sogno lo realizza, senza che l’abbia coltivato, come Quinto Paravia che, scelto a fare la comparsa nel film La banca di Monate, scopre Piero Chiara e se ne innamora. Lui, cameriere di sala in un albergo di Orta, dopo un provvisorio e movimentato ingresso nel mondo dello spettacolo, si convinse di aver recitato come un vero attore, grazie al gridare di un suo amico, ignaro di trovarsi in un set cinematografico, allestito un po’alla chetichella nella piazza di Omegna.Vide Quinto con la pistola in mano e costernato lo richiamò a gran voce “Quinto ti se diventà matt, molla l’arma cristianit…se rivan i carabinieri i te sbatan in galera”. In tanti altri racconti la comicità nasce dall’ambiguità di una situazione , o di una frase, o più semplicemente dal doppio significato di una parola, e il riso nel lettore scaturisce spontaneo, perché l’autore è bravo nel sorprenderlo, cambiando lo stile della narrazione. Anche in racconti che iniziano con la descrizione di fatti storici importanti e ben documentati, come quello che ha per titolo Il sigaro del signor Brusa, la conclusione può essere imprevedibilmente costituita da un episodio comico che induce chi legge a domandarsi se quel cognome era il segno di un destino. Quando, però, la macrostoria impatta drasticamente con la vita di piccoli paesi di montagna, un po’ isolati, chi vi abita vive anni difficili. Come Alvaro, contadino povero del Canavese che sfugge al piombo austriaco, viene ferito ma riesce a tornare alla sua terra, alternando rare tradotte a marce estenuanti, e vi trova rovine e miseria, i suoi sono morti, la cascina è in pessime condizioni, il terreno sta andando in malora”. Prima di allora quella terra intorno a Pavone era generosa, ora sembrava “impestata da una maledizione che l’ha resa micragnosa e dura come pietra con quelle zolle che resistevano alla zappa come quelle teste chiodate di crucchi dalle Dolomiti al Carso”. In questo racconto Travaglini sceglie parole con un assonanza spigolosa, un anteprima che prepara il lettore a comprendere una realtà dolorosa. Alvaro, evitando scoramento e disperazione, dissoda, semina e raccoglie un sacco di patate, cerca di venderlo a Bairo ma è accolto da un gruppo di tirapietre. Il campanilismo era diventato rivalità. Quelli di Foglizzo, i mangia rane, non andavano d’accordo con gli “zingari” di San Giusto Canavese e i dondola gambe, i fannulloni di Rivarolo, erano ostili ai gavasson di Ozegna mentre i più rispettati erano gli strasa papè perché un loro avo aveva coraggiosamente strappato una carta notarile in faccia ad un notaio avido e disonesto che ingannava i contadini analfabeti e incapaci a far di conto. Alvaro inviso ai più, fu accolto a sassate come un forestiero da quelli che ridevano come pazzi e gridavano “A l’è bianc come  la coa del merlo”, felici d’averlo impaurito e costretto alla fuga.

