CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 216

Nel Salone d’Ercole del Castello di Racconigi “Storie dal mondo”

STORIE DAL MONDO IN CASTELLO
NUOVI INCONTRI

Castello di Racconigi, 20 aprile – 25 giugno 2023

COMUNICATO STAMPA

Racconigi (CN), 20 aprile 2023 – Da giovedì 20 aprile a domenica 25 giugno, nel Salone d’Ercole del Castello di Racconigi, all’interno del consueto percorso di visita, è allestita l’esposizione Storie dal mondo in Castello. Nuovi incontri. Si presentano così al pubblico 8 manufatti inediti, selezionati dalla raccolta di armi e oggetti etnografici custodita nel deposito Armeria, uno dei segmenti inediti e più sorprendenti del patrimonio conservato nella residenza. I beni esposti provengono da diverse parti del mondo – India, Persia, Sudan, Congo, Giappone, Impero ottomano – e coprono un arco cronologico che si muove tra il Settecento e il primo quarto del Novecento. Si tratta di doni ricevuti da Vittorio Emanuele III e dall’ultimo re d’Italia Umberto II, in occasione di viaggi all’estero o visite diplomatiche legate alle relazioni internazionali intrattenute da Casa Savoia.

Dopo la mostra che si è svolta nel 2021, l’esposizione delinea un nuovo capitolo per il racconto del progetto di scoperta, comprensione e cura di questa straordinaria raccolta etnografica, un focus sulle attività di studio e valorizzazione condotte negli ultimi due anni. In vista dell’apertura di un percorso di visita permanente in programma per il 2024, è stata completata l’attività di schedatura e sono proseguiti gli interventi conservativi, eseguiti in parte dallo staff del Laboratorio di restauro della Direzione regionale Musei e in parte da restauratori esterni. In particolare i manufatti esposti sono stati restaurati grazie al contributo di Intesa Sanpaolo, da sempre in prima linea nel sostegno alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale, e della Fondazione Cecilia Gilardi che ha erogato una borsa di studio nell’ambito dell’attività portata avanti dal 2010 per promuovere l’eccellenza nei mestieri d’arte, sostenendo i talenti più meritevoli negli anni della formazione e dell’ingresso nel mondo del lavoro.

Seppur in un numero contenuto di pezzi, il nucleo di manufatti scelto apre un affaccio suggestivo verso altri mondi, con testimonianze di pregio che celebrano tradizioni storiche e artistiche diverse, rimandano a specifici usi e riti sociali e narrano il fascino di civiltà lontane nel tempo e nello spazio.

Tra gli oggetti esposti spicca, ad esempio, la rotella dhal, scudo di ambito indiano in acciaio brunito e intagliato, probabile omaggio a Vittorio Emanuele III da parte della missione persiana giunta al Castello di Racconigi nell’estate 1911. Ma non solo. Di grande interesse risultano pure il raro pugnale haladie di manifattura sudanese, a imitazione di prototipi persiani, dal fodero ricoperto di conchiglie e perline colorate, e i piccoli tamburi giapponesi, utilizzati nel teatro Noh, che furono verosimilmente donati, sempre a Vittorio Emanuele III, da una delle delegazioni nipponiche ricevute nella residenza a inizio Novecento. Il valore identitario dei singoli oggetti, indagato guardando al background di provenienza, restituisce tuttavia un intreccio di connessioni, un filo rosso che attraversa la storia materiale, simbolica, collezionistica e ricostruisce i legami esistenti tra la raccolta, la residenza e i personaggi di Casa Savoia. Connessioni che intersecano anche il ricco patrimonio di fotografie storiche di ambito extraeuropeo custodito nel Castello, complemento naturale dell’Armeria.

In concomitanza con l’apertura dell’esposizione viene messa online la versione digitale della mostra tenutasi nel 2021, raggiungibile tramite il sito web della Direzione regionale Musei Piemonte.

Per scaricare le immagini degli oggetti esposti cliccare sul seguente link: https://bit.ly/3GTOSjH

Storie dal mondo in Castello

Nuovi incontri

CASTELLO DI RACCONIGI

via Francesco Morosini, 3 – Racconigi (CN)

20 aprile – 25 giugno 2023


Orario: giovedì visite accompagnate dalle 10.00 alle 18.00 (ultimo ingresso 17.00) con partenza alle 10.00, 11.00, 12.00, 14.00, 15.30, 17.00; venerdì, sabato, domenica e festivi visite libere a ingresso contingentato dalle 9.00 alle 13.00 (ultimo ingresso 12.00) e dalle 14.00 alle 19.00 (ultimo ingresso 18.00).

Chiuso: da lunedì a mercoledì.

Biglietti: intero € 8,00; ridotto € 2,00 dai 18 ai 25 anni; gratuito per minori di 18 anni; gratuito per docenti delle scuole italiane pubbliche e private paritarie con presentazione della certificazione del proprio stato di docente; studenti delle facoltà di Architettura, Lettere e Filosofia; titolari di Abbonamento Musei, Torino+Piemonte Card; personale MiC; membri ICOM; giornalisti muniti di tessera professionale; persone con disabilità e accompagnatori.

Prenotazione: fortemente consigliata per visitatori singoli; obbligatoria per i gruppi con servizio di guida incluso. Il servizio di prenotazione è attivo dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 15.00: racconigi.prenotazioni@cultura.gov.it (la richiesta sarà evasa entro 24 ore dall’invio. La prenotazione è da ritenersi effettuata previa mail di conferma da parte dell’ufficio prenotazioni del Castello di Racconigi). Per verificare la disponibilità si consiglia di contattare il numero 0172 84005.