La guerra aveva incattivito la gente che doveva lottare per sopravvivere, e Alvaro a testa bassa continuò la sua lotta con quella terra “che lo strizzava come un cencio , rubandogli fino all’ultima stilla di sudore”. Un giorno, senza che minimamente lo prevedesse , nel suo cammino, si insinua, quello che gli studiosi di biografie definiscono tecnicamente un modificatore esistenziale. Per Alvaro, più semplicemente, si chiama Giovannino Bedini, anch’egli contadino, proprietario di un po’ di terra. Lo incontra al mercato di Ivrea, capisce che potrebbero aiutarsi e concretizza la sua intuizione organizzando quello che oggi chiamano briefing o incontro d’azienda, al tavolo di un’osteria davanti ad un mezzino di vino. Fu la vigna a far scattare l’idea e da questo punto la narrazione procede più leggera, la terra è percepita un po’ meno amara. I lavori impegnano i due in tutte le stagioni. Potature, innesti, taglio di tralci, e aratura tra i filari, e poi l’uva, la vendemmia, e la cantina, il mosto fermenta, il vino dell’anno prima si imbottiglia, l’entusiasmo di Giovannino, i dubbi taciuti di Alvaro. L’uva diventa vino, con tanto di etichetta dove la scritta in blu recita Rosso generoso, che non sarà molto apprezzato dagli intenditori, ma è un vinello fresco e giovane, e il “prezzo è da osteria”. Il racconto, iniziato in bianco e nero, si colora in quest’ultima parte con il sodalizio tra i due che continua, permettendo loro di mettere insieme il pranzo con la cena e persino di risparmiare qualche soldo da mettere in cascina. Per  quei tempi si può considerare un lieto fine. E’ solo un esempio di scrittura perché sono tante le idee, i ricordi, le suggestioni sollecitate dalla lettura di questi racconti che non si finirebbe mai di scriverne e che vedrei molto bene in un’antologia scolastica. Un altro protagonista del libro è il territorio, mappato dall’autore con la meticolosa attenzione del giornalista, attento al dove, al quando, al chi e al perché. In queste pagine c’è il senso del viaggio o meglio l’itineranza di chi scrive, così che leggendolo a me è sembrato di viaggiare con l’autore nel Piemonte, regione dove vivo ma che non ho calpestato, abitando in quella alle spalle della Liguria. Viaggio in quel Regno di Sardegna, sul cui confine aveva operato per tanti anni a dirimere controversie, sempre ostacolato a sua volta dagli ingegneri savoiardi, il cartografo Matteo Vinzoni, oggetto della mia tesi di laurea e di altri studi, stipendiato della Serenissima. Il territorio, quindi, indagato anche in questi racconti nel suo essere paesaggio, dove la morfologia è determinata dalla gente che lo abita e della quale forgia il carattere. Tutto in un rapporto di interdipendenza tra uomo e ambiente. Quelle din Marco Travaglini nel suo Il seggio del peccato sono vicende ambientate in grandi agglomerati urbani come Torino, Milano o Genova, meta di una gita turistica, così come la Valle d’Aosta, la Luino di Piero Chiara e le terre dell’autore ( oggi torinese d’adozione) tra i laghi Maggiore e d’Orta o la val Formazza. E poi una miriade di microcosmi, quei paesi contadini che coltivano la tradizione come nel caso, per citarne uno, di Casalborgone con la sagra del pisello e un’incredibile gara di trattori, o la cucina della festa del coregone ad Azeglio, o il Canavese di sua moglie Barbara. In definitiva è un libro che merita di essere letto perché riserverà sorprese piacevoli oltre alla ricchezza di spunti, curiosità, ricostruzioni di antiche tradizioni e motti popolari. Infine, come giustamente scrive l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino nella sua introduzione, “c’è una vena ironica che attraversa tutti i racconti, leggerezza e profondità al medesimo tempo, la scrittura è scorrevole e la lettura molto piacevole. In fondo, cosa si può chiedere di più ad un racconto?”.

Clara Cipollina, scrittrice

 

Una cappella tra templari e cavalieri di Gerusalemme

Per vederla bisogna varcare i cancelli del cimitero. Si trova al centro del camposanto di Buttigliera d’Asti, a pochi chilometri da Castelnuovo don Bosco e da Riva di Chieri, è ricca di storia e di fascino.
Ci sono entrati crociati, cavalieri di Gerusalemme e forse templari. È la cappella romanica di San Martino, è lì da quasi mille anni. Dedicata a San Martino, vescovo di Tours, è la più antica chiesa del territorio e risale probabilmente all’epoca carolingia(774-887) quando i Franchi dominavano nell’Italia del nord. Nella prima metà del 1100 i conti di Biandrate, che di Crociate in Terra Santa ne hanno fatte tante, almeno le prime quattro, donarono la cappella di San Martino all’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, il futuro Ordine di Malta, nato nell’XI secolo per assistere pellegrini e viandanti diretti oltremare, ai luoghi santi nel Levante crociato. Nelle vicinanze della chiesa fu aperto un “hospitale”, un piccolo ricovero che metteva a disposizione posti letto, forniva cibo e curava i poveri e i malati che passavano da quelle parti, tra Villanova e Buttigliera. Un tempo chiesa dell’Ordine Gerosolimitano e ora cappella del cimitero, conserva elementi romanici dei secoli XII e XIII con affreschi sull’abside del Quattrocento. La chiesa si fa risalire al X secolo ma in realtà sarebbe molto più antica. Nel 2013 durante alcuni restauri fu trovato il coperchio di un antico sarcofago con un’iscrizione risalente al V-VI secolo, nell’epoca in cui era molto diffuso il culto del vescovo di Tours nella Gallia e nel nord d’Italia. La cappella di San Martino restò proprietà della commenda. Alla fine del Settecento, con la soppressione dell’Ordine di San Giovanni, passò al Comune di Buttigliera che ricostruì la facciata e restaurò l’altare e gli affreschi dell’abside. Sulle pareti esterne della chiesa si vedono antiche scritte e graffiti lasciati dai fedeli e dai pellegrini nel corso dei secoli, oltre a molte iscrizioni in latino e in italiano risalenti ai secoli XVI-XIX che si riferiscono ad abitanti deceduti in paese. Il luogo conserva un mistero legato alla presenza dei Cavalieri del Tempio. I possedimenti templari in Piemonte erano molto numerosi e tra questi figuravano chiese, domus, terreni, tenute agricole, allevamenti e altro. Le fonti storiche sulle proprietà dei Templari nella nostra regione fanno riferimento anche a un presunto insediamento templare a Buttigliera d’Asti. Secondo la studiosa Bianca Capone, sulla commenda di Buttigliera non ci sono fonti certe: “la carta più antica risale al 1543 in cui viene citata la commenda con dedica a San Martino, nome più templare che gerosolimitano, e i beni della commenda erano cospicui come si rileva da numerosi inventari”.                             Filippo Re

Trasferta cinese dei sabaudi “Musei Reali”

In mostra per la prima volta in Cina su prestito dei torinesi “Musei Reali”

Fino al 22 giugno

Titolo e sottotitolo chiariscono subito i contenuti della grande rassegna organizzata in Cina, al “Nanshan Museum” (7mila metri quadrati espositivi) di Shenzhen (città meridionale sul delta del Fiume delle Perle, al confine con Hong Kong) dai nostri prestigiosi “Musei Reali”, costituitisi fra XVI e XX secolo, di pari passo con la storia dei Savoia, inglobando nei loro (a oggi) 30mila metri quadrati anche reperti ben più antichi all’interno delle proprie Collezioni, composte da più di 400mila opere, fra dipinti, sculture, reperti archeologici, tessuti, oreficerie, armi e armature, per finire con libri e disegni. Opere che oggi parlano di Torino e dell’Italia riuniti, fino a domenica 22 giugno, in ben 140 pezzi in un sito museale fra i più prestigiosi della Cina e in una città di 18milioni di abitanti, dichiarata negli anni Ottanta “Zona Economica Speciale” e oggi principale centro tecnologico della Repubblica Popolare, con sede di giganti come “Huawei” e “Tencent”, nonché della “Byd”, fra le maggiori industrie di automobili elettriche del Paese.

Titolo e sottotitolo, si diceva: “Steel of Glory” e “A Knight’s Life of Armor, Blade and Honor”. Come dire “Acciaio di Guerra” e “Una vita da cavaliere fatta di armature, lame e onore”. E’ infatti l’epopea degli antichi cavalieri, con le loro armature, i miti e le leggende a farla totalmente da protagonista della grande, sorprendente esposizione in trasferta dalla Mole a Shenzhen, che, offrendo al pubblico cinese la possibilità di ammirare preziose opere mai uscite dalla loro sede subalpina, “ripercorre la storia della cavalleria e la creazione del suo mito, dalle premesse tra l’VIII e il IX secolo, quando in Europa si verificano le condizioni economiche e sociali favorevoli alla nascita del sistema feudale, fino all’età dell’oro che coincide con il periodo dall’XI al XIII secolo quando la categoria dei cavalieri diventa un ceto sociale”.

Una nutrita selezione di capolavori provenienti dalle collezioni dei “Musei Reali”, in particolare dall’“Armeria Reale”, una delle più importanti al mondo (insieme a quella di Madrid, a quella imperiale di Vienna e a quella dei Cavalieri di Malta) darà la possibilità di ammirare la produzione europea di armi e armature da parata e da torneo tra il XVI e il XVII secolo. In esposizione, il pubblico potrà dunque ammirare pezzi di altissimo valore storico e artistico-artigianale. Fra i più pregevoli un’“armatura completa per cavallo e cavaliere” uscita dopo duecento anni e per la prima volta dall’“Armeria Reale”, insieme ad una rara “armatura da bambino” e a un “elmo modellato a forma di animali fantastici”, tutti risalenti al Rinascimento. Per non dire della “Spada” appartenuta al primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, autentico capolavoro di cesellatura.

Sottolinea Mario Turetta, direttore delegato dei “Musei Reali” torinesi: “Collaborare con un’importante istituzione cinese come il Museo di Nanshan rientra tra le iniziative di valorizzazione volte a promuovere i rapporti tra la Cina e l’Italia attraverso l’organizzazione di attività espositive, straordinaria fonte di accrescimento culturale e di confronto metodologico sulla gestione e sulla conservazione delle collezioni”.