Arte, poesia e musica a Rivarolo

Domenica 30 aprile – ore 16.00 –

Liceo Musicale di via Sant’Anna 1 – Rivarolo Canavese

Presentazione dell’Antologia Poetica “INQUIETUDINE”

Curata da Giuliana Reano

Arte, poesia e musica: questi gli ingredienti del pomeriggio culturale presso il Liceo Musicale di via Sant’Anna a Rivarolo Canavese(To). Infatti, nei giardini dell’Istituto, intorno alle 16 avrà inizio l’appuntamento culturale organizzato dall’Associazione Luci di Ivrea, il Circolo del Calamaio, il Liceo Musicale e le Edizioni Pedrini. Il palinsesto prevede la visita guidata all’esposizione “Terre Fertili”, curata da Anna Tabia con opere di Sandra Baruzzi e Guglielo Marti, a seguire la presentazione del volume di poesie “Inquietudine”, curata da Giuliana Reano. Sono previste letture in presenza con Rosanna Frattaruolo, Sandra Balducci, Piera Giordano, Giovanni Ponzetti, Giuliana Reano, Alessio Canale Clapetto, solo per citare qualche nome. Durante l’evento saranno eseguiti interventi musicali curati dagli allievi dell’Istituto Musicale Rivarolese. Il sipario si alza anche per Oreste Valente. Interpreterà alcuni brani dedicati alla vita di Italo Calvino in occasione del centenario della nascita. I primi versi sono intorno alle 16 e l’ingresso e libero fino ad esaurimento posti disponibili. La kermesse si effettuerà anche in condizioni di tempo avverso.

Informazioni – Associazione Luci – telefonando al 393 9988875.

Vincenzo Buonaguro e Vanni in mostra alla Telaccia

Due gli artisti protagonisti della collettiva in programma da martedì 18 aprile, curata da Monia Malinpensa

 

Vincenzo Buonaguro e Vanni sono i protagonisti della mostra che la galleria Malinpensa by Telaccia dedica a due interessanti personalità del mondo dell’arte, visitabile da martedì 18 al 29 aprile prossimo.

Vanni vive e lavora in terra umbra, contornato da una natura incontaminata, capace spesso di suggerire trame artistiche che vengono poi narrate con una profonda cromaticità, legata alla luce mediterranea, appartenente alle proprie radici. Dopo i primi studi a Roma, Vanni ha perfezionato il suo percorso storico a Parigi, città in cui ha vissuto parecchi anni.

Vanni è un artista che anima il suo cromatismo lirico facendo uso di un piano estetico e della ricerca di una materia assolutamente originale, dando vita a un acconto fortemente emotivo e di intima riflessione, che affascina lo spettatore.

La pittura di Vanni recupera il senso dell’immagine in un’atmosfera intrisa di silenzio e di pace, all’insegna di un messaggio continuo e immediato di amore per la vitae per tutto quello che circonda l’artista.

L’inesauribile spontaneità, la verità di ambientazione e la raffinata sensibilità cromatica presenti nella sua opera aderiscono ad un modulo compositivo figurativo che sconfina nell’astrattismo, pur confermando una narrativa pittorica di notevole evoluzione, condotta con una trasposizione fantasiosa.

Il colloquio da parte dell’artista con la natura è costante e suscita emozione e particolare interesse, dando vita a un’incantevole poetica da cui ne scaturisce un’interpretazione di grande analisi e di viva consapevolezza.

Vincenzo Buonaguro, nato a Nola e laureatosi in Medicina e Chirurgia, ha approfondito i suoi studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e con il professor Giuseppe Spinoccia.

Egli predilige gli artisti italiani rivolti verso un’arte spirituale.

La sua prospettiva coincide con il motto che “Dio dà luce e non viceversa”.

Non è facile per l’essere umano accettare che un giorno tutto finirà, senza avere la certezza di cosa lo aspetti in seguito. L’artista, però, può, associando l’arte a Dio, cercare la luce di una salvezza che proviene dalla religione, seguendo il modello di Chagall nelle sue opere in bilico tra la vita di tutti i giorni e il progetto salvifico di Dio.

Ma di analoghi esempi di artisti, filosofi e pensatori ce ne sarebbero a migliaia.

L’artista Vincenzo Buonaguro ha voluto utilizzare una “Cripta”, uno spazio apparentemente chiuso e claustrofobico per raggiungere una luminosità interiore visibile anche ad occhi chiusi, affidandosi alla preghiera e alla lode del Signore.

Così la Cripta si trasforma in un luogo di luce artistica e interiore, arioso di aperture e voli mentali, dove non occorrono macchine o accessori di lusso. Basta creare opere vicine all’uomo, utilizzando aria, fiumi, fiori e preghiere.

D’altra parte nella storia dell’arte traspare spesso nelle opere l’anelito a qualcosa di superiore e di salvifico.

L’uomo non arriva alla perfezione, deve accontentarsi di tutta la sua imperfezione, che non scade in una merasciatteria, nel senso di “non cura delle cose”, ma che consiste, invece, nell’impossibilità di elevarsi dalla propria piccolezza umana pur nella ricerca di un Ente supremo e perfetto. E l’artista non deve arrendersi per cercarlo.

Forse solo così si può sperare di avere quella serenità e quella forza che ci permettono di affrontare le dure prove della vita.

 

La mostra, a cura di Monia Malinpensa, è visitabile presso la galleria d’arte Malinpensa by Telaccia dal martedì al sabato dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 19.

Festivi e lunedì chiuso.

La galleria è in corso Inghilterra 51, a Torino.

 

MARA MARTELLOTTA

Shen Yun, danze cinesi pre-comuniste

C’è tempo ancora fino a domenica 23 aprile al Teatro Regio di Torino e dal 25 al 30 aprile al Teatro Arcimboldi di Milano per godersi due ore di danza cinese, che non è solo un festival di musica dal vivo , esplosione di colori , scenografie incredibili , costumi dettagliati , tecnologie digitali uniche, in un solo spettacolo, 15 momenti per l’esattezza.