E a lui fa eco Valerio De Parolis, Console Generale d’Italia a Canton: “A Shenzhen presentiamo con orgoglio una pagina di storia italiana che mette in risalto il nostro inestimabile patrimonio di cultura e tradizioni, attraverso questa esposizione molto scenografica e di assoluto prestigio delle collezioni dei ‘Musei Reali’ di Torino. È una mostra che suggella l’incontro tra una delle maggiori istituzioni museali del nostro Paese con un polo museale di prim’ordine del Sud della Cina, e che consente di rafforzare ulteriormente lo scambio culturale e la conoscenza reciproca tra l’Italia e la Provincia del Guangdong”.

Curata dai “Musei Reali” di Torino e ideata e organizzata da “Arteficio”, la mostra resterà a Shenzhen fino a domenica 22 giugno per poi spostarsi in altri tre Musei della Repubblica Popolare Cinese.

Gianni Milani

Nelle foto: “Steel of Glory” Allestimento; “Armatura di ragazzo”, acciaio inciso, 1560/1570; “Armatura di uomo e cavallo” (Particolare), acciaio inciso a bulino e all’acquaforte, circa 1550; Eusebio Zuloaga “Spada d’onore di Vittorio EmanueleII”, acciaio damascato, oro e argento, 1852/1853

TorinoFilmLab raddoppia a Cannes

TorinoFilmLab per la prima volta è presente nella Competizione Ufficiale del Festival di Cannes con DUE FILM.

Ricchissima la presenza di opere sostenute dal laboratorio del Museo Nazionale del Cinema di Torino alla prossima edizione del festival.

 

In Concorso Renoir di Chie Hayakawa, già nota per Plan 75 – premiato con la Camer d’Or Speciale a Cannes 2022, e Romería di Carla Simón, che al TFL ha sviluppato anche il suo lavoro precedente, Alcarràs, vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale 2022, a cui si aggiungono i nuovi titoli degli alumni Julia Ducournau e Oliver Laxe.

Inoltre, sono tre i film targati TFL selezionati nella sezione Un Certain Regard.

Giulio Graglia: cultura, teatro e identità piemontese

RITRATTI TORINESI

Autore, regista, direttore artistico per molti anni del Festival Pirandello e dell’Associazione Linguadoc, oltre che membro del CDA del Teatro Stabile di Torino e del Museo Nazionale del Cinema, Giulio Graglia è in carica dal novembre 2024 nel ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione del TPE ( Teatro Piemonte Europa).

“In questi mesi di lavoro ho trovato un teatro che conosco da sempre e una squadra di prim’ordine con cui si lavora molto bene – spiega Giulio Graglia – a cominciare da Fabio Rizzio, direttore operativo e organizzativo del TPE. Insieme a tutto il CDA siamo ripartiti dalla riconferma di Andrea De Rosa per la carica di direttore del TPE Teatro Astra per il prossimo triennio”.

“Il teatro Astra rappresenta uno spazio europeo molto qualificato e seguito da un pubblico appassionato ed educato alla prosa – continua Giulio Graglia – affezionato ed attento a tutte le nuove proposte. Il nostro lavoro, incentrato anche sull’inserimento in cartellone di nuove proposte artistiche legate ai giovani, sta permettendo al pubblico di rinnovarsi continuamente, aspetto che ritengo fondamentale e che mi porta una grande soddisfazione. Il 18 marzo scorso si è tenuto al teatro Astra un convegno denominato ‘Porte aperte’, che ha coinvolto Regione Piemonte, Comune di Torino e fondazioni bancarie, seguito da giornalisti, compagnie teatrali e dal pubblico in generale, incentrato sulle nuove proposte del TPE, con uno sguardo su chi opera sul territorio. Abbiamo creato un dialogo continuativo al fine di mantenerlo e rafforzarlo, in modo da arrivare in futuro a coprodurre realtà meritevoli legate al territorio.

‘Porte aperte’ verrà replicato in autunno e vi parteciperà molto probabilmente anche il presidente dell’Agis”.