Ma l’occasione per assistere alla bravura dei giovani interpreti della scuola di New York fondata da FULUN GONG, attuano la vera danza cinese, antica di 5000 anni, una tecnica unica di danza , che si potrebbe definire, in modo riduttivo, acrobatica e spirituale.

L’intero spettacolo trasmette un importante messaggio al mondo.

Un messaggio politico e spirituale.

Esiste un’altra Cina, nel mondo, una Cina pre-comunismo con una cultura che il regime ha represso. Una Cina che i dissidenti che sono riusciti a fuggire ora esprimono attraverso l’arte.

Una Cina sensibile, spirituale e conservatrice di radici, e cultura, differenziata per zone di appartenenza, che sono state estirpate per rendere tutti uguali così da poter facilitare il controllo.

E fondamentalmente una riflessione che le recenti misure Covid 19 ci hanno palesato.

Gran bel lavoro quello di SHEN YUN, che come si evince dal nome

Shen significa divino. Yun è il portamento personale, o lo spirito interiore.

Insieme, il nome Shen Yun significa la bellezza degli esseri divini che danzano.

Lo spettacolo è consigliato a chi è sensibile alle cose belle.

GABRIELLA DAGHERO

Alberto Moravia, gli amici, le scelte e gli scritti d’arte

Alla GAM, sino al 4 giugno, con la collaborazione del Circolo dei Lettori e del Museo del Cinema

Non ha dubbi Elena Loewenthal che con Luca Beatrice ha curato “Alberto Moravia. Non so perché non ho fatto il pittore”, visitabile nello spazio Wunderkammer della GAM sino al 4 giugno, una trentina di opere pittoriche racchiuse nel giudizio artistico del grande scrittore: “La mostra è un altro grande romanzo moraviano”. Una mostra che non tiene per nulla conto di anniversari, che esula dai contorni stabiliti, che non è freddamente celebrativa, ma una mostra “fuori da ogni anniversario, dal momento che non c’è bisogno di una data per riprendere un omaggio ad uno scrittore ed intellettuale – anche se Moravia amava assai poco il termine” – che ha attraversato un secolo imprimendo un’orma ben precisa non soltanto di scrittore che amava Proust e Dostoevskji ma altresì di giornalista, sceneggiatore e drammaturgo, saggista, critico cinematografico e instancabile reporter di viaggio, politico, esprimendo appieno il vasto panorama dei propri interessi. Una mostra che ha visto la collaborazione (“abbiamo fatto rete e questo è davvero un punto d’eccellenza per la città”) della Fondazione Circolo degli Artisti, della GAM e del Museo Nazionale del Cinema, a cui si sono uniti l’Associazione Fondo Alberto Moravia, Bompiani storico editore e le Gallerie d’Italia.

La mostra – il cui titolo riecheggia quello del volume composto da Alessandra Grandelis intorno alle critiche d’arte dell’autore della “Noia” tra il 1934 e il 1990, anno della scomparsa -, accompagnata da un efficace catalogo edito da Silvana Editoriale, apre uno sguardo nuovo, una gamma di giudizi espressi soprattutto su artisti amici, Enrico Paulucci e Carlo Levi (suo un ritratto “modiglianesco” dello scrittore del ’30: “Alla fine dunque bisognerà pur chiamare Levi un espressionista?… Si potrebbero fare vari nomi a proposito dell’”espressionismo” di Carlo Levi: da Van Gogh a Modigliani, da Soutine a Kokoschka. Ma sarebbero puri riferimenti indicativi; poiché, come abbiamo detto, Levi ha fatto sue queste e altre non meno importanti esperienze trovando ‘belli’ via via Modigliani, Van Gogh, Soutine, Kokoschka e quanti altri ai quali, come un viandante tranquillo che cammini placido e sicuro di sé – e con un mezzo sigaro in bocca -, ha chiesto qualche indicazione per la strada da seguire.”) in primo luogo, sull’incontro con i Sei di Torino, sulla frequentazione di Renato Guttuso e Mario Schifano, sui nomi di Titina Maselli (con i suoi “occhi grandi e attenti spalancati sul reale” di cui ama i colori “acerbi, chimici, squillanti”), sorella di Citto, lui pronto a trascrivere per lo schermo “Gli indifferenti” con una Claudia Cardinale venticinquenne, e Giosetta Fioroni, legata in quegli anni a Guido Piovene, “rifiutando Burri e Fontana, ignorando l’astrattismo, preferendo il racconto delle immagini figurative”, sottolinea Luca Beatrice. Ma trovano anche spazio, tra gli altri, Giacomo Manzù e Leonor Fini, Mario Lattes e Mino Maccari, Giuseppe Capogrossi (“esiste una pittura pura, come la poesia pura? Se esiste, Capogrossi ne è uno dei cultori più accreditati”) e Mario Mafai e Piero Guccione, Antonio Recalcati e Gisberto Ceracchini, autori questi ultimi di due ritratti datati 1987 e 1928, la vecchiaia e la gioventù, un Moravia sempre ombroso, sfuggente. Scriveva Moravia in “Corriere della sera” nel marzo dell’88: “Ma qui comincia il mistero, almeno per me, dei pittori. Come fanno a trasmutare la loro visione del mondo non già come si presenta alla mente, cioè con le parole, ma in immagini, in pittura? Che cosa è successo per esempio nella mente di Recalcati quando ha ripreso nel ritratto, che mi ha fatto con evidente compiacimento, il gesto con il quale appoggio il mento sulla palma della mano? E perché mi ha fatto gli occhi di un colore diverso, più scuro (ho gli occhi che tirano al verde), dell’originale?” Mentre Raffaele La Capria, forse ripensando al ritratto di Ceracchini, nel 2016 scriveva: “Quando ripenso ad Alberto Moravia… io mi sorprendo inevitabilmente a fissarlo in due atteggiamenti: uno è una specie di broncio da ragazzino ingiustamente punito; l’altro una specie di rischiaramento del volto e degli occhi che precedeva un sorriso così disarmante da cogliermi sempre impreparato. In tutt’e due gli atteggiamenti ritrovo l’adolescente che per me era Moravia.”

Articoli per quotidiani, come “La Gazzetta del Popolo” (iniziò nel ’33, tre anni prima alla “Stampa” diretta da Curzio Malaparte, dal ’55 “L’Espresso” lo arruolò per una rubrica di critica cinematografica), presentazioni in catalogo, prefazioni, collaborazioni diffuse. Una passione, un interesse coltivato già negli anni giovanili, tra le mura di casa, dove respirava la vicinanza, in un ambiente borghese, ricco di cultura, del padre architetto e pittore di origini veneziane, dove la sorella Adriana, formatasi con Mafai e Scipione, cresceva per divenire un’artista “di una certa levatura nell’ambiente romano”: “Adriana è un’artista, fin da quando era piccola ha sempre dipinto. Ricordo che da principio faceva dei quadri accademici. Poi è diventata una pittrice vera, un po’ nella scuola di Matisse, e da allora non ha cessato di svilupparsi e di affermare una sua personalità molto originale.”

Affiancandosi allo spazio della GAM, all’assorbimento da parte di quanti vorranno visitare la mostra dei tanti giudizi affettuosi, chiari, netti, intrisi di una introspezione sempre ricca di parole estremamente soppesate, il mondo moraviano prenderà corpo al Circolo dei Lettori con “Nato per narrare: riscoprire Moravia”, una serie di incontri che vedranno al tavolo dei relatori persone di spicco, che in vario modo, nel presente e nel passato, si sono avvicinati a quel mondo: da Dacia Maraini a Carmen Llera Moravia (ad intervistarla Alain Elkann, 9 marzo alle Gallerie d’Italia), Elena Stancanelli che legge l’amore in Moravia nella lectio “L’insudicia amore”, come Umberto Saba definiva il gesto amoroso, le relazioni, il sesso nell’opera moraviana (14 marzo), Alberto Albinati “a partire da alcuni libri dello scrittore passa in rassegna le modalità con cui la scrittura tenta di rendere la fisicità, la sensualità, la consistenza e resistenza materiale di ciò che per sua natura non è traducibile in parole” (17 marzo), Camilla Baresani racconta i viaggi dello scrittura con “Moravia, il nostro Chatwin” (21 marzo) mentre Elena Loewenthal guiderà una “Maratona Moraviana” snodata in tre filoni, pensiero arte corpo, in compagnia di René De Ceccatty, Giorgio Ficara, Alessandro Grandelis, Luca Beatrice e Giorgio Papi. Tangram Teatro proporrà “Io ed Elsa”, uno spettacolo con Bruno Maria Ferraro e Patrizia Pozzi per la regia di Ivana Ferri, sul rapporto tumultuoso tra la Morante e Moravia. Ultimo appuntamento il 20 maggio, all’interno del Salone del Libro, il premio Pulitzer Jhumpa Lahiri ragionerà sulla dimensione oraziana dello scrittore nella lectio “Moravia è un autore classico?”

Necessario era anche un angolo a racchiudere un assaggio del cinema “di” Moravia, esiguo se si pensa che i film tratti da romanzi e racconti dello scrittore sommano a una quindicina, territorio più che appetitoso, con alterne riuscite, per sceneggiatori e registi. Ovvero si sentirà la mancanza di opere come “La romana” di Luigi Zampa, che aveva tra gli sceneggiatori Bassani e Flaiano, e de “La provinciale” di Soldati, grandi successi targati Lollobrigida, o della “Donna invisibile” di Paolo Spinola con una magistrale Giovanna Ralli. Ecco allora nell’atrio del cinema Massimo tredici scatti firmati da Angelo Frontoni e ripresi a Capri sul set del “Disprezzo” di Jean-Luc Godard con la Bardot. La pellicola (in programma il 14 marzo) si unisce a “Il conformista” di Bertolucci (12 marzo), a “La Ciociara” di De Sica (26 marzo) e a “Gli indifferenti”, ritratto impietoso di una famiglia degli anni Venti, attorno al rampollo Michele Ardengo, in un girotondo di noia e di ipocrisie, di disfatte morali, di perfide meschinità, di disfacimenti personali, di un vuoto che offriva nelle pagine del romanzo una visione estremamente moderna. Moravia iniziò a scriverlo nel 1925, durante la sua permanenza nel sanatorio di Bressanone. Lo pubblicò nel 1929, a spese proprie, aveva soltanto ventun’anni.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Elisabetta Catalano, “Alberto Moravia”, 1970, Torino, GAM; Gisberto Ceracchini, “Ritratto di Moravia giovane”, 1928, Roma, Casa Museo Alberto Moravia; Carlo Levi, “Ritratto di A. Moravia”, 1930, Roma, Casa Museo Alberto Moravia; Antonio Recalcati, “Ritratto di Moravia”, 1987, Roma, Casa Museo Alberto Moravia; Enrico Paulucci, Venezia Canal Grande”, 1932, Torino, GAM; Titina Maselli, Tramonto nello stadio”, 1973, Torino, GAM.