“La Fondazione TPE è andata rafforzandosi – spiega Giulio Graglia- con l’aggiunta dello storico Festival delle Colline che, proprio quest’anno, in autunno, festeggerà i trent’anni dalla sua nascita. La mia occupazione oggi è incentrata esclusivamente sul TPE e la sua attività di Presidente del CDA, oltre che sul mio lavoro di regista, che mi vedrà impegnato nella regia di uno spettacolo sugli ottant’anni della Resistenza, prodotto dal Teatro Stabile di Torino.

Il Festival Pirandello, di cui sono stato fondatore e Presidente, oggi è guidato da Mario Brusa alla presidenza e diretto da Sabrina Gonzatto, per Linguadoc presidente è  Sabrina Gonzatto e direttore artistico Mario Brusa.

“Al Circolo dei Lettori – conclude Giulio Graglia – per il secondo anno consecutivo è andato in scena il Festival dell’Identità Piemontese, al quale hanno partecipato intellettuali, istituzioni e personalità legate al territorio.

Il Festival ha messo in luce l’importanza di mantenere il senso della memoria e rafforzare il sentimento di identità rendendolo vivo nel presente, non negando la realtà della società contemporanea“.

Mara Martellotta

 

 

 

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L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Salomé Esper “La seconda venuta di Hilda Bustamante” – SUR- euro 17,50

E’ strepitoso l’esordio della 41enne argentina Salomé Esper che in questo breve romanzo: afferra il mastodontico tema della morte, lo affronta con tocco magico, lo alleggerisce dal dolore e finisce per esorcizzarlo con ironia e tenerezza. Lancia il messaggio che ogni attimo sia prezioso e che, nell’imperscrutabile ciclo di vita e morte, anche gli oggetti trattengano l’energia di chi non c’è più.

L’inizio è di quelli da brivido. Un anno dopo la sua morte, la 79enne Hilda Bustamante si risveglia: al buio, con la bocca invasa dal metallico sapore di terriccio e vermi, rinchiusa in una bara, sotto palate di terra. L’unica cosa che sa è che deve uscire; a fatica tira fuori prima un pugno, poi un braccio e, con disperate manovre, riesce a riemergere dal sepolcro.

Mentre lascia il camposanto e si avvia verso il suo paese, si verificano una serie di fenomeni tipo poltergeist, di quelli paranormali e inspiegabili: strade invase da cavallette, campane impazzite e vetri che esplodono. Insomma, una mattina qualunque Hilda risorge e il panico dilaga in città.

Lei si presenta alla porta di casa, dove ancora la stanno piangendo inconsolabili il marito Alvaro, la nipotina adottiva Amelia (che però la chiamava mamma) e il gruppo delle Devote del Sacro Cuore (Carmen, Clara e Susan, ovvero le amiche della chiesa).

Che reazioni si possono avere di fronte a una donna anziana che torna dal regno dei morti?

Turbamenti profondissimi e contrastanti saranno quelli che travolgeranno i vari personaggi.

Il marito Alvaro non si allontanerà più neanche di un millimetro dall’adorata moglie, nel timore di perderla nuovamente. Mentre la piccola Amelia, condividendo la stessa paura, si rifiuterà di dormire. Poi gli atteggiamenti diversi delle amiche… che scoprirete leggendo.

Tra i vari quesiti di fondo: sarebbe meglio sbandierare ai quattro venti il miracoloso ritorno di Hilda, oppure mantenere il segreto?

E ci sarà anche chi vorrà vedere nella sua resurrezione quella di Gesù.

Vi anticipo solo che l’ironia è sparsa in ogni pagina e il terrore della morte viene un po’ allontanato. Preparatevi anche ad un finale decisamente a sorpresa, poi portatevi nel cuore questo bellissimo romanzo, in attesa del prossimo della Esper che ha subito rivelato una creatività incantevole

 

 

Stefania Colombo “Jeanne Hébuterne. La luce di Modigliani” -Morellini- euro 20,00

Nel parigino Cimetière du Père-Lachaise, Amedeo Modigliani e Jeanne Hèbuterne sono sepolti insieme e sostare davanti al loro sepolcro è un’emozione intensa. Pensi che sia l’epilogo -almeno un briciolo consolatorio- che consegna all’eternità una delle storie d’amore più travolgenti della storia umana e dell’arte.

La 46enne autrice (regista e attrice) Stefania Colombo prova a immedesimarsi nella disperazione di Jeanne che, alla morte di Modì, decide di seguirlo (con la creatura che porta in grembo), perché senza di lui la vita sarebbe impossibile.

La storia di Jeanne Hèbuterne è legata a quella dello scultore-pittore -dotato di immenso talento- Amedeo Modigliani, nato a Livorno nel 1884; ebreo sefardita, minato dalla tubercolosi.