Museo nazionale del Cinema, Enzo Ghigo: “Tanti progetti e un nuovo allestimento della Mole”

RITRATTI TORINESI

Presidente della Giunta regionale piemontese dal 1995 al 2005, appassionato di ciclismo tanto da essere eletto presidente della Lega del Ciclismo Professionistico e, dal novembre 2019, Presidente del Museo del Cinema di Torino: Enzo Ghigo – torinese doc classe 1953 – è uno dei piemontesi più riconosciuti e apprezzati in Italia.

La sua ultima carica è proprio il segno della stima per  il lavoro svolto per la Regione Piemonte. Grazie al suo intervento, il Museo dei Cinema ha registrato un boom di ingressi, facendolo schizzare tra le attrattive più visitate in Italia. Per questo abbiamo voluto sapere quali siano state le strategie usate e anche qualche curiosità sulla sua precedente carriera da politico.

Dagli ultimi report turistici, il Museo del Cinema di Torino ha superato- per indice di gradimento dei visitatori (90,9%)- il Museo Egizio e attrattive nazionali come il Colosseo e l’Arena di Verona. Come avete fatto a raggiungere questi risultati?

Le ragioni non sono ascrivibili ad un’unica considerazione, ma ad una molteplicità di fattori: un ruolo chiave è stato giocato dai festival e dalle masterclass. Quest’ultime hanno coinvolto degli artisti internazionali, come Tim Roth, Christopher Nolan e Kevin Spacey. Grazie, soprattutto, a quest’ultimo le televisioni di tutto il mondo hanno parlato del Museo e, di conseguenza, hanno avvicinato molti turisti alla Mole. Il Museo ha saputo modificare la sua immagine, facendone salire il gradimento.

Si nota anche dal numero di visitatori in costante crescita, come registrano i dati di gennaio 2023.

Il trend è estremamente positivo, anche nei primi giorni di aprile. Poi ci sarà la mostra di Tim Burton, che ci permetterà di raggiungere ottimi risultati anche nell’ultima parte dell’anno. Dopo il Covid si è registrato un forte incremento dei visitatori nei musei, dato che è in contrasto con quelli dei cinema: i visitatori ricercano un’esperienza unica, mentre sono meno interessati a vivere un’esperienza visiva in modo differente. Stiamo lavorando anche su questo aspetto ed io faccio il tifo affinché il pubblico torni in sala.

Quali sono, alla luce di questi successi, i prossimi obiettivi?

E’ questa la vera scommessa. Stiamo pensando al nuovo allestimento del Museo che è un’impresa davvero interessante, perché il fatto di essere ospitati all’interno della Mole, è sicuramente un’ottima garanzia. Prima di tutto vogliamo lavorare sull’aspetto tecnologico, in quanto-a differenza di un museo tradizionale- raccontiamo un’arte che è ancora in evoluzione. Vogliamo dare voce a quello che piace al pubblico di oggi e alle nuove generazioni. Un progetto del genere richiederà almeno 4 o 5 anni.

Le mostre hanno avuto sempre una grande importanza per il Museo. Qual è stata quella di maggior successo?

Probabilmente sarà quella dedicata a Tim Burton che, pur avendo un pubblico molto ben connotato, ha interpretato molti generi e piacerà a tipologie differenti di spettatori. Ci sarà anche una sezione dedicato alla serie “Mercoledì” e questo sarà un aspetto unico perché nella medesima mostra in Malesia non era presente.

La Mole è la sede del Museo del cinema. Ma qual è il legame personale che ha con questo monumento simbolo?

Io sono nata a febbraio del 1953 e mia madre mi raccontava che mentre era in giro con me nei miei primi mesi di vita  era caduta la guglia della Mole. Anche quando nel 2000, con la Giunta di cui ero allora Presidente, decidemmo di trasferire la sede del Museo qui e questa si rivelò un’ottima scelta.

Ha fatto riferimento al suo precedente mandato da Presidente della Regione Piemonte. Quali sono le differenze rispetto all’attuale mandato?

Sicuramente le responsabilità. Prima avevo una gestione molto più “ampia” anche solo in termini territoriali, mentre qui lo spazio d’azione è circoscritto. Sicuramente l’esperienza precedente mi ha lasciato molto perchè grazie a quel ruolo, spero, di poter svolgere al meglio questo.

Il Cinema è diventato, dal 2019, al centro del suo lavoro. Ma quali sono i suoi film del cuore?

Posso dirle che il film italiano che mi ha particolarmente colpito è  il capolavoro di Fellini “Amarcord”, mentre a livello internazionale mi è piaciuto molto “Il grande Lebowski” per la particolarità della trama.

Valeria Rombolà

***

Ha partecipato alla realizzazione del progetto editoriale

“Sei personaggi in cerca d’autore”, prima nazionale al Teatro Carignano

Valerio Binasco e i giovani attori della Scuola del Teatro Stabile di Torino reinterpretano il capolavoro di Luigi Pirandello

 

Debutta in prima nazionale al Teatro Carignano, martedì 18 aprile, uno dei massimi capolavori di Luigi Pirandello, “Sei personaggi in cerca d’autore”, per la regia di Valerio Binasco, che ne è anche interprete. Lo spettacolo è interpretato da Sara Bertelà, Valerio Binasco, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Jurij Ferrini e dagli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino. Le scene sono di Guido Fiorato, i costumi di Alessio Rosati e le luci di Alessandro Verazzi. Aiuto regista è Giulia Odetto, assistente alla regia e alla drammaturgia è Micol Jalla.

Questo testo drammaturgico ebbe un debutto molto travagliato al Teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921; l’iniziale accoglienza polemica di pubblico e critica lasciarono, però, il passo a un successo internazionale che è rimasto immutato. Valerio Binasco, dopo “Il piacere dell’onestà”, torna così ad affrontare uno dei capolavori di Luigi Pirandello che, meglio di ogni altro, ha saputo contrapporre le contraddizioni presenti tra la scena e il teatro. Binasco ritrova nella storia di questa famiglia spezzata tutti gli elementi che caratterizzano la propria poetica: i binomi arte-vita e umanità-maschere si fondono in un  nucleo di interrogative riflessioni sul valore della rappresentazione dell’identità umana. Nelle sue regie più recenti, Binasco ha messo in luce la dissoluzione della famiglia e le implicazioni che questo fallimento riflette sulla struttura sociale, ponendo in relazione la tradizione nordica del Novecento (Strindberg, Fosse) con la drammaturgia del Premio Nobel siciliano.

“Il primo pensiero sul testo – spiega Valerio Binasco – è che questa pièce teatrale sia concepita per spiazzare e che continui a sorprendere lo spettatore. Se devo dire la verità, i sei personaggi suscitano in me una certa antipatia. Nonostante l’untuosa cortesia del padre, che fa da portavoce ufficiale della famiglia, è indubbio che questi personaggi soffrano di un grande senso di superiorità nei confronti degli attori e del pubblico, ma risulta necessario essere indulgenti con loro perché soffrono anche della loro vita, che è stata un inferno. Non si vede né fine né redenzione per loro, in quanto sono esseri letterari e, quindi, immortali.”

“Personalmente – aggiunge il regista – il plot principale, quello della crisi di una compagnia, è fondamentale. Questa crisi siincarna nel personaggio del regista/direttore, che ha la funzione di medium. La compagnia dei giovani attori percepisce di vivere in un’epoca di crisi del teatro. Questi attori non sono per noi figure incapaci che, in Pirandello, emergono quali attori e attrici annoiati e in ritardo, stupidi, fatui, senza interesse per ciò che fanno. La nostra compagnia è formata dai ragazzi e ragazze della Scuola per attori del  Teatro Stabile che, con il loro entusiasmo, risultano attenti e sensibili. Queste loro qualità fanno percepire alregista/direttore il disagio della sua inadeguatezza. Egli vive in prospettiva contemporanea l’insensatezza del fare teatro oggi. Si chiede se sia solo per salvarsi la vita che debba comunque fare qualcosa e si domanda il motivo per il quale il teatro sia più capace di soddisfarli. “

Il regista/direttore sta cercando il significato del suo mestiere ed è ovvio che lo vada a ricercare nelle opere più intrise di tradizione. Da una prospettiva contemporanea, Pirandello ci appare un classico della modernità nell’ambito dei testi dell’arte moderna.

 

 

Personaggi e interpreti

Padre: Valerio Binasco

Madre: Sara Bertelà

Figliastra: Giordana Faggiano

Figlio: Giovanni Drago

La compagnia: capocomico Jurij Ferrini e le allieve e gli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino

Gli artisti del Teatro Stabile di Torino incontreranno i cittadini negli spazi di comunità della città.

Venerdì 21 aprile alle ore 17, in via Panetti 1, presso la Casa del Parco, si terrà un incontro con Valerio Binasco sui Sei personaggi in cerca d’autore, a ingresso libero.

Mercoledì 19 aprile, alle 17.30, Valerio Binasco e gli attori della compagnia, presso la caffetteria Lavazza, all’interno del Teatro Carignano, dialogheranno con Matteo Tamborrino dell’Università di Torino.

Ingresso libero fino a esaurimento posti con prenotazione obbligatoria.

MARA MARTELLOTTA

 

“Resistenze. L’Italia monumentale del 25 aprile”

A “Palazzo Madama”, la “Festa della Liberazione” attraverso la memoria delle grandi opere “resistenziali” illustrate da Giovanni Carlo Federico Villa

Mercoledì 19 aprile, ore 17

Una grande lastra in bronzo. Sul lato frontale sono rappresentati un giovane appeso a testa in giù e, accanto a lui, una donna, moglie o madre sopravvissuta, sagoma di dolore illimitato ma raccolto e mano sinistra protesa in un’ultima pietosa carezza. Sul lato opposto troviamo invece un testo poetico dello stesso grande scultore, cui si deve l’opera: “Partigiano ti ho visto appeso immobile. Solo i capelli si muovevano leggermente sulla tua fronte. Era l’aria della sera che sottilmente strisciava nel silenzio e ti accarezzava, come avrei voluto fare io”. Giacomo Manzù, 25 aprile. Al celebre scultore bergamasco, fra i più grandi artisti del secolo scorso, si deve infatti la realizzazione del “Monumento al partigiano” donato alla sua città natale nel 1977, in memoria dei suoi genitori e di tutti gli eroi e martiri della nostra Resistenza. Fra le opere d’arte più iconiche e fondamentali, quella di Manzù permette una lucida poetica lettura e interpretazione visiva di quell’eroica Lotta di Liberazionedall’oppressione nazi-fascista che determinò, a costo di enormi sacrifici di vite umane, la nascita della nostra Italia libera e repubblicana. Il “Monumento” sarà ricordato e indagato, nei suoi risvolti artistici e storici, insieme ad altri non meno illustri e famosi, nella Conferenza organizzata in occasione del “25 aprile – Festa della Liberazione” nella “Sala Feste” di “Palazzo Madama- Museo Civico d’Arte Antica” a Torino, mercoledì 19 aprile (ore 17), nell’ambito della Conferenza tenuta da Giovanni Carlo Federico Villa, storico dell’arte docente all’“Università di Bergamo” e preposto alla “direzione scientifica” dello stesso “Palazzo Madama”, dal titolo: “Resistenze. L’Italia monumentale del 25 aprile”. Accanto al Monumento di Manzù non si potrà mancare di riflettere su alcune delle molte altre opere dedicate in territorio italiano, al tema “resistenziale”. Prime fra tutte quelle di Umberto Mastroianni a Cuneo e a Torino: il“Monumento alla Resistenza” ( “un’esplosione di cristallo” , formata da cunei in bronzo di diverse forme e dimensioni, sostenuta da un traliccio in acciaio, 20 metri per 17), realizzato dall’artista-partigiano di Fontana Liri e inaugurato nel ’69 a Cuneo (città Medaglia d’oro al valore militare) all’interno del parco omonimo che si affaccia sul Viale degli Angeli, all’altezza di corso Dante e “Il Monumento ai Caduti della Libertà” realizzato da Mastroianni (su progettazione di Carlo Mollino) nel 1948, primo monumento commemorativo realizzato in un’area adiacente al viale principale del “Cimitero Monumentale” di Torino. L’opera si compone di due grandi blocchi in pietra: un massello di base in serpentinite che rappresenta il patriota martoriato e una stele in marmo bianco che raffigura lo “spirito libero”.