A inizi Novecento lo troviamo a Parigi, culla delle avanguardie artistiche. Città, all’epoca, calamita di pittori, scultori, scrittori e artisti che vivono in mansarde gelate, attanagliati dai morsi della fame; ma nei caffè e negli atelier lungo la Senna scatenano creatività, idee e grandi ambizioni.

Jeanne nasce nel 1898, a Meaux, in una famiglia benestante della borghesia cattolica francese, parecchio conservatrice. La giovane rivela presto predisposizioni artistiche; riesce a superare l’opposizione dei genitori e si iscrive ai corsi di Belle Arti di Parigi.

In quelle aule, nell’inverno 1916, Jeanne incontra Amedeo; la sua vita entra in un dirompente amore…e nel mito.

Lei ha 18 anni, è timida e riservata.

Lui è un uomo che piace molto alle donne e ricambia, tossisce e sputa sangue, beve a dismisura e non disdegna le droghe. Ha un bagaglio di sofferenza e povertà; soprattutto, è tormentato e disilluso.

In un secondo, tra i due la passione è travolgente, condividono pensieri, emozioni, arte….

Jeanne -eterea, esile, capelli rosso fiammante, pelle eburnea- diventa la musa per eccellenza di Modì. Lei ammira e comprende perfettamente l’incanto e il senso delle tele del suo uomo. Figure allungate, volti malinconici, occhi vuoti ma pieni di significato, che paiono contenere e incarnare tutto il dolore e la bellezza del mondo. L’arte di lui… è nell’anima di lei.

La giovane non si volta più indietro. Gli Hébuterne la ripudiano e la buona società pure. La coppia fa vita bohémien in un minuscolo appartamento-atelier pieno di spifferi e miseria, ma è il loro nido… dove si amano e dipingono.

Anche Jeanne disegna centinaia di nudi femminili, immagini di Amedeo, acquerelli, autoritratti e crea gioielli. Nel 1918 è incinta; Modì non è di grande aiuto, lei a stento dà alla luce la piccola Jeanne della quale non riesce ad occuparsi e viene messa a balia.

La loro situazione peggiora tra miseria e salute precaria di entrambi; per lei è sempre più difficile tenere insieme tutti i pezzi. Lui la dipinge e le dice «Sei il mio sogno. Jeanne, e io sono il tuo incubo».

Nel 1919 un’altra gravidanza, ma il fisico di Jeanne è consumato, mentre la tubercolosi di Amedeo è in fase terminale. Tanto che, ricoverato d’urgenza in ospedale, muore il 24 gennaio 1920.

Ed è la fine di tutto.

Quando il gelido padre -che non l’ha perdonata e non le rivolge la parola- l’accompagna a vederlo, lei riflette sui famosi occhi dipinti da Modì; non vuoti, piuttosto, liberi e riempiti dai ricordi di chi guarda.

Ma ora nell’ospedale de la Charité, davanti alle pupille svuotate di vita del suo Amedeo, Jeanne capisce che quelle di un morto non si possono riempire di ricordi, perché non resta nulla.

La volontà di vivere l’ha abbandonata, lei è come stordita da tanto strazio e le manca l’aria. La loro meravigliosa storia d’amore è durata 3 anni.

Quella notte, il 25 gennaio, nella stanza da ragazza, a casa del padre, l’amato fratello cerca di consolarla…inutilmente.

Mentre lui si appisola, Jeanne, all’ottavo mese di gravidanza, sale sul davanzale del quinto piano, prende fiato e si lancia incontro al suo Amedeo….

 

 

Holly Gramazio “I mariti” -Einaudi- euro 20,00

L’idea di fondo è originale e pure divertente, poi forse manca un freno all’eccesso di sliding doors; sorta di continua apertura-chiusura di porta-portale che ogni volta sforna e inghiotte mariti, via uno, sotto un altro.

Tutto ha inizio a Londra. Una sera, Lauren, single 30enne, rientra dall’addio al celibato di un’amica; apre la porta di casa e…sorpresa!

C’è uno sconosciuto, perfettamente a suo agio in pigiama, che l’aspetta per andare a dormire… la cosa più normale del mondo. Peccato lei non l’abbia mai visto prima.

L’uomo dice di essere Michael, suo marito; le svariate foto della coppia disseminate nell’appartamento e la dimestichezza con cui si muove all’interno sembrano confermarlo.