L’intera composizione è poi racchiusa da un muro perimetrale in blocchi di pietra sbozzata in sienite della Balma. Bergamo, Cuneo, Torino. Ma non solo. Le parole di Villa non mancheranno di sfogliare altre pagine, più o meno illustri, della nostra “Resistenza” raccontata in arte. Portandoci, ad esempio, alla Rotonda del Boschetto” di via Pindemonte (nel Parco del Ferdinando) a Trieste, dov’è collocata un’opera aniconica, in cemento verniciato di bianco, che ricorda la figura e l’esempio di Alma (Amabile) Vivoda, probabilmente la prima partigiana cadutadella nostra resistenza. Vittima di un deplorevole atto vandalico nel settembre del 2022, é uno dei rarissimi monumenti dedicati a una donna in Italia e, come tante celebrazioni dei partigiani e della Resistenza, “la sua collocazione è stata assai tormentata, in un Paese che fatica a fare i conti con il proprio passato”. Come è evidente in tante vicende, a partire da quella intorno al paradigmatico “Monumento al Partigiano”, realizzato fra il 1954 e il 1956 da Marino Mazzacurati (su progetto di Guglielmo Lusignoli), collocato nell’area intorno al “Palazzo della Pilotta” di Parma, dove una coppia di figure incarna i due momenti rappresentativi della Resistenza: nell’immagine del fiero partigiano armato, la lotta e l’eroismo, e in quella del partigiano caduto, il sacrificio e il martirio, negato e vilmente irriso in un attentato nel 1961, dopo che al suo concepimento avevano aderito le massime autorità della Repubblica. E, dopo Parma, il viaggio in Italia toccherà altri luoghi emblematici come la Bologna del “Monumento al Partigiano e alla Partigiana”, una coppia di statue bronzee realizzate da Luciano Minguzzinel 1947 con il bronzo fuso dalla statua equestre di Mussolini proveniente dal “Littoriale Felsineo” (e a sua volta ricavata dal metallo dei cannoni sottratti agli Austriaci nel 1848). E poi la Venezia del “Monumento alla partigiana veneta”, voluto per non dimenticare il prezioso contributo delle donne alla liberazione della città dal nazifascismo: Leoncillo Leonardi esegue l’opera in ceramica policroma che, posizionata ai “Giardini Napoleonici” su un basamento concepito da Carlo Scarpa, viene distrutta nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1961 da un attentato. Una nuova statua sarà commissionata ad Augusto Murer, che realizza in bronzo l’immagine di una donna caduta, la “Partigiana”, il corpo riverso affiorante dall’acqua, le mani legate accanto al viso.

Ingresso libero, fino ad esaurimento posti. Prenotazione consigliata: tel. 011/4429629 o madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Giacomo Manzù: “Monumento al Partigiano” (part.), 1977, Bergamo

–       Giovanni Carlo Federico Villa

Benji di Claire Dowie al Baretti

martedì 18 aprile 2023  ore 21.00

sabato 22 aprile 2023 ore 18.00

365° SAN SALVARIO REAGISCE e TEATRO BARETTI

presentano

PILLOLE DI TEATRO AL CINEMA

BENJI di Claire Dowie

con Olivia Manescalchi, regia di Lorenzo Fontana.

Torna il progetto di Monica Luccisano e Cristina Voghera, un progetto che porta in sala sia il teatro che il cinema, brevi pièce teatrali che preludono a un film il cui soggetto verte sullo stesso tema. Al pubblico sono offerte quindi nella stessa serata due forme di spettacolo, con la possibilità di immergersi in una dimensione multidisciplinare, ricevendo un racconto affine attraverso due linguaggi espressivi diversi, quello performativo, e quello cinematografico: il primo di breve durata, una “pillola teatrale” appunto di circa 20 minuti, il secondo della normale durata di un film.
Questa volta il tema di questa pillola è VOLI DELLA MENTE.

Martedì 18 e sabato 22 come opening act della proiezione del film Tutti Amano Jeanne di Celine Devaux la breve pièce teatrale è un estratto di BENJI di Claire Dowie, con Olivia Manescalchi, regia di Lorenzo Fontana, lo spettacolo andrà o in scena il 16 e il 17 maggio al Teatro Astra con la produzione del Teatro Baretti.

Con questo testo del 1987 Claire Dowie, drammaturga, attrice e poetessa del circuito della stand-up comedy americana, ha vinto il premio Time Out nel 1988.
«In scena la sola attrice con due sedie affronta una sorta di confessione / intervista / testimonianza, rivolta al pubblico nella maniera più diretta possibile. Una confessione dolorosa e intima, la condivisione di una storia terribile, scomoda e commovente», spiega il regista Lorenzo Fontana.
La protagonista ci parla con grande lucidità e racconta nei dettagli il suo malessere, i ricordi d’infanzia di famiglia, i primi giochi innocenti con la sua amica immaginaria. Con un linguaggio apparentemente quotidiano, ma anche ossessivo nelle descrizioni più dettagliate dei momenti di vero e proprio sdoppiamento di personalità, Dowie ci accompagna in un viaggio emozionante in cui la protagonista, nel disperato tentativo di farsi capire da chi la circonda, dovrà combattere la sua battaglia definitiva.

A seguire ci sarà il film TUTTI AMANO JEANNE di Céline Devaux.
Tutti amano Jeanne, a parte lei stessa. La sua autostima è precipitata il giorno in cui il progetto di raccolta di rifiuti subacquei, che l’aveva resa famosa, si è rivelato un fiasco, e a nulla è valso il suo tuffo in mare per tentare di salvare la presentazione, se non a renderla ridicola agli occhi del mondo, grazie ad un video divenuto virale. Come se non bastasse, per riprendersi dal disastro economico, le tocca il penoso compito di volare a Lisbona per svuotare l’appartamento della madre morta un anno prima. La sua profonda solitudine e la disperazione che non le dà tregua vengono turbate soltanto dall’incontro casuale con un ex compagno di liceo, il quasi omonimo Jean, che sembra conoscerla meglio di quanto lei non creda.
Tutti amano Jeanne è una sadcom in tutto e per tutto, una commedia malinconica in cui depressione e romanticismo dialogano tra loro.
È un film in cui un vivace battibecco si traduce, in maniera originale e intelligente, nel battibecco tra Jeanne e la sua cinica vocina interiore, resa come un buffo personaggio animato ricoperto di lunghi capelli.

Celine Devaux. Autrice di alcuni cortometraggi che si sono fatti notare a Cannes e a Venezia, per il suo primo lungometraggio la Devaux può contare sull’apporto fondamentale dell’ottima Blanche Gardin, e sull’affinità che l’attrice instaura con Laurent Lafitte (della Comédie-Française). E tuttavia, è proprio il suo non assomigliare fino all’ultimo ad una commedia romantica propriamente detta che fa del film un’opera toccante, che ragiona sul dolore di essere figli, ex amanti, ex promesse, e si misura con lo stigma del disagio psichico, senza indulgere nella formula classica del monologo nevrotico.

Progetto finanziato nell’ambito della risposta dell’Unione alla pandemia di COVID-19

BIGLIETTERIA: INTERO 7€ / RIDOTTO 5€ (under25/over65)
È consigliato l’acquisto dei biglietti online su anyticket.it.
Informazioni tel 011 655 187 / info@cineteatrobaretti.com 

“Tutto quello che ho è tutto quello che mi hai dato…”

Music Tales, la rubrica musicale

“Tutto quello che ho è tutto quello che mi hai dato

non ti sei mai preoccupato che sarei arrivata a dipendere da te

Ti ho dato tutto l’amore che avevo in me

ora scopro che hai mentito e non posso credere che sia vero”

Era il 1988 e la mia adolescenza era scandita da brani come questo.

Figlia del musicista e cantante Joe Brown e della cantante Vicki Brown, Sam Brown ha intrapreso l’attività di cantante ad appena 14 anni, quando ha collaborato con i Small Faces per l’album 78 in the Shade (1978).

Ha anche registrato con Spandau Ballet e Jon Lord.

Nel 1986 ha firmato un contratto con la A&M Records. Nel 1988 ha pubblicato il suo più importante successo, il brano Stop!, che dà anche il nome al suo primo album in studio. Il suo secondo disco è uscito due anni dopo. Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1991, ha pubblicato 43 Minutes, che non ha avuto successo.

Nel 1994 l’artista ha collaborato con i Pink Floyd come corista negli album The Division Bell e Pulse. Nel 1995 ha collaborato con Fish per il singolo Just Good Friends. Nel 1997 ha pubblicato in maniera indipendente l’album Box.

La sua attività di corista la ha vista collaborare con numerosi e importanti artisti della scena rock e non solo: David Gilmour, Deep Purple, Jon Lord, The Firm, Gary Moore, Jools Holland, Nick Cave e altri.

Nel 2007 ha diffuso l’album Of the Moment.

Nel 2020 sembrava che la spettacolare carriera della cantante fosse agli sgoccioli. Improvvisamente, eccola di nuovo in cima. Secondo la lista di People With Money di domenica (16 aprile), Brown è la più pagata cantante al mondo, grazie a sorprendenti guadagni di 75 milioni di dollari tra marzo 2022 e marzo 2023, un vantaggio di quasi 40 milioni di dollari sulla sua concorrente più vicina.

“Lo spreco della vita si trova nell’amore che non si è saputo dare… nel potere che non si è saputo utilizzare, nell’egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità. ”

Buon ascolto

CHIARA DE CARLO

https://www.youtube.com/watch?v=V4qorFKV_DI&ab_channel=SamBrown-Topic

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!
Tutta cromata…è tua se dici siiii!! 🛵 🎶 Di chi stiamo parlando? La tribute band di Lucio Battisti, 10 HP Reimmaginando Lucio, ti aspetta nel nostro Sapori&Sorrisi giovedì 20 aprile! Dai un’occhiata al programma della serata ⤵️
🔸 Alle 19:30 cena con noi con un delizioso menù, a soli 19,90€ (bevande escluse):
🍝Agnolotti di magro burro e salvia
🐟Risotto al salmone
🐮Bocconcini di manzo marinati con porro e patate
💚Filetto di tonno in crosta di pistacchi con vellutata di asparagi
🥦Contorno di stagione
🍮Dolce
🔸 Alle 20:30 goditi lo spettacolo della tribute band e canta l’immortale Battisti con noi!
📞 Prenota al numero 3519652883!