Saggiamente, lei ci dorme sopra e al risveglio mattutino sarebbe anche disposta a vivere con quell’avvenente e gentile esemplare maschile.

Ma, immaginate il suo sconcerto quando Michael sale in soffitta per una lampadina…e…al suo posto scende un uomo completamente diverso.

E non è che l’inizio.

In pieno plot surreale e visionario, scatta un indiavolato meccanismo; scandito da un continuo inarrestabile saliscendi da capogiro di mariti (tutti diversissimi uno dall’altro).

Punto di svolta è la scala della soffitta.

Lauren, alcuni se li terrebbe pure volentieri ma, per un imperscrutabile disegno, a volte non riesce ad impedirgli di salire in soffitta… ed ecco che a calarsi è poi uno nuovo. Altri, invece, li detesta fin da subito e non ci mette un secondo a rispedirli sopra con un pretesto, curiosissima del prossimo arrivo.

Ogni marito comporta anche un cambiamento di vita, non sempre in meglio. Insomma un reset continuo da perdere l’equilibrio.

E’ l’esordio letterario di chi per mestiere inventa videogiochi, e nel romanzo è più che evidente il suo background di game designer.

 

 

Ugo Barbàra “Malastrada” -Rizzoli- euro 20,00

E’ il secondo capitolo della saga dei “Malarazza” ad opera dello scrittore, giornalista e sceneggiatore siciliano Ugo Barbàra, che ha pubblicato il primo volume nel 2023.

Questo libro centrale (di una trilogia, il cui terzo capitolo è in corso d’opera) copre l’arco temporale dal 1880 al 1920 e riprende la storia di una famiglia -realmente esistita- di imprenditori siciliani, emigrata da Castellamare del Golfo verso l’America.

La prima generazione dei Montalto, a fine Ottocento, aveva esteso il suo impero commerciale dagli Stati Uniti all’Europa.

Ora, a inizi Novecento il testimone passa agli eredi che devono mandare avanti il business e dividersi incarichi, responsabilità, ricchezze e guadagni.

Rosaria Battaglia affida ai figli Leonardo e Paolo la guida della banca di cui lei è stata la prima donna presidente, e si appresta a lasciare New York, insieme alla figlia minore, Benedetta.

Le due sono dirette a Castellamare del Golfo -dove tutto ha avuto inizio- e dove Benedetta dovrà -in futuro- gestire il ramo siciliano degli affari di famiglia.

Ma non tutti hanno la tempra giusta per ruoli decisionali di alto livello e responsabilità; Leonardo e Paolo sono molto diversi, ed in questo romanzo corale si innescano svariati rapporti controversi e conflittuali.

Mentre sullo sfondo divampa o serpeggia la storia con la S maiuscola (inclusa l’emigrazione in America di frange della mafia siciliana), le vite dei personaggi si aggrovigliano tra: lotte di potere, avidità, ambizioni personali, intrallazzi vari, amori, tradimenti, legami di sangue travagliati ed infiniti altri ostacoli.

 

 

Rock Jazz e dintorni a Torino: Lucio Corsi e i Negrita

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Alle OGR suona il trio del sassofonista Jerry Weldon. Al teatro Concordia si esibisce Lucio Corsi.

Anteprima del Torino Jazz Festival con 4 appuntamenti: alla Bocciofila Rami Secchi suona il quartetto di Paolo Agrati, al Comala Pietro Paris quartet, al circolo Mossetto il trio Bellavia- Chiappetta-Deidda, allo Spazio 211 il trio High Fade. Al Capodoglio è di scena Dario Sansone.

Mercoledì. Al Fame Club si esibisce Caterina Cropelli. Al Vinile sono di scena i The Club. Al Capolinea 8 suona Feu Marinho & Federico Zaltron. Al teatro Concordia si esibiscono i Negrita. Per l’anteprima del TJF alla bocciofila Rami Secchi suona il quintetto di Claudio Bonadè. Al Comala la jam session mista Marmellata Jam (musicisti, poeti, disegnatori).

Giovedì. Al teatro Concordia si esibisce Eugenio in Via Di Gioia. Al Vinile sono di scena Tony Degruttola & Giulia Piccarelli. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Cristiano Godano. Allo Ziggy suona il trio Sommacal-Ardizzoni-Cignoli. Per l’anteprima del TJF al Magazzino sul Po è di scena il The New Maurizio Brunod Ensemble, al Folk Club suona Attilio Zanchi Quintet, al Blah Blah si esibisce Aleloi & The Toxic Jazz Factory. All’Off Topic è di scena Il Mago del Gelato.

Venerdì. Al Circolino suona Max Gallo con Pino Daniele Jazz. Al Peocio di Trofarello si esibisce la Neil Zaza Band. Al Capolinea 8 suonano gli Edna. Al Magazzino sul PO è di scena Stefano Pilia. Al Blah Blah si esibiscono i The Trip.

Sabato. Allo Ziggy suona la Disharmonic Orchestra + Miscreance. Alla Divina Commedia sono di scena i Number 9.

Domenica. Per l’anteprima del TJF suona il quartetto della sassofonista Melissa Aldana all’Double Tree by Hilton. Alla Divina Commedia si esibisce La Bbbanda.

Pier Luigi Fuggetta

La nuova comunicativa musicale dell’Ensemble Tamuz con l’Unione Musicale

Lunedì 14 aprile, al teatro Vittoria, alle ore 20, giunge al traguardo per questa edizione la serie “L’altro suono” che l’Unione Musicale celebra con l’Ensemble Tamuz proponendo due magnifici quartetti d’archi di Boccherini e di Schubert.

L’Ensemble Tamuz, nato nel 2017 a Berlino, riunisce musicisti di diverse nazionalità, con la comune passione per il repertorio musicale meno esplorato dell’età classica e romantica, da riproporre in esecuzioni storicamente informate. Nell’intervista rilasciata in esclusiva per l’Unione Musicale, i musicisti raccontano: “Il fatto di prevenire da Paesi, tradizioni e culture diverse è un grande arricchimento umano, di conseguenza musicale. La nostra ricerca interpretativa, volta al lato comunicativo ed emozionale si riflette e trova corrispondenza nello scambio musicale e umano tra noi, cinque amici dai background così diversi”.

La loro ricerca storica e filologica, oltre agli aspetti interpretativi, include anche quelli relativi alla ricezione. Le musiche a cui gli artisti dell’Ensemble si dedicano erano originariamente destinate ai privati, dove erano suonate fra famigliari e amici: una situazione completamente diversa da quella molto formale dei concerti attuali. Per questo i musicisti hanno messo in campo una serie di strategie per riportare in vita quell’approccio conviviale in chiave moderna.

“Come musicisti freelance – spiegano i musicisti – ognuno di noi ha fatto esperienza della crisi che sta attraversando la musica classica nel rapporto con il pubblico. Mettere in discussione la struttura tradizionale del concerto è stato un punto di partenza per la nostra riflessione su questo tema. Pensiamo che la distanza con il pubblico vada ridotta tornando a una dimensione più umana nel fare musica, che si basi sulla comunicazione  e l’interscambio, un maggiore focus sulla natura espressiva ed emozionale e, pertanto, più imperfetta nell’interpretazione, ponendo maggiore attenzione all’evento unico del concerto come evento aperto al dialogo e all’estemporaneità. Spesso suoniamo in cerchio con il pubblico intorno a noi, abbattendo la distanza tra palco e platea, luce e buio, entrata del pubblico e ingresso artisti. Con il nostro pubblico ci piace chiacchierare, intrattenerci, prendere un bicchiere di vino, scambiare commenti e critiche , e questo influisce sul nostro fare musica, perché stiamo raccontando una storia a qualcuno, comunicando con tanti individui e non con una massa indistinta e impersonale”.

I due Quintetti in programma a Torino presentano un’impronta intimista importante, che favorisce la complicità tra pubblico e artisti. Boccherini ha scritto i suoi quintetti quando risiedeva a Madrid presso la corte spagnola, dove impartita lezioni e faceva musica con il quartetto costituito dai membri della famiglia reale, aggiungendosi ai due violini, viola e violoncello. Il Quintetto di Schubert, per quanto sia musica di straordinaria profondità e dal colore quasi lunare, fu concepito in un ambiente cameristico, per un’esecuzione intima tra amici e dilettanti, ed è a questa dimensione che aspira l’Ensemble Tamuz con la sua lettura.

Biglietti: online sul sito www.unionemusicale.it oppure presso la biglietteria dell’Unione Musicale in piazza San Carlo 206

Orari: martedi-venerdi dalle 10.30 alle 14.30 – mercoledì dalle 13 alle 17. Il giorno del concerto dalle ore 19.30 presso il botteghino del teatro Vittoria, in via Gramsci 4.

Mara Martellotta